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Gioberti, Vincenzo.

Filosofo e uomo politico italiano. Conseguita la laurea in Teologia nel 1823, due anni più tardi fu ordinato sacerdote. Manifestò presto tendenze patriottiche e fece parte della società segreta detta dei Circoli. Cappellano di corte sino al 1833, era tuttavia orientato su posizioni repubblicaneggianti e in tal senso esercitò una certa influenza politica sulla parte più giovane del clero piemontese. Fortemente avversato dai Gesuiti, in seguito alle loro pressioni, fu tratto in arresto e condannato all'esilio. Dal 1834 al 1845 visse a Parigi e a Bruxelles dove insegnò privatamente. In quegli anni maturò un orientamento politico che lo allontanò dalle iniziali posizioni repubblicaneggianti. Risalgono a questo periodo le sue opere più importanti, tra cui spicca Il Primato morale e civile degli Italiani. Rientrato in Italia nel 1848, nell'atmosfera di ottimismo che avevano sollevato le riforme di Pio IX, fu salutato come il principale animatore del movimento neoguelfo. Fu eletto deputato e, durante la prima guerra d'Indipendenza, entrò a far parte del governo Casati, successivamente (16 dicembre 1848 - 20 febbraio 1849) fu presidente del Consiglio. Ritiratosi a vita privata, in seguito al fallimento del suo programma, andò esule a Parigi, dove pubblicò il Rinnovamento civile dell'Italia (1851) in cui esponeva un nuovo programma politico, riconoscendo il fallimento del Neoguelfismo e facendo ricadere su Pio IX la maggiore responsabilità dell'insuccesso del programma neoguelfo. Come filosofo G. è il massimo rappresentante di quel cattolicesimo liberale propugnato in Francia da F. Lamennais e in Italia da A. Rosmini da cui G. si discostò. Egli anzi associò il Rosmini nella critica rivolta alla filosofia moderna alla quale rimproverava l'eccessivo psicologismo, tendente a sfociare nello scetticismo e nel nullismo assoluto. Egli affermava che costituiva un grave errore quello di muovere dall'idea rosminiana dell'"essere possibile e indeterminato", dato che, in tal modo, la realtà diventava inesplicabile. Secondo G. bisognava invece partire dall'idea dell'"Essere assoluto". Da ciò risultava la sua affermazione che "l'Ente è necessariamente" e la formula "l'Ente crea l'Esistente e l'Esistente ritorna all'Ente". G. afferma che le due rivelazioni che noi possediamo dell'Ente divino, ossia quella filosofica (scoperta dalla ragione) e quella religiosa (affidata alla tradizione rappresentata dalla Chiesa) si integrano perfettamente tra loro. Con la formula "l'Ente crea l'Esistente" egli vuole indicare il processo attraverso cui tutti gli "esistenti", ossia tutti gli esseri della realtà sensibile, derivano dall'Essere assoluto e unico, cioè da Dio. Tra questi esseri (creature), l'uomo è quello più perfetto, poiché il suo spirito, a somiglianza di quello divino, è attività creativa e non pura contemplazione di quanto creato da Dio. Attraverso questo processo creativo umano, si attua il ritorno dell'uomo a Dio, da cui la formula: "L'esistente ritorna all'Ente". Da queste premesse metafisiche, G. sviluppa anche la sua concezione storico-politica del "primato" italiano e della missione rinnovatrice attribuita all'Italia nel quadro della tradizione cattolica. Opere: Teoria del sovrannaturale (1838); Introduzione alla storia della filosofia (1839-40); Del Bello (1841); Degli errori filosofici di A. Rosmini (1842); Del Buono (1843); Il Primato civile e morale degli Italiani (1842-43); Prolegomeni al Primato (1845); Del Gesuita moderno (1847); Apologia del Gesuita moderno (1848); Il Rinnovamento civile dell'Italia (1851). La maggior parte delle sue opere filosofiche e teologiche furono pubblicate postume. Ricordiamo: La Riforma cattolica della Chiesa (1856); La Filosofia della Rivelazione (1857); Della protologia (1891); Pensieri (1858-60); Ricordi biografici e carteggio (1860-62) (Torino 1801 - Parigi 1852).