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Guicciardini, Francesco.

Storico e uomo politico italiano. Figlio di Piero e di Simona Gianfigliazzi. Conseguì nel 1505 a Pisa la laurea in Diritto civile, ed esercitò con fortuna l'avvocatura finché, nel 1511, venne designato dalla Repubblica fiorentina quale ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico. Nel 1514, rientrando in Firenze, dove era caduta la Repubblica, egli si mise a disposizione di Lorenzo de' Medici. Su istanza di questi, G. veniva nominato, nel 1516, governatore di Modena. In questa carica restò sino al 1524; gradatamente le sue attribuzioni si estendevano su Reggio e su Parma, e successivamente, mercé la protezione di Clemente VII, assumeva la presidenza della Romagna. È durante tale lungo servizio presso il pontefice che grosse nuvole s'addensano sull'orizzonte italiano, con la ripresa della guerra (1521) tra Francesco I e Carlo V collegato a Leone X. G. è persuaso che il pericolo vero, per l'Italia, sia nella vittoria degli imperiali, padroni ormai del Milanese, ed è fautore, durante le varie oscillazioni della politica papale, di una lega degli Stati italiani con il re di Francia, lega stipulata a Cognac nel 1526. Crollata tale politica, sottoposta Roma al sacco (1527), caduti a Firenze i Medici, e insediatasi la nuova Repubblica, G. cadde sotto sospetto ed accusa. Nel 1530 veniva condannato dalla Quarantia. Nella fase di ricostruzione del Governo fiorentino, il suo programma (Stato misto) fu in contrasto con il programma pontificio favorevole all'assolutismo mediceo, donde la sua estromissione dalla città, con la destinazione al governatorato di Bologna (1531-34). Successivamente, orientandosi la politica medicea verso gli imperiali, a G. non restava che ritirarsi nella sua villa di Santa Margherita in Montici, dove, dal 1537 al '40, lavorò alla sua Storia d'Italia: primo e serio sforzo di intendere e illustrare nella sua totale complessità la vita secolare della penisola. Sono punti saldi in G. il riconoscimento della ragion di Stato, l'intuizione di quel concetto di classe politica (efficacia di una minoranza organizzata nella conquista e gestione della cosa pubblica) che solo assai più tardi troverà la sua enunciazione dottrinale e l'accertamento di un mondo politico degli uomini, frutto, più che altro, di una prudenza legata al relativo ed all'utile. Per quanto riguarda la sistemazione dello Stato fiorentino, il suo auspicio si attiene (Dialogo del reggimento di Firenze) a quel Governo misto, che costituì la non originale formula di molti politici del Rinascimento. L'indagine storiografica a cui egli si è dedicato fin da giovane gli serve da severa ispezione del secolare processo umano per quel che concerne le sorti d'Italia; ma non scalza, in definitiva, nell'uomo G., la permanente possibilità, di fronte alla contingenza, di un appello alla propria intimità e dignità, quale fonte di rimediatore optimum morale. La Consolatoria, l'Accusatoria, la Defensoria, gli stessi Ricordi, il vario spicciolo materiale autobiografico, sono documento d'una vigile coscienza, di un monologo interiore teso alla conquista di una verità valida non solo per il singolo e per la collettività, ma anche per la cronaca e per la storia (Firenze 1483 - Arcetri 1540).