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Giudizio.

Facoltà della mente che capisce, raffronta e determina secondo la logica. ║ Opinione favorevole o sfavorevole; apprezzamento sul valore, la qualità di una persona o una cosa. ║ Decisione finale generalmente di una giuria in merito a una gara, un concorso, ecc. • Fil. - Per Aristotele è la sintesi di due concetti, ciascuno dei quali è conosciuto in forza dell'attività noetica del pensiero, mentre la loro sintesi è opera del pensiero dianoetico. Dal punto di vista della qualità si distingueva in affermativo e negativo, mentre dal punto di vista della quantità in universale e particolare. Dal vario combinarsi di queste quattro forme fondamentali di g. prende le mosse la sillogistica. Per Tommaso d'Aquino il g. è nell'intelletto, il quale elabora le sensazioni della realtà materiale. Con gli empiristi il g. viene concepito come sintetico a posteriori, ma è definibile come particolare e contingente al pari dell'esperienza da cui deriva. I razionalisti attribuiscono viceversa minore importanza alla realtà esterna per affermare il valore fondamentale dell'intelletto. Kant, infine, considera g. analitici (in cui il predicato è implicito nel soggetto) e sintetici (in cui il predicato aggiunge al soggetto una nuova determinazione): da questa distinzione muove tutta la sua indagine gnoseologica, concepita come ricerca della possibilità di g. sintetici che siano, al pari degli analitici, a priori. Il g. per mezzo delle Categorie sintetizza, nell'unità trascendentale della percezione, gli elementi di un'esperienza possibile: conoscere significa sintetizzare i dati dell'intuizione sensibile, cioè arrivare ad un g. Differisce da questa accezione del termine g. quella ammessa dallo stesso Kant, nell'ultima delle Critiche, in relazione all'interpretazione estetica e teleologica della realtà. • Rel. - Fino dai tempi più remoti ed in quasi tutte le religioni si parla di premi o punizioni imposti, in una vita ultraterrena, secondo i meriti. Relativamente alla concezione dell'"aldilà" nelle diverse religioni si sviluppano i temi della trasmigrazione delle anime, dell'immortalità, della resurrezione: nelle religioni monoteistiche si parla preferibilmente di g. universale, mentre nelle altre è più diffusa la concezione di un g. personale ancora privo di una precisa connotazione sovrannaturale. Nell'antica religione egiziana, dalla IV dinastia in poi, il re defunto poteva essere accolto, dopo un g. riguardante il suo operato in terra, presso gli dei solari e quindi allontanarsi dalla tomba, salvo ritornarvi quando lo ritenesse opportuno e gradito: in seguito, sempre sotto l'influsso della teologia di Osiride, si cominciò gradualmente ad ammettere che l'immortalità, garantita dalle pratiche magiche e dalla mummificazione, potesse essere concessa oltre che ai re anche agli esseri comuni. Anche nella tradizione religiosa dei Persiani è presente l'idea del g., derivata forse dal giudaismo, ma solo relativamente tardi, nel Bundahishn, e grazie all'influenza del cristianesimo, se ne fornì una descrizione precisa. ║ Cristianesimo: al termine della storia dell'umanità, al finire dei tempi, il Cristianesimo pone l'avvento di un universale g. divino, presieduto da Cristo e a cui dovranno partecipare tutti i popoli. Il g. universale non cambierà le sorti fissate da quello individuale, ma sarà la manifestazione grandiosa e solenne della giustizia divina. I primi accenni al g. si trovano nell'Antico Testamento, ma una concezione sufficientemente elaborata di esso appare solo con il libro della "Sapienza" di Daniele; ripresa e sviluppata da Gesù Cristo, l'idea del g. divenne uno dei fondamenti della religione cattolica. Secondo una descrizione simbolica il g. si fonderà sulla valutazione della carità negata o usata verso i sofferenti e implicherà un cerimoniale imponente: le immagini più frequentemente descritte nei testi sono quelle dell'angelo che col suono di una tromba richiamerà alla vita i morti, della separazione delle anime nelle due schiere dei buoni e dei cattivi, dell'apparizione del giudice celeste. • Icon. - Già su un sarcofago romano del IV sec., anche se in una composizione estremamente semplificata, appare la rappresentazione del g. finale; il medesimo tema vediamo raffigurato in un mosaico in Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna e in alcune miniature, della stessa epoca, la maggior parte delle quali provenienti dalla scuola di Reichenau. In seguito l'arte bizantina unisce in un'unica composizione le rappresentazioni simboliche e frammentarie del g. con elementi originali, allora estranei alla tradizione (chiese di Monte Athos, San Giorgio di Reichenau, Sant'Angelo in Formis). Alla tradizione iconografica bizantina si mantennero fedeli tra l'altro Cavallini, Giotto e i fratelli Pisano. Tra le molte raffigurazioni del g. del Rinascimento italiano, le più note sono quelle eseguite dall'Angelico, da Michelangelo e dal Tintoretto.