Per i Cristiani il figlio di Dio, seconda persona della Santissima
Trinità, incarnatosi per virtù dello Spirito Santo nel grembo di
Maria Vergine e morto sulla croce a salvezza di ogni uomo. Fonti storiche della
vita terrena e dell'insegnamento di
G. sono i quattro Vangeli, alcune
testimonianze di parte ebraica, un passo delle
Antiquitates dello storico
ebreo romanizzato Giuseppe Flavio, un passo degli
Annali di Tacito, una
lettera di Plinio il Giovane a Traiano e la relativa risposta, passi dello
storico Svetonio nelle
Vite di Nerone e di Claudio.
G. nacque a
Bethlehem, villaggio presso Gerusalemme, nel dicembre di uno degli anni fra il
747 e il 749 dalla fondazione di Roma, durante il Regno di Erode. Sua madre fu
Maria, discendente dalla famiglia di Davide, vergine, quantunque da poco sposata
a Giuseppe, anch'egli della regia stirpe di Davide, ma modesto artigiano, che
aveva fissato con la sposa la sua residenza a Nazareth e che fu solo padre
putativo. Giuseppe e Maria si erano recati a Bethlehem, paese originario della
loro famiglia, a causa di un censimento; ma nel paese affollato trovarono come
alloggio solo una grotta che serviva anche da stalla, e lì si
compì l'evento, accompagnato e seguito da fatti miracolosi, come
l'annuncio dato dagli angeli ai pastori e la comparsa di una cometa che
guidò alcuni
Magi (sapienti astronomi della Mesopotamia) a rendere
omaggio al nato sotto quel segno celeste, profetato nei loro libri sapienziali
come un uomo eccezionale. La notizia della nascita di questo fanciullo sotto
segni straordinari insospettì Erode che paventò in lui un futuro
antagonista e cercò di sopprimerlo ordinando l'uccisione di tutti i nati
in quella zona in quel periodo di tempo. Ma Giuseppe e Maria, per divino
avvertimento avuto in sogno, posero in salvo il loro bambino attraversando il
confine egiziano. Solo dopo la morte di Erode (4 d.C.) la famiglia
ritornò a Nazareth, dove
G. dimorò fino a 30 anni, aiutando
Giuseppe nella bottega di falegname. Di questi anni le fonti non dicono quasi
nulla. Si conosce soltanto l'episodio della sua disputa con i dottori della
legge nel Tempio di Gerusalemme ove, dodicenne, si era recato con i suoi per la
Pasqua. Dopo il trentesimo anno, ricevette il battesimo da Giovanni il Battista,
mentre una voce annunciava dall'alto ai presenti che egli era il Messia figlio
di Dio. Iniziò la sua vita pubblica, cioè la sua rivelazione agli
uomini mediante la predicazione e i miracoli, intorno al capodanno del 27.
G. si ritirò su un monte e pregò e digiunò in
solitudine per 40 giorni alla fine dei quali fu tentato dal demonio con lusinghe
e promesse che respinse. Qualche tempo dopo si recò in Bethabara (o
Bethania), dove incontrò ancora almeno due volte il Battista che lo
indicò ai suoi discepoli come l'"agnello di Dio che toglie il peccato del
mondo". Due discepoli del Battista, Andrea e Giovanni (il futuro evangelista),
si recarono a visitare
G. e, qualche giorno dopo, Andrea ritornò
col fratello Simon Pietro. Con questi primi seguaci
G. ritornò in
Galilea, ove si unirono a lui anche Filippo e Nataniele Bartolomeo. In quel
periodo
G. fu invitato al villaggio di Cana a una festa di nozze; qui
compì il primo miracolo, la trasformazione di acqua in vino, essendo
questa bevanda venuta a mancare. Dopo questa festa
G. si recò sul
lago, a Cafarnao, dove iniziò la sua predicazione e restò fino
alla Pasqua che celebrò a Gerusalemme. Qui diede prova
dell'autorità di cui si sentiva investito scacciando i mercanti
profanatori del Tempio e predicando alle folle. Prolungato il suo soggiorno in
Gerusalemme e in Giudea, mentre Giovanni il Battista veniva arrestato,
G.
ritornò in Galilea. Si soffermò a Cana di Galilea, guarì
miracolosamente il moribondo figlio di un ufficiale regio, quindi tornò a
Cafarnaum e, percorrendo i villaggi intorno al lago, compì prodigi. Dopo
una pesca miracolosa sul lago, elesse definitivamente a collaboratori diretti
quattro dei suoi primi seguaci tra cui Simon Pietro e il fratello Giovanni.
Successivamente si aggiunse il gabelliere Levi Matteo, cui poi seguirono altri 7
eletti a completare il numero di 12 Apostoli. Durante questo lungo soggiorno in
Galilea,
G. tenne il discorso della montagna, annunciando le beatitudini
e le previsioni escatologiche; raccontò le sue più belle parabole,
compì prodigi resuscitando morti, dando la vista a ciechi, sanando i
malati e i deformi. Da Cafarnaum inviò per la prima volta i 12 Apostoli a
predicare in luoghi a ciascuno assegnati mentre Egli tornò a Nazareth,
dove venne accolto con diffidenza e infine scacciato per aver attribuito a
sé un passo di Isaia. Ritornò a Cafarnaum; attraverso il lago si
recò a Bethsaida dove venne seguito da grandi folle alle quali
parlò e che sfamò con la prima miracolosa moltiplicazione dei pani
e dei pesci. Non è chiaro se
G. si sia recato a Gerusalemme per la
Pasqua o per la successiva Pentecoste. Qui guarì il paralitico della
piscina di Bezetha, ebbe dispute con gli Scribi e i Farisei e dopo un soggiorno
probabilmente non lungo tornò in Galilea; poi, forse per sfuggire a
persecuzioni, andò in Fenicia e compì un miracolo presso Tiro,
quindi si recò nella Decapoli donde, lungo il Giordano, risalì
verso il lago di Tiberiade. Qui compì la seconda miracolosa
moltiplicazione dei pani per sfamare le turbe accorse ad ascoltarlo. Nei pressi
di Cesarea di Filippo avvenne la confessione di Pietro, il quale, anche a nome
dei 12 apostoli, riconobbe che
G. è il Messia figlio di Dio.
Successivamente
G. cominciò a spiegare più diffusamente il
senso della sua missione messianica. Poco dopo la confessione di Pietro avvenne
la trasfigurazione (non si può precisare se sul monte Hermon non lungi da
Cesarea o, dopo il ritorno in Galilea, sul monte Tabor).
G.
intensificò la sua predicazione nella Galilea che non abbandonò
più fino alla festa dei Tabernacoli da lui celebrata a Gerusalemme dove
si recò segretamente, ma venne subito riconosciuto. I Farisei tentarono,
senza riuscirvi, di lapidarlo e di arrestarlo. Mandò i discepoli a
predicare in vari luoghi della Giudea e della Transgiordania, mentre Egli non si
allontanò molto da Gerusalemme e fu spesso ospite in Bethania, quasi alle
porte della città, di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria. In questo
periodo insegnò il
Pater noster. Si recò poi in
Transgiordania, ma per la festa della Dedicazione era ancora a Gerusalemme.
Passò nella Perea, risalì in Galilea, poi ancora in Transgiordania
continuò la sua missione di diffusione del Verbo. Qui lo raggiunse la
notizia della morte dell'amico Lazzaro. Si mise in cammino per Bethania e
risuscitò Lazzaro sepolto da quattro giorni. La notizia di questo
miracolo, pur suscitando grande commozione, turbò i maggiorenti che,
riuniti presso il sommo sacerdote Caifa, si consultarono sull'opportunità
di sopprimere
G. Egli intanto lasciò Gerusalemme e si recò
a Efraim, poi a Gerico. Consapevole della prossima morte, l'annunciò ai
discepoli che ancora non avevano capito l'essenza della missione messianica.
Avvicinandosi la Pasqua lasciò Gerico e si avviò a Gerusalemme. Vi
giunse la domenica 9 del mese di Nisan, accolto trionfalmente dalle folle.
All'alba si recò di nuovo nel Tempio a predicare e così il giorno
successivo, martedì. Interrogato capziosamente, rispose sul tributo
dovuto a Cesare. Rispondendo a uno scriba, affermò che il massimo
comandamento è "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con
tutta la mente e amare il prossimo come se stessi". Approssimandosi la sera,
pronunciò il discorso escatologico ultimo, parlando della fine di
Gerusalemme, della diffusione del Vangelo e del giudizio finale. Il
mercoledì i sacerdoti si radunarono e decisero la morte di
G.;
mentre erano radunati, Giuda si presentò ad essi e si propose al
tradimento in cambio di 30 sicli. Il giorno successivo
G. celebrò
la Pasqua con i suoi, cui lavò i piedi, e alla fine del banchetto
tradizionale istituì l'eucarestia. Si trattenne poi a lungo colloquio con
gli Apostoli (meno Giuda che aveva abbandonato il luogo della riunione per
attuare il suo piano infame), predicò di lasciare agli uomini la pace, la
sua pace, quella che il mondo non può dare. Pronunciò la
preghiera sacerdotale e congedò quindi gli Apostoli, meno Pietro, Giacomo
e Giovanni con i quali si recò in un oliveto al di là del torrente
Cedron, poco fuori città, per pregare. I suoi compagni si addormentarono
ed Egli lottò con l'angoscia per l'atroce imminente scioglimento del
dramma. L'uomo che era in lui soffriva, ma Egli si affidò alla
volontà di Dio. Di notte sopraggiunsero le guardie guidate da Giuda che
catturarono
G. e lo condussero da Anna (Hanan), sacerdote deposto dai
Romani ma secondo la legge ebraica ancora nella pienezza del suo ministero, che
si disinteressò delle accuse mosse a
G. e lo rimandò a
Caifa, il neo sommo sacerdote. Spuntò l'alba del venerdì 14:
G. era davanti a Caifa che sosteneva l'accusa e il Sinedrio lo
condannò come bestemmiatore. Ma poiché occorreva la ratifica del
governatore romano,
G. venne condotto nel pretorio di Pilato il quale,
non volendo immischiarsi, mandò
G. da Erode che si trovava a
Gerusalemme per la Pasqua. Erode, interrogato
G. e non ottenendo
risposta, lo irrise come pazzo e lo rimandò a Pilato. Il governatore, non
trovando colpa alcuna in
G. e volendolo salvare, lo fece fustigare e lo
mostrò al popolo credendo di impietosirlo. Dichiarò che secondo il
costume avrebbe liberato un prigioniero in occasione della festa pasquale, ma il
popolo, aizzato, domandò la liberazione del bandito Barabba, insistendo
per la crocifissione di
G. Sul mezzogiorno
G., condotto al luogo
del supplizio, una piccola altura fuori porta, detta Golgotha, venne issato
sulla croce fra due ladri. Benché ogni resistenza fisica fosse già
crollata (durante il tragitto dal pretorio al Golgotha era caduto tre volte
sotto la croce),
G. rifiutò una bevanda di vino medicato che lo
avrebbe stordito attenuando i dolori (solo più tardi sulla croce, arso di
sete, chiese da bere e gli vennero bagnate le labbra tumide e secche).
Perdonò i suoi carnefici e pregò per loro; promise la gloria
eterna dei giusti a uno dei ladroni che gli era a fianco e lo invocò; al
discepolo prediletto, Giovanni, il solo che fosse presente, affidò la
Madre che lo aveva accompagnato fin lì; intonò poi il salmo XXI
(XXII) che inizia con le parole "Eloi, Eloi, lamma sabactani", cioè con
un lamento, e dopo aver descritto ciò che allora si stava compiendo, la
triste passione, conchiuse con accenti trionfali. Finito di mormorare quell'inno
di Davide,
G. sentì la morte sopraggiungere, e raccolte tutte le
forze, ancora con le parole del salmista invocò il Padre: "Affido l'anima
mia alle tue mani, o Signore". Dopo quel grido morì. Si oscurò il
cielo e la terra fu scossa da terremoto: la folla si spaventò e si
disperse, il centurione romano che comandava la scorta esclamò ch'era
morto un giusto. Erano circa le tre del pomeriggio. Occorreva far presto per
dargli sepoltura, essendo imminente il tramonto e l'inizio del sabato. Giuseppe
d'Arimatea ottenne da Pilato il permesso di rimuovere il cadavere dalla croce e
di chiuderlo in un sepolcro nuovo che egli possedeva presso il luogo del
supplizio. I membri del Sinedrio chiesero a loro volta che il sepolcro fosse
sigillato e vi fossero poste guardie. Ma all'alba della domenica, primo giorno
della settimana dopo il riposo del sabato, alcune donne (fra cui Maria
Maddalena) che avevano seguito
G. dalla Galilea, venute al sepolcro con
unguenti profumati per completare l'imbalsamazione del cadavere, lo trovarono
aperto e vuoto: corsero ad avvertire Pietro e Giovanni, i quali constatarono la
verità dell'affermazione delle donne. Intanto Maria Maddalena era tornata
al sepolcro; qui apparvero due angeli e le annunciarono che il Signore era
risorto, e poco appresso le apparve
G. stesso che ella dapprima non
riconobbe. Nell'arco di 40 giorni
G. apparve più volte ai suoi
discepoli e in Giudea, a Gerusalemme, dove ordinò loro di restare fino
alla Pentecoste. Durante queste apparizioni completò il suo insegnamento,
impartì gli ultimi ordini per la loro azione missionaria e per
l'organizzazione della Chiesa. Nel quarantesimo giorno apparve loro per l'ultima
volta, dette gli ultimi consigli, li guidò verso Bethania sul Monte degli
Olivi e scomparve verso il cielo, avvolto in una nube. L'ultimo mandato fu di
diffondere la buona novella fra tutte le genti fino agli ultimi confini della
Terra.