Re di Numidia; nipote di Massinissa. Fu allevato con amore dallo zio Micipsa che
ne fece il più valoroso dei Numidi. Micipsa lo mandò all'assedio
di Numanzia a combattere contro i Romani, e
G. conquistò una vasta
popolarità. Micipsa se lo volle accattivare con la generosità,
l'adottò e divise il regno tra lui e i figli Iempsale e Aderbale. Ma
G. aspirava a governare da solo: Iempsale fu trucidato a Tirmida;
Aderbale implorò l'aiuto dei Romani, ma i commissari del Senato, corrotti
da
G., aggiudicarono a lui la parte più importante del regno di
Micipsa. Si oppose Aderbale, ma fu vinto a Cirta e a sua volta messo a morte.
Chiamato in giudizio a Roma,
G. vi comparve per rispondere di corruzione,
ma l'interrogatorio del tribuno Memmio fu interrotto dal suo collega Bebio che
vietò a
G. di parlare. Intanto gli veniva opposto al trono di
Numidia il cugino Massiva, che fu trucidato.
G. venne cacciato da Roma,
ed i Romani non gli diedero tregua. Dopo sfortunate spedizioni di vari generali,
inviarono in Africa Metello che lo sconfisse ripetutamente. Infine Mario, salito
nel frattempo al potere consolare, gli inferse il colpo di grazia. Costretto a
rifugiarsi presso suo nonno Bocco, re di Mauritania,
G. resistette ancora
qualche tempo, ma premendo sempre più l'esercito di Mario e temendo per
il proprio regno, Bocco, con segreti accordi, consegnò
G.
incatenato a Silla, luogotenente di Mario. Condotto a Roma, seguì in
catene il carro del vincitore, quindi fu gettato nel Tulliano e poi strozzato
dopo aver resistito per cinque giorni alla fame. La storia di queste vicende
è narrata ampiamente da Sallustio nel
Bellum Iugurthinum (42 - 40
a.C.) (160 circa a.C. - Roma 104 a.C.).