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Harrington, James.

Pensatore politico inglese. Studiò al Trinity College di Oxford e, abbracciata la carriera militare, fu a lungo in Olanda al servizio del principe d'Orange. Viaggiò poi in Danimarca, Germania, Italia, Francia. Ritornato in Inghilterra, sin dall'inizio della guerra civile si schierò col Parlamento, coerentemente con le sue convinzioni politiche. Fu infatti un repubblicano convinto e dichiarato, nonostante fosse aristocratico per nascita e parentela, amico intimo di Carlo I al quale rimase vicino sino al patibolo. Ciò gli attirò i sospetti di Cromwell che ordinò il sequestro della sua opera Oceana. Dopo la Restaurazione, nel 1661 fu per breve tempo imprigionato sotto l'accusa di cospirazione. H. seppe più di ogni altro suo contemporaneo cogliere le realtà politiche e formulare con chiarezza la dipendenza della politica dalla distribuzione della ricchezza. Per quanto la sua opera fondamentale, Oceana (1656), appartenga formalmente alla categoria delle utopie politiche, nel suo pensiero vi era assai poco di intrinsecamente utopistico ed egli aveva presente la realtà inglese mentre formulava le sue proposte di governo. Ammiratore di Hobbes e di Machiavelli, prese da quest'ultimo il metodo storico comparativo e ogni lineamento del governo fittizio di Oceana era modellato su quello di governi antichi e moderni. H. fu il solo scrittore politico del suo tempo a sostenere la tesi che il governo è determinato da forze economiche sottostanti. Il pensiero fondamentale della sua dottrina è che la continuità della forma di governo in un paese dipende dalla distribuzione della proprietà, in particolare di quella terriera. Qualunque classe possieda una parte preponderante della ricchezza del paese deve, per pura necessità economica, avere un potere di controllo sul governo. H. derivava la propria teoria della distribuzione della ricchezza in parte da Aristotele e in parte da Machiavelli. Da Aristotele derivò l'idea che le rivoluzioni sono dovute soprattutto alle ineguaglianze eccessive della proprietà; da Machiavelli l'idea che una nobiltà potente è inconcepibile con un governo popolare. Il potere, nel senso legale, non è un termine che si spieghi da sé. Esso presume la forza sociale, che a sua volta, presume il controllo dei mezzi di produzione. Egli vedeva nel risultato delle guerre civili in Inghilterra una conclusione logica e giusta. Il controllo della terra era passato in mano alla borghesia. La monarchia dei Tudor poteva esercitare grande potere temporaneamente, finché la nuova classe non fosse diventata consapevole del proprio potere politico, ma era inevitabile che il governo finisse col conformarsi alla nuova distribuzione della proprietà. Per questa ragione H. era repubblicano e sostenitore dei parlamenti, delle assemblee popolari e delle leggi popolari. Nel tracciare il piano della sua ipotetica repubblica, previde una quantità sorprendente di quei meccanismi che sarebbero poi diventati una caratteristica dei governi liberali: costituzione scritta, elezioni dei magistrati, uso del ballottaggio, rotazione delle cariche, separazione dei poteri, garanzie della libertà religiosa, istruzione pubblica, ecc. (Upton, Northamptonshire 1611 - Westminster, Londra 1677).