Tribuno della plebe romano. Figlio del console Tiberio Sempronio Gracco e di
Cornelia, fu allevato con Tiberio e alla sua morte era in armi sotto Numanzia.
Egli sembrò dapprima tenersi in disparte e non si oppose, nell'anno 129,
all'abolizione del triumvirato di cui egli restava l'unico componente. Ma il
popolo aveva applaudito la sua eloquenza nella difesa dell'amico Vettio e i
nobili temevano in lui un vendicatore di Tiberio. Questore del console Oreste in
Sardegna, acquistò stima e popolarità; vennero prorogate le
funzioni del console per trattenere il suo luogotenente lontano da Roma.
Accusato davanti ai censori, si difese vittoriosamente attaccando anche i suoi
nemici, i nobili; accusato di aver fomentato la rivolta degli Italici di
Fregelle, trovò occasione per un nuovo trionfo. Eletto tribuno con una
votazione nel 123, si propose di isolare il Senato. Dopo aver vendicato il
fratello con due proposte di legge, una contro Marco Ottavio e l'altra contro
gli uccisori di Tiberio, Caio Sempronio, più audace e meno scrupoloso,
rinnovò la legge agraria, ma solo nella forma: preferì conquistare
il popolo col ribasso del prezzo del grano, coi lavori pubblici, granai, ponti,
strade e migliorando le condizioni dei soldati. Tolse alle prime centurie la
prerogativa di votare prima delle altre, proclamò la sovranità
assoluta del popolo, tolse al Senato il potere giudiziario per affidarlo ai
cavalieri. Inoltre le province dovettero essere assegnate prima dell'elezione:
era un nuovo colpo inferto al Senato. Estese le sue cure alle province e volle
rialzar le sorti delle grandi città come Capua, Taranto, Cartagine.
Esitò a richiedere per gli Italici il diritto di cittadinanza, nel timore
di essere abbandonato dal popolo romano, geloso dei suoi privilegi. Fece
decretare che un tribuno poteva essere rieletto ed ebbe tale nomina con il suo
amico Fulvio Flacco, mentre Pannio era nominato console dietro sua
raccomandazione. Risolse allora di ottenere l'emancipazione dell'Italia,
rompendo le resistenze del Senato col triplicare il numero dei senatori con dei
cavalieri. Con mossa abile, il Senato gli oppose il collega Livio Druso che,
d'accordo coi nobili, fece proposte ancor più democratiche delle sue. In
una fatale perplessità,
G. commise l'errore di accettare
l'incarico di condurre una colonia a Cartagine. Frattanto, Fulvio Flacco
irritava il popolo con le sue insistenze a favore degli Italici: Caio stesso
invitò pubblicamente gli Italici a venire a Roma per chiedere, con lui,
il diritto di cittadinanza; nello stesso tempo un senatoconsulto ingiungeva a
tutti gli stranieri di lasciare la città. Il tribuno non osò
più provocare una lotta sanguinosa e parve abbandonare gli Italici che
aveva promesso di difendere. La sua proposta fu respinta. Tentò di farsi
rieleggere nel 121: ma fallì, mentre il suo nemico Opimio, avversario
degli Italici, saliva al consolato. Il Senato incominciò l'attacco alle
leggi di
G., chiedendo, in primo luogo, l'abolizione della colonia
recentemente istituita a Cartagine. Fulvio e
G. sostenuti dai loro amici,
dai loro clienti, dagli Italici, vollero difendere la legge. Un littore di
Opimio fu ucciso in mezzo al tumulto. Fu il pretesto di una lotta tremenda.
Opimio, investito dal Senato di poteri illimitati, preparò ogni cosa per
il giorno successivo.
G. tentò ancora di parlamentare; Opimio fece
trarre in arresto il figlio minore di Flacco ch'era stato inviato a parlamentare
al Senato e fece attaccare la folla dagli arcieri cretesi. Caio fuggì, ma
oltrepassato il Tevere fu costretto a farsi uccidere da un suo schiavo in un
piccolo bosco consacrato alle Furie. Lo schiavo eseguì l'ordine e
seguì il padrone nella morte. Opimio aveva promesso di pagare la testa di
G. a peso d'oro. Un certo Lucio Settimuleio la tagliò al cadavere,
la riempì di piombo fuso, e riscosse la taglia. Fulvio riparò in
un nascondiglio col figlio maggiore, ma fu scovato ed ucciso. Tremila partigiani
di
G. furono sgozzati, gettati nel Tevere, le loro case date in preda al
saccheggio, la loro memoria maledetta; venne proibito alla madre di
G. di
portare il lutto per la morte del figlio. Poi il Senato fece innalzare nel Foro
un tempio alla Concordia. L'eloquenza di
G., energica e veemente,
è stata lodata dagli antichi, in special modo da Cicerone, che pure, per
le sue opinioni politiche, non giudicò serenamente i due fratelli. Il
popolo, che li aveva abbandonati, depose omaggi di fiori nei luoghi dov'erano
caduti ed eresse loro delle statue. Essi avevano voluto modificare, mediante
leggi, la Costituzione di Roma non più adatta alla repubblica ampliata
dalle conquiste; fallirono lo scopo, ma ben presto scoppiarono le guerre civili
e con la spada dei soldati si compì, meno felicemente, quella necessaria
trasformazione ch'essi avevano tentata per primi (154 circa - 121 a.C.).