Poeta italiano. Appartenente ad una famiglia nobile ed agiata, si laureò
in Legge. Frequentò la brillante società fiorentina e fu in
relazioni con i più importanti letterati del tempo, da Manzoni a Poerio,
a Grossi. Nel 1847 entrò a far parte della Guardia civica di Pescia con
il grado di maggiore. Fu deputato alle Assemblee Legislative di Firenze e poi
anche alla Costituente Toscana. Punzecchiò con le sue rime un po' tutti,
Mazzini e Carlo Alberto, monarchici e repubblicani, guelfi e ghibellini. In
campo letterario derise nel contempo le teorie dei classici e quelle dei
romantici. La sua visione del mondo, un po' gretta e priva di orizzonti, vedeva
nel buon senso e nel giusto mezzo il migliore comportamento per l'uomo. La sua
moralità, pur rigorosa e onesta, si rivela angusta, più attenta
alle piccole cose che ai grandi problemi; la sua cultura rimane legata ad un
ambiente provinciale, in cui prevale quella "saggezza toscana" tiepida e pigra,
così ristretta e incapace di slanci; la sua stessa attenzione verso gli
umili, i contadini, è più un atteggiamento lettarario che un vero
interesse per quei problemi. Questi limiti di
G. non toccano però
né la sua figura di patriota (la sua lotta contro i Tedeschi fu continua
e priva di patteggiamenti), né la serietà del suo impegno
artistico, che lo portò a perfezionare continuamente negli anni la sua
naturale facilità poetica, attraverso un attento lavoro di revisione e di
limatura delle sue opere. Il genio autentico ed immediato di
G. risiede
infatti nella notevolissima capacità di osservare la realtà e di
trarvi materia di ispirazione, trasfigurandola in forma caricaturale: un gesto,
un atteggiamento, un volto, un ambiente diventano, grazie alla sua arguzia,
elementi che muovono al riso, momenti farseschi degni della migliore tradizione
del realismo italiano. Questa sua abilità satirica, che in alcune poesie
conserva qualcosa di artificioso, si eleva al livello dell'arte nel
Sant'Ambrogio e in quelle rime in cui le immagini e i ritratti dei
personaggi sono rapidi ed incisivi, graffianti, vivacissimi, frutto di una
difficile unità fra estro e abilità tecnica. Laddove invece
G., spinto dagli avvenimenti politici, tentò un discorso
più ampio e articolato, la satira perde di vigore, il discorso si
stempera in immagini retoriche, la vivacità scema e al suo posto compare
un moralismo pesante che non riesce ad assumere forma poetica. Tra le sue molte
composizioni:
Il brindisi di Girella, Lo stivale, La Chiocciola,
L'Arraffapopoli, Gingillino, Il delenda Carthago, Re Travicello, considerato
il suo capolavoro.
G. è autore anche di una
Cronaca dei fatti
di Toscana, un libretto in prosa, divertente ed arguto, in cui l'autore
racconta con semplicità ed efficace ironia gli avvenimenti del suo tempo.
Per la comprensione della sua figura di uomo e di artista riveste infine un
certo interesse l'
Epistolario (Monsummano, Pistoia 1809 - Firenze
1850).