Dottore della Chiesa latina. Nato da famiglia cristiana, fu allievo del
grammatico Elio Donato a Roma e si tenne sempre in contatto con i circoli
aristocratici e letterari della capitale. Acquisì uno smisurato amore per
le lettere, fino al punto da credersi in dovere di fare penitenza per questa sua
passione per la letteratura profana, che egli riteneva in contraddizione con le
sue scelte religiose. Viaggiò molto sia in Oriente sia in Occidente:
trascorse, tra l'altro, cinque anni (375-380) come anacoreta nel deserto siriaco
e fu, a Costantinopoli, discepolo di Gregorio Nazianzeno. Fu ancora a Roma,
segretario di papa Damaso, tra il 382 e il 384. Qui, per la posizione assunta
d'intransigente critica nei confronti del clero locale, troppo incline, a suo
parere, alla mondanità, e per il tentativo da lui operato d'introdurre
negli ambienti romani i severi ideali di vita monastica delle comunità
orientali, si attiro profonde ostilità. Proprio durante il pontificato di
Damaso,
G. fu l'anima di un movimento che si proponeva di conciliare il
Cristianesimo con la cultura pagana. Alla morte del pontefice tornò in
Oriente, stabilendosi definitivamente a Betlemme, dove fondò un monastero
maschile e tre femminili. Benché attento ai problemi pratici della vita
conventuale,
G. attese soprattutto all'attività letteraria e allo
studio esegetico dei testi sacri. Così, pur mantenendosi coerente ai
principi dell'ascetismo, ebbe modo, dal suo ritiro palestinese, d'intervenire
attivamente nel processo di sviluppo e diffusione del pensiero cristiano,
tenendosi in costante relazione, epistolarmente o attraverso opere polemiche,
con gli uomini di studio e i teologi di tutto il mondo. Della sua immensa
produzione letteraria l'opera certamente di maggiore rilievo è la
versione dell'Antico e del Nuovo Testamento, la cosiddetta
Vulgata
Editio, che il Concilio di Trento proclamò e che è tuttora
considerata dalla Chiesa cattolica l'unica valida e autentica. Non si tratta di
una semplice traduzione: il testo è corredato di puntuali commenti ai
Salmi, ai Profeti, all'Ecclesiaste, a San Paolo, al Vangelo di San Matteo,
all'Apocalisse, commenti che, redatti con profonda competenza filologica, curano
soprattutto di fissare il preciso significato letterale del testo. Non meno
interessante è il
Chronicon, compendio cronografico relativo al
periodo che va dal presunto anno di nascita di Abramo a quello della morte
dell'imperatore Valente;
G. lo tradusse dall'omonima opera di Eusebio di
Cesarea, la cui trattazione, peraltro, era limitata all'anno 303, e vi
inserì numerose notizie riguardanti la storia il costume e la produzione
letteraria dei Romani, notizie per lo più riprese dal
De viris
illustribus di Svetonio. In seguito
G. scrisse a sua volta un
De
viris illustribus; dedicato al mondo della cultura cristiana: si tratta di
una raccolta di 135 brevi biografie di scrittori cristiani, tra i quali Filone
l'Ebreo, Flavio Giuseppe e Seneca, mentre l'ultima è quella dello stesso
G. L'epistolario girolamiano comprende 150 lettere, di estremo interesse
per chi voglia ricostruire le vicende storiche e spirituali dell'autore, molte
delle quali hanno caratteri e proporzioni di veri e propri trattati (esegetici,
ascetici, didattici) o di opuscoli polemici. È soprattutto da ricordare
la ventiduesima di queste lettere, dedicata al problema della
conciliabilità del culto degli studi classici con la vera pratica del
cristianesimo: questo problema fu per
G. causa di gravi turbamenti e
numerose crisi di coscienza, risolte, infine, presentando lo studio e la pratica
dell'attività letteraria come mezzo per arricchire la mente e preparare
il "buon cristiano" a saper difendere anche in sede letteraria la "vera fede" in
caso di polemiche o diatribe dottrinali.
G. fu anche un notevole
polemista: combatté con implacabile asprezza soprattutto gli origeniani
ed i pelagiani e, in particolare, sostenne la teoria del primato del vescovo di
Roma (Stridone 347 circa - Betlemme 420). • Icon. - Nonostante siano
presumibilmente apparse molto presto raffigurazioni del santo, non se ne
conservano esempi anteriori al IX sec. Venne dapprima dipinto giovanissimo,
imberbe, glorificato soprattutto come maestro, traduttore e commentatore di
testi sacri. In seguito si preferì l'immagine di un vecchio maestoso e
barbuto, raffigurato ora in cattedra come Padre della Chiesa, ora penitente nel
deserto, ora fra i libri del suo studio. A volte è contrassegnato dal
cappello cardinalizio a seguito di una tradizione, risalente al IX sec., che,
erroneamente, gli attribuiva tale dignità, non ancora istituita ai suoi
tempi. Spesso
G. è raffigurato accanto ad un leone, ricordo di una
leggenda che narrava come la fiera, liberata da una spina dal santo, gli fosse
divenuta amica. Massimo favore ebbe la rappresentazione del santo quale eremita
e penitente (Piero della Francesca all'Accademia di Venezia, Cosmè Tura
alla Galleria nazionale di Londra, Leonardo alla Vaticana, Tiziano a Brera).
Episodi della sua vita vennero dipinti da Carpaccio (Venezia, chiesa di San
Giorgio degli Schiavoni), Antonello da Messina (Londra) e da Domenico
Ghirlandaio (Firenze, chiesa di Ognissanti). Venne raffigurato con le vesti
cardinalizie da Botticelli nell'
Incoronazione (Firenze, Galleria degli
Uffizi), da Raffaello nella Disputa del sacramento (Roma, Stanze vaticane) e da
Carlo Crivelli in un dipinto conservato nell'Accademia di Venezia.