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GEOGRAFIA - ITALIA - MARCHE

PRESENTAZIONE

La regione marchigiana occupa il versante adriatico della catena appenninica e l'antistante fascia costiera. È compresa tra l'Appennino Marchigiano, che va dall'alta Valle del Savio al Pizzo di Sevo (2.422 m), e la costa adriatica, delimitata dalla foce del Metauro e da quella del Tronto. Le Marche confinano a Nord con l'Emilia-Romagna e la Repubblica di San Marino, ad Ovest con la Toscana, l'Umbria e il Lazio, a Sud con l'Abruzzo ed ad Est con il Mar Adriatico. Fisicamente i confini, a Nord con l'Emilia-Romagna e a Sud con l'Abruzzo, non sono ben definiti: la zona di Pesaro non si distingue chiaramente dalla Romagna; e i Monti Sibillini, presso Ascoli Piceno preannunciano già l'Abruzzo. Questo elemento territoriale genera alcune conseguenze: ad esempio i dialetti della parte settentrionale delle Marche assomigliano molto a quelli della Romagna, mentre quelli dell'Ascolano ricordano quelli abruzzesi. Le Marche coprono una superficie di 9.694 kmq e contano 1.470.581 abitanti, con una densità di 150 abitanti per kmq. La regione è suddivisa amministrativamente nelle province di Ancona, capoluogo della regione, Fermo, Pesaro e Urbino, Macerata e Ascoli Piceno.
Cartina delle Marche


IL TERRITORIO

La regione Marche è delimitata ad occidente dalla zona montuosa dell'Appennino Umbro-Marchigiano. Le montagne non presentano cime elevate; in genere sono di poco superiori ai 1.500 m.
Le altezze maggiori si trovano a Sud, nel gruppo dei Monti Sibillini, dove la cima del Monte Vettore spicca con i suoi 2.476 m. Il territorio marchigiano è caratterizzato da una serie pressoché ininterrotta di colline subappenniniche, che scendono gradatamente verso il mare. Situate trasversalmente alla linea di costa da Nord verso Sud, profondamente intagliate dai corsi d'acqua, esse rappresentano un ostacolo alle comunicazioni.
La rete viaria principale quindi si sviluppa sul litorale, lungo il quale scorrono le arterie che congiungono l'Italia meridionale a quella settentrionale. L'unica strada importante dell'interno è quella che, attraverso il valico presso Fabriano, congiunge Roma ad Ancona, passando per l'Umbria. Anche il traffico marittimo non è agevolato. Con l'unica eccezione del porto di Ancona, formato dal gomito (in greco ankon) del Monte Conero proteso nell'Adriatico, la costa marchigiana manca di buoni approdi naturali.
La rete idrografica marchigiana è costituita dai corsi d'acqua che scendono all'Adriatico dall'Appennino Marchigiano. Questi sono a carattere torrentizio e si sviluppano per brevi percorsi. Scorrono per lo più nei terreni argillosi e sabbioso-arenacei che costituiscono il subappennino. In questa zona collinare vi è un diffuso fenomeno di erosione del terreno.
Frequenti sono quindi le frane, i calanchi e la circolazione di acque sotterranee. Tale fatto, unitamente ai frequenti terremoti che colpiscono la regione (1781, 1930, 1997), provoca non poche calamità. Il più importante fiume della regione è il Tronto. Lungo 115 km, nasce dall'Appennino Abruzzese e sfocia nell'Adriatico, a Sud di San Benedetto del Tronto. Ha una portata minima di 1,11 metri cubi al secondo ed una massima di 188. Con l'ultima parte del suo percorso segna il confine tra le Marche e l'Abruzzo. Degli altri corsi d'acqua si ricordano: il Metauro, che nasce dall'Alpe di Luna e sfocia nell'Adriatico (presso Fano); il Foglia, che nasce anch'esso dall'Alpe di Luna e si getta in mare a Pesaro; l'Esino, che attraversa le Marche da Fabriano all'Adriatico, dove sbocca tra Senigallia ed Ancona; il Potenza, che sfocia a Sud di Porto Recanati ed il Chienti, che passa presso Macerata e si getta in mare nei pressi di Portocivitanova.
Il clima varia a seconda delle zone: è freddo d'inverno e fresco d'estate, con abbondanti piogge, sull'Appennino; è più mite e temperato lungo la costa.

PARCHI NAZIONALI E REGIONALI

Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Istituito nel 1993, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini esteso tra le Marche e l'Umbria, ricopre quasi 70.000 ettari e raccoglie 18 comuni. La catena dei Monti Sibillini vanta le forme più diverse, dalle grandi dorsali larghe e morbide dei massicci calcarei, alle pareti scoscese, dalle gole strette e profonde scavate dai corsi d'acqua, ai grandi altipiani carsici. Numerose sono le vette che superano i 2.000 m, tra queste quella del Monte Vettore è la più alta e misura 2.476 m.
La vegetazione è molto ricca e varia. Nella zona più settentrionale, in estate, si possono ammirare splendide fioriture di orchidee, liliace ed altre pregevoli specie come il narciso e l'astro alpino. Fino ai 1.000 m circa domina il bosco caducifoglio, con cerro, rovella, orniello e carpino nero, poi si incontrano distese di faggi e sopra i 1.750 m. circa si sviluppano i pascoli e le grandi praterie. Qui si possono rinvenire diversi fiori poco comuni quali la nigritella, la genziana, la peonia, il genepì dell'Appennino e la stella alpina dell'Appennino. Anche la fauna è molto interessante, seppure abbia subito un rilevante impoverimento: animali come l'orso marsicano, il cervo e la lince sono infatti scomparsi da tempo e la lontra rischia di estinguersi. Rimangono però lupi, gatti selvatici, istrici, martore, volpi, donnole, faine, topi quercino, tassi, moscardini e scoiattoli. Fra i volatili ricordiamo la presenza dell'aquila reale, del falco pellegrino, del corvo imperiale, dell'astore e del gufo reale, del picchio muraiolo, del fringuello alpino e del gracchio.
Nel territorio del parco, abitato sin dal Medioevo, vi sono numerosi castelli e torri di vedetta, visitabili ancora oggi, che furono edificati in difesa dalle incursioni dei popoli barbari prima e dei Saraceni in seguito. Tantissime sono le leggende che interessano l'area dei Sibillini, conosciuta sin dal Medioevo come regno di demoni, negromanti e fate. Le più note sono quella della Sibilla e quella di Pilato. Secondo la prima leggenda, la profetessa cumana attirava in una grotta dell'omonimo monte, cavalieri coraggiosi, che dopo un anno di prove durissime, erano condannati a dannazione eterna; la seconda narra invece di come il corpo esanime di Ponzio Pilato, fu trascinato da alcuni tori nelle acque di un lago, che oggi porta il suo nome.
Il Parco è nato con l'intento di recuperare tutti quei valori che determinano l'identità naturalistica, culturale e storica dei Sibillini e di garantire uno sviluppo razionale e duraturo dell'area.

Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

V. Abruzzo, Parchi Nazionali e Regionali.

Parco naturale regionale del Conero

Il Parco regionale del Monte Conero, nella provincia di Ancona, istituito nel 1987 con la delibera n. 21 del 23 Aprile, ma gestito solo dal 1991, è un'oasi ambientalista che si estende per 5.800 ettari circa. Scopo del parco è contribuire alla salvaguardia e alla tutela urbanistica degli ambienti naturali dell'Adriatico. L'aria protetta offre luoghi di grande fascino, quali la baia di Portonovo, la spiaggia delle "Due sorelle", il Belvedere Nord, Pian Grande e Pian dei Raggetti, e tesori naturalistico-ambientali geologici e floro-faunistici.
L'intero territorio è dominato dalla presenza del Monte Conero (572 m.) che si affaccia sul Mare Adriatico.
I percorsi escursionistici possibili sono 18 e si snodano tra corbezzoli, ginestre, lecci, pini, nella magia della macchia mediterranea. Tutte queste piante sono protette e rappresentano un terzo dell'intero patrimonio floristico delle Marche. La presenza faunistica è molto ricca e numerose sono le specie di uccelli presenti, alcuni dei quali piuttosto rari. Considerevoli sono anche le testimonianze d'arte come ad esempio la chiesa di Santa Maria di Portonovo, quella di San Pietro al Conero, l'Antiquarium sulla civiltà picena a Numana, la Torre di guardia e il fortino napoleonico nei pressi di Portonovo, (v. Marche, La riviera del Conero).

Parco naturale regionale Gola della Rossa e di Frasassi

Il Parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi è nato nel settembre 1997 (L.R. 2.09.1997 n. 57). Con i suoi 9.167 ettari, è la più grande area protetta regionale e comprende il complesso delle Grotte di Frasassi. è gestito dalla Comunità Montana dell'Esino-Frasassi, ricca di siti storici, archeologici e culturali. Il territorio offre la possibilità di ammirare le ricchezze floro-faunistiche tipiche dell'ambiente pre-appeninico e di conoscere i fenomeni naturali che si sviluppano in questa area, quali il carsismo e le sorgenti solfuree.
Il principale esempio dell'azione del carsismo è la Gola di Frasassi, scavata dalle acque del fiume Sentino, che per moltissimi anni hanno plasmato i luoghi circostanti, formando dirupi rocciosi e creando uno straordinario regno sotterraneo: le Grotte di Frasassi. La scoperta di fossili e particelle calcaree, visibili ancora su molte rocce, ha rivelato che milioni di anni fa, questa zona era un fondale marino. L'enorme bacino d'acqua col tempo fu ricoperto da sedimenti e così comparvero le dorsali allungate e i massicci calcarei. L'azione erosiva delle acque solfuree ha formato numerose altre gole profonde.
La vegetazione del parco è piuttosto varia. Nelle zone calcaree collinari, si incontrano boschi di carpino nero, nelle aree marnoso-arenacee sono diffusi invece boschi di rovella e cerro, più in alto sono presenti distese di faggi. Lungo le pareti delle gole rupestri la flora diventa di tipo mediterraneo, si trovano allora lecci, robbie selvatiche, corbezzoli, asparagi e altre specie meno conosciute. Anche i pascoli abbondano di varietà floristiche rare e di elevato valore.
Dal punto di vista faunistico, l'esemplare più importante è l'aquila reale, seguono il falco pellegrino, il lupo, l'astore e il lanario. Le gole sono invece popolate da numerose specie di chirotteri, e i laghetti delle grotte da un raro e piccolissimo crostaceo.
Nel comprensorio del parco, in epoca romana e medioevale, si sono sviluppati numerosi insediamenti, e le vestigia di castelli, torri, monasteri e abbazie, sono ancora presenti. Tra le più rilevanti si ricordano: l'ampio centro storico di Serra San Quirico, l'abbazia di San Vittore delle Chiuse, quella di Valcastro e quella di Sant'Elena, i castelli di Genga, Pierosara, Castelletta e Avacelli, il santuario di Frasassi.
I luoghi naturali degni di nota sono il Foro degli Occhialoni, la Valle Scappuccia, il Lago Fossi e le già citate Grotte di Frasassi.

Le Grotte di Frasassi

Una sistematica ricerca di speleologi e geologi nella zona di Frasassi ha avuto inizio nel 1948, grazie all'attività del Gruppo Speleologico marchigiano di Ancona. In passato, a cavallo tra le due guerre, erano avvenute alcune esplorazioni e ricerche, ma si trattò di episodi sporadici. Le Grotte di Frasassi sono tra i più importanti esempi di complessi carsici di tutta Italia. L'origine delle prime sale risale ad 1.400.000 anni fa. è stata l'azione del torrente Sentino e di numerosi altri corsi d'acqua, che ha creato un carsismo sotterraneo, con condotte verticali ed orizzontali, e sale di ogni dimensione. Lo spettacolo all'interno delle Grotte è stupefacente: piccoli laghi racchiusi da arabeschi di cristallo, stalattiti, stalagmiti simili a colonne maestose, sottili trasparenze d'alabastro. L'ingresso della Grotta del Fiume fu scoperto il 28 giugno 1948 dal Gruppo Speleologico di Ancona, successivamente, nel 1966, un componente del Gruppo Speleologico fabrianese, trovò all'interno della Grotta del Fiume un'ulteriore diramazione, della lunghezza di oltre un chilometro. La scoperta più straordinaria avvenne cinque anni dopo, nel 1971, allorché gli speleologi del CAI di Ancona giunsero nella Grotta del Vento.
Dopo l'istituzione del "Consorzio Frasassi", nato per salvaguardare e valorizzare le Grotte e il territorio circostante, venne decisa la costruzione di una galleria artificiale di oltre 200 m, che conduceva all'ingresso della Grotta Grande del Vento. In seguito fu aperto un comodo percorso di circa 600 m, fu disposta una buona illuminazione, e il primo settembre 1974 le Grotte sono state aperte al pubblico. La prima sala che si incontra è denominata Abisso Ancona, ha dimensioni enormi (180 m di lunghezza, 120 m di larghezza e 200 m di altezza) e in essa si possono ammirare: il lago cristallizzato, il castello delle fatine, i giganti e il Niagara. Anche gli alvei successivi, la Sala 200 (così chiamata per la sua lunghezza), il Gran Canyon, la Sala dell'Orsa, la Sala dell'Infinito, e la Sala Finlandia, offrono spettacolari concrezioni.

Parco naturale regionale del Monte San Bartolo

Il Parco regionale del Monte San Bartolo, che segna l'inizio del sistema collinare che si estende fra la Romagna e le Marche, si affaccia, con una spettacolare falesia sul Mare Adriatico. Le sue massime quote sono rappresentate dal Monte Castellaro e dal Monte Brisighella (entrambi non superano i 200 m). Istituito nel 1997, ricopre circa 1.600 ettari di terra.
Per quanto riguarda la vegetazione notevoli sono le fioriture di ginestre odorose, in primavera, e la falesia è ricoperta da una pianta chiamata cannuccia di Plinio. Nelle valli si incontrano formazioni boschive piuttosto novelle, mentre nell'interno si possono scorgere boschi di cerri. Nonostante il clima in questa zona sia ancora di tipo temperato, vi sono alcune varietà di piante appartenenti alla macchia mediterranea, come ad esempio l'alaterno, la fillirea e la smilace. Il pendio che dalla cresta della falesia giunge al mare, ospita ulivi, viti e alberi da frutta, che fanno da sfondo a case coloniche solo in parte abitate da contadini, molte infatti sono state trasformate in agriturismi.
Anche la fauna del parco ricopre una certa importanza. In inverno, quando il disturbo delle attività ricreative e di pesca è minore, numerose sono le specie di uccelli marini che sorvolano il territorio, quali il gabbiano corallino, la gavina, il gabbiano tridattilo, il cormorano, lo svasso, lo smergo minore, la berta minore, la strolaga mezzana e l'edredone. Nella zona della falesia è invece possibile ammirare alcuni rapaci (albanelle, falchi di palude, poiane, falchi pecchiaioli, lodolai e meno frequentemente falchi pescatori), ma anche cicogne ed aironi. Il territorio risulta essere luogo di raccolta per la migrazione dell'avifauna e sito per lo svernamento di diverse specie di uccelli.
Stupende sono le farfalle migratrici come ad esempio le Vanesse, che a tarda primavera giungono sulle coste marchigiane. La flora e la fauna presente sul litorale ciottoloso, caratteristico di quest'area e tra l'altro unico esempio lungo il Mare Adriatico, è piuttosto particolare.
Dal punto di vista archeologico e storico, malgrado la sua piccola estensione, l'area protetta offre una notevole ricchezza di elementi. I ritrovamenti del Neolitico nella zona di Monte Castellaro, gli scavi archeologici di Colombarone sull'antica Via Flaminia, i resti di castelli a Fiorenzuola di Focara e Gabicce Monte, le tracce dei porti scomparsi di origine greca di S. Marina e Vallugola, lo straordinario sistema delle ville (le principali Villa Caprile, Villa Vittoria e Villa Imperiale) e dei giardini rinascimentali, rappresentano un'importante testimonianza. Molti sono i luoghi di fede nel comprensorio del parco, come ad esempio i piccoli ma suggestivi cimiteri campestri, il convento Girolamino di S. Bartolo, il convento di clausura delle Suore Servite e il santuario di Casteldimezzo.

Parco naturale regionale di Sasso Simone e Simoncello

Il Parco (4.847 ettari) che ricopre l'estremità Nord-occidentale della regione, si estende tra le province di Pesaro e Urbino, al confine con Toscana e Umbria. è stato istituito per mezzo della Legge Regionale n. 15, il 28 aprile 1994 e ha l'intento di tutelare le specie animali e vegetali del territorio, di salvaguardare le singolarità geologiche e di preservare i siti archeologici, storici ed architettonici oltre alle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali presenti.
Dal punto di vista paesaggistico l'area è dominata dal Sasso Simone (1.204 m), dal Sasso Simoncello (1.220 m) e dal Monte Carpegna (1.415 m), che funge da spartiacque tra le due valli dei fiumi Foglia e Marecchia. Numerose sono le vette minori che circondano il territorio e i corsi d'acqua, tra i quali la più suggestiva è la sorgente del fiume Conca, che forma una stupenda cascata.
La vegetazione del parco è molto varia. Sotto gli 800 m si trovano boschi di cerro, di carpino nero e bianco, di orniello e di acero, e nel sottobosco sono comuni alcuni arbusti quali il maggiociondolo, il corniolo, la sanguinella e il nocciolo. Sopra gli 800 m e talvolta fino ai 1.200 circa, si incontra invece la foresta mediterranea-montana, costituita da secolari frassini, faggi e aceri, e circondata dal sottobosco di baccari, fiordalisi montani, agrifogli, noccioli e gigli martagoni. Di solito sopra i 1.000 m si aprono distese di faggi, accompagnati da aceri ricci, agrifogli, maggiociondoli e felci. Sul Monte Carpegna è presente una vasta prateria di origine non proprio naturale: essa infatti è stata ottenuta dal taglio di faggi e abeti, e mantenuta dal pascolo del bestiame. Nei mesi caldi questi prati si riempiono di orchidee selvagge e gigli rossi.
Anche la fauna è molto ricca. Nel comprensorio sono presenti lupi, cinghiali, caprioli, astori, volpi, tassi, donnole, faine, puzzole. Tra i mammiferi più piccoli, i più comuni sono: lo scoiattolo, il topo selvatico, il ghiro, la talpa, l'arvicola, il toporagno, il riccio, l'istrice e la lepre. Molte sono le specie di uccelli ammirabili nel Parco. Nei boschi si trovano principalmente capinere, fringuelli, scriccioli, merli, pettirossi, ghiandaie, cince, picchi; tra le conifere sono presenti colombacci, fioraccini, ciuffolotti e la cincia mora; negli ampi spazi invece, si vedono planare allodole, quaglie, averle, upupe e merli acquaioli. Tra i rapaci spiccano la poiana, il gheppio, l'albanella minore, lo sparviero, il falco pellegrino e quello pecchiaiolo, il lodolaio e talvolta persino il biancone e l'aquila reale. I rapaci notturni più comuni sono il gufo, la civetta, l'assiolo, il barbagianni e l'allocco.
Esistono diverse leggende riguardanti i due Sassi, dai quali il Parco prende il nome. Sembra che Simone, derivi dal nome dei due torrenti che dai Sassi scendono a valle, oppure che si rifaccia all'antica presenza proprio su questo Sasso di un eremita così chiamato, o ancora che ricordi alcuni sacerdoti romani, i semoni, che adoravano le divinità su questa altura. A queste storie se ne aggiunge una che narra di un santo scalpellino di nome Simone, venuto dalla Dalmazia insieme a San Marino e a San Leo, e la credenza degli abitanti di questa zona secondo la quale Sasso Simone, più grande ed affascinante, sia stato creato da Dio, mentre Sasso Simoncello, dal diavolo.
Il territorio del Parco è testimonianza delle vicende storiche legate all'antico Montefeltro. Numerose erano le fortificazioni, le torri, i castelli, le chiese e le pievi, che sorgevano in questa zona e che ancora oggi sono ammirabili, anche se non sempre nella loro integrità.

L'ECONOMIA

L'economia marchigiana è riuscita ad ottenere alla fine del XX secolo una struttura diversificata, nella quale industria, commercio e turismo svolgono oggi un ruolo preponderante. In passato le Marche sono state una regione prevalentemente agricola, ma una rilevante emigrazione ha determinato l'allontanamento progressivo dalle forme tradizionali di una società mezzadrile. La forza lavoro attuale impiegata nell'agricoltura è pari al 4%. Le condizioni del suolo, poco fertile, e la conformazione del territorio, fanno sì che la produttività sia inferiore a quella delle altre regioni. Ancora circa due terzi della superficie agraria è coltivata a frumento (per la maggior parte grano duro). Gli altri principali prodotti sono la barbabietola da zucchero, la frutta (in particolare le susine), gli ortaggi (soprattutto cavolfiore e finocchio) e il girasole. Anche la produzione di patate è molto elevata. La viticoltura offre prodotti di qualità, come i vini Verdicchio, rosso Piceno e Castelli di Iesi.
Anche l'allevamento del bestiame ha subito un certo arretramento, notevole tuttavia è quello bovino, alla cui quantità si unisce il pregio della qualità (razza marchigiana). Il patrimonio bovino marchigiano è uno dei maggiori dell'Italia centro-meridionale. Di rilievo è anche l'allevamento dei suini, da cui provengono i rinomati salumi di Fabriano.
Grande importanza per l'economia della zona costiera assume l'industria della pesca, che ha i suoi centri maggiori nei porti di Ancona, San Benedetto del Tronto, Grottammare, Porto San Giorgio, Fano, Portocivitanova, Pesaro e Senigallia. Tra le scarse risorse del sottosuolo vi sono la lignite e lo zolfo. Quest'ultimo alimenta l'industria chimica di Pesaro e Iesi.
Il settore secondario vanta il 41% circa degli occupati. Le attività industriali maggiori sono rappresentate non solo da grandi stabilimenti come quello petrolchimico a Falconara Marittima, o dall'industria degli elettrodomestici di Fabriano e dai cantieri navali ad Ancona, ma anche dalle imprese manifatturiere di piccola e media dimensione, attive in comparti tradizionali. Le principali sono quelle della carta a Fabriano, degli strumenti musicali, soprattutto di fisarmoniche, a Castelfidardo, Camerano, Ancona, Numana, Osimo, Sirolo, delle calzature a Porto San Giorgio e delle ceramiche a Pesaro, Recanati, Urbino e Fabriano. Una notevole produzione artigianale è rappresentata anche dalla lavorazione dei cappelli di paglia a Massa Fermana, nell'Ascolano. A Chiaravalle sono situati impianti per la lavorazione del tabacco. Fano è sede di un importante zuccherificio.
Il litorale è stato ben valorizzato dal turismo, che è la maggior risorsa del terziario, e sfrutta a suo favore la posizione intermedia tra le coste abruzzesi, meta di vacanze per i romani, e quelle romagnole, affollate dai milanesi e dagli stranieri. Tra i centri di richiamo turistico sono le spiagge di Gabicce, Falconara, Ancona, Pesaro, Fano, Senigallia, Numana, Civitanova Marche, Grottammare, San Benedetto del Tronto, Porto Sant'Elpidio, Porto Recanati e Porto San Giorgio, e le numerose stazioni termali della regione. La Santa Casa, santuario di Loreto, è meta di continuo pellegrinaggio e contribuisce ad alimentare il flusso turistico, composto da italiani e stranieri. Si riscontra anche una crescente valorizzazione di alcuni percorsi enogastronomici nella zona interna di Ancona, Macerata e Urbino. Ancora non adeguatamente stimate sono invece alcune città, ricche di interesse artistico e storico, ad eccezione di Urbino, sede della storica università.

CENNI STORICI

L'età preistorica

Le più antiche testimonianze della presenza umana nelle Marche risalgono all'Era interglaciale Mindel-Riss (300.000-200.000 anni fa) e tra il Paleolitico inferiore e medio (100.000 anni fa) dove tracce di comunità di cacciatori vengono confermate dai terrazzi fluviali marchigiani. Altre tracce nel Paleolitico medio (120.000-36.000 a.C.) e nel Paleolitico superiore (36.000-10.000 a.C.) provengono dal Monte Conero e da materiali raccolti nella Grotta della Ferrovia, allo sbocco della Gola della Rossa presso Fabriano e nella Grotta del Prete di Spineto, presso Frasassi. Per quanto riguarda il Mesolitico (10.000-6.000 a.C.) ci sono tracce di bivacchi a Pieve Torina, Maddalena di Muccia e Ripabianca di Monterado. Qui sono state ritrovate ceramiche e strumenti di ossidiana che confermano le nuove attività agricole e pastorali del villaggio. Nell'Età del Rame le attività economiche erano di tipo misto e la trasformazione in società di tipo pastorale avvenne durante la fase della cultura Appenninica dell'Età del Bronzo (1.500-1.000 a.C.). Tracce di ciò sono venute alla luce ad Attigio presso Fabriano, a Pianacci di Genga e nella stessa necropoli di Fonte Noce presso Recanati. Con l'Età del Ferro si entra lentamente nella storia, in particolare nel territorio piceno dove, dal IX al V sec. a.C. si era insediata la popolazione dei Piceni, il cui idioma ci è noto attraverso un'iscrizione rinvenuta a Novilara, nei dintorni di Pesaro. Nello stesso periodo si intensificano le relazioni e gli scambi commerciali con gli Etruschi e con i Greci.

L'età preromana

I rapporti culturali si spostarono dall'Appennino lungo la costa adriatica ed Ancona fu colonizzata e dominata dalla stirpe greca dei Dori. Nella parte settentrionale della regione ci fu l'invasione dei Galli senoni che si stabilirono nei dintorni dell'attuale Senigallia (la romana Sena Gallica) in un territorio tra il fiume Esino ed il Montone, in Romagna. Di conseguenza i Galli senoni erano a Nord, i Piceni a Sud-Est e gli Umbri a Sud-Ovest. L'epopea creata sui Piceni li vuole guidati da un uccello sacro, il picchio (picus) dal quale deriva il nome della stirpe. Il territorio piceno andava dall'entroterra fino al mare a cavallo tra le odierne Marche e l'Abruzzo e con un'appendice lungo la fascia costiera fino a Senigallia. Gli Umbri si erano insediati a ridosso della dorsale appenninica, in particolare nella vasta conca di Camerino, dove abitavano i Camerti umbri. Proprio questi intrattennero i primi rapporti con Roma e nel 310 a.C., con un patto di alleanza, godettero per alcuni secoli di larga autonomia ed indipendenza, favorendo lo sviluppo economico.

L'età romana

Nel 295 a.C. Romani, Piceni e Lucani prevalsero contro Umbri, Etruschi e Sanniti nella storica battaglia di Sentinum, nelle vicinanze dell'attuale Sassoferrato. Dopo la seconda metà del III sec. a.C. i Romani controllavano l'intera regione e a loro fianco apparivano i contigenti piceni ed umbri in tutte le battaglie, comprese le guerre puniche dove si distinsero le coorti dei Camerti e dei Piceni. Nel 207 a.C., dopo l'importante battaglia del Metauro, dove le truppe romane sconfissero quelle cartaginesi guidate da Asdrubale (fratello di Annibale), iniziò il processo di romanizzazione dei popoli abitanti le Marche. La divisione augustea si configurò con il Regio V (piceno) comprendente parte dell'Abruzzo e il Regio VI (flaminia) che andava dal Tevere fino all'Adriatico. I resti dell'epoca augustea sono numerosi: l'Arco di Augusto a Fano, le piscine epuratorie romane a Fermo, l'Arco di Traiano ad Ancona, la Porta Gemina ad Ascoli Piceno, la Galleria del Furlo sulla via Flaminia e le rovine delle città Urbs Salvia (Urbisaglia), Helvia Recina (Macerata) e Faleria. Dopo lo scompiglio provocato dalle orde barbariche (V sec.), nel 568 si giunse ad un nuovo assetto territoriale con i Longobardi dominatori del Piceno e la restante parte dominata dai Bizantini. Questi ultimi controllavano il loro territorio attraverso il ducato delle due pentapoli: la marittima (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) e l'annonaria (Urbino, Fossombrone, Jesi, Cagli e Gubbio) dipendenti dall'esarcato di Ravenna.

Il Medioevo

I Longobardi, creando il ducato di Spoleto, denominarono le province di confine "marche" dal tedesco "Mark" (zona di confine). Si delineò così la marca di Camerino e la marca di Fermo e più tardi la marca di Ancona. Il Cristianesimo penetrò nella regione attraverso il porto di Ancona e l'influenza bizantina continuò finché Pipino il Breve e Carlomagno diedero il dominio territoriale ai Papi. Ancona scacciò Federico I Barbarossa nel 1167 e Christian di Mainz nel 1173; nel 1155 Urbino passò da Barbarossa ai Montefeltro. Tra l'XI e il XII sec. sorsero numerosi feudi, assorbiti poi dai Comuni e in seguito dalle signorie già alla fine del XIII sec. In questo periodo si assiste alla creazione di castelli e di imponenti palazzi, gran parte dei quali sono tuttora esistenti. Le signorie dettero un forte impulso alle lettere e alla arti.

Dal Rinascimento al Risorgimento

Nei secc. XIII-XV molte famiglie accrebbero la loro influenza e cercarono di sottomettere gran parte della marca. I Malatesta governarono da Rimini a Pesaro e anche ad Ancona dal 1348 al 1355 mentre i Montefeltro dominarono ad Urbino dal XV sec. fino al 1508 quando Della Rovere prese il controllo e annesse Pesaro nel 1512. Alessandro Sforza, governatore della marca di Ancona, governò dal 1445 al 1500 e tenne uniti i territori di Pesaro e Ancona fino alla metà del XV sec. quando Ancona andò sotto la protezione del papato. A Camerino la Signoria dei Varano ebbe il controllo fino al 1540 eccetto per un anno, nel 1502, quando governò Cesare Borgia. Altre famiglie importanti furono quelle dei Chiavelli a Fabriano, gli Smeducci a San Severino, i Brancaleone a Piobbico e a Casteldurante (l'attuale Urbania). I due maggiori centri artistici e letterari furono Urbino e Camerino e al periodo rinascimentale risale la costruzione di palazzo ducale dei Montefeltro ad Urbino. Sotto il dominio papale ci fu limitata unità; infatti la marca di Ancona era suddivisa nello Stato di Urbino, i governi di Macerata, Ancona, Jesi, Fabriano, San Severino e Loreto, lo Stato di Ascoli, il governo di Matelica e lo Stato di Motalto. L'assenza di unità economica impediva la formazione di una capitale regionale. La breve fase dell'invasione napoleonica, verso la fine del Settecento, alterò radicalmente il sistema legale e le istituzioni della regione. Nell'amministrazione, i posti all'epoca ereditari divennero elettivi e i municipi andarono sotto un rigido controllo centralizzato. Sotto la Repubblica romana (1798-99) il dipartimento del Metauro unificò le aree di Urbino e Fano e gran parte di quella di Ancona; il dipartimento del Musone con in testa Macerata annesse Fabriano, San Severo Marche, Loreto, Matelica e Civitanova Marche; il dipartimento del Tronto con Fermo coprì Ascoli Piceno e Camerino, che passò al dipartimento del Musone nel 1808. Dopo il 1816 la Chiesa riprese il controllo e suddivise la regione in quattro delegazioni: Ancona, Macerata con Camerino, Urbino e Pesaro, Fermo e Ascoli Piceno. Nelle Marche, esattamente a Castelfidardo, si svolse una delle battaglie decisive del Risorgimento dove le truppe piemontesi, con a capo il generale Cialdini, sconfissero l'esercito pontificio nel 1860. Con l'Unità d'Italia si sancì il trasferimento di Gubbio e le aree circostanti alla vicina Umbria.

L'età contemporanea

L'economia regionale restò in prevalenza agricola, e nonostante entrarono in funzione le linee ferroviarie che da Ancona collegavano Rimini e Pescara, e Roma, la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento furono caratterizzati dal malcontento sociale e da una forte emigrazione: molti contadini marchigiani cercarono infatti fortuna all'estero, in particolare nelle Americhe.
Nel 1915, durante la prima guerra mondiale, Ancona subì un violento bombardamento da parte della flotta austriaca. Negli anni successivi (1920-1921) aumentarono i disordini sociali e dal 1922, l'anno della marcia su Roma, tutta la regione passò sotto il controllo delle squadre fasciste (Mussolini venne nelle Marche in visita ufficiale nel 1926 e nel 1933).
Nel 1940 l'Italia entrò di nuovo in guerra e nel 1943 la regione fu direttamente coinvolta nello scontro mondiale. La fine del conflitto e l'inizio della ricostruzione posero le basi per il grande sviluppo economico della regione: la diffusa mezzadria a carattere familiare lasciò il posto alle attività artigianali e industriali, alcune delle quali ancora a conduzione familiare, con forti specializzazioni locali (industria della carta, degli strumenti musicali, della ceramica, ecc).
Le Marche furono designate come regione nel 1970.

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Le Marche sono un crogiuolo di arte, anche se il patrimonio dei beni culturali è ancora poco conosciuto e spesso nemmeno valorizzato. Eppure la ricchezza artistica della regione è fra le più complete d'Italia e rappresenta gran parte delle tipologie e degli stili storici, anche se la stragrande maggioranza dei capolavori non è opera di artisti indigeni. Le Marche infatti sono sempre state territorio di passaggio: celebri pittori, scultori e architetti hanno lasciato traccia della loro abilità in tutta la regione, ma non si può parlare né di un'arte né di un'architettura marchigiana.

Dalle origini al Medioevo

La regione offre qualche testimonianza del periodo Paleolitico (industria litica XX-XIX millennio a.C.) nella zona del Conero e dell'Età neolitica (capanne, VI millennio a.C.). Numerose sono invece le necropoli risalenti all'Età del Ferro, ricche di corredi trovati in tombe a inumazione (pratica svolta dai Piceni) e a cremazione (cultura protovilliana). Anche i resti d'epoca romana nelle Marche sono cospicui. Quando i Romani iniziarono il loro processo di colonizzazione, fondarono nuove città, innalzarono mura (resti sono presenti a Fano, Osimo e Ascoli Piceno), eressero archi onorari (famosi sono quelli di Ancona e Fano) e porte urbiche, costruirono cisterne, ponti e gallerie, allestirono teatri (noti quello di "Falerio", "Helvia Ricina" e "Pitinum" ad Ascoli Piceno) e anfiteatri (visitabili quelli di Ancona "Urbs Salvia", "Suasa"), pochi invece sono i resti di edifici sacri, poiché molti sono stati rimaneggiati (quelli meglio conservati sono ad Ascoli Piceno, inglobati nelle chiese di S. Gregorio e S. Venanzo). Notevoli sono le testimonianze scultoree, fra le quali i più importanti sono i bronzi di Cartoceto, le terrecotte di Civitalba e di Monterinaldo, i sarcofagi di Tolentino, Fermo e Osimo, i mosaici di Ancona, Matelica e Pesaro, rari invece sono gli affreschi.

Il Medioevo

Dal punto di vista storico il primo Medioevo vide la presenza di Goti e Longobardi nella regione, ma esigue sono le testimonianze artistiche lasciate da questi gruppi (le più importanti sono la necropoli di Castel Trosino e il ciborio carolingio nella Pieve di San Leo, 882). Dal X sec. si consolida l'insediamento monastico, vengono ristrutturati precedenti centri benedettini e costruite numerose abbazie e monasteri dal Foglia al fiume Tronto, ciò determina una rinascita artistica ed economica.
L'architettura romanica è la maggiormente rappresentata nella regione, gli influssi sono prevalentemente lombardi, anche se non mancano quelli provenienti dall'Oriente, da Ravenna e da altre regioni italiane. Pregevoli esempi in stile romanico sono la cattedrale di San Ciriaco e la basilica di Santa Maria della Piazza ad Ancona, il battistero e le chiese dei Santissimi Vincenzo e Anastasio e di S. Maria Intervineas ad Ascoli Piceno, la Pieve e il Duomo di San Leo. Tra le opere civili le più significative sono l'imponente Palazzo degli Anziani e la facciata di quello del Senato ad Ancona, il Palazzo del Podestà a Fabriano col caratteristico arcone ogivale, il Palazzetto longobardo (XIII sec.) e la fontana ad Ascoli. L'architettura militare, che ebbe una certa rilevanza in quest'epoca così turbolenta, è caratterizzata da innumerevoli torri isolate di avvistamento, da rocche (Porto San Giorgio, Priora a Falconara Marittima, Albornoz a Sassoferrato, dei Da Varano a Sfercia di Camerino) e da castelli agricoli (grancie), un esempio è quello della Rancia a Tolentino.
In pittura sono notevoli le influenze giottesche (XIV sec.) visibili nei cicli di S. Nicola a Tolentino e nella chiesa di S. Marco a Jesi, oltre che nei reperti sparsi da Allegretto Nuzi e dal Maestro di Offida. Il gotico cortese (XIV-XV sec.) si distingue per l'opera di Gentile da Fabriano (purtroppo dispersa fuori regione) e per il fermento delle scuole di Camerino, Fabriano e di San Severino Marche. Il ciclo tardo-gotico marchigiano si conclude, nel '400 avanzato, con i lavori di Carlo Crivelli e dei Vivarini. In campo scultoreo alcuni maestri veneto-dalmati, attivi nella regione in questo periodo, lasciano, in particolare modo ad Ancona, capolavori unici di ricamo marmoreo, come le chiese di S. Agostino e di S. Francesco delle Scale, e la Loggia dei Mercanti, esemplari di una raffinata sensibilità scultorea.

Il Rinascimento

Il periodo umanista inaugura per le Marche una stagione felice, legata al consolidarsi di insigni signorie: i Montefeltro a Urbino, i Malatesta a Fano, gli Sforza a Pesaro, i Da Varano a Camerino, i Della Rovere a Senigallia. A Urbino Federico da Montefeltro diventa l'emblema del "principe rinascimentale" (figura poliedrica di guerriero mercenario e colto umanista). Egli per far costruire il Palazzo ducale di Urbino, chiamò a palazzo i migliori artisti e architetti italiani del '400: Luciano Laurana, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini. Quest'ultimo collaborò con la corte anche dopo la morte di Federico: fu il principale consulente del piano di riorganizzazione militare del ducato e si occupò di numerose fortificazioni, vere e proprie opere d'arte, seppur atte a fronteggiare l'incalzante pericolo dettato dalle nuove armi (gli esempi più rilevanti sono le rocche di Sassocorvaro, Cagli, Fossombrone, San Leo e Mondavio). L'opera civile del Martini lasciò altri capolavori nel Palazzo della Signoria a Jesi e del Governo ad Ancona; quella militare venne significativamente continuata dall'allievo Baccio Pontelli, autore di pregevoli edifici fortificati (rocche di Acquaviva Picena, Offida, Senigallia, Jesi e Osimo, entrambe abbattute), civili (Palazzo ducale a Camerino) e religiosi (convento di S. Maria delle Grazie a Senigallia).
L'altro fulcro attivo del periodo rinascimentale fu Loreto, dove per la costruzione del santuario convogliarono numerosi artisti quali Benedetto da Maiano, Giuliano da Sangallo, Sansovino, Giovanni Cristoforo Romano, Luca Signorelli e Lorenzo Lotto.
In campo pittorico tra il Quattrocento e il Cinquecento si colloca l'esperienza di alcuni noti pittori: Crivelli, Tiziano, Bronzino e il già citato Lotto.

Il Seicento e il Settecento

Tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo si afferma una corrente manieristica, i cui maggiori esponenti sono Girolamo Genga, che operò alla Villa l'Imperiale di Pesaro; i pittori Pellegrino Tibaldi, Barocci, i fratelli Zuccari e Pomarancio di impronta classicista; gli epigoni locali (Ercole Ramazzani, Durante Nobili, i De Magistris) di Lorenzo Lotto, e Tiziano. Le arti minori trovano invece originale slancio nelle plastiche decorazioni di Federico Brandani e nelle scuole di ceramica di Casteldurante, Pesaro e Urbino. Nel Seicento nonostante le Marche siano quasi completamente sotto il potere dello Stato pontificio (tutte le maggiori città si erano già arrese al papato nel '500), non si verifica una vera e propria recessione economica, l'attività edilizia infatti fiorisce notevolmente e anche la committenza artistica vive uno slancio consistente. L'arte barocca è rappresentanta dalle chiese di S. Filippo a Macerata, attribuita come progetto a G.B. Contini, e di S. Maria in Via a Camerino (1639), entrambe ispirate ai modelli romani di Gian Lorenzo Bernini e di Francesco Borromini. La scena profana barocca arricchisce le città di fontane d'acqua, e impone l'espansione urbana dei vecchi centri. La galleria di Palazzo Pianetti a Jesi denuncia invece l'isolato gusto della committenza per il rococò monacense. La pittura del '600 risente dell'assenza di un centro accademico propulsore ed unitario, così muovendo dal pacato 'caravaggismo' di Giovanni Francesco Guerrieri e da quello più formale di Orazio Gentileschi si giunge presto, al classicismo bolognese di Annibale Carracci (a Loreto), di Guercino e Domenichino, che arginano la tendenza centripeta verso Roma. Giungono nelle Marche anche le opere di Rubens, Salvatore Rosa, Sebastiano Conca, Luca Giordano e G. B. Tiepolo, mentre gli artisti marchigiani più abili quali Carlo Maratta, Sassoferrato e Ghezzi, lasciano la regione attratti dalle ricche committenze romane.
Il Settecento vede il moltiplicarsi degli interventi architettonici sulle città, affidati spesso a grandi artisti, tra i quali il più importante è Luigi Vanvitelli, che nelle Marche portò a termine i primi lavori giovanili. Le sue opere più pregevoli, in aperta rottura con quelle del Seicento, sono il porto, il Lazzaretto, l'arco Clementino, la chiesa del Gesù ad Ancona, Palazzo Compagnoni Marefoschi e l'interno del Duomo a Macerata, il campanile che fiancheggia il santuario della Santa Casa a Loreto, e la facciata della chiesa di S. Vito a Recanati. Da Roma giungono anche alcuni architetti di grande professionalità quali Carlo Marchionni, Luigi Valadier, Camillo Morigia, Cosimo Morelli, Luigi Poletti. Dopo Napoleone Bonaparte e la Restaurazione, si assiste ad un cambiamento non solo delle idee, ma anche delle forme. In questo periodo vengono costruiti numerosi teatri (prima per iniziativa privata poi pubblica) fori annonari, macelli, cimiteri, ospedali e sferisteri, che aprono nuove direttrici urbanistiche nei centri storici, con ampliamenti (come ad esempio a Senigallia) e sventramenti che mutano definitivamente il volto dei centri abitati.

Dall'Ottocento ad oggi

Nella prima metà del XIX sec. le Marche sono quasi immobili dal punto di vista culturale, l'unico artista degno di nota è il pittore Francesco Podesti, che nato ad Ancona nel 1800 visse così a lungo (1895) da lasciare una produzione vastissima di soggetti storici, sacri e mitologici, alcuni dei quali conservati presso il Palazzo ducale di Ancona, altri a Roma e a Milano. Sospeso tra preraffaellismo e liberty fu invece Adolfo De Carolis, amico di Giovanni Pascoli e illustratore preferito di Gabriele D'Annunzio, che operò per un breve periodo nella regione marchigiana.
Verso la fine del secolo si registra una ripresa dell'attività artistica, sotto l'impulso del liberty, che determinò la costruzione di diversi villini lungo il litorale adriatico (spicca su tutti, per ricchezza decorativa e grazia compositiva, il villino Conti a Civitanova Marche, 1910, ma si ricorda anche il villino Ruggeri a Pesaro, 1904-1908).
Tra i maggiori artisti del Novecento marchigiano vi sono: Osvaldo Licini, nato ad Ascoli Piceno nel 1894, conobbe Modigliani, Picasso, Derain, Cendrars, le sue opere spaziano dal naturalismo all'astrattismo; Anselmo Bucci (Fossombrone, Pesaro, 1887) pittore ed incisore di fama, che lavorò anche a Parigi; Corrado Cagli (Ancona, 1910), Orfeo Tamburi (Iesi, 1910) e Sante Monachesi (Macerata, 1910), della generazione del 1910, che lasciarono presto la regione e operarono in Italia e anche all'estero (Francia e America).
Prestigiosa è l'opera di alcuni marchigiani nel campo dell'incisione: il più famoso è senz'altro Luigi Bartolini, che piegò di nuovo il bulino al servizio dell'Espressionismo poetico. Questa arte annovera anche altri esponenti quali Arnaldo Ciarrocchi, Walter Piacesi, Nino Ricci e Roberto Stelluti. Di levatura internazionale, scultore e incisore di fervente creatività è Valeriano Trubbiani, come noti sono i fratelli Giò e Arnaldo Pomodoro, Eliseo Mattiacci, Bruno D'Arcevia e Enzo Cucchi.

LE CITTÀ

Ancona

(100.507 ab.). La città di Ancona sorge, disposta ad anfiteatro attorno al porto naturale, sul promontorio del Monte Conero. Sin dall'antichità il porto è stato la fonte della fortuna commerciale di Ancona, basata da un lato sui rapporti antichi con la sponda dalmata e la Grecia, dall'altro sul fulcro ferroviario ottocentesco, che portava fino alla valle del Tevere, diventando una delle principali stazioni della litoranea fra Nord e Sud Italia. Ancora oggi il porto è molto attivo ed ha una fiorente attività industriale: cantieri navali, industrie tessili, farmaceutiche, cartarie, del cemento, alimentari. A queste si uniscono le tradizionali fabbriche di fisarmoniche.
STORIA. Ancona fu fondata in epoca protovillanoviana, e nell'Età del Ferro divenne un centro dei Piceni. Nel IV sec. a.C. fu colonia dei Greci di Siracusa. I Siracusani, impiantarono un florido emporio verso l'Oriente e costituirono un attivo centro di produzione di ceramica attica, porpora, lana e cosmetici. Inoltre sorsero edifici maestosi e furono costruite mura di difesa attorno al centro abitato. Agguerrita e popolosa, la città respinse l'invasione dei Galli senoni. Poi si alleò con la capitale, per respingere i Galli e i Sanniti, finché i Romani non la occuparono nel 268 a.C., attirati dalla sua importanza strategica e dalla sua posizione militare. Divenuta colonia, Ancona combattè a fianco dei Romani contro Annibale. L'imperatore Traiano fece costruire fortificazioni e migliorò le condizioni del porto, dal quale partì per la vittoriosa guerra contro i Daci. Per celebrare questo avvenimento, nell'anno 115 d.C. fu costruito l'arco onorario, opera di Apollodoro di Damasco. La precocità cristiana in Ancona è testimoniata dalla fama in Oriente di un santuario dedicato a Santo Stefano, costruito sul colle Astagno già nel IV sec. come piccola Memoria (oratorio) e poi ampliato, fino a diventare cattedrale. Caduto l'Impero romano, incominciarono le invasioni dei Visigoti, dei Vandali, dei Goti di Vitige e dei Goti di Tòtila, per cui la città dovette difendersi ripetutamente. Accettata per un breve periodo la protezione dei Longobardi, durante il periodo bizantino fu una delle città più importanti dell'esarcato di Ravenna e nel 774 divenne possedimento pontificio. Nell'848 i Saraceni occuparono Ancona, dopo aver battuto la flotta veneto-anconetana, la distrussero e spogliarono persino l'Arco di Traiano delle statue e dei bronzi che l'adornavano. Ma la città risorse ben presto con mirabile vitalità, tanto da riuscire a sostenere nel 1137 un vittorioso assedio contro Lotario III. Divenuta libero Comune nel XII sec., riuscì a respingere altri due assedi: nel 1167 contro Federico I Barbarossa e nel 1173 contro il suo cancelliere Cristiano di Magonza, cui si era affiancata la flotta di Venezia restia a far evolvere Ancona in repubblica marinara. Dopo tanta ferocia di guerre e scontri, giunse, con l'intento di imbarcarsi per l'Oriente, San Francesco d'Assisi (1219). L'opera di quest'uomo fu più che mai necessaria, in questa città dilaniata da numerose lotte interne e con i centri vicini, che indebolirono le difese cittadine. Ciò permise ai Malatesta di erigere la fortezza di San Cataldo sul Colle dei Cappuccini, e successivamente al Cardinale Albornoz di ingrandirla e rafforzarla, per opera di Ugolino di Montemarte. La fortezza fu come una freccia nel fianco della libertà anconetana; gli anconetani fecero numerose trattative con la Chiesa per riavere la Rocca, ma il castellano Ferrante da Moggia dichiarò di tenerla a nome dell'antipapa Clemente. Solo nel 1383, dopo un lungo assedio, la Rocca venne espugnata e distrutta. Nel XV sec. Francesco Sforza tentò di conquistare la città, ma invano. In questo periodo Ancona si arricchì di palazzi ed opere d'arte e nel 1532 passò sotto il governo della Chiesa. Nonostante il pontificato romano sembrasse assicurare una sufficiente protezione e sicurezza, le rivalità con Venezia si fecero sempre più efferate e le piraterie dei Musulmani resero pericolose le coste marittime. La città visse un periodo assai tetro tra la fine del 1600 e i primi decenni del 1700; i commerci marittimi languirono e di conseguenza le industrie subirono quasi una paralisi. Fu Papa Clemente XII (Lorenzo Corsini) che contribuì alla rinascita della città, accordandole il porto franco nel 1732 e arricchendola di notevolissime opere: l'architetto Vanvitelli disegna e costruisce il Lazzaretto, progetta la sistemazione dell'intero porto, costruisce l'Arco Clementino, ristruttura la facciata e la chiesa del Gesù. La ripresa economica permise anche notevoli restauri e lavori cittadini.
Il 1789 e la Rivoluzione francese risvegliarono anche in Italia e ad Ancona aneliti di libertà, che prepareranno il Risorgimento. Nel 1797 la città fu conquistata dalle truppe napoleoniche; due anni dopo gli Austriaci assediarono duramente la città e la tolsero ai Francesi, che tornarono ad occuparla nel 1801. Nel 1808 venne annessa al Regno Italico e con la Restaurazione ritornò allo Stato pontificio (1815). Nel 1860 venne annessa al Regno d'Italia; per la sua importanza strategica sull'Adriatico fu oggetto di consistenti opere di edificazione civile, ma anche di massicci insediamenti militari.
La prima guerra mondiale vide Ancona in prima linea, non solo per lo spirito patriottico dei suoi soldati, ma anche per il bombardamento subito dalla città la mattina del 24 maggio 1915, ad opera della flotta austro-ungarica. Ventiquattro navi da guerra, schierate dietro il Cardeto e davanti al porto, aprirono il fuoco ferendo e uccidendo cittadini inermi; persino il Duomo di San Ciriaco venne gravemente colpito da otto cannonate. Ma fu specialmente durante la seconda guerra mondiale che venne gravemente danneggiata dalle incursioni aeree del 1943 ad opera degli alleati. I numerosi raid (160) rasero al suolo gran parte della città medioevale e rinascimentale. Altre calamità naturali, fra le quali il terremoto del 1972, hanno inferto nuove ferite al tessuto storico, dalle quali la città si è oggi in gran parte ripresa, grazie ad una lenta ma consistente opera di restauro e di riqualificazione urbana.
ARTE. La città conserva della dominazione romana alcune vestigia tra cui l'Arco di Traiano e l'anfiteatro romano, eretto in età augustea. Abbandonato nel IV sec., fu riscoperto nel 1810 e portato alla luce nel secondo dopoguerra. Numerosi sono gli edifici religiosi da ricordare tra cui: il Duomo o Cattedrale di S. Ciriaco, sul colle Guasco, esempio di romanico italiano; la chiesa di S. Maria della Piazza (II metà XII sec.), che sorta su una basilica paleocristiana del IV-VI secolo, a sua volta edificata su muri e torri traianee, ha un'originale facciata tripartita e un maestoso portale a strombo decorato; la chiesa di S. Francesco delle Scale (1323), rifatta nel XVIII sec., con pregevole portale gotico-veneziano di G. Orsini (1455), la chiesa utilizzata come ospedale e caserma nel periodo napoleonico (1789) e dai piemontesi (1861), venne bombardata durante la seconda guerra mondiale. Successivamente fu restaurata e riaperta al culto nel 1953. Degna di nota è anche la secentesca chiesa del Gesù, con facciata curvilinea del Vanvitelli, che terminata nel 1743, costituisce il piccolo capolavoro giovanile dell'architetto.
Punti di particolare interesse sono inoltre: la Loggia dei Mercanti (XV sec.), simbolo dell'antica vitalità mercantile, bombardata e danneggiata nel 1944, ha la facciata in stile gotico veneziano adorna di statue allegoriche, che rappresentano le virtù del buon mercante cristiano: la Speranza, la Fortezza, la Giustizia e la Carità; il Palazzo del Governo, sorto in forme semplici prima del 1381, venne ampliato nel 1418-50 circa, inglobando una torre medioevale; dal 1484 fu ridisegnato da Francesco di Giorgio in forme rinascimentali; il Museo Nazionale delle Marche, ubicato in Palazzo Ferretti (del Tibaldi, XVI sec.), ricco di materiali provenienti da scavi e ritrovamenti avvenuti nella regione, che aiutano a ricostruire la storia delle Marche dalla preistoria all'Alto Medioevo (significativi sono i reperti di corredi funerari della prima e seconda Età del Ferro, della civiltà picena e gallosenonica, vasi attici figurati, capolavori della bronzistica etrusca, argenti e avori orientalizzanti oltre ai monili celtici); la Pinacoteca comunale F. Podesti, in Palazzo Bosdari (1550 circa), con opere di Tiziano, Lotto, Guercino ecc. e nella Galleria d'Arte Moderna, tele di Campigli, B. Cassinari, O. Tamburi, Gio Pomodoro e Arnaldo Pomodoro; la Mole Vanvitelliana (1733), ex Lazzaretto edificato dal Vanvitelli; il Palazzo del Senato (XIII sec.) a doppio ordine di bifore.
LA PROVINCIA. La provincia di Ancona (448.473 ab.; 1.940 kmq) si estende dagli Appennini al mare Adriatico sul territorio collinare che fiancheggia la valle del fiume Esino, situato al centro delle Marche. Per l'economia della provincia importanti sono le coltivazioni (vigneti, oliveti, frutteti, gelsi, ortaggi); l'allevamento del bestiame è diffuso. L'industria è presente con i settori della carta, delle calzature, dei fiammiferi, del cemento e delle ceramiche. La pesca è praticata lungo la costa. L'industria turistico-alberghiera è presente nelle località del litorale adriatico (Numana, Senigallia). Fra i centri principali ricordiamo Castelfidardo, Fabriano, Falconara Marittima, Iesi, Loreto, Osimo, Senigallia.
Ancona: l’Arco di Traiano

Vista del porto di Ancona


Luoghi di interesse

Arco di Traiano
Opera forse di Apollodoro di Damasco, venne eretto nel 115 d.C. in onore dell'imperatore, che aveva a sue spese ricostruito il porto. Il monumento di marmo imezio è alto quasi 14 m e aveva a coronamento tre statue, rappresentanti il princeps, la moglie e la sorella, trafugate dai Saraceni nel IX sec.
Cattedrale di S. Ciriaco
Sorta sui resti di un tempio pagano del IV-III sec. a.C., fu trasformata in basilica paleocristiana dedicata a S. Lorenzo nel VI secolo. La cattedrale è uno dei maggiori monumenti del romanico italiano, simbolo della mediazione artistica adriatica con l'Oriente. L'edificio venne, nei secc. XI-XIII, ampliato e rimaneggiato per esigenze di carattere civile e religioso. Dopo che la città acquistò importanza e iniziò così a godere di una nuova prosperità, la chiesa divenne sede della terza cattedra vescovile di Ancona e accolse le reliquie di Giuda Ciriaco e di San Marcellino. Si giunse così alla creazione di un complesso dalle prevalenti forme romaniche che univa ad una planimetria a croce greca (tipica dell'architettura bizantina) con cupola centrale, un repertorio decorativo lombardo costituito da figure zoomorfe e terrecotte. La facciata gotica, in marmo bianco e rosa, è formata da un grande arco con volta sormontato da una guglia e sostenuto da colonne poggianti su due leoni. Il portale è articolato in cinque piani concentrici, impostati su archi leggermente ogivali e scolpiti con motivi allegorici. All'interno, monumento sepolcrale del beato Girolamo Ginelli, opera di Giovanni Dalmata (1509), e nel braccio sinistro la Cappella della Madonna, con fastoso altare di Luigi Vanvitelli (1739). Da visitare il Museo Diocesano (tra i pezzi più belli, il sarcofago di Flavio Gorgonio del IV sec., arazzi rubensiani del '600 e preziose pergamene, medaglie e paramenti sacri).
Mole Vanvitelliana
Il Lazzaretto di Ancona fu realizzato dall’architetto Luigi Vanvitelli a partire dal 1732 nell’area portuale del capoluogo marchigiano, durante il suo soggiorno nelle Marche in qualità di progettista pontificio. L’imponente costruzione (che si estende per quasi ventimila metri quadrati), fu progettata in funzione della riorganizzazione urbana di Ancona verso il mare in direzione Sud e per garantire l’immunità da epidemie che avrebbero potuto portare merci e persone provenienti da luoghi riconosciuti come sospetti. La decisione di costruire un grande Lazzaretto fu giustificata anche dalla felice situazione commerciale attraversata dalla città di Ancona in quel periodo, divenuta porto franco grazie a Clemente XII. La prima pietra venne posta il 26 luglio 1733; nel 1736 l’opera risulta in fase di avanzata realizzazione; i lavori saranno completati solo nel 1743, tre anni dopo la morte di Clemente XII (1740). Struttura architettonica dotata di grande solidità, la Mole Vanvitelliana si presenta tutt’ora nella classica forma pentagonale. La funzione militare dell’edificio è testimoniata ancora oggi dalla presenza del rivellino, dall’altezza dal muro di cinta, dalle feritoie. Nello stesso tempo il Lazzaretto è una sorta di isola-città, quasi un modello autosufficiente di cittadella tardo-rinascimentale, capace di alloggiare fino a duemila persone, contenere decine di migliaia di metri cubi di merci, riservare centinaia di migliaia di litri d’acqua grazie a un sistema sofisticato di raccolta delle acque. La funzione sanitaria, per contumacie e quarantena era garantita dalla dislocazione degli alloggi nella fabbrica interna; l’area del deposito merci era invece organizzata con un sistema ad alveare distribuito in ventisei locali. Al centro del cortile è situato un tempietto votivo di stampo neo-classico dedicato a S. Rocco che in realtà costituisce la parte superiore e visibile di un sistema di raccolta d’acqua realizzato con cisterne sotterranee, collocate sotto il tempietto stesso. Nel corso degli ultimi due secoli il Lazzaretto è stato utilizzato anche come ospedale militare e caserma e ha costituito l’elemento cardine della difesa di Ancona occupata dai Francesi contro la flotta austriaca nel 1799. Nel 1860 cessa la sua funzione ispettivo sanitaria per, nel 1884, diventare sede delle operazioni di raffineria degli zuccheri. Nel corso del XX sec. oltre al ruolo di base militare nei due conflitti mondiali, il Lazzaretto divenne anche sede, dal 1947, della manifattura tabacchi.
Monumento ai caduti del Passetto
Realizzato alla memoria dei caduti della prima guerra mondiale, fu costruito dall'architetto Guido Cirilli insieme all'imponente scalinata verso il mare. La struttura circolare regge sotto colonne doriche un fastigio con incisi i versi della canzone "All'Italia" di Giacomo Leopardi.
La riviera del Conero
La riviera del Conero rappresenta uno dei paesaggi più piacevoli e suggestivi del litorale adriatico; è facilmente raggiungibile da Ancona, da cui dista circa 15 km. Dominata dal Monte Conero (572 m), è riparata dai freddi venti del Nord e gode di un clima tiepido e temperato. Anticamente ha dato il nome al capoluogo delle Marche: gli antichi navigatori greci chiamarono infatti "ankon", cioè gomito, questo tratto di costa, per il cambiamento di rotta che doveva essere effettuato nel risalire l'Adriatico. La riviera del Conero comprende l'insenatura di Portonovo, lo scoglio di Trave, gli scogli delle Due Sorelle, la grotta Urbani, le due cittadine di Numana e Sirolo. Numana, graziosa cittadina balneare, dotata di due spiagge e un buon porto per imbarcazioni da diporto fu, in passato, centro commerciale marittimo piceno e greco. Il borgo fu rifondato dai siracusani (IV sec. a.C.), divenne colonia (269 a.C.) e municipium romano nel 91 a.C. Afflitto dai terremoti del 558 e del 1292 e dai saccheggi dei Saraceni, decadde progressivamente e dal 1404 passò sotto il dominio di Ancona. Vi si trova un museo in cui sono raccolti i reperti delle antiche civiltà. Meritevoli di attenzione sono anche il santuario, visitato per via di un Crocifisso ligneo romanico del XIII sec.; l'Antiquarium che custodisce i ricchi corredi di tombe picene; la scalinata conosciuta con il nome di "Costarella"; la Torre del Pincio, resto delle fortificazioni medievali. Sirolo, altra incantevole cittadina balneare delle riviera, ha tipica impronta medievale: antico castello fortificato dai conti Cortesi alle pendici del Monte Conero, a 125 metri sul livello del mare, è attorniata da splendidi boschi di lecci e pini marittimi che giungono in prossimità della spiaggia. Vi si trova inoltre un ex convento dei Francescani, oggi villa privata, al cui ingresso appaiono due olmi piantati, secondo la leggenda, da San Francesco che passò di qui nel 1215. Degni di nota sono anche il campanile della chiesa della Madonna del Rosario, la chiesa del SS. Sacramento (il cui portale è quattrocentesco), tratti della cinta medievale con il baluardo del Torrino. La riviera è dominata dal Fortino Napoleonico eretto nel 1808 per salvaguardare le fonti d'acqua potabile durante il blocco navale che era stato imposto da Napoleone alla flotta inglese, e dalla massiccia Torre di guardia fatta costruire da Clemente XI nel 1716 a difesa delle ricorrenti incursioni piratesche (restaurata a fine '800), abitata per un certo periodo da Gabriele D'Annunzio. Visibile sotto il massiccio profilo del monte Conero è la chiesa di S. Maria di Portonovo, coi muri calcarei, edificata prima del 1050 da monaci Benedettini di provenienza franco-normanna, piccolo ma splendido esemplare romanico. Nella zona è stato reperito un giacimento paleolitico risalente a oltre 100.000 anni fa, tra boschi quasi intatti e fitti di querce nane, allori, aceri, ginestre, ginepri e biancospini, tipici esemplari della ricca macchia mediterranea. La zona del Conero è stata dichiarata parco regionale nel 1987.

Ascoli Piceno

(51.375 ab.). La città di Ascoli Piceno sorge su una collina ed è circondata da tre lati dai fiumi Tronto e Castellano. È il più importante mercato agricolo del Piceno ed è anche un centro industriale con setifici, cartiere, pastifici, fabbriche di concimi chimici, di laterizi e di ceramiche. Ascoli è stata sede di abili maiolicari sin dal Medioevo. Alla fine del `700 si ebbe il primo sviluppo industriale grazie all'intraprendenza di un monaco olivetano, l'abate Malaspina, che installò una fabbrica di maioliche nel Monastero di S. Angelo Magno. Altra tradizione importante della città è quella dei liutai.
STORIA. Le popolazioni più antiche che hanno abitato Ascoli Piceno hanno lasciato tracce della loro presenza risalenti fino all'età paleolitica. Solo più tardi, dal Neolitico e dall'Età dei Metalli, le testimonianze diventano più significative ed attestano insediamenti stabili ad economia agricola e pastorale. Stando ad antiche leggende, Ascoli sarebbe stata fondata dal re pelasgo Aesis. Probabilmente il nome della città deriva dalla radice "as", significante insediamento urbano, reperibile in molte altre antiche città dell'area mediterranea. Secondo Festo, invece, il Piceno deve il suo nome ai Sabini, che, emigrati verso l'odierna Ascoli per celebrare la primavera sacra, una festività pagana, portarono come loro emblema il picchio, uccello sacro a Marte. Grazie alla sua posizione geografica tra i due fiumi, Tronto e Castellano, ed un torrente, il Chiaro, Ascoli venne via via assumendo una forte importanza. Nel 268 a.C., il Piceno entra nella zona d'influenza di Roma, mentre Ascoli riesce a conservare la sua indipendenza, diventando però civitas foederata. Divenne probabilmente un grande centro commerciale, Strabone infatti la definì "colonia Asculum Picenum nobilissima ora domiti hic Picentes et caput gentis Asculum". All'inizio del 91 a.C. scoppiò la guerra tra le genti italiche e Roma. Ascoli ebbe un ruolo importante: rivendicò in nome delle popolazioni italiche, la cittadinanza romana per compartecipare all'amministrazione ed alla direzione dell'Impero in condizione di parità. L'uccisione del proconsole romano e di tutti i suoi concittadini, entrati nel recinto della città per rimproverare gli Ascolani, rei di tramare qualcosa contro l'aristocrazia romana, segnò l'inizio delle ostilità tra Roma ed Ascoli. L'esercito con a capo Pompeo Strabone, partito dalla capitale per ridurre Ascoli all'obbedienza, fu inizialmente fermato dagli abitanti della città, ma dopo due anni e mezzo di assedio, Ascoli dovette cedere alla fortuna delle armi nemiche. Testimonianze del lungo assedio sono, ancora oggi, le ghiande missili di piombo che è possibile trovare nei campi più vicini alla città e specialmente lungo il letto del Castellano, spinti dalle piogge. I Romani vincitori non ebbero pietà dei vinti: molti capi vennero trucidati e gli abitanti mandati in esilio. Sotto Roma imperiale, Ascoli risorse più splendida che mai. Molti sono i monumenti romani, ben conservati e giunti sino ai nostri giorni: Porta Gemina, Ponte di Cecco, Ponte Augusteo sul Tronto, i resti del Teatro e dell'Anfiteatro, due antichi templi, ora inglobati nelle Chiese di San Gregorio e di San Venanzio. Non mancano neppure esempi di edilizia abitativa, venuti alla luce durante lavori di ristrutturazione al Palazzo di Giustizia ed al Palazzo dei Capitani. Famoso il rinvenimento del mosaico policromo con maschera centrale, ora conservato nel Museo Archeologico Statale. Sotto l'imperatore Antonino Pio, Asculum conobbe la prima persecuzione cristiana con tanti martiri, tra cui Santa Venera e Sant'Antimo. Con l'elezione del primo vescovo residenziale (301 d.C), Sant'Emidio, designato dal Papa Marcellino, la comunità cristiana picena godette di una ripresa notevole. La calata dei Barbari, portò Ascoli ad una decadenza economica ed intellettuale. La vita si ridusse ad una economia di sussistenza. La città riuscì a difendersi dai Visigoti di Alarico e di Ataulfo, ma cadde nelle mani dei Goti, guidati da Totila, che dopo aver occupato tutti i castelli della campagna, cinse d'assedio la città. Nel 553, dopo la sconfitta e l'uccisione di Totila e di Treia, la città passò all'esarcato di Ravenna e dentro le sue mura si stabilirono molti Greci, fino all'arrivo dei Longobardi, comandati da Faroaldo. Questi assediarono Ascoli da più parti e la saccheggiarono nel 578. Tra gli uomini votati alla difesa estrema della città si distinse l'eremita Agostino, il quale, lasciato l'eremo di San Marco, predicò la necessità di combattere e resistere fino all'ultimo uomo contro la marea longobarda, ma lui e i suoi uomini laceri, scalzi ed affamati dovettero alla fine soccombere. L'abitato venne dato alle fiamme per la seconda volta, e solo nel 593, con la regina Teodolinda si ebbe la ricostruzione della città e dei castelli. Gregorio Magno inoltre, grazie all'apertura di Teodolinda, riuscì a convertire tutta la corte longobarda, attenuando non solo il contrasto, ma anche l'avversione degli Ascolani verso il popolo barbaro. Successivamente Ascoli passò nelle mani del Ducato di Spoleto per oltre due secoli, pur senza seguirne sempre i destini e le volontà. Nel 774, il duca di Spoleto, Ildeprando, si assoggettò alla Chiesa. In segno di riconoscenza per tale gesto, papa Adriano reintegrò il duca nella sua carica alla condizione che si mettesse alle dipendenze di Carlo Magno, così poco a poco i duchi di Spoleto, divennero nient'altro che semplici funzionari della dinastia carolingia. Nel 789 il franco Guinigiso segnò la fine della dominazione longobarda e della sua influenza sulla città di Ascoli, che divenne, così, capoluogo di contea del Sacro Romano Impero, alle dipendenze di Carlo Magno. La città passò, in seguito nelle mani di vari vescovi-conti, il più importante dei quali fu Emmone. Egli riordinò Ascoli, e consapevole del duplice potere temporale e spirituale della sua carica, con saggia condotta fece di tutto perché le due funzioni rimassero separate, dando ai chierici certe mansioni ed ai laici altre a loro più consone. Le discordie interne vennero alimentate da un privilegio concesso da Urbano II nel 1091, che consentì al Capitolo ascolano il diritto di eleggere il proprio vescovo-conte, da ratificare poi con nomina papale. Ciò aumentò il potere ed il prestigio degli ecclesiastici, per questo motivo i laici preteso un'autorità che facesse da contraltare per un recupero di potere. Si costituì così una nutrita schiera di partigiani della corona imperiale, capeggiati da Argillano, il quale fomentò il malcontento dei concittadini fino a spingerli alla guerra civile. Le opposte fazioni si schierarono e la situazione precipitò in un bagno di sangue. Per risanare lo stato di anarchia e rovina, il vescovo-conte Stefano invitò i cittadini ad andare in Terra Santa per la liberazione del Santo Sepolcro . Così un gruppo di 1.400 uomini capeggiati dal condottiero Argillano, partì per Gerusalemme. Dopo la breve parentesi orientale, le lotte tra partigiani dell'Impero e del papa ripresero più violente che mai, pur con temporanei armistizi. Solo il vescovo Presbitero riuscì a sedare gli scontri, grazie all'aiuto dell'imperatore guelfo Lotario. La successione al trono del ghibellino Corrado III complicò la situazione, ma, ancora una volta, Presbitero fu in grado di dominare le parti contendenti, recandosi in Germania. L'imperatore lo nominò allora principe. Con il 1183, anno della morte del vescovo Gisone, Ascoli ebbe il suo primo podestà e la costituzione di un governo municipale come altre città italiane. Ebbe termine, così, il duplice potere, religioso e laico, dei vescovi-conti e si instaurò il regime comunale. Con l'assedio di Federico II, per ricondurre la città all'obbedienza dell'imperatore, Ascoli venne saccheggiata, tutto fu messo a fuoco e fiamme per più giorni, molte torri furono distrutte, i consoli vennero incatenati ed imprigionati, il vescovo bandito e il dinasta guelfo ucciso nell'eccidio. La vecchia contea fu trasformata in un forte stato comunale, legato alle sorti dell'imperatore. Questi, ben conscio che la posizione della città gli avrebbe offerto la possibilità di rapide incursioni strategiche verso qualunque obiettivo, le concesse il diritto di costruire il suo porto fortificato alle foci del Tronto, l'antico Castrum Truentinum, oggi insabbiato e distrutto dal tempo. Tale privilegio, accese il conflitto con la città di Fermo, il cui porto era stato costruito per concessione di Ottone IV. Scoppiarono, così, lunghe e funeste guerre tra le due città che durarono, con alterne vicende, fino alla prima metà del XVI sec. Con l'inizio del XIV sec. la città conobbe un buon ventennio di pace, interrotto nel 1323, quando i suoi abitanti, invasero tutto il territorio fermano, commettendo orribili saccheggi e azioni criminali. Nel 1348, gli Ascolani affidarono il comando delle proprie truppe a Galeotto Malatesta, signore di Rimini, il quale, malgrado qualche scacco iniziale, riuscì a battere i Fermani a San Severino. Questa vittoria consentì al Malatesta di arrogarsi i più alti poteri decisionali. Fece rafforzare tutte le rocche della città, spodestò i signori che lo avevano voluto in Ascoli e cercò di usurpare il potere comunale al fine di diventare signore assoluto. Galeotto venne messo in fuga e la città preservò la repubblica, sino all'arrivo di un altro signore, Francesco Sforza. Questi, eletto dal Pontefice Vicario della Marca, fissò la sua sede ad Ascoli e, per paura di congiure, la riempì di patiboli. La città instaurò buoni rapporti commerciali e politici con Venezia, Firenze, Roma, Genova, Napoli. Visse in pieno il rinnovamento culturale, umanistico e rinascimentale del tempo e numerose furono le opere urbanistiche realizzate in questi due secoli. Grazie ai Guelfi gli Ascolani riuscirono a liberarsi degli Sforza, e nel 1482 riottenero l'ordinamento repubblicano, seppur rimanendo sotto la sovranità pontificia. Una famiglia, quella dei Guiderocchi, venne sempre più acquisendo un potere dispotico sulla repubblica, finché un'insurrezione del popolo la costrinse all'esilio. Ai Guiderocchi seguirono i Malaspina, sotto i quali la città visse ancora un brutto periodo. Fu così che Paolo III decise di inviare ad Ascoli il commissario Angelini, per porre un freno alle guerre intestine. Ma il Cinquecento fu per la città uno dei periodi più tristi e lugubri della sua storia civile. L'elevazione al trono di Sisto V, di Montalto Marche, riportò un po' d'ordine nel governo e nell'amministrazione locale. Papa rude e forte, inviò in città il governatore Landriani che catturò e fece impiccare ottanta briganti. Agli inizi del XVII sec., Ascoli sperimentò una buona pace e divenne capoluogo di un'area esclusivamente agricola, esaurite tutte le spinte industriali, commerciali e politiche dei secoli precedenti. Ma molti nobili ascolani, mal sopportando la lunga pace e preferendo continuare le tradizioni belliche di famiglia, si misero al soldo di Venezia, Austria, Francia e Spagna. La città tuttavia non fu teatro di guerre, e vide solo qualche passaggio di truppe straniere. In seguito alla rivoluzione del 1789, Ascoli subì l'invasione delle truppe straniere come altre città italiane. Scoppiati i moti del 1797 a Roma, il Consiglio generale di Ascoli decretò, il 28 Febbraio 1798, di democratizzare il governo locale, dando parte uguale del potere decisionale ai nobili, ai dotti, ai mercanti, ai contadini ed istituendo la guardia civica. Ma, partito Napoleone dall'Italia, le monarchie europee riuscirono a reprimere le varie repubbliche, sorte qua e là. In Ascoli la sollevazione contro la rivoluzione fu generale ed a rafforzarla si aggiunse l'opera dei briganti. Nel 1808 Napoleone costituitì il Dipartimento del Tronto, riducendo ad unica provincia le città di Fermo, Camerino ed Ascoli. La città divenne così la parte più meridionale del Regno d'Italia, subordinata a Fermo. Caduto Napoleone I, autorità municipali e popolazione accolsero di buon grado la restaurazione del governo pontificio. Questa volta non ci furono né vendette né spargimenti di sangue, ma solo cambiamenti istituzionali: il diritto napoleonico venne sostituito da quello canonico o romano, e la guardia nazionale fu rimpiazzata da quella provinciale. La proclamazione della Repubblica Romana nel 1849 trovò in Ascoli forti simpatie ed adesioni. Furono mandati a Roma per l'Assemblea Costituente delle Città Libere d'Italia i deputati Vecchi e Tranquilli. Garibaldi, nel suo viaggio per Roma, passò da Ascoli e destò grossi entusiasmi tra la popolazione. Caduta Roma, arrivò quale commissario straordinario Felice Orsini, divenuto famoso più tardi per l'attentato a Napoleone III. Ascoli seguì con passione tutti i moti italiani che portarono all'indipendenza e alla libertà, e nel 1860, fatta l'Italia ad Ascoli venne restituita la primitiva dignità di centro del Piceno che il Regno Italico le aveva tolto, divenendo la città capoluogo di una nuova e grande provincia.
ARTE. La città che mantiene pressoché intatta la sua antica immagine nell'intrico di strade lunghe e strette intervallate da piazze caratteristiche, vanta importanti testimonianze monumentali risalenti in particolare all'età romana e a quella medioevale. Il ponte di Solestà, al termine della suggestiva via omonima, varca il Tronto con un solo arco ed appartiene al primo periodo imperiale. Fanno da cornice a piazza del Popolo, una delle più belle piazze rinascimentali d'Italia, la chiesa di San Francesco, in stile gotico (XIII sec., portata a termine tra il XV e il XVI), una serie di abitazioni dell'inizio del Cinquecento, caratterizzate da un porticato continuo e coronamento a merli e il Palazzo del Popolo, di origine duecentesca ma modificato a partire dal 1520 da Cola dell'Amatrice e successivamente più volte rimaneggiato. Sede del Comune dal 1400 al 1564, l'edificio, con torre originaria e massiccio portale del 1549, ha un cortile rinascimentale a portico e logge. Tra le costruzioni romaniche degna di nota è S. Maria inter Vineas, una chiesa del secolo XIII, in parte ricostruita nel 1954. Nell'interno sono affreschi dei secoli XIII-XIV; in controfacciata è un monumento funebre del 1482, che nella volta ha figure forse di Pietro Alemanno, autore dell'Annunziata dipinta sullo stipite a destra dell'ingresso, il portale è in stile gotico. Meritevoli di attenzione sono anche la chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, dell'XI sec. terminata nel '300 (la facciata incompiuta scompartita in riquadri è stata realizzata sulla base di uno schema architettonico tipico dell'Italia centrale) con cripta paleocristiana affrescata; la Casa Longobarda (XII sec.) affiancata dalla cosiddetta Torre Ercolani, esempio interessante di casa-torre medioevale; la chiesa di S. Pietro Martire (1332) con complesso absidale poligonale e spunti già gotici. Da visitare è anche il Duomo, dedicato a S. Emidio, martire cristiano e patrono della città, le cui reliquie sono custodite in un sarcofago romano nella cripta. Ricostruito alla fine del XV secolo su preesistenze alto-medioevali, con cinquecentesca facciata incompiuta, custodisce nell'interno, un grande polittico di Carlo Crivelli, raffigurante Madonna e Santi, firmato e datato 1473, considerato una delle sue opere più significative. Vicino al Duomo sorge il Battistero (XII sec.) a pianta ottagonale e loggia cieca nella parte superiore.
La Pinacoteca, nata nel 1861 con la soppressione di ordini religiosi e arricchita in seguito con donazioni e acquisti, ha sede nel Palazzo comunale, nato dall'unione di due edifici medioevali, tra le varie opere, capolavori del Crivelli, di Cola dell'Amatrice, di Tiziano, B. Bellotto, G. Reni, oltre allo splendido Piviale ricamato di Nicolò IV (1280 circa). Un altro edificio di notevole interesse è il Palazzo Malaspina, costruzione del XVI sec. ottenuta con la fusione di edifici trecenteschi, e caratterizzata da un originale loggiato sulla facciata, sostenuto da fusti che imitano tronchi d'albero. Le sale al piano superiore ospitano la Galleria d'Arte contemporanea con opere rappresentative di correnti artistiche del '900 e una sezione dedicata ai lavori grafici di artisti italiani contemporanei. Alcune delle principali arterie della città antica, sono fiancheggiate da case medioevali e rinascimentali. La Torre Ercolani (secolo XI-XII), è la meglio conservata delle numerose torri gentilizie di Ascoli; a questa si appoggia il coevo palazzetto Longobardo. Degna di nota è anche la romana Porta Gemina (I secolo a.C.), per la quale entrava in città la Via Salaria; accanto alla porta è ancora visibile un tratto della cinta urbana risalente al III-II secolo a.C. La chiesa di S. Maria delle Grazie, le cui attuali forme sono dovute a un rifacimento del 1780, è conosciuta come santuario del SS. Crocifisso per un venerato Crocifisso ligneo della seconda metà del '500 custodito all'interno.
LA PROVINCIA. La provincia di Ascoli Piceno (369.371 ab.; 2.087 kmq) occupa il territorio a Sud della regione, dai Monti Sibillini al mare Adriatico. Risorsa principale è l'agricoltura (cereali, ortaggi, viti, olive, frutta). Lungo la costa è diffusa la pesca. Caratteristica è la produzione artigianale di trecce e di cappelli di paglia.
Fra i centri principali ricordiamo Acquasanta Terme, Fermo, Grottammare, Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto.
Piazza del Popolo e la cattedrale ad Ascoli Piceno

Ascoli Piceno: S. Emidio alle Grotte


Fermo

(35.502 ab.). Città a 321 m s/m., tra le valli del Tenna e dell'Ete Vivo, a 6 km dal mare Adriatico. Economia essenzialmente agricola (cereali, ortaggi, frutta) con allevamento del bestiame e piccole industrie alimentari, delle macchine agricole e una fonderia di campane.
È la Firmum Picenum dei Romani. I Longobardi la unirono al ducato di Spoleto. Fu feudo degli Estensi, poi dei Visconti ed entrò a far parte dei territori della Chiesa nel XV sec.
La città vanta alcuni importanti monumenti: il Duomo del V-XII sec., sorto nell'area di una basilica paleocristiana, che dell'architettura originaria (1277) conserva l'asimmetrica facciata romanico-gotica, opera di maestri comaschi: rivestita in pietra d'Istria, è aperta da un portale decorato da rilievi e sormontato da una guglia con una statua bronzea (Assunta e angeli) del 1758. L'interno è stato ricostruito nel '700, ma custodisce preziose opere più antiche, tra le quali, un'icona greco-bizantina dell'undicesimo secolo e resti di un mosaico pavimentale della chiesa paleocristiana risalente al V secolo. Anche nella cripta duecentesca è presente un reperto del V o VI secolo: si tratta di un sarcofago che forma l'altare e nei sotterranei della chiesa sono stati riportati in luce resti delle costruzioni di età paleocristiana e altomedievale. Centro dell'abitato fin dal primo insediamento romano, piazza del Popolo è il 'salotto' della città, circondata da edifici a portici, eretti nel 1569. Degni di nota sono anche la chiesa romanico-ogivale di San Francesco, costruita ai margini del centro urbano, a ridosso delle mura, i fianchi caratterizzati da robusti pilastri e l'altissima abside poligonale sono in stile gotico (XIII-XV secolo), mentre la semplice facciata risale al '700 (nell'interno, resti di affreschi di scuola marchigiana del XV secolo); il Palazzo degli Studi con biblioteca (fondata nel 1866), pinacoteca e museo, costruito tra il XVI e il XVII secolo (l'edificio ha sopra il portale a balconata un tabernacolo con statua dell'Assunta, 1587; fino al 1862 è stato sede dello Studio generale; di particolare rilievo la Sala del Globo terracqueo, nella quale è custodito un grande mappamondo del XVIII secolo); il Palazzo dei Priori (una statua di Sisto V, vescovo di Fermo dal 1571 al 1577, opera del 1590, è posta sul portico d'ingresso. Le sale interne ospitano la Pinacoteca civica che annoverano pregevoli dipinti soprattutto di scuola veneta e marchigiana); i resti di un teatro del I sec. d.C.; un vasto complesso sotterraneo di cisterne romane formato da 30 ambienti collegati fra loro, realizzate tra il 40 e il 60 d.C. per raccogliere e depurare l'acqua piovana e sorgiva che alimentava l'acquedotto cittadino; la chiesa di S. Domenico, iniziata nel 1233 ma trasformata nel XVIII-XIX secolo (all'interno merita attenzione il coro ligneo del 1448); il Teatro d'Aquila, eretto nel 1780-90; la chiesa di S. Agostino, originaria della metà del XIII secolo (fu trasformata nel secolo successivo e rinnovata nel 1738; l'interno, settecentesco, presenta affreschi dei secoli XIII-XV; appoggiato al lato destro della chiesa è l'oratorio di S. Monica, costruito nel 1425 e trasformato nel 1623, contiene un ciclo di affreschi gotico cortesi della prima metà del XV secolo).
LA PROVINCIA. Istituita in seguito all'approvazione della legge 11 giugno 2004 n. 147 ed entrata in vigore in data 1° luglio 2004 (anche se diverrà operativa dal 2009), la nuova provincia di Fermo ha una popolazione di circa 170.000 abitanti divisi in 40 comuni.

Macerata

(40.875 ab.). La città di Macerata sorge su un colle a 314 m s/m. È un importante mercato agricolo e zootecnico. Le principali industrie sono molini, pastifici, oleifici, industrie tessili, meccaniche, del legno e dei materiali da costruzione.
STORIA. Macerata venne costruita sulle rovine della città di Helvia Ricina che era stata distrutta dai Visigoti nel 408. Nel XII sec. divenne Comune ghibellino e fu centro delle lotte fra Guelfi e Ghibellini. Con il XV sec. divenne Signoria prima dei Da Varano di Camerino e poi di Francesco Sforza finché non passò allo Stato pontificio (1445). Occupata dalle truppe napoleoniche (1798) fu in seguito annessa al Regno Italico (1808). Il Congresso di Vienna la restituì allo Stato pontificio e nel 1860, dopo un plebiscito, entrò a far parte del Regno d'Italia.
ARTE. Il monumento più rappresentativo di Macerata è lo Sferisterio (1819-29), costruzione neoclassica eretta dall'architetto Ireneo Aleandri per ospitare le gare di pallone a bracciale. Capace di contenere più di 7.000 spettatori, nel passato fu utilizzato anche per giostre e circhi equestri, mentre dagli inizi del '900, grazie all'acustica perfetta è divenuto un importante palcoscenico per concerti e spettacoli. Cuore della città è la suggestiva piazza della Libertà con vari edifici storici tra cui il Palazzo del Comune (secc. XVII-XIX); il Palazzo della Prefettura già residenza dei legati pontifici, con un portale (1509) di L. Gavagni e tracce di archi appartenuti ad una preesistente costruzione; la Loggia dei Mercanti, attribuita a Giuliano da Majano e risalente al 1504-05; il Teatro "Lauro Rossi", costruito nel 1767 su disegni di Antonio Bibiena; la Torre Maggiore (1558) alta 61 m di G. Alghisi. Entro la cerchia di mura che delimita il nucleo antico di Macerata si trovano inoltre il Duomo, iniziato nel XV secolo ma rifatto nel 1771-90 su progetti di Cosimo Morelli, ha facciata incompiuta e un campanile risalente al 1478 (nel vasto interno, tele dei secoli XVII-XVII); la basilica della Misericordia, rifacimento vanvitelliano (1736-42) di un primitivo Tempietto del 1447, ancora ampliato nella seconda metà ; l'architettura dell'armonioso interno, ricco di stucchi, marmi pregiati, sbalzi, intagli, dipinti e lavori in ferro battuto, è dovuta a Luigi Vanvitelli (nel presbiterio sono due grandi tele settecentesche di Sebastiano Conca e una ricca iconostasi protegge la venerata immagine della Madonna della Misericordia, risalente alla fine del XV sec.). Degni di nota sono anche la chiesa di S. Maria della Porta, costruzione romanico-gotica, caratterizzata da un ricco portale della fine del XIII sec., e alcuni eleganti palazzi rinascimentali quali il Palazzo Mozzi-Ferri, con paramento murario a punte di diamante, e per questo motivo detto dei Diamanti, e il Palazzo Rotelli-Lazzarini.
L'ex collegio dei Gesuiti, vasto complesso seicentesco, con facciata del 1854, ospita i Musei civici e la Biblioteca comunale. La Pinacoteca Civica è articolata in due sezioni con opere d'arte antica e moderna. La prima sezione accoglie dipinti di artisti umbro-marchigiani dal XIV al XIX sec., con opere di Giacomo da Recanati, Federico Barocci, Sassoferrato, Simone Cantarini, Carlo Maratta e una delicata Madonna col Bambino (1470) di Carlo Crivelli; la seconda sezione vanta una buona raccolta di arte contemporanea, con dipinti di Enrico Prampolini, Luigi Spazzapan, Bruno Cassinari, Domenico Cantatore, Emilio Vedova e del pittore futurista maceratese Ivo Pannaggi. Il Museo Civico accoglie non solo reperti archeologici da "Helvia Rìcina", ma anche oggetti, fotografie e documenti sulla storia, i costumi e le tradizioni della città; il Museo delle Carrozze colleziona veicoli e portantine di vario tipo ed epoca. La Biblioteca comunale, una delle più ricche della regione, custodisce invece manoscritti, preziosi incunaboli e cinquecentine. è inoltre allestito il Museo regionale del Risorgimento e della Resistenza, che conserva armi, divise militari, cimeli storici, lettere autografe e manoscritti di alcuni protagonisti della storia italiana. Meritevole di attenzione è anche la Galleria d'Arte contemporanea, ospitata all'interno di Palazzo Ricci, cinquecentesco, ma rimaneggiato nel 1772. La Galleria conserva opere di importanti artisti italiani del '900.
LA PROVINCIA. La provincia di Macerata (301.523 ab.; 2.774 kmq) comprende le valli del Potenza e del Chienti, fra gli Appennini ad Ovest e il mare Adriatico ad Est. Principali prodotti dell'agricoltura sono cereali, legumi, canapa, vino, olio. Diffusi sono l'allevamento e la pesca. Sono presenti industrie alimentari, cartarie, delle materie plastiche, delle calzature.
Fra i centri principali ricordiamo Camerino, Cingoli, Civitanova Marche, Corridonia, Matelica, Potenza Picena, Recanati, San Severino Marche, Tolentino.
Panorama di Macerata


Pesaro

(91.086 ab.). La città di Pesaro, capoluogo della provincia di Pesaro e Urbino, si trova sulla costa adriatica ed ha un porto attivo. È un importante centro commerciale e agricolo (frutta e verdura, cereali, uva, foraggi) ed un moderno centro industriale (industrie metalmeccaniche, alimentari, maglifici, cantieri navali). Di antica tradizione è la lavorazione delle maioliche e delle ceramiche. Pesaro è anche un centro di turismo balneare.
STORIA. Pesaro, antichissima città italica, fu abitata da Piceni, Etruschi e Galli. Nel 184 a.C., i Romani fondarono "Pisaurum": la piana, già abitata dai Piceni, al tempo era così insalubre e paludosa, anche a causa dell'abbondanza di argilla poi impiegata nelle manifatture di ceramiche, che in età augustea si dovette operare un secondo invio di coloni. Durante le invasioni barbariche la colonia romana di Julia Felix Pisaurum, costituita da Ottaviano e da Antonio, fu distrutta dai Goti (539). Nel 544 venne ricostruita e annessa all'Impero bizantino sotto cui godette di una certa prosperità economica. Insieme ad Ancona, Fano, Rimini, e Senigallia formò la pentapoli marittima alle dipendenze dell'esarca di Ravenna. Dopo essere stata sottomessa dai Longobardi passò ai Franchi, ma il re Pipino il Breve la cedette alla Chiesa nel 774. All'inizio del XIII sec. fu infeudata dagli Estensi e nel 1259 fu sottoposta al diretto governo di Manfredi. Teatro delle lotte fra Guelfi e Ghibellini durante i secc. XII e XIII, dopo alterne vicende divenne Signoria dei Malatesta, i quali rimasero a capo della città fino a quando questa non ritornò al papato (1445). Il periodo dalla fine del XIV sec. all'inizio del XV sec. fu molto travagliato e vide avvicendarsi a capo della città le famiglie Sforza, Borgia, Della Rovere, Medici, finché Francesco Maria Della Rovere ottenne da papa Adriano VI il diritto di trasmettere l'investitura di Pesaro ai suoi discendenti. Sotto i Della Rovere la città visse il suo periodo di splendore artistico e culturale: furono costruiti nuovi palazzi pubblici e privati, tra i quali la splendida Villa Imperiale, e la caratteristica cinta fortificata pentagonale, e il lavoro di artisti di levatura internazionale diede a Pesaro una dimensione di primo piano. Nel 1631 la città tornata alla Chiesa, seguì le vicende storiche dello Stato pontificio, vivendo una fase di impoverimento culturale ed economico, ed una stagnazione dovuta anche alle strutture antiquate del governo ecclesiastico. Nel 1797 le truppe francesi occuparono non solo Ancona ma anche Pesaro, e depredarono il patrimonio artistico locale, in particolare prelevando le opere dalle numerose chiese. Terminato il periodo napoleonico la città ritornò allo Stato pontificio che restaurò l'amministrazione preesistente e abolì ogni privilegio concesso ai municipi. Pesaro, sia nel 1821 che nel 1831, fu teatro di fermenti patriottici risorgimentali e, dopo la delusione delle aspettative su Pio IX, combattè nelle guerre di Indipendenza al fianco dei Piemontesi finché nel 1860 le truppe del generale Cialdini sconfissero le truppe pontificie a Castelfidardo. La città entrò così a far parte del nuovo regno d'Italia.
Dopo l'Unità Pesaro ha continuato l'esistenza dimessa e provinciale degli anni pontifici. Nei primi anni del Novecento si è liberata a fatica dell'immobilismo, e nel secondo dopoguerra, è riuscita, grazie all'iniziativa degli operatori locali, a trasformarsi in un importante centro economico e turistico-balneare. Negli ultimi tempi è diventata anche un vivace centro culturale con manifestazioni cinematografiche e teatrali di prim'ordine.
ARTE. Tra gli edifici più significativi della città si può ricordare il Palazzo ducale, voluto da Alessandro Sforza nella seconda metà del XV sec. e ristrutturato nel successivo per i Della Rovere da Bartolomeo e Girolamo Genga. Di forme sobrie ed eleganti, presenta la fronte ornata di cinque finestre attribuite a Domenico Rosselli, che indicano il piano nobile, un coronamento merlato e all'interno un bel cortile d'onore a sei arcate su robusti pilastri. Nella stessa piazza del Popolo troviamo il Municipio (con i resti della secentesca chiesa di S. Ubaldo) e il Palazzo della Posta, che conserva sul fianco destro la facciata e il portale di marmo in stile gotico (fine XIV sec.) della distrutta chiesa di S. Domenico (1291). Poco distanti sono i Musei Civici, in Palazzo Toschi-Mosca, (vi si può ammirare la celebre Pala di Pesaro, capolavoro di Giovanni Bellini, 1471-74) con il Museo Archeologico, in cui sono esposti i ritrovamenti etruschi e d'arte ionica; la Cattedrale (i leoni stilofori ai lati del portale documentano la fondazione romanica, mentre la facciata risente già di influssi gotici. All'interno, un pavimento provvisorio nasconde i resti dell'edificio romano su cui venne eretta la chiesa e al quale appartengono i mosaici pavimentali; il Crocifisso di S. Bernardo, cappella a destra della maggiore, è opera di arte veneta di inizio '400.); la poderosa Rocca Costanza (1505), costruita dal Laurana per volere di Costanzo Sforza, che presenta gli elementi tipici dell'architettura militare del '400: un profondo fossato, quattro possenti torrioni cilindrici e un impianto quadrato; la casa natale di G. Rossini (la semplice abitazione in cui il compositore vide la luce nel 1792, è stata trasformata, in suo onore, in un piccolo museo, che conserva non solo cimeli ma anche l'arredamento originario della dimora); il Conservatorio Gioacchino Rossini, che venne eretto grazie al lascito dell'illustre pesarese, fatto al Comune nel 1868 (si dovette aspettare sino al 1882 perché venisse inaugurato, e il 1892 perché si stabilisse nella sede attuale). Al musicista è dedicato anche il poco distante Teatro Rossini, aperto nel 1815, che ogni anno ospita il Rossini Opera Festival (ROF), manifestazione che richiama amanti della musica provenienti da ogni parte del mondo, per ascoltare le melodie dell'illustre artista.
Di particolare interesse è anche il Museo delle Ceramiche, con superbi esempi di pezzi rinascimentali e barocchi di autori spesso illustri, che ben documentano l'attività delle fabbriche di Deruta, Gubbio, Castel Durante, Urbino e Pesaro. Notevoli soprattutto le opere di Nicola Pellipario, vero maestro nel genere di decorazione detto dell'istoriato in cui il disegno o la scena raffigurata ricoprivano l'intera superficie del piatto o della coppa. Il Museo Archeologico Oliveriano (in Palazzo Almerici) si segnala per la ricca esposizione di suppellettili, ceramiche, bronzi, monete, vetri ecc. di origine preistorica, italica, greca, etrusca e romana. Degni di nota sono un'iscrizione bilingue etrusco-latina e le stele della necropoli di Novilara, espressione della cultura picena tra l'VIII e il V secolo a.C.: fitte di decorazioni geometriche e umane, documentano i contatti con la cultura danubiano-balcanica d'oltre Adriatico. I volumi della Biblioteca oliveriana, aperta a fine del '700, sono più di 150.000: molti sono gli incunaboli ed i manoscritti miniati, nonché gli autografi di Torquato Tasso, Giacomo Leopardi e Giosuè Carducci. Meritano una visita: la chiesa di S. Francesco (XIV sec.), conosciuta anche come santuario della Madonna delle Grazie, l'immagine cui è dedicato il complesso è giunta qui solo nel 1922, ma la chiesa vanta una fondazione addirittura duecentesca, la vollero i Malatesta, dedicandola a S. Francesco. Il portale gotico è ornato di rilievi e sculture, la controfacciata e le prime arcate della navata destra conservano tracce di affreschi tre-quattrocenteschi, mentre nell'abside un tempietto marmoreo custodisce la cinquecentesca immagine della Madonna delle Grazie, patrona della città e ritenuta miracolosa; a sinistra dell'altare maggiore racchiude altri affreschi staccati dalle pareti della chiesa e una tela, raffigurante S. Orsola, di Palma il Giovane.; la chiesa di S. Agostino, che ricorda, nonostante le trasformazioni operate nel XVIII sec., la fondazione di inizio '400 nel portale gotico-veneziano, realizzato in pietra d'Istria e ornato da leoni e statue entro nicchie e tabernacoli, l'interno è stato rifatto nel '700, pregevole coro ligneo intarsiato del '400; la chiesa di S. Giovanni Battista, probabilmente Mausoleo dei Della Rovere, iniziata da Girolamo Genga nel 1543 e ultimata dal figlio Bartolomeo; la Villa Castello dell'Imperiale, eretta da Alessandro Sforza nel XV sec.; il Villino Ruggeri (1908) di Giuseppe Brega, raffinato esempio di stile liberty con decorazione a motivi floreali.
LA PROVINCIA. La provincia di Pesaro e Urbino (351.214 ab.; 2.893 kmq) è la più vasta delle Marche e si estende su un territorio prevalentemente montuoso e collinare digradante verso il mare Adriatico. Prodotti dell'agricoltura sono vino, cereali, barbabietole da zucchero, frutta e verdura. Le industrie più importanti sono quelle meccaniche, tessili, dell'abbigliamento, chimiche, del legno, alimentari e delle ceramiche. Il turismo è sviluppato nelle località lungo la costa. Fra i centri principali ricordiamo Cagli, Fano, Fossombrone, Novafeltria, Pergola, Urbania, Urbino
Palazzo ducale in piazza del Popolo a Pesaro

Pesaro: scorcio sul mare


Urbino

(15.270 ab.). Città associata a Pesaro nella provincia; è situata, a 485 m s/m., su due alture, tra le valli del Foglia e del Metauro. Centro commerciale (prodotti ortofrutticoli), culturale (università fondata nel 1506) e turistico. Industrie tessili e delle maioliche; artigianato del legno e del ferro battuto.
STORIA Urbino ha origini antichissime, il ritrovamento di materiale archeologico, frammenti di ceramica dell'Età del Ferro, confermano la presenza di un abitato risalente, probabilmente, al IV sec. a.C. Nel III sec., i Romani sottomisero i Galli senoni e conquistarono tutto il territorio marchigiano. Dopo il 259 a.C., anno della battaglia di Sentino contro i Piceni, la presenza romana si fece massiccia, la città divenne un importante centro, e assurse al rango di "municipium" nel 46 a.C. Durante le invasioni barbariche Urbino subì gli assalti dei Goti, dei Bizantini, dei Longobardi (che la ingrandirono) e dei Franchi. Nell'VIII sec. l'imperatore Carlo Magno la donò alla Chiesa. Dopo un periodo di decadenza, tra l'XI e il XIII sec., la città sperimentò un miglioramento delle condizioni economiche e si sviluppò al di fuori del nucleo romano. Nel 1155 passò sotto la Signoria dei conti di Montefeltro che, conquistarono le terre circostanti. Il potere dei Montefeltro passò di padre in figlio, finchè nel 1443, Oddantonio, ottenne il titolo di Duca. Il suo governo durò solo un anno, poiché Oddantonio fu ucciso, insieme a due suoi ministri, in una congiura, forse a causa del malcontento che serpeggiava nelle città per motivi economici. Scomparso Oddantonio, salì al potere Federico, fratellastro di Oddantonio e principale esponente della casata. Nominato duca nel 1474 da papa Sisto IV, con lui la città raggiunse l'apice della grandezza e dello splendore e il ducato intero assunse una funzione significativa non solo all'interno del Montefeltro, ma occupò una posizione fondamentale anche nell'assetto politico degli Stati italiani, contribuendo a mantenere la pace stabilita a Lodi nel 1454. Federico intrecciò rapporti di alleanza con il re di Napoli, con il pontefice, con la Signoria degli Sforza di Milano e venne nominato capitano generale della Lega italica. Anche fuori dall'Italia era conosciuto ed apprezzato. Con i proventi delle campagne militari, perfezionò l'attrezzatura militare e civile dello Stato ed edificò molti altri edifici religiosi e civili. Inoltre ospitò a palazzo i migliori talenti letterari, artistici e scientifici del 1400. In pochi anni il livello economico dello Stato crebbe notevolmente. Anche dopo la morte di Federico e l'ascesa al potere di Guidobaldo, la situazione continuò a prosperare. Numerosi furono gli artisti e i personaggi storici che soggiornarono alla corte urbinate di Guidobaldo. Attorno agli inizi del '500 venne istituito il Collegio dei Dottori, da cui avrà origine la Libera Università degli Studi. Ma nel 1508 alla morte del conte, rimasto senza eredi, la città passò, per conto di papa Giulio II, nelle mani dei Della Rovere (Francesco Maria Della Rovere era il nipote del papa). Urbino rimase ai nuovi signori fino al 1626. Un fatto negativo per l'avvenire della città si registrò nel 1525 quando, la sede della corte fu trasferita a Pesaro. Ciò determinò l'inizio di un grande declino, poiché Pesaro divenne il nuovo centro economico e politico del ducato. Dopo il 1530 i Della Rovere iniziarono i rapporti con il pittore Tiziano e diventarono i suoi principali committenti. Urbino ottenne così un singolare primato artistico. A Francesco Maria succedette Guidobaldo II, che fu duca per 40 anni, durante i quali la città godette di una certa tranquillità, determinata anche dall'equilibrio della politica europea, e raggiunse una notevole prosperità economica. L'ultimo Duca di Urbino fu Francesco Maria II Della Rovere, cresciuto e formatosi nella corte spagnola. A quei tempi Urbino era diventato un piccolo stato "satellite" sotto l'influenza spagnola da una parte e del pontefice dall'altra. Francesco Maria II non riuscì a ridare importanza alla città e alla sua morte, Urbino passò alla Chiesa, decadendo rapidamente. Urbino venne sottoposta ad una lunga serie di spoliazioni, come ad esempio il trasferimento di arredi e di collezioni pregiate a Firenze, iniziato già da Francesco Maria, e quello della Biblioteca di Federico. Nel 1700 con l'elezione di Giovanni Francesco Albani, che divenne papa Clemente XI, la città iniziò a risollevarsi. Negli anni di pontificato (1700-1721) vennero realizzati interventi alle chiese di San Francesco e San Domenico, restaurati numerosi edifici e fu eretto il Palazzo del Collegio. Anche l'economia ricevette nuovi impulsi. La situazione fu florida fino al 1786, quando papa Pio VI accettò l'armistizio con Napoleone. Nel 1797 Urbino venne occupata dai Francesi: le truppe napoleoniche soppressero conventi, chiese, istituti religiosi e operarono un nuovo depauperamento del patrimonio artistico locale, distruggendo alcune opere e portandone altre in città come Milano. I cittadini urbinati riuscirono però a liberarsi presto del giogo francese e l'anno seguente la città entrò a far parte della Repubblica Romana. Nel 1808 Urbino fu annessa al Regno italico per ordine di Napoleone. Papa Leone XII, salito al soglio pontificio nel 1824, riformò la pubblica istruzione, compresa quella dell'università. In quegli anni, l'ambiente accademico brulicava di professori animati da ideali di libertà e indipendenza, impegnati a fare proseliti fra gli studenti. Inoltre numerose erano le società segrete del territorio urbinate e infatti nel 1831 la città partecipò ad un'insurrezione, il cui scopo era quello di formare un primo nucleo di repubblica italiana. La rivolta fu soffocata dalle truppe austriache e alla fine di marzo il controllo tornò nella mani del papa. Nel 1860 Urbino, dopo essere stata occupata dalla truppe del generale Cialdini per due mesi, fu annessa all'Italia e nel 1861 fu incorporata alla provincia di Pesaro. Durante la seconda guerra mondiale, la città fu occupata dai tedeschi nel 1944, che minarono le mura, fortunatamente senza gravi conseguenze, finché il 28 agosto dello stesso anno non è stata liberata dalle truppe anglo-americane.
ARTE. La città conserva quasi intatta la sua struttura urbanistica rinascimentale, con le strade principali ripide ma larghe, e la cinta muraria del 1507, fatta innalzare dai Montefeltro, che conferisce a Urbino la caratteristica forma a fuso (le mura videro l'applicazione di modelli architettonici piuttosto all'avanguardia). La città annovera numerose pregevolissime opere d'arte, tra le quali il monumento più celebre è il Palazzo ducale, ora sede della Galleria Nazionale delle Marche. Meritevole di attenzione è anche il Museo Archeologico Urbinate, dove sono conservate epigrafi sepolcrali e dedicatorie e urne decorate sia pagane che cristiane; notevoli risultano un rilievo rappresentante Ulisse e le sirene del I sec. ed una lastra del marmoranus Eutropus (inizi IV sec.).
Degni di interesse sono anche le chiese gotiche di San Domenico e di San Francesco, oggi sconsacrate. Della prima è rimasto poco o nulla della struttura gotica, uniche tracce superstiti, all'esterno, sono il grande rosone occluso e le finestre gotiche absidali trilobate; della decorazione interna, invece sono stati recuperati due cicli pittorici che originariamente ornavano le cappelle absidali e che erano stati nascosti dai rifacimenti settecenteschi, essi sono ora conservati, parte nel Museo Diocesano Albani e parte nella Galleria Nazionale delle Marche; la facciata della chiesa è invece caratterizzata da un elegante portale, opera del fiorentino Maso di Bartolomeo (1449-54), ornato da una lunetta in terracotta dove si staglia, su sfondo azzurro, una Madonna col Bambino e Santi, eseguita nel 1451 da Luca della Robbia, ora in copia poiché l'originale è esposta nel Palazzo ducale, per motivi di conservazione. L'ex chiesa di San Francesco edificata nel XIV secolo, in stile romanico-gotico, era inizialmente strutturata con due navate. Nel corso del XVIII secolo venne effettuata una ristrutturazione sulla base di un disegno anonimo. Dell'antica architettura rimangono testimonianze nel campanile e nella cappella di sinistra. L'interno della chiesa è a tre navate, con pianta a croce latina; la Cappella del Sacramento, a destra del presbiterio, conserva un ricco arco marmoreo del 1516-27, appartenente a una cappella ducale, fatta erigere da Francesco Maria I della Rovere tra il 1511 e il 1516 e quindi precedente le ristrutturazioni settecentesche (l'opera più importante che vi si conserva è la pala d'altare raffigurante il Perdono di S. Francesco dipinta da Federico Barocci nel 1576-81). Il campanile di fronte alla chiesa, che termina in una slanciata guglia in laterizio, fu completato nel XV sec. Da visitare sono anche la casa natale di Raffaello, (la stanza del pittore è riconoscibile dall'affresco con la Madonna e il Bambino, sua opera giovanile), che conserva incisioni e riproduzioni dei suoi capolavori, oltre ad alcuni dipinti di altri artisti, ed è sede dell'Accademia di Raffaello; il Duomo (XVIII sec.). Questo edificio presenta una facciata dalle linee e forme neoclassiche, risultato del lavoro svolto dall'architetto francese Joseph Valadier tra il 1789 e il 1801. Nei secoli precedenti, tuttavia, il Duomo ebbe altre forme. Quando era ancora in vita il Duca Federico da Montefeltro, fu Francesco di Giorgio Martini ad incaricarsi di disegnare la struttura di culto. I lavori per la realizzazione del progetto terminarono nel 1604, quando venne eretta la cupola progettata da Muzio Oddi. Nel 1781 una forte scossa di terremoto danneggiò la cupola e la facciata che era allora incompleta, in seguito furono eseguiti interventi di restauro che conferirono alla struttura l'impronta artistica dell'epoca. Nell'interno, a tre navate, le opere più interessanti sono nelle cappelle ai lati della maggiore e nell'abside. Scampata al terremoto è la Cappella del Sacramento a sinistra della maggiore, dove si può ammirare l'Ultima cena di Federico Barocci.
Urbino: il duomo

Luoghi di interesse

Palazzo ducale
Il Palazzo ducale fu commissionato dal duca Federico di Montefeltro. Tale Palazzo avrebbe dovuto testimoniare nel tempo l’importanza, la forza e la magnificenza raggiunta dal ducato nel XV sec. L’edificio fu certamente una dimora grandiosa e signorile, complessa e maestosa nell' architettura, ma equilibrata e sobria, tanto da poter essere definito "Il Palazzo più bello d'Italia". Durante la prima fase della costruzione i lavori vennero affidati all’architetto Maso di Bartolomeo (circa a metà del ‘400) che si preoccupò soprattutto della sistemazione degli edifici già esistenti sul posto: in particolare raccordò ed inglobò nella nuova costruzione il vecchio Palazzo della Jole. Dopo alcuni anni venne chiamato ad Urbino Luciano Laurana con il compito di realizzare un ulteriore ingrandimento della residenza ducale. Egli creò infatti i corpi di raccordo con il vecchio “Castellare” (costruzione medioevale posta nella parte occidentale dell’edificio), realizzò il Cortile d’onore, lo Scalone, parte degli ambienti interni e soprattutto la “facciata dei Torricini”. Nel 1472 il Laurana lasciò Urbino e venne sostituito da un altro famoso architetto rinascimentale: Francesco di Giorgio Martini il cui genio lasciò nella città un’impronta decisiva. Egli completò l’opera del suo predecessore rispettandone sostanzialmente l’impostazione. Realizzò la parte decorativa della facciata e si dedicò alla completa sistemazione ed al raccordo degli edifici preesistenti (come il Castellare) con il nuovo nucleo. Completò e trasformò diversi ambienti interni con interventi validi e significativi. Nello stesso tempo molti altri artisti si occuparono della parte decorativa, sicuramente chiamati e sollecitati dal Duca. Nel 1482, alla morte di Federico, la grandiosa costruzione venne interrotta (fondamentalmente i lavori erano da considerarsi conclusi). Fu l’architetto Girolamo Genga a costruire la parte superiore del palazzo (il secondo piano) nella prima metà del XVI secolo. In seguito, dopo la successione della famiglia dei Della Rovere a quella dei Montefeltro e con il successivo passaggio della città di Urbino allo Stato pontificio, il Palazzo ducale perse la sua rilevante importanza politica e purtroppo i suoi tesori d’arte. Fu solo dopo l’annessione della città al Regno d’Italia che questa residenza, ormai in stato d’abbandono, cominciò ad essere rivalutata tanto da essere destinata a diventare, nei primi anni del ‘900, sede della Galleria Nazionale delle Marche. Due sono le facciate: quella dei Torricini nella parte occidentale e quella cosiddetta ad ali nella parte orientale. Quest’ultima, con l’ingresso al palazzo, si affaccia sulla piazza Duca Federico presentando eleganti portali rinascimentali di fine fattura e otto belle finestre realizzate da Ambrogio Barocci; nella parte bassa corre un rivestimento in travertino, il resto dell’edificio è in laterizio. In contrasto con il movimento della contigua facciata ad ali è l'andamento rettilineo e monotono della lunga facciata verso piazza Rinascimento: questo settore, che include l’antico edificio della Jole raccordato al resto della costruzione dal primo architetto Maso di Bartolomeo, presenta delle semplici, eleganti bifore realizzate dall’architetto sopra citato. La facciata dei Torricini, dovuta al genio insuperabile del Laurana, è uno splendido esempio di architettura rinascimentale sia per l’impostazione spaziale dell’insieme sia per l’ariosità e l’eleganza delle logge sovrapposte, sia per l’equilibrio compositivo delle parti. Le due alte e slanciate torri avanzate rispetto al corpo del palazzo, hanno la funzione di raccordare e contenere la struttura stessa dell’edificio che da questo lato deve superare un forte dislivello in quanto poggia sulle ripidi pendici del colle. Al tempo stesso i Torricini, per la loro agilità ed anche per la loro particolare impostazione (sono torri cilindriche terminanti in due guglie) conferiscono all’insieme qualcosa di fiabesco che in qualche modo riconduce questa signorile dimora all’immagine di un castello. Dalla facciata dei Torricini salendo per una rampa contraddistinta da alti contrafforti e quindi, attraverso la viuzza denominata il giro dei Torricini che si incunea tra il fianco del palazzo ed il Duomo, si perviene di nuovo alla piazza Duca Federico. Da qui, attraverso il portale d’ingresso si entra nel Cortile d’onore, una stupenda realizzazione del Laurana, uno spazio armonioso, equilibrato, raffinato; la compostezza dell’insieme determinata da un preciso concatenarsi di rapporti geometrici, il ritmo esatto degli archi, delle colonne, del succedersi delle finestre, la calibrata policromia (alternarsi del mattone e del marmo), il senso di elegante leggerezza ed al tempo stesso di severa concatenazione delle linee architettoniche danno la misura di un linguaggio classico tra i più significativi prodotti dall’arte rinascimentale. Il cortile consta di uno spazio quadrangolare intorno a cui si apre un porticato con archi a tutto sesto. Al di sopra di essi vi è un’iscrizione che elogia le imprese del duca di Montefeltro, una trabeazione, quindi un ordine di finestre intervallate da lesene ed infine un’altra iscrizione ed un’altra trabeazione. Dal Cortile d’onore si accede al piano nobile del palazzo tramite uno Scalone progettato dal Laurana. Anche quest’opera architettonica è degna di particolare attenzione per l’equilibrio e l’eleganza dell’impostazione: è costituito da 3 rampe di bassi gradini, al termine della prima si osserva lo stemma del duca Federico, al secondo pianerottolo la statua dello stesso (opera di G. Campagna, XVII sec.). Dopo la terza rampa si trova la cosiddetta “porta della guerra” che, adornata con raffinati fregi e tarsie disegnate da F. di Giorgio Martini, dà accesso alla Sala della Jole. Si è così giunti alle Soprallogge che girano intorno al Cortile d’onore: è qui che ha sede la Galleria Nazionale delle Marche distribuita nelle stanze che un tempo ospitarono la corte dei Montefeltro. Essa è una delle raccolte d’arte più significative in Italia sia per ricchezza che per qualità delle opere ivi custodite. Venne istituita nel 1912 e successivamente più volte arricchita e riorganizzata.
Urbino: il palazzo ducale

Le rocche di Gradara e San Leo
La fascia collinare confinante fra l'Emilia Romagna e le Marche è caratterizzata da borghi arroccati sulle sommità dei colli: tra questi Bertinoro, Polenta e San Leo. Sono centri ricchi di storia medievale e rinascimentale e costituiscono interessanti luoghi d'attrazione turistici e culturali. A ridosso di questa zona, ma già in territorio marchigiano, è la rocca di Gradara, in cima alla cittadella omonima. Il vecchio nucleo abitato è all'interno della cinta fortificata: lungo le mura, intatte, si trovano torri e porte percorribili per il cammino di ronda. Oltre l'ingresso principale al Castello, detto Porta dell'Orologio, si incontrano le prime strutture della rocca ed un ampio portone immette nella corte centrale. La rocca ha forma di quadrilatero con torri angolari. La costruzione attuale fu iniziata nel 1200 ed ampliata successivamente ad opera di Malatesta da Verrucchio. È appartenuta ai Malatesta, agli Sforza e ai Della Rovere, e dopo il 1631 passò in mano alla Chiesa. All'interno possono essere visitate l'armeria, la camera di tortura, la cappella. Vistosi sono i mobili del '400-'500, pregevoli le camere affrescate da diversi artisti, alcune di argomento religioso, altre rappresentanti personaggi malatestiani. Di grande interesse sul piano artistico è la terracotta invetriata che si trova nella cappella, opera di Andrea della Robbia. È nella rocca di Gradara che la tradizione vuole abbiano trovato la morte Paolo e Francesca, ricordati da Dante nella Divina Commedia (V canto dell'Inferno). La rocca è stata mantenuta in perfetto stato di conservazione e rappresenta un esempio tipico di maniero del periodo medioevale. A Sud di Rimini, percorrendo la strada che da Sant'Arcangelo si inoltra nella valle del Marecchia, si giunge alla cittadina di San Leo (m 590), dominata dal Forte (m 639), arroccato su uno sperone roccioso con pareti a strapiombo, cui in passato si accedeva attraverso due ponti levatoi. Base della grandiosa rocca sono argille e arenarie molto friabili che, nel corso dei secoli, sono divenute precarie. San Leo, forse proprio per l'aspra natura che ne fa una naturale roccaforte, fu abitata da tempi immemorabili. Si pensa che siano stati gli Umbro-Sabelli i primi popoli a stanziarsi in questa zona, sostituiti poi dai Romani che qui costruirono un tempio dedicato a Giove Feretrio (a cui si offrivano le armi conquistate in battaglia): da qui il nome di Monte Feretrio e la denominazione poi in Montefeltro a questa regione. Seicento anni dopo vi furono anche insediamenti di profughi dalmati che sfuggivano alle persecuzioni di Diocleziano, e il nome del borgo deriva infatti dal santo dalmata, compagno di S. Marino, che nel IV sec., così vuole la leggenda, avrebbe evangelizzato la zona, diventando il primo vescovo. Di qui passarono anche i Longobardi, i Franchi, i governatori pontifici. San Leo nel 962, fu dichiarata capitale del Regno d'Italia creato da Berengario II. Di qui passò poi il Barbarossa che donò la zona al conte Antonio di Carpegna, il quale assunse poi il ducato di Montefeltro. Il borgo andò poi ai Della Rovere e in seguito allo Stato della Chiesa (dopo il 1631). Numerosi sono i luoghi da visitare: piazza Dante, in cui parlò il celebre poeta, Palazzo Nardini (nel quale è conservata la stanza dove fu ospite S. Francesco), il Belvedere da cui si domina una vista eccezionale sulla Romagna e sulle Marche, Palazzo mediceo commissionato dai Della Rovere ma riedificato dai Medici, la Pieve (chiesa di pietra, eretta nel X sec.), il Duomo (iniziato nel 1173 e ultimato nel '200, tutto in pietra arenaria, l'interno è solenne), ma la visita più suggestiva è sicuramente al Forte. La rocca di San Leo, edificata su una precedente costruzione romana, rimaneggiata poi dai Longobardi, venne rifatta completamente alla fine del 400 da Giorgio Martini, su incarico di Federico da Montefeltro. L'edificio era in origine a pianta quadrangolare, ma alcune frane hanno ridotto la planimetria ad un triangolo. Per un lungo periodo venne utilizzata come prigione di Stato e qui, dopo una lunga detenzione, trovò la morte nel 1795 Giuseppe Balsamo, più noto come il conte di Cagliostro, medico alchimista e veggente del sec. XVIII. All'interno della fortezza sono ospitati un museo, una pinacoteca e una Galleria d'Arte contemporanea, gremiti di dipinti di ogni periodo, di mobili antichi di armi quattro-ottocentesche, di ferri battuti e ottoni e di ceramiche dal III sec. a.C. all'800; abbondante la documentazione sul Risorgimento.


PICCOLO LESSICO

Bostrengo

Prodotto che nasce dalla cultura e dalla tradizione contadina di un territorio quale il Montefeltro, sempre attento alla riproposizione di valori provenienti dal passato. Avveniva infatti nel passato che nelle famiglie patriarcali si doveva confezionare un prodotto "della festa" atto ad addolcire le ore passate assieme, dovendo però fare i conti con le proprie economie, sempre scarse. Il Bostrengo, un prodotto "pulisci-credenza", si è dunque delineato come quello capace di compiere questa funzione.

Cantiere navale

Luogo appositamente attrezzato dove si costruiscono navi. Comprende gli stabilimenti di lavoro, gli scali di costruzione e le officine. Le città che accolgono i maggiori cantieri della regione sono Ancona, Pesaro e Senigallia.

Cartiera

L'industria della fabbricazione della carta si fa risalire comunemente ai Cinesi che la avviarono nel corso del II sec. a.C. Successivamente tale scoperta venne diffusa presso gli Arabi e, attraverso i contatti che questi stabilirono nella Penisola iberica, si spostò presso le popolazioni europee. Le materie prime per la fabbricazione della carta sono le fibre di cellulosa, sali vari (tra cui il carbonato di calcio, di bario e di magnesio) e la colla animale, usata come materiale collante. La prima operazione consiste nell'isolare le fibre di cellulosa dal resto della materia prima. Tali fibre vengono in seguito ridotte ad una poltiglia che, dopo essere stata opportunamente asciugata, viene stesa su un graticcio dove costituisce il foglio. In Italia quando parliamo di carta non possiamo non pensare alla città di Fabriano, qui infatti, già nel XIII secolo, maestri cartai misero a punto tecniche fondamentali per la sua lavorazione. Industrie cartarie sono presenti anche nella zona di Ancona, Ascoli Piceno, di Macerata, Iesi e Senigallia.

Ciarimbolo

Prodotto tipico dell'entroterra anconetano: si tratta di budella di maiale salate, insaporite con finocchio e peperoncino, quindi messe ad affumicare e cotte sulla griglia.

Ciavuscolo

Salume tipico della zona interna delle provincie di Ascoli Piceno, Ancona e Macerata. La sua ricetta tradizionale prevede la preparazione con carni delle parti meno nobili dell'animale, recuperate dalla pancetta, dalla costata e dalla spalla con l'aggiunta del grasso. L'impasto è condito con sale e pepe, aglio e vino cotto. Insaccato in un budello gentile, è simile a una grossa salsiccia ed è lasciato ad affumicare con bacche di ginepro, per alcuni giorni.

Fisarmonica

Strumento musicale del tipo aerofono, ma portatile, costituito da una o due serie di ance libere poste in vibrazione, mediante valvole a tasti, dall'aria emessa da un soffietto azionato dalle braccia del suonatore. Fu inventata nel 1829 da un viennese. Nelle Marche la produzione di fisarmoniche è molto sviluppata, i centri più importanti sono a Castelfidardo, Camerano e in passato Numana (dopo il 1960 la fisarmonica vive una vera e propria crisi, così tutte le fabbriche vengono chiuse).

Necropoli

Presso i Greci indicava i sepolcri sotterranei di Alessandria d'Egitto; il termine si usa ora, in archeologia, per indicare un raggruppamento di sepolture del periodo precristiano. Per l'importanza che il culto dei morti e le credenze nell'oltretomba rivestirono presso gli antichi, l'esplorazione di questi antichi cimiteri ha fornito molte informazioni sulla religione e la vita varie civiltà del passato. Nella regione marchigiana testimonianze di necropoli sono a Novillara, Cupra Marittima, Ripatransone, Pianello di Genga, Offida, Grottammare e ad Acquaviva Picena.

Stoccafisso all'anconetana

Si tratta di un piatto molto diffuso, un vero e proprio simbolo della cucina anconetana. Lo stoccafisso (così chiamato da stik: bastone e fish: pesce), giunto dai mari del Nord, grazie al flusso commerciale tra Ancona e il Mar Baltico, veniva eleborato con semplici aromi e con l'olio saporito tipico di queste parti. Non mancava mai nelle mense marchigiane in occasione delle feste e avvenimenti che scandivano la vita della famiglia contadina, come ad esempio la fine della vendemmia, e ancora oggi questa pietanza conserva la sua struttura originaria.

Tartufo

Tubero, la cui produzine è legata alla natura del terreno, al clima, all'esposizione, alle specie legnose o erbacee con le quali vive. Tutta la zona dell'Appenino pesarese - e in particolare - l'alta valle del Metauro con Sant'Angelo in Vado - è ricca di tartufo bianco pregiato.

Verdicchio

Vino bianco dall'aspetto cristallino e dal gusto intenso, dal tenue colore giallo con evidenti riflessi verdognoli e dal fragrante aroma dell'albicocca, il Verdicchio costituisce oggi, l'80% della produzione DOC delle Marche e una delle voci fondamentali nell'economia agricola regionale. Il vitigno Verdicchio iniziò ad essere coltivato nelle Marche con la tecnica proposta per la prima volta dagli Etruschi e poi perfezionata dai Galli senoni ("arbustum gallicum").

PERSONAGGI CELEBRI

Donato d'Angelo Lazzari detto Bramante

Architetto (presso Urbino 1444 - Roma 1514) Tra i più grandi esponenti del Rinascimento, fu un grande innovatore dell'architettura italiana e sostituì al gotico le forme classiche. Lasciata Urbino e trasferitosi nell'Italia settentrionale, affrescò il Palazzo Pubblico di Bergamo; il Bramante fu infatti anche grande pittore. Tra i suoi progetti realizzati a Milano, si annoverano S. Maria presso S. Satiro e l'abside di Santa Maria delle Grazie. Nel 1506 ricevette da papa Giulio II l'incarico della ricostruzione della basilica di San Pietro.

Beniamino Gigli

Tenore (Recanati 1890 - Roma 1957). Studiò a Roma ed esordì a Rovigo nella Gioconda (1914). Il successo arrivò con il debutto alla Scala di Milano (1918), nel Mefistotele, . Fu acclamato in tutto il mondo grazie alla sua splendida voce e ad un fraseggio ricco di abbandoni sentimentali. 61 opere liriche interpretate, 16 film girati tra il 1935 e il 1951, Gigli è ritenuto insieme a Caruso, uno dei più grandi tenori del secolo scorso. Per 12 stagioni consecutive (dal 1920 al 1932) fu addirittura scritturato dal Metropolitan di New York. Suoi cavalli di battaglia furono Lucia, Boheme, Tosca, Marta, Mefistotele, Andrea Chénier e Gioconda.

Giacomo Leopardi

Poeta (Recanati 1798 - Napoli 1837). Figlio del conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici, sino all'età di ventiquattro anni visse nella casa paterna dedicandosi allo studio e cominciando prestissimo a scrivere. Dopo sette anni di studio matto e disperatissimo, fisicamente infermo e con una sensibilità già profonda, esasperata dalla solitudine, iniziò a maturare la sua concezione della vita e della poesia.
Appartengono a questo periodo le sue più belle e famose liriche. Lasciato il natio borgo selvaggio, soggiornò a Milano, Bologna e Firenze. Trascorse gli ultimi anni a Napoli con l'amico Antonio Ranieri, che lo assistette sino alla morte. Oltre ai Canti, i Primi Idilli e i Secondi Idilli, Leopardi scrisse le Operette morali, lo Zibaldone, l'Epistolario. Le sue ultime poesie furono La ginestra e Il tramonto della luna.

Gioacchino Rossini

Compositore (Pesaro 1792 - Parigi 1868). Rappresentò la sua prima opera, La cambiale di matrimonio, nel 1800 al Teatro La Fenice di Venezia. A questa seguirono le più famose: Il barbiere di Siviglia, La gazza ladra, Semiramide e Guglielmo Tell. Dal 1848 si stabilì a Parigi, dove fu nominato direttore del Teatro Italiano.

Raffaello Sanzio

Pittore (Urbino 1483 - Roma 1520). Il suo primo maestro fu il padre, dal quale ricevette un primo indirizzo alla pittura. Fu poi a contatto con il Perugino, con Michelangelo e con Leonardo. Per incarico di papa Giulio II affrescò le stanze Vaticane. Predilesse i soggetti religiosi, soprattutto le immagini della Madonna. Tra le opere più importanti della sua vasta produzione si ricordano: Sposalizio della Vergine, Madonna del cardellino, Madonna Sistina e La Scuola di Atene. Tra gli ultimi quadri: la Visione di Ezechiele e la Trasfigurazione.

CENTRI MINORI

Camerino

(6.858 ab.). Centro agricolo e commerciale dell'Appennino Marchigiano, in provincia di Macerata. L'agricoltura produce frumento, uva, patate, barbabietole, olive e mele; discreto l'allevamento di bovini e di ovini. Vi si trovano industrie alimentari, di materiali da costruzione, enologiche.
Antica città degli Umbri, alleata dei Romani nella guerra Sannitica (309 a.C.), divenne poi municipio romano. Verso il Mille occupò una posizione di predominio fra le città marchigiane e in seguito si affermò come libero Comune (XIII sec.). Nel 1502 venne occupata da Cesare Borgia. Nel 1515 il territorio divenne ducato e fu annesso all'Umbria da Paolo III. A Camerino nacquero i pittori Arcangelo di Cola, Giovanni Boccati e Girolamo di Giovanni, i più illustri tra gli esponenti di quella scuola che nel XV secolo segnò una tappa importante nelle arti figurative dell'Italia centrale. Con bolla papale Benedetto XIII (1727) riconobbe il titolo di Università all'antico Studio trecentesco ivi esistente. Divenne università libera dopo l'annessione della cittadina al Regno d'Italia.
Camerino ospita numerose ed interessanti opere d'arte. Il Duomo, ricostruito da Andrea Vici nel 1802-1832 in sostituzione dell'antica Cattedrale, distrutta dal terremoto del 1799, custodisce una quattrocentesca statua della Madonna della Misericordia, scultura lignea di arte locale; nella cripta è l'arca di S. Ansovino (XIV secolo), vescovo di Camerino nel IX secolo. Il Palazzo arcivescovile, costruito nel 1572-80 forse su disegni del Vignola, ospita al primo piano il Museo Diocesano con affreschi, dipinti, sculture, argenti e arredi sacri provenienti dalle chiese della diocesi; di particolare rilievo la grande tela con Madonna in gloria e S. Filippo, dipinta da G.B. Tiepolo nel 1739-40, e un trittico di Girolamo di Giovanni. Il Palazzo ducale, oggi sede dell'università, con un nucleo originario rimaneggiato alla fine del '300 e ampliato un secolo dopo. All'interno è ospitata la Biblioteca valentiniana, fondata nel 1802, importante per il patrimonio librario e la bellezza di alcune sale. Il cortile a portico, forse dovuto in parte a Baccio Pontelli (XV secolo), permette di accedere a vari ambienti, tra i quali la cosiddetta Sala degli Sposi, con affreschi quattrocenteschi, e alle terrazze panoramiche sulla riva collinare; ai piedi delle alte mura del palazzo è l'Orto botanico dell'Università, istituito nel 1828.
Il convento di S. Domenico eretto alla fine del XIII secolo attorno a una preesistente chiesa, rimase ai Domenicani fino al 1811 e passò, dopo l'occupazione napoleonica, agli Agostiniani, che lo tennero fino al 1860. Iniziò allora il degrado del convento e delle annesse chiese di S. Domenico e di S. Sebastiano (oggi aule polifunzionali), adibiti a caserma, magazzini, scuola e persino a stazione ferroviaria. Un'ala del convento ospita il Museo e Pinacoteca "Girolamo di Giovanni", con reperti archeologici, ceramiche, bronzi, monete, affreschi e dipinti di varie epoche, tra i quali spiccano opere di scuole marchigiane del XV secolo. Tra i pezzi esposti, un mosaico romano del I-II secolo rinvenuto nel centro cittadino e un bassorilievo del XII secolo raffigurante S. Michele arcangelo che sconfigge il drago. Particolarmente interessante il nucleo di opere di Girolamo di Giovanni, con Annunciazione e Deposizione nella lunetta, Madonna in trono e Santi del 1449, il gonfalone di Tedico, firmato e datato 1463. La chiesa di San Venanzio è molto antica, ma è stata ricostruita dopo il terremoto del 1799. Un tempo circondato da portici, l'edificio conserva il trecentesco portale di stile gotico fiorito, scampato ai rimaneggiamenti e alle distruzioni del sisma. All'estremità sud-occidentale del nucleo storico, sorge l'imponente Rocca, voluta nel 1503 da Cesare Borgia a difesa dei versanti occidentali del colle su cui sorgeva la città. Nell'antichità il luogo, esterno alle mura, accoglieva il convento di S. Pietro in Muralto, fondato nel 1480 su un precedente monastero, di cui un'ala è ancora conservata. Anche la Porta Malatesta, rinascimentale per forme ma risalente al Medioevo, è degna di nota.

Civitanova Marche

(38.299 ab.). Centro in provincia di Macerata. Il comune è formato dalla frazione di Portocivitanova (sede comunale) e Civitanova Alta.
Si chiamò Civitanova fino al 1864, poi Civitanova Marche.
Artigianato (caratteristico quello delle sedie impagliate), pesca, turismo, produzione specializzata di ortaggi e frutta, numerose industrie (particolarmente attiva quella calzaturiera). Centro della cittadina è piazza XX Settembre con l'imponente Palazzo comunale, eretto nel 1862 su una preesistente costruzione. La chiesa di S. Marone, romanica per fondazione ma completamente rifatta nel XIX secolo, conserva poco dell'edificio originario. Tracce dell'antico insediamento romano alla foce del Chienti, la cosiddetta "Cluana", sono riemerse tra la chiesa e la ferrovia.

Fabriano

(30.019 ab.). Centro in provincia di Ancona. Mercato agricolo e del bestiame. Industrie della carta di antiche tradizioni (XII sec.) ed industrie meccaniche, petrolifere, della distillazione. Fin dalle origini Fabriano può essere definita 'città industriale', la sua prosperità derivava infatti dalle attività produttive e dai commerci: la lavorazione delle pelli, la lana, il ferro, ma soprattutto la fabbricazione della carta favorirono il precoce sviluppo di un ceto mercantile e artigianale, che già alla fine del XIII secolo aveva raggiunto una posizione di predominio nelle istituzioni comunali. Testimonianza della ricchezza di Fabriano era anche la sua scuola pittorica, di cui restano tracce nelle chiese cittadine e nella Pinacoteca civica. Nel 1435 la Signoria dei Chiavelli, durante la quale la città aveva raggiunto l'apice dello sviluppo economico, tramontò e dopo un breve dominio di Francesco Sforza, Fabriano passò sotto il dominio della Chiesa, iniziando una lunga fase di decadenza. Alla fine del XVIII secolo si registrano i primi segnali di una nuova vitalità, dovuta soprattutto a una ritrovata capacità imprenditoriale nel tradizionale settore della carta, che avrà poi un impulso decisivo nella seconda metà dell'800 con la realizzazione della rete ferroviaria. Oggi Fabriano mostra i segni di un impetuoso sviluppo vissuto negli ultimi 40 anni, che ha provocato la formazione di consistenti aree industrializzate non solo a ridosso dell'antico insediamento, ma lungo tutta la fascia valliva del fiume Giano.
Numerosi gli edifici monumentali, tra questi il Duomo, dedicato a S. Venanzio e ricostruito nella prima metà del '600. Nell'interno si aprono cappelle ornate di stucchi e fregi dorati, contenenti dipinti pregevoli, tra i quali una Crocifissione di Orazio Gentileschi e affreschi di Allegretto Nuzi raffiguranti scene della vita e del martino di S. Lorenzo, realizzati intorno al 1365. Degni di nota sono anche il Palazzo del Podestà in stile gotico; la Fontana Sturinalto (cioè, che "manda l'acqua in alto"), del 1285 ma rimaneggiata intorno alla metà del secolo successivo, simile per le sue vasche concentriche alla Fontana Maggiore di Perugia; il Palazzo comunale, originario del XIV-XV secolo ma ampiamente rinnovato nel 1690; il Teatro Gentile, uno dei più interessanti esempi di teatri ottocenteschi della regione, con grande sipario dipinto da Luigi Serra; la Torre dell'Orologio e il Palazzo vescovile, costruito nel 1545 e sopraelevato nel XVIII secolo; la chiesa di S. Benedetto, un tempo annessa a un complessa monastico ricostruito alla fine del XVI secolo su impianto duecentesco, ha un interno barocco; l'ex chiesa di S. Domenico che conserva della struttura trecentesca il fianco sinistro e il campanile (l'interno, oggi spazio espositivo, è stato rifatto nel '700, ma la Cappella di S. Orsola cui si accede per una porticina nell'abside, conserva resti di affreschi della scuola di Allegretto Nuzi); il Museo della Carta e della Filigrana (allestito nell'ex convento di S. Domenico) che illustra i tradizionali processi di lavorazione della carta, le tecniche per la realizzazione della filigrana e le fasi di sviluppo di quest'arte che ha fatto di Fabriano un centro conosciuto in tutto il mondo; il vasto complesso conventuale di S. Agostino, fin dal 1874 adibito a ospedale, che sorge al limite estremo della cerchia murata (la chiesa, originaria del XIII-XIV secolo ma rifatta dopo la metà del '700, mostra sul fianco un portale trecentesco e, nell'interno, due cappelle gotiche con importanti affreschi del XIII secolo di influenza giottesco-riminese. Nel chiostro è l'ex oratorio dei Beati Becchetti, piccolo ambiente tardo-gotico con un grande affresco rappresentante l'Albero della Vita); l'ex ospedale di S. Maria del Buon Gesù, architettura civile tardo-gotica eretta nel 1456 per riunire tre precedenti nosocomi cittadini, che dal 1994 ospita la Pinacoteca civica "Bruno Molajoli". Fondata nel 1862 e arricchita nel 1912 da arazzi (gli esemplari più pregevoli sono di manifattura fiamminga del '500 e del '600) e dipinti del Capitolo della Cattedrale, la raccolta è importante soprattutto per le opere di scuola fabrianese dei secoli XIV-XV. Nelle prime sale sono esposti frammenti di affreschi da chiese cittadine e preziose sculture lignee del XIV secolo. Numerose le opere di Allegretto Nuzi, che ebbe in città una fiorentissima bottega. Di Gentile da Fabriano, uno dei più alti rappresentanti dello stile gotico cortese, la città non conserva più nulla dopo le spoliazioni effettuate dalle truppe napoleoniche; la Pinacoteca custodisce anche due opere di Antonio da Fabriano, il più notevole artista locale del '400. Numerose sono anche le opere tardo-cinquecentesche eseguite su commissione da artisti non locali, tra i quali spiccano la Natività con S. Francesco d'Assisi di Andrea Boscoli, Vergine del Rosario con i Ss. Domenico e Caterina di Orazio Gentileschi e un Presepe di Simone De Magistris (1570).

Fano

(57.529 ab.). Città in provincia di Pesaro, sull'Adriatico, presso la foce del Metauro, oggi importante stazione balneare.
Giulio Cesare occupò "Fanum" nel 49 avanti Cristo. Nel I secolo Fano era poco più di un borgo, sviluppatosi attorno a un tempio della Fortuna ("Fanum Fortunae", da cui il toponimo) costruito in onore della vittoria contro Asdrubale nel 207 a. C. e posto a cavallo della via Flaminia, che dall'Adriatico portava a Nord-Ovest verso "Ariminum" (Rimini). L'imperatore Augusto trasformò la città in "Colonia Julia Fanestris", e l'abitato acquisì l'impianto ortogonale, che ancora si riconosce nonostante i numerosi rifacimenti del tessuto storico. Degli edifici pubblici romani non è rimasto molto, solo la prima cinta muraria, riutilizzata nel corso dei secoli come struttura difensiva è sfuggita agli incendi e alle devastazioni dei goti. Fano risorse nel Medioevo, quando fu per qualche tempo la città principale della pentapoli marittima. Dopo essere diventato libero Comune alla fine del X secolo, si schierò dalla parte di Federico I Barbarossa e rimase coinvolto nella lotta tra Guelfi e Ghibellini, ma riuscì anche a sviluppare importanti contatti con la fronteggiante costa dalmata. Tra il 1357 e il 1463 i Malatesta furono i signori della città, successivamente Fano passò nelle mani del governo pontificio. Nel 1797 fu invasa dalle truppe francesi e cisalpine, poi ricadde sotto il Pontefice e nel 1860 entrò a far parte del Regno d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale la città ha subito gravissimi danni inferti sia dagli Alleati, che la bombardarono per ben centosessantadue volte, sia da parte delle truppe tedesche in ritirata, che colpirono torri e campanili.
Nonostante ciò la città vanta numerosi monumenti. La Cattedrale di origini antiche (X sec.), fu ricostruita la prima volta nel 1140, e successivamente sperimentò pesanti interventi che hanno modificato l'aspetto della chiesa. Lo stile romanico si riconosce nella facciata, e, negli altorilievi del pulpito; aggiunta del XVII secolo è la Cappella Nolfi (1612), con pareti e volta dipinte da Domenichino, mentre a Ludovico Carracci si deve la Madonna in gloria sull'altare della cappella e a Sebastiano Ceccarini l'Assunta nella cappella maggiore. L'arco romano di Augusto fu dedicato a Cesare Augusto nel 9 d.C., anche se la sua costruzione venne intrapresa, in segno di ringraziamento per la fondazione della città, già nel 2 dopo Cristo. Realizzato in pietra arenaria ma rivestito da una pietra calcarea resistente alle intemperie, ha un impianto classico: i due passaggi laterali, più piccoli, servivano per i pedoni, mentre quello centrale, decorato da una cornice, era riservato al traffico veicolare. Manca l'attico superiore, abbattuto nel 1463 da Federico da Montefeltro nel corso di un assedio. Palazzo Montevecchio è il più monumentale e fastoso tra quelli patrizi di Fano. Eretto a metà '700, presenta il portale collegato al finestrone del primo piano e al balconcino del secondo, e comprende uno scenografico scalone d'Onore, le cui rampe sono intervallate da statue. Piazza XX Settembre, un tempo detta Maggiore, è il centro della vita civile di Fano sin dal Medioevo. La Fontana della Fortuna risale al '500, mentre di due secoli più antico è il Palazzo della Ragione, di cui si intraprese la costruzione nel 1299 e nel quale Luigi Poletti adattò nel 1845-63 il Teatro della Fortuna, dalla splendida sala neoclassica. Degno di nota è anche il Palazzo Malatesta all'interno della Corte malatestiana (uno spazio aperto usato per spettacoli e manifestazioni) dimora dell'omonima famiglia fino al 1463, poi sede del Comune e da inizi '900 Museo Civico e Pinacoteca. L'edificio appartiene a due epoche: il portico è quattrocentesco, la loggia, detta del Sansovino, sostenuta da esili colonne, appartiene al secolo successivo. Il Museo Civico e la Pinacoteca comprendono materiali che dal Neolitico arrivano sino alle soglie del terzo millennio. La sezione archeologica documenta gli insediamenti pre e protostorici attraverso reperti, provenienti per lo più dai dintorni; le tracce della civiltà romana sono costituite da statue (spiccano quella incompleta dell'imperatore Claudio e quella di un giovinetto che alcuni interpretano come il nipote di Augusto), mosaici (notevole quello della pantera) e da un lapidario. Tra i dipinti, un posto di primo piano lo ricoprono un trittico (Madonna che allatta il Bambino tra i Ss. Michele e Paolo) ascritto a Guglielmo Veneziano, l'Angelo custode di Guercino e Davide con la testa di Golia di Domenichino. Vi sono anche realizzazioni dell'800 e del '900; completano le raccolte la collezione di ceramiche del '700.
Si ricordano anche la chiesa seicentesca di S. Pietro ad Vallum, dall'interno barocco reso sontuoso da stucchi, dorature, affreschi e dipinti; la chiesa di S. Maria Nuova, (detta anche S. Salvatore) le cui origini medievali non sono più visibili, poiché venne riedificata una prima volta nel '500 (a tale secolo appartengono il portico e il portale rinascimentale) e una seconda nel '700 (di quest'ultimo intervento sono documento gli stucchi dell'interno, dove si possono ammirare alcune opere del Perugino); le Arche malatestiane, sotto il portico dell'ex chiesa di S. Francesco, di fondazione trecentesca, sono due sepolture monumentali dei Malatesta: la prima, ancora di gusto gotico, appartiene alla prima moglie, Paola Bianca, e, risalente al 1416-21, è opera di Filippo di Domenico, la seconda, nella quale riposa Pandolfo III, è rinascimentale e, datata al 1460, viene attribuita a Leon Battista Alberti; la Rocca malatestiana, la più imponente macchina di difesa dell'abitato, è una piccola fortezza a pianta trapezoidale che Sigismondo Malatesta commissionò a metà '400, circondata da fossato, che è stata a lungo adibita a carcere.

Iesi

(39.224 ab). Città in provincia di Ancona, sul versante sinistro della fertile valle dell'Esino. Mercato agricolo (cereali, vini, oli, tabacco, canapa, lino, ortaggi, frutta). Industria tessile, cartaria, alimentare, meccanica e dei saponi. Se gli umbri fondarono la città "Aesis", furono i Romani a comprendere il valore strategico dell'abitato e della sottostante valle: nel 247 a.C. la resero colonia e fecero passare proprio lungo il fiume dapprima un ramo secondario della Via Flaminia, poi il confine tra le regiones augustee V e VI. Jesi fu adibita a zona di confine anche al tempo della pentapoli annonaria, separando Longobardi e Bizantini. Nel XII sec. l'abitato fu trasformato in comune e fu teatro dell'inaspettata nascita di Federico II. Il '300 e la prima metà del '400 furono drammatici, il centro rimase coinvolto nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini, e nel 1447 ritornò nel mani della Chiesa. Ebbe allora inizio la cosiddetta seconda età comunale, che vide ristrutturazioni di edifici, della cinta muraria e un ampliamento della compagine urbana. L'occupazione napoleonica pose fine allo Stato di Jesi, che era stato sottratto nel 1586 al governatore della Marca e affidato nuovamente a un prelato di nomina pontificia; il successivo ritorno sotto il papa coincise con un progresso nell'agricoltura, cui seguì lo sviluppo di fabbriche e filande nel fondovalle. Fu così che nacque la vocazione industriale di Jesi, rinsaldatasi nel secondo dopoguerra.
La città conserva intatta la cinta muraria, che racchiude tuttora il nucleo originario abitativo ed è un pregevole esempio di sistema difensivo, frutto della ristrutturazione di una fortificazione innalzata nel '300 sui resti di un'analoga struttura romana. Tale intervento fu condotto, nel 1488, da Baccio Pontelli, che realizzò anche una rocca abbattuta pochi decenni dopo. Meritevoli di attenzione sono alcune chiese, tra cui quella gotica di San Marco, eretta dai Benedettini nel XIII secolo ma rifatta, per quanto riguarda la facciata, a metà '800 (nell'interno dove sono meglio apprezzabili le originarie linee gotiche, al termine della navata destra è un affresco di scuola riminese del '300) e il Duomo, fondato nel XIII secolo e rimaneggiato nell'interno, a navata unica con ampia cupola, la sua facciata neoclassica risale alla fine dell'800; il Palazzo della Signoria del XV secolo, noto anche come Palazzo dei Priori, costruito da Francesco di Giorgio Martini nel 1486-98 (la mano dell'architetto toscano è riconoscibile nelle imponenti ed eleganti linee della facciata, che accoglie sopra il portale il leone rampante e coronato simbolo della città; le finestre presentano il tipico disegno a croce guelfa; sede in origine del Comune e da fine '500 dei governatori pontifici, ospita oggi, la Biblioteca comunale, che conta 100.000 pezzi tra volumi, manoscritti e incunaboli, e il Museo Civico: i materiali archeologici risalgono all'antica "Aesis", interessante è anche la collezione di 80 vasi provenienti dall'antica Puglia, prodotti tra il I secolo a.C. e il II d.C.); l'arco del Magistrato, antico accesso al nucleo romano-medievale; il Teatro Pergolesi, eretto nel 1791-96 su progetto di Francesco Maria Ciaffaroni e intitolato all'illustre musicista nativo della città, tutt'oggi uno dei maggiori templi della lirica d'Italia e sede, a ottobre, di una brillante stagione; Palazzo Pianetti, il più significativo degli edifici appartenuti alle ricche famiglie nobili locali, che si insediarono in questa zona tra '600 e '700, progettato agli inizi del XVIII secolo, da un esponente dell'omonima casata, che era stato architetto di Carlo VI d'Asburgo (l'esperienza presso la corte austriaca lo influenzò profondamente). Si ricorda piazza Federico II, ornata da un obelisco-fontana ottocentesco e legata ad una curiosa tradizione: proprio qui, infatti, Costanza d'Altavilla avrebbe dato alla luce, sotto una tenda, l'imperatore svevo.

Loreto

(11.280 ab.). Centro in provincia di Ancona, presso Recanati. Famoso santuario della Madonna sorto intorno alla Santa Casa, ritenuta dai credenti, secondo una tradizione, la casa stessa di Maria Vergine a Nazareth, che nel 1291 sarebbe stata trasportata dagli angeli in Dalmazia e nel 1293 sul colle di Loreto. Nel 1469 Paolo II fece costruire la nuova basilica-fortezza, concedendo l'anno successivo la prima indulgenza plenaria a chi vi fosse recato in pellegrinaggio. L'impresa del nuovo luogo di culto vide all'opera i più grandi architetti del tempo: Baccio Pontelli, Bramante, Andrea Sansovino, Goiliano da Sangallo, Antonio da Sangallo il Giovane ed altri ancora; e richiese anche la costruzione di edifici di servizio per i fedeli (ospedale, negozi, alberghi) e alloggi per chi garantiva in loco i servizi religiosi. Queste strutture si rivelarono insufficienti sotto Gregorio XIII, e così Sisto V decise di far ampliare la cittadella lauretana, racchiusa dal 1520 in una cerchia muraria.
La basilica o santuario della Santa Casa ha una facciata tardo-rinascimentale in pietra d'Istria, innalzata da Giovanni Boccalini nel 1571 e completata nel 1587. Alle tre navate corrispondono altrettante porte in bronzo, opera della scuola di scultura che fiorì a Recanati tra la fine del XVI sec. e gli inizi di quello successivo. Il campanile che si erge a sinistra della chiesa, fu aggiunto nel 1750-54 da Luigi Vanvitelli; il vasto interno (lunghezza m 93, larghezza m 60) è suddiviso da 12 pilastri che reggono archi gotici; al centro della basilica è la casetta miracolosa, il rivestimento marmoreo celebra le glorie della vita terrena della Madonna, annunciate da sibille (nicchie superiori) e da profeti (nicchie inferiori) e narrate nei bassorilievi; l'Annunciazione di Sansovino è considerata il capolavoro dell'insieme decorativo. Nello spazio interno della Santa Casa, sull'altare si trova la copia della statua della Madonna col Bambino donata da Pio XI e scolpita in cedro del Libano (l'originale del XIV secolo è andato distrutto in un incendio doloso nel 1921), mentre sulla parete opposta all'altare si può ammirare una Croce dipinta del '200. Da visitare all'interno del santuario sono anche le sagrestie di S. Marco, di S. Giovanni e di S.Luca, e la Sala del Tesoro, affrescate e decorate in modo mirabile. La Madonna di Loreto fu proclamata nel 1930 patrona degli aviatori.
Degno di nota è anche il Palazzo apostolico, iniziato da Bramante (1509), e proseguito dagli artisti Antonio da Sangallo il Giovane, Giovanni Boccalini e Luigi Vanvitelli. Gli ambienti interni accolgono l'Archivio storico della Santa Casa e il Museo Pinacoteca, dove sono raccolti non solo dipinti, ma anche oggetti della Santa Casa, otto tele di Lorenzo Lotto (1549-1556), una collezione di ceramiche da farmacia e un nucleo di pregevoli arazzi.

Osimo

(29.431 ab.). Comune in provincia di Ancona, situato a pochi chilometri dalla Riviera del Conero, su di un piccolo colle a 265 s.l.m. E' uno dei più interessanti ed antichi centri delle Marche. Importante nodo commerciale già al tempo dei Romani e sede vescovile fin dal IV sec., la città conserva all'interno delle proprie mura e negli immediati dintorni numerose testimonianze dell'arte, della cultura e della storia del suo passato.
Abitato dai piceni sin dal IX secolo a.C., tra il VII e il VI vide l'insediamento di coloni greco-siculi, che si erano già stanziati lungo la costa adriatica tra Ancona e Numana. La calata dal Nord dei Galli senoni in direzione della costa (IV sec. a.C.) determinò l'arrivo dei Romani che dal III sec. a.C. iniziarono ad occupare la regione. Col processo di romanizzazione del Piceno, Osimo cominciò ad acquisire notevole prestigio politico, civile e militare. Posta infatti a baluardo del porto naturale di Ancona, solida base navale per Roma, essa divenne prima Municipium, poi colonia, estendendosi e realizzando importanti costruzioni pubbliche, quali le mura di fortificazione urbana, il foro, le terme, il teatro, e le fonti, anche se ben poco è rimasto della Auximum romana. Nel 539 d.C. la città fu teatro di aspri scontri tra i Goti e i marchigiani. Successivamente fece parte della pentapoli marittima. Divenuto comune poco dopo il 1100, Osimo visse una nuova ondata di crescita come dimostra la lunga cinta muraria medievale eretta, tra il XII e il XIV secolo, ad ampliamento delle antiche fortificazioni romane. Alla fine del XV secolo, lo Stato pontificio commissionò a Baccio Pontelli una rocca, poi abbattuta; ma fu principalmente nel periodo rinascimentale e barocco che Osimo raggiunse il suo massimo splendore, impreziosendosi di numerose chiese (Battistero, San Filippo, San Silvestro, San Niccolò, ecc.) ed eleganti palazzi (Fiorenzi, Guarnieri, Gallo, Campana). Tra la fine del '700 e il XIX secolo vennero erette anche imponenti opere pubbliche, che diedero lavoro ai residenti. Le prime industrie nate nell'800, tra le quali numerose filande, decollarono in modo particolare dopo la seconda guerra mondiale. Da allora Osimo è diventata una città fiorente, teatro tra l'altro di un importante avvenimento del secolo scorso: la firma del Trattato tra Italia e Jugoslavia (1975).
L'edificio più importante di Osimo è il Duomo o Cattedrale, eretta nei pressi dell'antico Cassero, il punto più alto della città, e dedicata a San Leopardo. E' uno degli esempi più rappresentativi dell'architettura romanico-gotica delle Marche. Il primitivo edificio, corrispondente più o meno alla navata centrale, venne costruito nell'VIII sec. sull'area di una preesistente chiesa fatta edificare da San Leopardo, primo vescovo di Osimo. Di quel luogo di culto non resta nulla, mentre predomina lo stile romanico riconoscibile nel transetto sinistro e nelle finistrelle dell'abside. All'interno è conservato il sarcofago di S. Leopardo (IV-V sec) e quello dei Santi Martiri Fiorenzo e compagni (IV sec). Dal chiostro del Vescovado si può accedere al Museo Diocesano d'Arte sacra, nelle cui sedici sale sono raccolte opere di vario genere. Il Battistero, fondato nel XII secolo ma più volte ristrutturato, a pianta rettangolare e dalla facciata in pietra e cotto, ospita al suo interno un fonte battesimale bronzeo superbamente eretto al centro del tempio, dai fratelli Jacometti di Recanati (1627). Altro edificio degni di nota è il Palazzo comunale costruito, tra il XVI e XVII sec. su disegno dell'architetto militare Pompeo Florani di Macerata. Nell'atrio d'ingresso e nell'adiacente cortile è ospitato dalla metà del Settecento il Lapidario comunale che comprende una ricca raccolta di statue acefale di età romana. Adiacente al Palazzo del Municipio, sul lato Est, si innalza la Torre civica, edificata nel XIII sec. Pregevoli sono i resti delle mura di fine '200, i cui blocchi quadrati in tufo sono romani, così come la fonte Magna, unico resto della Auximum romana. Il santuario di S. Giuseppe da Copertino, dedicato a San Francesco d'Assisi, è sorto nel XIII sec. ed è stato modificato al suo interno nel XVIII. L'impresa fu in parte legata all'arrivo di Giuseppe da Copertino, che visse nell'annesso convento fino alla morte (1663). Pregevoli sono alcune tele custodite nell'interno, inoltre il santuario è meta di continui pellegrinaggi per via delle spoglie del santo patrono di Osimo, protettore degli studenti e degli avieri, conservate nella cripta sottostante il presbiterio. Il settecentesco Palazzo Campana, appartenuto al casato nobiliare dei Campana, divenne nel 1718 la sede di un collegio-convitto maschile, che ospitò alunni, future personalità della politica, della cultura e del clero. Opera in parte di Andrea Vici, allievo del Vanvitelli, oggi l'edificio veste i panni di contenitore di cultora: all'interno sono ospitati infatti la Biblioteca comunale, l'Archivio storico comunale, il Museo Civico e l'Accademia d'Arte Lirica, oltre ad importanti manifestazioni ed incontri di carattere culturale ed artistico. Da visitare sono anche il Teatro (fine XIX sec) e la chiesa di S. Marco evangelista (XIV sec).

Porto San Giorgio

(15.869 ab.). Centro in provincia di Ascoli Piceno, in riva all'Adriatico, ai piedi di un colle. In età medievale era un castello a guardia del litorale minacciato dai pirati turchi, che in seguito sviluppò le funzioni di porto, divenendo un attivo e fiorente centro peschereccio. Circondata dal verde è la Rocca, costruzione del 1267 (così cita l'epigrafe all'ingresso), con torri e merlate, eretta nel momento di maggiore espansione politico-economica di Fermo. Degni di nota sono anche alcune architetture in stile liberty e la Fontana della Democrazia (1897), che si trova davanti all'ottocentesca chiesa di S. Giorgio; accanto alla chiesa è il Teatro comunale, costruito nel 1817. La parte superiore è ancora cinta da antiche mura con il Castello. Oggi il turismo è una risorsa fondamentale per la città che vanta lunghe spiagge di sabbia, un lungomare ombreggiato di palme, una consolidata tradizione alberghiera e un porticciolo turistico. La pesca è comunque una delle attività più importanti.

Recanati

(20.050 ab.). Cittadina delle Marche, in provincia di Macerata, a 239 m s/m su una dorsale collinare tra le basse valli dei fiumi Musone e Potenza. Centro agricolo e commerciale; industrie del legno e dei mobili, tessili, dell'abbigliamento, delle costruzioni. La città vive soprattutto delle memorie legate alla vita e alle opere di G. Leopardi che a Recanati ebbe i natali. Recanati era castello fortificato nell'età della decadenza imperiale e durante la guerra greco-gotica oppose dura resistenza a Teia, che l'occupò solo dopo diversi mesi di assedio; poco dopo fu riconquistata a Bisanzio da Narsete (553). Dai Longobardi passò alla Chiesa nel 774, per la donazione di Pipino. Federico II le conferì vari privilegi nel 1229; fedele alla Chiesa nel conflitto fra quell'imperatore e papa Gregorio IX, Recanati ebbe da questo in ricompensa il titolo di città e la sede vescovile (1240). Alleata di Manfredi nel 1263, sino allo scadere del secolo la città fu dilaniata dalle lotte tra Guelfi e Ghibellini. La vertenza giurisdizionale con la vicina Loreto si risolse a sfavore di Recanati, la cui sede episcopale fu unita a quella recanatese (1592), la città perse così gradatamente la sua antica importanza. Occupata nel 1797 e ancora nel 1798-1799 dai Francesi, ebbe storia comune con quella delle altre città marchigiane, fino all'annessione all'Italia, nel 1860.
Recanati vanta numerosi monumenti tra i quali degni di nota sono: il Palazzo comunale, inaugurato con il monumento a Giacomo Leopardi nel 1898 in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita del poeta, con all'interno la Pinacoteca e i Musei civici; la duecentesca Torre del Borgo, unico resto dell'antico Palazzo comunale; la chiesa di S. Domenico, di fondazione romanica ma restaurata nel XIV secolo (pregevole è il portale realizzato nel 1481 da maestri lombardi; nell'ampio interno rimaneggiato nei secoli XVIII e XIX, affresco di Lorenzo Lotto con S. Vincenzo Ferreri in gloria); la chiesa di S. Anna, costruita nel XV sec. ma rifatta nel XVIII; la Cattedrale, di origini antiche ma riedificata nel XVIII secolo, con all'interno il Museo Diocesano gremito di dipinti, sculture ed oggetti sacri; la chiesa di S. Agostino con facciata disegnata da Ferdinando Bibiena, costruita alla fine del XIII secolo e ristrutturata nel successivo: l'antico portale in pietra d'Istria è di Giuliano da Maiano; il campanile è la "Torre antica" ricordata da Leopardi nel "Passero solitario"; la chiesa di S. Vito risalente all'XI secolo ma più volte modificata e con facciata realizzata su disegno di Luigi Vanvitelli dopo il terremoto del 1741; la chiesa di S. Maria di Monte Morello, edificata nel 1581, ma rimaneggiata nel 1810, nella quale fu battezzato il poeta Giacomo Leopardi; il Palazzo Leopardi, casa natale di Giacomo con all'interno la biblioteca ricca di antichi volumi, incunamboli, testi rari e oggetti appartenuti al poeta.
La città è sede di un centro nazionale di Studi leopardiani.
Non si deve scordare che qui nacque un altro artista illustre, il cantante lirico Beniamino Gigli, al quale è dedicato un museo.

San Benedetto del Tronto

(45.054 ab.). Centro in provincia di Ascoli Piceno, sul litorale adriatico. Stazione balneare e porto peschereccio, fra i maggiori mercati del pesce italiani. Fabbriche di reti e di motopescherecci, cantieri navali e industrie per la conservazione del pesce. Meritevoli di attenzione sono la trecentesca Torre dei Gualtieri, probabile resto di un'antica rocca; alcune architetture in stile liberty; il Museo delle Anfore (raccoglie esemplari di anfore italiche, romane e fenicie rinvenute in questo tratto di mare); il Museo ittico "Augusto Caprotti" con acquari, reperti archeologici e una raccolta di fossili.

Senigallia

(41.550 ab.). Città in provincia di Ancona sulla costa adriatica, presso la foce del fiume Misa (porto-canale). Mercato agricolo (cereali, vino, olio, ortaggi). Frequentata stazione balneare. Pesca.
Industrie alimentari, tessili, cartarie, del legno, del cemento; piccoli cantieri navali. Tradizionale la sua fiera annuale.
"Sena Gallica" approdo mercantile almeno dal '300, la sua storia ebbe inizio nel IV sec. a.C. con i Galli senoni. Colonia romana a partire dal III sec. a.C., nel primo Medioevo fece parte della pentapoli marittima. Occupata dai Longobardi, passò alla Chiesa con la donazione di Pipino. Libero Comune del XII sec., fu poi Signoria dei Malatesta e dei Della Rovere, epoca durante la quale il porto cominciò a decollare, grazie anche alla Fiera della Maddalena, che aveva origini duecentesche. Nel 1631 ritornò definitivamente alla Chiesa. Diede i natali a Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti).
La famiglia dei Della Rovere fece costruire la Rocca roveresca nel 1480, e il Palazzo comunale nel '600. Degni di nota sono anche Palazzo del Duca, eretto nel XVI sec. come residenza dei duchi di Urbino; Palazzetto Baviera, di origine trecentesca ma modificato alla fine del secolo successivo; Palazzo Mastai, residenza dell'omonima famiglia dal XVII secolo, nella quale nacque il futuro papa Pio IX; la chiesa secentesca di S. Martino con la Madonna col Bambino e S. Anna del Guercino (1642-43); la chiesa di S. Maria delle Grazie; il Teatro La Fenice riinaugurato il 5 dicembre 1996 dopo 60 anni di abbandono; il Duomo ricostruito nel XVIII sec., la sua facciata fu voluta da Pio IX, battezzato nel suo interno; i Portici Ercolani, progettati dall'omonimo cardinale per volere del Papa Benedetto XIV, al fine di ospitare la celeberrima Fiera Franca (una parte degli ambienti accoglie la Biblioteca comunale antonelliana, aperta nel 1767 e ricca di oltre 50.000 volumi).

Tolentino

(18.649 ab.). Centro in provincia di Macerata, a 224 m s/m, sulla riva sinistra del Chienti. Il nome della città, legato all'eremita, predicatore e taumaturgo Nicola che visse qui per trent'anni (e divenne Santo), apparve in un Trattato di pace del 1797, con il quale Napoleone Bonaparte costrinse papa Pio VI a cedere terre e denari. Nel 1815 fu teatro di una battaglia che si concluse con la vittoria degli austriaci sulle truppe di Gioacchino Murat. Situato in una posizione strategica, l'antico borgo fu abitato da tempi remoti. A metà del XIII secolo l'attività manifatturiera che sfruttava l'acqua del fiume Chienti per mulini, concerie, fornaci, tintorie e tessiture, concesse una certa prosperità al paese. Negli ultimi tempi si è assistito a un consistente sviluppo di attività produttive, quali la lavorazione delle pelli e del cuoio.
Mirabili edifici medievali: la chiesa di San Francesco eretta nel XIII sec. e rimaneggiata nel 1700; il Duomo, altomedievale per fondazione (VIII-IX secolo), ma riedificato nel '200 e totalmente rifatto in seguito (dedicato a S. Catervo, patrono della città, all'interno è conservato il sarcofago dei Ss. Catervo, Settimia e Basso, risalente al IV sec. d.C. e ornato di rilievi); la basilica di San Nicola da Tolentino, nella quale il predicatore visse per 30 anni e si spense nel 1305, risale al XIII sec. ma venne ristrutturata nel XIV e ultimata con l'aggiunta del portale di linee tardo-gotiche attorno alla metà del '400. La facciata è barocca, ma le parti più interessante sono il cappellone di S. Nicola, in stile gotico, decorato da un grande ciclo di affreschi di scuola riminese (XIV sec.) e la Cappella delle SS. Braccia, destinata ad accogliere le reliquie del Santo: ha una fastosa decorazione di marmi, statue e stucchi completata solo nel XIX secolo. Da visitare è il Museo dell'Opera del Santuario, che conserva dipinti, affreschi, oreficerie, arredi sacri, mobili antichi e oggetti liturgici, oltre alla pregevole collezione di ceramiche e maioliche, e alla raccolta di esemplari d'arte giapponese e cinese.
Degni di nota sono anche Palazzo Sangallo, il Palazzo municipale (rifatto verso la metà dell'800 sul trecentesco Palazzo del Comune), la Torre dei tre Orologi, Palazzo Antici Mattei, Palazzo Mauruzi (XIII sec.), la chiesa della Carità con un soffitto ligneo a cassettoni del XV sec. e Palazzo Parisani Bezzi detto Casa della Pace, poiché qui, il 19 febbraio 1797, fu firmata tra Pio VI e Napoleone Bonaparte la cosiddetta Pace di Tolentino.