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Harem.

(dall'arabo harim: luogo sacro, proibito). La parte del palazzo di un sultano che, secondo il costume musulmano, era destinata ad esclusiva abitazione delle sue mogli e quindi nettamente separata da quella riservata agli uomini. Oltre che al sultano, l'ingresso all'h. era consentito agli eunuchi. In origine l'h. era un edificio espressamente costruito e chiuso da mura tutto intorno; era composto da varie sale e salette, cortili, portici, giardini, fontane, ecc. e lussuosamente addobbato all'interno. Evidentemente un h. di questo tipo non poteva appartenere che ad una persona molto facoltosa, in grado quindi di mantenere mogli e concubine. Di regola l'h. di un alto funzionario ospitava tre classi di donne: le Sultane madri, che erano le vere mogli "ufficiali", le favorite, quasi sempre schiave innalzate all'onore di servire il padrone, e le odalische, ovvero le cameriere, anch'esse generalmente schiave. Se una schiava entrava nelle grazie del padrone poteva aspirare a passare nella classe superiore. Gli appartamenti delle donne erano sorvegliati da eunuchi. Nell'h. potevano anche essere ospitate le parenti di sesso femminile del sultano. Per quanto i non abbienti non potessero permettersi molte mogli - a volte ne avevano una sola - era chiamato h. anche quell'unico locale destinato alle donne dei poveri. Era normalmente situato al piano superiore della casa ed era provvisto di un balcone sulla strada sottostante: questo veniva chiuso da una spessa grata, che impediva ai passanti di osservare chi si trovava all'interno. L'uomo estraneo che veniva colto nell'h. poteva essere ucciso dagli eunuchi o dal padrone che, in base alla legge, avevano pieno diritto di eliminare chi avesse attentato all'onore delle donne di casa. L'avvento dei Giovani Turchi e le riforme cui furono soggetti gli Stati Arabi valsero a far scomparire l'usanza dell'h.