Etnol. - Speciale recipiente dalla bocca larga e rotonda nel quale, secondo i
riti funebri vudu, viene posta l'anima di un defunto dopo che essa è
stata strappata dagli abissi del mare dove si era rifugiata subito dopo la
morte. Il rito viene praticato un anno e un giorno dopo la morte di una persona.
Nel locale consacrato alle cerimonie vudu le
hunsi, ovvero le assistenti
delle
mambo (le sacerdotesse), sono tutte vestite di bianco e portano fra
le braccia numerosi
g. (tanti quanti sono i defunti per i quali si
celebra il rito) consacrati: procedono poi in processione uscendo dal locale per
recarsi alla tenda, espressamente eretta nelle vicinanze. Qui giunte esse si
sdraiano per terra, sopra una stuoia, con le bocche dei
g. rivolte verso
l'ingresso della tenda. Soltanto allora il maestro delle cerimonie, lo
hungan, si avvicina impugnando una frusta che gli servirà per
scacciare gli spiriti maligni o gli spiriti intrusi che potrebbero penetrare nei
vasi: frattanto i suonatori di tamburo e il capo dei cori si preparano ad
accogliere le anime che stanno per arrivare. Lo
hungan comincia a
recitare preghiere frammiste ad invocazioni: poi, alzando la voce incita le
anime dei defunti a venir dagli abissi marini. Finalmente la voce del primo
defunto si fa udire rivolgendosi ai parenti, chiamandoli per nome,
interrogandoli sui loro problemi. Ad uno ad uno tutte le anime si fanno vive e
intessono colloqui con i loro parenti. In certi casi il defunto non vuol sapere
di andarsene e allora il sacerdote è costretto a pregarlo di far ritorno
nell'aldilà. E questo avverrà quando la
hunsi che tiene fra
le braccia il suo rispettivo
g. non cade in
trance, dando in
smanie e agitandosi fortemente. Quando essa dà l'ultimo violento sussulto
vuol dire che, finalmente, l'anima del morto è entrata nel suo
g.