Con significato generale, il termine indica ogni tendenza filosofica basata sul
presupposto dell'esistenza di un diritto naturale sulla cui struttura deve
modellarsi ogni diritto positivo. Con significato più particolare, il
termine indica l'indirizzo di pensiero razionalistico sviluppatosi a cominciare
dalla prima metà del XVII sec. e che ebbe una notevole influenza sulla
dottrina politica del XVII e XVIII sec. Nei primi decenni del XVII sec., ebbe
inizio un processo di graduale distacco della filosofia politica dalla teologia,
alla quale era stata associata per tutta l'era cristiana. È appunto in
questo processo di distacco e di secolarizzazione degli interessi culturali che
si inserisce l'indirizzo giusnaturalistico, caratterizzato dall'introduzione di
un secolarismo e razionalismo, definiti poi come "spirito cartesiano": lotta
contro l'autorità, liberazione dalla metafisica tradizionale, difesa
dell'evidenza razionale, ecc. Nei secoli precedenti, mentre le scienze fisiche
erano andate progredendo, ricevendo nuovo impulso dagli sviluppi dell'indagine
empirica e dall'applicazione del metodo matematico, lo sviluppo delle scienze
morali e giuridiche era stato frenato dai pregiudizi legati alla concezione
tradizionale del mondo e da freni posti dall'autorità religiosa e
politica. La scuola del diritto naturale si propose di fondare una scienza della
condotta umana che, per il rigore del metodo e per i risultati conseguiti, si
ponesse sullo stesso piano delle scienze della natura. Essa riuniva in sé
i due motivi fondamentali del pensiero moderno, ossia razionalismo e laicismo.
La scuola del diritto naturale considera infatti compito della filosofia del
diritto quello di scoprire e formulare le leggi universali e necessarie che
reggono la condotta dell'uomo e il suo sviluppo nella società (diritto
naturale). Secondo tale scuola, inoltre, la filosofia del diritto deve tendere a
formulare delle leggi di giustizia fondate unicamente sul libero studio della
natura dell'uomo e dei rapporti sociali umani, indipendentemente dai dettami
divini tratti dai libri sacri. I giusnaturalisti basano le loro deduzioni
sull'ipotesi dello
stato di natura e sulla dottrina del
contratto
sociale. Per stato di natura si intende quello primitivo in cui l'uomo
viveva al di fuori della società organizzata e non conosceva altre leggi
che quelle derivate direttamente dalla natura. Esso viene presentato da alcuni
pensatori, tra cui S. Pufendorf e J. Locke, come uno stato pacifico, mentre
altri pensatori, in particolare Hobbes e Spinoza lo presentano come uno stato di
guerra. L'uomo passa dallo stato di natura alla società civile mediante
un contratto, ossia mediante un atto di volontà. Alcuni autori
distinguono due "contratti" successivi: il
pactum societatis e il
pactum subiectionis. Pertanto, secondo la concezione giusnaturalistica,
l'origine della società civile non è naturale, bensì
convenzionale. L'ipotesi contrattualistica spiega lo sviluppo dalla
società primitiva a quella evoluta ricorrendo esclusivamente al processo
di evoluzione umana. Fondatore della dottrina giusnaturalistica è
considerato il filosofo olandese Ugo Grozio (1588-1645). Già prima di
lui, però, il tedesco G. Altusio aveva sviluppato una dottrina politica,
fondata logicamente sull'idea del contratto e sostanzialmente libera da
qualsiasi autorità religiosa. Egli giunse ad affermare che l'associazione
degli uomini in gruppi è un fatto naturale, una parte intrinseca della
natura umana. Secondo Grozio (
De iure belli ac pacis, 1625), fondamento
del diritto naturale è l'
appetitus societatis, ossia il desiderio
naturale dell'uomo di vivere in società con gli altri uomini. Egli
afferma che gli uomini sono istintivamente esseri sociali: "fra i tratti
distintivi dell'uomo, c'è un desiderio impellente della società,
cioè la vita sociale". Affinché una società ordinata possa
persistere, è necessario che un certo numero di valori siano garantiti.
Successivamente Th. Hobbes, nel
De Cive (1642) e nel
Leviathan
(1651) si propose di fondare razionalmente la filosofia civile, servendosi
unicamente dell'osservazione della natura umana e del ragionamento. Il punto di
partenza della sua dottrina è la constatazione della natura egoistica
dell'uomo, da cui deduce che lo stato di natura è uno stato di guerra
perpetua. Per ottenere la pace, gli uomini rinunciano volontariamente al diritto
assoluto che hanno su tutte le cose nello stato di natura e di comune accordo
trasferiscono tale diritto al sovrano che, in cambio della sottomissione,
garantisce ai sudditi la sicurezza della vita. Il filosofo tedesco S. von
Pufendorf afferma la possibilità (
De iure naturae et gentium,
1672) di una scienza morale e giuridica, dimostrando l'esistenza di enti morali
accanto a enti fisici. Per Pufendorf, come già per Grozio, fondamento
della legge naturale è il bisogno che l'uomo ha di vivere in
società, essendo egli un essere naturalmente egoista e debole. Dallo
stato di natura si passa allo stato civile mediante la stipulazione prima del
contratto sociale, poi del
contratto di dominio. La prima netta
distinzione tra diritto e morale venne fatta dal pensatore tedesco C. Thomasius,
seguace di Pufendorf, nonché di Locke e di Leibniz. Nel suo
Fundamenta
iuris naturae et gentium ex sensu communi deducta (1705) egli distingue
infatti le categorie del diritto (
iustum), della morale (
honestum)
e della convenienza (
decorum). Al
g. si oppose G.B. Vico, che
però aveva subito fortemente l'influenza del pensiero di Grozio,
Pufendorf e Hobbes. Nella
Scienza Nuova (1725), egli attaccò
infatti il
g. sia per suo astratto razionalismo, sia per il suo ateismo.
Un altro oppositore fu Leibniz che cercò di invalidare la distinzione del
Pufendorf tra diritto e morale. Tra i giusnaturalisti del XVIII sec. emerge il
tedesco Ch. Wolff (
Ius naturale methodo scientifica pertractum, 8 voll.
1740-48). Per quanto i giusnaturalisti fossero pensatori tutt'altro che
rivoluzionari e, anzi, fatta eccezione per Locke, fossero assertori
dell'assolutismo, la dottrina del diritto naturale, viene comunemente
considerata "rivoluzionaria". Ciò in quanto, dalla contrapposizione tra
diritto naturale e
diritto positivo, nasce la critica del diritto
vigente, in nome di un diritto naturale originario. Da ciò il
riconoscimento della limitazione dei poteri dello stato e della volontà
sociale degli individui. La dottrina della legge naturale, soprattutto dopo
Hobbes, considera la società fatta per l'uomo e non l'uomo per la
società. Fu questa supposta superiorità dell'individuo che divenne
la caratteristica più evidente e distintiva della dottrina moderna
rispetto a quella medioevale.