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Guardi, Francesco.

Pittore italiano. Si hanno le prime notizie della sua attività, in collaborazione col fratello Giovanni Antonio, dal 1730. Pittore particolarissimo se considerato nel contesto dell'arte settecentesca italiana, se ne può indagare la personalità vedendolo inserito nella realtà veneta del tempo. Agli inizi del 1700 Venezia rappresenta infatti, nell'ambito dello sviluppo culturale italiano, un'eccezione: in tutto il resto della penisola la crisi dell'arte aulica, specchio della crisi dell'assolutismo e del dominio incontrastato dell'ideale aristocratico, determina un brusco decadimento culturale, particolarmente verificabile nelle arti figurative. La contraddizione tra la morente cultura eroico-aristocratica (ancora legata alla tradizione rinascimentale) e la nascente cultura borghese si sviluppa nei maggiori centri italiani, come nella maggior parte dei paesi europei, in maniera rapida e radicale. A Venezia, viceversa, la trasformazione delle strutture sociali e quindi culturali avviene più lentamente, soprattutto l'evoluzione del costume si verifica in maniera meno percettibile: questa relativa stasi permise uno sviluppo artistico di più vasta portata, anche se non necessariamente di più alto livello o significato, che non nelle altre regioni italiane. È anche da tenere presente che per tutto il Seicento Venezia non ebbe, almeno nel campo della pittura, nessun grande artista barocco. Ciò significa che i pittori settecenteschi veneti ebbero come punto di riferimento o la tradizione cinquecentesca di Veronese, Tintoretto, Bassano e Tiepolo o la pittura settecentesca di genere e di veduta dell'alta Italia (Ceruti, Ghislandi, Magnasco) e i quadraturisti. A questa seconda tendenza può ricondursi lo stile pittorico di G. Benché l'uso di un colore ricco ed estremamente variato sia tipico della cultura figurativa veneta, la stesura a zone contrapposte di luce ed ombra macchiettate da pennellate rapide, che definiscono volta a volta un riflesso luminoso o una figura, rimandano immediatamente ai modi di Magnasco o Ricci, così come il fantasioso taglio degli scorci e la mobilità vaneggiante di tutti gli elementi compositivi. Ma questi elementi stilistici mentre portano Magnasco, pittore formatosi in un contesto sociale in rapida e violenta trasformazione, a realizzare composizioni allucinate, in cui il movimento diventa spasimo e la luce guizzante scarnifica le forme e rende l'atmosfera violenta e miserabile del suo tempo e del suo ambiente, vengono invece tradotti da G. in un linguaggio poeticissimo ed elegante, in descrizioni puntuali ma fantasticamente trasfigurate. Non si può tra l'altro dimenticare che una delle caratteristiche degli artisti settecenteschi in generale è un'estrema abilità tecnica: questa peculiarità che ad esempio Canaletto, altro notissimo "ritrattista" di Venezia, esprimeva in composizioni quasi scientificamente realistiche, G. la tradusse nella perfezione delle sue figurette in movimento e nella capacità di cogliere e di esprimere il massimo del suggestivo e del caratteristico. Certamente questo stile va considerato anche alla luce di due fatti: il primo è che buona parte delle composizioni dei vedutisti venivano acquistate dai turisti, il secondo è la provenienza di moltissimi pittori, tra i quali probabilmente anche G., dalla tecnica delle scenografie teatrali. Ma per quanto l'impianto disegnativo sia importante nelle opere di G., esso non è certamente una conquista nuova: la sicurezza del disegno è solo il supporto di una concezione luministica, estremamente originale, che sfalda il colore in innumerevoli vibrazioni e crea nelle composizioni quel sapore di veduta "improvvisa", intuita invece che studiata. Ed in effetti ciò che si caratterizza nei dipinti di G. non è l'ambiente in sé, ma la vita particolare che vi è racchiusa, un effetto raggiunto senza descrittivismi, solo con gli accenni sintetici delle pennellate e con gli effetti luminosi variatissimi ma sempre equilibrati. È naturale quindi che la vena più espressiva di G. si realizzi nei suoi Capricci, piccoli quadri contrastati tra luce ed ombra che si riducono spesso a geniali canovacci pittorici. Tra questi i più apprezzati sono quelli un tempo conservati nel castello di Colloredo (attualmente proprietà di collezioni americane), quelli dell'Accademia di Carrara e del Museo di Verona. Negli ultimi anni di attività G. sembra distaccarsi dalla sua ispirazione tipica: dipinge vedute in cui scompare ogni elemento caratteristico, ogni annotazione di costume, fino ad esprimersi, nelle ultime composizioni, con un colore quasi monocromo, con uno stile quasi astratto. Nella Laguna del Museo Poldi Pezzoli di Milano, ad esempio, solo un lontanissimo puntino rosso disturba la distesa delle impercettibili variazioni dell'azzurro. Da ricordare inoltre la sua attività di decoratore, spesso svolta assieme al fratello: tra le altre opere per chiese ed altari, la decorazione di Palazzo Labia, e quelle commessegli dal governo della Serenissima raffiguranti le cerimonie per la venuta di Pio VI (1782) e degli arciduchi di Russia Paolo e Maria Fëdorovna. Tra le altre opere: Ingresso dell'Arsenale di Venezia (Vienna, Kunsthistorisches Museum), Il doge sul Bucintoro nel giorno dell'Ascensione (Parigi, Louvre), Il doge si reca alla Chiesa della Salute (Parigi, Louvre), Concerto di Gala a Venezia (Monaco, Antica Pinacoteca), Piazzetta San Marco a Venezia (Losanna, collezione privata), La laguna gelata (Venezia, Ca' Rezzonico), La laguna grigia (Milano, Poldi Pezzoli), La partenza del Bucintoro (Tolosa, Museo), Scena di Campagna (Lugano, collezione privata), L'isola di San Giorgio (Venezia, Galleria dell'Accademia), Il canale della Giudecca (Roma, Galleria Nazionale d'arte Antica), Interno della corte di un palazzo (Torino, Galleria Sabauda), Il ponte (New York, collezione privata), Rio dei Mendicanti (Bergamo, Accademia Carrara) (Venezia 1712-1793).