PRESENTAZIONE
A differenza di altre regioni, l'
Emilia-Romagna si presenta formata da due zone che, seppure caratterizzate da una
complessiva omogeneità, posseggono tuttavia alcune differenze di carattere storico e
ambientale. Essa è infatti nel suo insieme nettamente individualizzata, essendo
delimitata dal basso corso del Po a Nord, dall'alto crinale dell'Appennino a Sud e Ovest e dal
Mare Adriatico a Est. Entro tali limiti geografici naturali l'Emilia-Romagna confina a
Settentrione con la Lombardia ed il Veneto, ad Occidente con il Piemonte e la Liguria, a
Meridione con la Toscana, le Marche e la Repubblica di S. Marino e ad Oriente col Mare
Adriatico.
La sua superficie è di 22.124 kmq e la pone al sesto posto tra le
regioni italiane. La popolazione raggiunge 3.959.770 abitanti, con una densità di 179
abitanti per kmq. L'intenso popolamento della regione è stato favorito dalla
fertilità del suolo, per la maggior parte pianeggiante, e dalla facilità di
comunicazione. La Via Emilia è stata da sempre l'asse principale della sua progressiva
urbanizzazione.
Il capoluogo di regione è Bologna; gli altri capoluoghi di
provincia sono: Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Forlì-Cesena, Ravenna, Ferrara e
Rimini.
Cartina dell'Emilia Romagna
IL TERRITORIO
Occupando la fascia centrale di transizione dalla zona padana dell'Italia del Nord alla zona
montana dell'Italia centrale ed essendo formata dall'estrema propaggine del bassopiano padano e
dal versante Nord dell'Appennino Tosco-Emiliano, la regione partecipa dei caratteri geo-morfologici
sia della Pianura Padana che della montagna appenninica. Una cresta di monti, con vette tra i
1.500 e i 2.200 metri, interrotta da stretti valichi, segna il limite tra il versante emiliano
e quello toscano. Le cime più alte sono il Monte Cimone (2.163 m), il Monte Cusna
(2.121 m) e l'Alpe di Succiso (2.017 m).
I valichi stradali e ferroviari permettono i
collegamenti fra l'Italia settentrionale e l'Italia centrale; i più importanti sono:
la Futa (903 m), il Passo delle Cento Croci (1.032 m), la Cisa (1.041 m), il Passo dei
Mandrioli (1.173 m), il Passo del Cerreto (1.261 m), il Passo dell'Abetone (1.338 m).
Dai rilievi montani, con direzione Nord-Sud, si dipartono una serie di vallate. Queste
presentano scarpate molto incise; l'erosione naturale infatti qui ha trovato materiale
favorevole, essendo il terreno formato in massima parte da strati calcarei e arenacei e,
quindi, particolarmente teneri. Gli avvallamenti più rilevanti sono stati prodotti
dall'erosione fluviale.
Parecchi corsi d'acqua, affluenti di destra del Po, scendono
lungo il versante montano appenninico emiliano-romagnolo. Tra i più importanti di essi
si ricordano: il Trebbia, il Taro, il Parma, l'Enza, il Secchia, il Panaro. Ma il maggiore
fiume della regione è il Reno, che sfocia nell'Adriatico formando un'ampia laguna
costiera. È lungo 211 km e ha un bacino di 4.630 kmq. Gli altri fiumi romagnoli
presentano un corso breve e a carattere torrentizio; tra questi citiamo: il Lamone, il Savio,
il Rubicone e il Marecchia.
Procedendo da Sud a Nord la fascia montana digrada verso la
Pianura Padana, formando dei contrafforti collinari che progressivamente si addolciscono e
infine cedono il posto alla pianura. Quest'ultima occupa quasi la metà dell'intera
superficie della regione. È fertile e ricca d'acque, solcata dagli affluenti del Po
sopra ricordati. Il paesaggio è quello padano, con una fitta trama di campi coltivati
intensivamente, filari di pioppi ed agglomerati urbani che punteggiano il suolo pianeggiante.
Dalla Via Emilia, che taglia diagonalmente la regione, si diparte un fitto sistema di
comunicazioni che collega l'Italia settentrionale a quella centrale e meridionale. Da sempre
l'Emilia-Romagna ha assolto la funzione di regione cerniera tra le diverse aree della penisola.
La zona costiera della regione costituisce la Romagna; è bassa e sabbiosa e con
caratteristiche uniformi. È formata da una spiaggia assai larga, specialmente fra
Cattolica e Marina di Ravenna. In questa zona si trovano i centri balneari e di villeggiatura
più importanti della regione, quali Bellaria, Cattolica, Cervia, Marina di Ravenna,
Milano Marittima, Cesenatico, Rimini, Riccione. In prossimità del mare, tra la foce del
Reno e quella del Po di Goro, che rappresenta una delle foci del grande delta, si trova la
laguna di Comacchio. Si tratta di un vasto e poco profondo specchio d'acqua che si è
formato per la pendenza quasi insensibile del terreno. In comunicazione con il mare, la laguna
è difesa dall'interramento con opere di arginatura ed il livello delle acque salse
è opportunamente regolato per mezzo di canali muniti di chiuse.
Il clima
dell'Emilia è caratterizzato da nebbie autunnali, persistenti e abbondanti
precipitazioni piovose e nevose, condizioni climatiche tipiche della Valle Padana. Diversa
è la climatologia della Romagna, per effetto della vicinanza del mare che ne mitiga le
asprezze. La riviera romagnola è una delle zone turistiche e di villeggiatura più
frequentate d'Italia. Notevole rigoglio presenta la vegetazione, anche a causa dell'abbondanza
delle acque. Estese pinete marine caratterizzano il retroterra costiero, specialmente quello
di Ravenna. Assai diffusi sono i querceti ed i castagneti. Foreste di abeti e di faggi sono
presenti sui versanti più elevati delle zone montane. La piovosità supera i
600 mm sul delta padano e i 2.000 mm sui rilievi appenninici.
Frequenti sono le frane e
gli smottamenti provocati dalle acque correnti e piovane. Caratteristiche forme di erosione
sono i calanchi, piccoli avvallamenti con profonde incisioni del terreno, con pareti soggette a
facili e rovinosi franamenti. Le frane si producono soprattutto sulla scarpata appenninica nel
periodo dello scioglimento delle nevi ed in quello delle piogge primaverili.
La Pianura Padana
PARCHI NAZIONALI E REGIONALI
Le aree protette della Regione coprono l'8% dell'intero territorio, ripartite in due Parchi
Nazionali (Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano; Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi, Monte Falterona e Campigna) condivisi con la confinante Toscana, e in numerosi
Parchi regionali e riserve naturali, distribuiti nelle varie province, istituiti allo scopo di
preservare la grande ricchezza di ambienti caratterizzati da rilevante biodiversità.
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Monte Falterona e di Campigna
Istituito nel luglio 1993, il Parco si estende per circa 36.000 ettari su un vasto territorio a
cavallo tra Romagna (province di Forlì e Cesena) e Toscana (province di Arezzo e Firenze). In
Romagna ne fanno parte le valli romagnole dei torrenti Montone, Rabbi e Bidente, che discendono
veloci dalla ripida dorsale appenninica. Il territorio romagnolo è caratterizzato da vallate
strette e incassate, con versanti a tratti rocciosi e brulli, a tratti fittamente boscati.
Il versante toscano molto più dolce, è solcato dalle valli dei torrenti Staggia, Fiumicello e
Archiano, affluenti di sinistra dell'Arno che, nella parte iniziale, scorre quasi parallelo al
crinale principale. Il settore toscano comprende, oltre ad una piccola porzione del Mugello, il
Casentino, cioè il territorio che abbraccia l'alta Valle dell'Arno, le cui sorgenti sono
situate sulle pendici meridionali del Monte Falterona (1.654 m.). Questo rilievo, insieme al
vicino Monte Falco (1.658 m), costituisce il punto più elevato del tratto di crinale incluso nel
parco. Verso Est l'area protetta si prolunga fino al suggestivo rilievo calcareo di Monte Penna,
con il celebre santuario francescano della Verna.
Il cuore del Parco è rappresentato
dalle Foreste Demaniali Casentinesi, un complesso forestale antico, la cui oculata gestione,
protrattasi nel corso dei secoli, ha consentito la conservazione di lembi estesi di foresta di
notevole interesse naturalistico per l'elevata integrità e la straordinaria ricchezza di flora
e fauna. Sono comprese in queste foreste la riserva naturale integrale di Sasso Fratino, la
prima istituita in Italia nel 1959, e quella della Pietra oltre ad altre riserve naturali
biogenetiche, gestite tuttora dal Corpo Forestale dello Stato. Ruscelli e cascate attraversano
queste estese foreste dove si elevano imponenti e solenni abeti e faggi colonnari. Queste terre
hanno sempre suscitato intense emozioni nei visitatori di ogni epoca storica: dagli eremiti in
cerca di luoghi di preghiera, come S. Romualdo e S. Francesco, ai letterati come Dante e
Ariosto, che cantarono in versi questi paesaggi, fino ai moderni studiosi, ai quali va il
merito di aver operato per la salvaguardia di questi territori.
Del Parco fanno parte, nel
versante romagnolo, diverse migliaia di ettari di territorio, in gran parte di proprietà
regionale, che negli ultimi decenni, a causa dell'esodo dell'uomo dalle montagne e alle
successive opere di rimboschimento, hanno acquistato un elevato grado di naturalità. Sono
tornati stabilmente il lupo e l'aquila reale; consistenti popolazioni di cervi, caprioli e
daini rappresentano solo il più visibile effetto di un riacquistato equilibrio ecologico.
Nel paesaggio i segni dell'uomo non sono tuttavia scomparsi, ma congelati dall'abbandono: case,
maestà, ponti, mulattiere conducono l'escursionista alla scoperta di una civiltà, quella della
cosiddetta "Romagna Toscana" che ha caratteri propri e particolari.
Nel versante toscano
il quadro ambientale è completato da un territorio submontano chiaramente segnato dall'attività
dell'uomo che ha modellato un paesaggio fatto di boschi alternati a pascoli e coltivi, pievi,
eremi, monasteri, emblema di tutta una regione. Proprio l'Eremo e il Monastero di Camaldoli, il
Santuario della Verna e l'ambiente naturale in cui sono immersi offrono al visitatore le
emozioni più intense.
Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano
Istituito nel 2001, il Parco si estende per 26.000 ettari, per tre quarti in Emilia-Romagna
(province di Parma e Reggio Emilia) e per un quarto in Toscana (province di Lucca e Massa
Carrara). Il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano raccoglie in un'unica grande area
protetta il Parco naturale regionale del Gigante, parte del Parco naturale regionale dell'Alta Val Parma e Cedra,
in Emilia-Romagna, e aree toscane della Lunigiana e della Garfagnana che vantano alcune fra le
cime più alte della dorsale appenninica settentrionale. Ricco di foreste, dove alle faggete si
alternano nuclei spontanei di abete bianco e conifere, il territorio del Parco è solcato da
tracciati storici millenari (i passi delle Radici, di Pradarena, del Cerreto, del Lagastrello)
ed è ricco di architetture tradizionali (teggie, metati, carbonaie, mulini, antiche dimore
contadine di montagna), coniugando così due termini apparentemente antitetici, uomo e natura.
Come ovunque sull'Appennino, la presenza umana si è retta per secoli sullo sfruttamento delle
risorse del bosco (legna, cereali minori, castagne, funghi, piccoli frutti) e sulla
trasformazione casearia. Il formaggio più tipico e noto è il Parmigiano-Reggiano
(particolarmente pregiato quello fatto con latte di vacche Rosse), ma c'è anche una produzione
rilevante di pecorini, disseminata in piccoli caseifici.
Parco naturale regionale dell'alto Appennino reggiano
Il Parco del Gigante, come viene comunemente chiamato, comprende la fascia di crinale
dell'Appennino reggiano per un'estensione complessiva di 23.700 ettari, cingendo alcune tra
le vette più alte dell'Appennino settentrionale: Monte Cusna, Monte Prado e Alpe di Succiso,
che si elevano oltre i 2.000 m.
Istituito con Legge regionale nel 1988, custodisce
preziosi e delicati ambienti montani, dove sono presenti molte specie botaniche rare e una
ricca fauna d'alta quota. Chiari segni dell'azione di modellamento del paesaggio operata dai
ghiacciai del Quaternario sono osservabili intorno a molte cime: ampi circhi glaciali, come
quello che ospita le sorgenti del Secchia, chiudono la testata valliva dei principali torrenti
e i depositi morenici ospitano spesso laghi, specchi d'acqua in fase di interramento e
torbiere.
I boschi coprono gran parte del territorio, stentando solo sulle pareti
arenacee ripide e profondamente incise degli schiocchi, particolari forme erosive osservabili a
tratti nelle valli dell'Ozola, del Riarbero e del Secchia. Scendendo lungo i versanti montuosi
del parco si incontrano estesi boschi di faggio, nuclei spontanei di abete bianco e
rimboschimenti a conifere, come la celebre abetina reale. Sulle praterie di altitudine sono
presenti l'aquila reale, lo spioncello, il sordone e il raro stiaccino; tra i mammiferi, la
marmotta. Vallette e brughiere conservano la maggior parte delle specie botaniche regionali
considerate relitti delle glaciazioni, come il pennacchio rotondo e l'erica baccifera.
Parco naturale regionale di crinale alta Val Parma e Cedra
Comprende la fascia alto-appenninica orientale della provincia di Parma. Istituito nel 1995, ha
un'estensione complessiva di 12.580 ettari, con altitudini che vanno da 746 m a 1.859 m s.l.m.
Lungo le pendici che risalgono dai fondovalle sino a 900-1.000 m, il paesaggio vegetale risente
maggiormente della secolare presenza dell'uomo: il clima fresco e umido e il secolare
sfruttamento delle faggete per la produzione di legna hanno favorito lo sviluppo pressoché
esclusivo di questa latifoglia, alternata a praterie per lo sfalcio e il pascolo, segnate da
siepi, filari alberati e muretti a secco, più frequenti intorno ai centri abitati. Dai
900-1.000 m sino ai 1.700 ancora i boschi di faggio rivestono i versanti montani e incorniciano
le conche lacustri, interrompendosi in corrispondenza di radure prative e affioramenti
rocciosi, sui quali cresce una rada vegetazione in prevalenza di felci. Nel parco sono visibili
specchi d'acqua privi di vegetazione, in genere alle quote più elevate, altri sono circondati
da una fascia di piante palustri e altri ancora sono portati gradualmente a interrarsi per
evoluzione naturale. Oltre il limite degli alberi, segnato da faggi cespugliosi e contorti, le
zone sommitali fino al crinale sono rivestite da basse brughiere e praterie, protette nei mesi
invernali da spesse coltri di neve e in grado di resistere ai venti che spazzano le cime tutto
l'anno. I boschi cresciuti sui detriti morenici sono stati in passato sostituiti con castagneti
da frutto, che dal dopoguerra hanno subito un lento abbandono. Nel parco, tuttavia,
sopravvivono castagneti ben curati.
Nell'alta Valle del Parma, isolati nuclei spontanei
di abete bianco, abete rosso e tasso sono preziose testimonianze di un remoto paesaggio
forestale ormai scomparso, rappresentano cioè i relitti di boschi ben più estesi che in epoche
remote rivestivano i rilievi appenninici. Le condizioni climatiche succedutesi su queste
montagne dopo l'ultima glaciazione favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in
seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale
regressione di queste conifere. Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname
di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie. I nuclei relitti tutelati nel
parco conservano un patrimonio genetico unico e originale, utile agli studiosi per ricostruire
la storia naturale di questi luoghi, e sono un prezioso serbatoio di diversità biologica per i
boschi appenninici.
Parco naturale regionale del Delta del Po
Il Parco è stato istituito nel 1988 con apposita legge regionale. Dichiarato dall'UNESCO
patrimonio dell'umanità, il Parco naturale regionale del Delta del Po preserva una delle zone umide
più singolari del mondo.
Il Parco è il più esteso tra i parchi regionali ed è suddiviso
in sei "ambiti territoriali omogenei", ciascuno contraddistinto da particolarità ambientali e
paesaggistiche: Volano-Mesola-Goro, Centro storico di Comacchio, Valli di Comacchio, Pineta di
San Vitale e Piallasse di Ravenna, Pineta di Classe e Salina di Cervia, Campotto di Argenta.
Per tutte queste aree il denominatore comune è l'acqua, ancorché a vari gradi di salinità, che ha
determinato l'origine di splendidi ambienti naturali. E dall'acqua, accanto all'acqua, si sono
sviluppate nei secoli tutte le attività dell'uomo legate alla pesca, all'agricoltura, alla
tradizione, alla cultura, all'arte.
La storia dell'area del delta del Po è la storia
dell'interazione millenaria tra la natura e l'intervento dell'uomo, che ha reso possibile
l'esistenza di una grande varietà di ambienti all'interno di un unico territorio. Le lagune
costiere, gli stagni, le valli salmastre e d'acqua dolce che caratterizzano questo lembo di
pianura emiliano-romagnola offrono estremo rifugio a diverse specie animali e soprattutto a
molti uccelli stanziali e migratori (aironi, anatre, svassi, cavalieri d'Italia, avocette,
ecc.). Queste oasi naturali, che oggi convivono con rinomate stazioni balneari e altre zone a
elevata antropizzazione, non custodiscono solo rari ecosistemi, ma anche testimonianze storiche
e architettoniche di grande rilievo: il castello estense di Mesola, presso l'omonimo bosco di
lecci secolari, l'abbazia di Pomposa, tra i più preziosi esempi di arte romanica, la necropoli
etrusca di Spina, la città lagunare di Comacchio, la basilica di S. Apollinare in Classe, con i
suoi celeberrimi mosaici, che svetta tra Ravenna e le sue antiche pinete. Numerose sono anche
le tracce delle opere umane legate alla produzione di sale, all'allevamento del pesce (in
particolare dell'anguilla) e alle bonifiche.
Il comprensorio deltizio è nato grazie al
deposito di detriti avvenuto nel corso dei millenni da parte del fiume Po, che ha determinato
il progressivo spostamento della linea di costa del Mar Adriatico. Sui passi dei pellegrini
medioevali, e prima ancora delle legioni romane, un triangolo geografico ideale aveva (e ha
tutt'oggi) come vertici Venezia, Ferrara e Ravenna. Gli scavi archeologici hanno evidenziato
l'esistenza dell'emporio etrusco di Spina, e di importanti relazioni commerciali con le civiltà
della Grecia e dell'Europa del Nord. All'epoca etrusca risalgono anche le prime opere
idrauliche, finalizzate sia allo sviluppo della navigazione che alla piscicoltura e
all'agricoltura. Furono i Romani ad occuparsi della zona e a dotarla di vie di comunicazione
per acqua e per terra, potenziando i porti e tutte le attività economiche dell'area. Protetta
dalle sue Valli, la città di Comacchio, vera testimonianza storica della civiltà lagunare, si
sviluppò fin dal periodo longobardo sfruttando la pescosità delle valli circostanti e la
fondamentale risorsa del sale. Il legame ideale fra la città e il prezioso "oro bianco" si
coglie a Cervia: fa parte del Parco naturale regionale del Delta del Po la Riserva naturale della salina
di Cervia, di 765 ettari, sede di una avifauna caratteristica. Comacchio e Cervia, centri del
delta, più di ogni altri, testimoniano la cultura marinara e la vocazione all'acqua dell'intero
comprensorio.
L'abbazia di Pomposa, fondata dai Benedettini e costruita tra il VII e XI
secolo nel cuore del delta, con i suoi straordinari mosaici pavimentali e affreschi, e con il
campanile dal perfetto equilibrio architettonico, evidenzia i brillanti risultati raggiunti
nell'area dall'arte del periodo. Si tratta di un'epoca che fu peraltro contrassegnata anche da
importanti opere di bonifica che migliorarono l'assetto agricolo ed idraulico. L'imbarbarimento
dei secoli successivi ricondusse il territorio ad un lento e progressivo impaludamento, finchè
nel XVI secolo furono operate nuove opere di bonifica per iniziativa del Duca Alfonso II
D'Este, che individuò nel Castello della Mesola, residenza della corte estense durante le
partite di caccia nell'omonimo Bosco, il punto di riferimento per le attività da realizzare.
La graduale stabilità del paesaggio del delta ha inizio nel Seicento e in particolare dopo
l'Unità d'Italia, quando fu dato avvio ad opere di bonifica meccanica colossali, che, nel
tempo, hanno interessato decine di migliaia di ettari di palude, portando a cambiamenti
radicali sia nella natura che nel paesaggio, sia negli insediamenti che nelle attività
antropiche. Nella configurazione attuale del comprensorio deltizio protetto dal Parco, si
alternano così aree suggestive dominate dal tema dell'acqua e caratterizzate da una vasta
complessità di varietà ambientali e di particolarità paesaggistiche e floro-faunistiche.
La straordinaria presenza di uccelli, con oltre 300 specie fra nidificanti, svernanti o di
passo insieme ad alcuni mammiferi, come il "cervo delle dune" del Bosco della Mesola,
costituisce un patrimonio di fauna di elevato valore. Così come tutti gli elementi "verdi" del
Parco, come boschi planiziali o igrofili, pinete e dune rappresentano il patrimonio della flora
del delta del Po.
Il Parco racchiude al suo interno straordinarie testimonianze
ambientali, artistiche, naturalistiche di quello che c'è intorno al delta del Po. Un delta
storico ma anche l'attivissimo delta di oggi.
L'ECONOMIA
All'inizio del XXI secolo, nonostante l'agguerritissima concorrenza dei Paesi emergenti
asiatici che insidiano l'industria regionale soprattutto in alcuni settori tradizionali -
come il tessile-abbigliamento -, l'economia dell'Emilia-Romagna mostra una sostanziale tenuta
nel suo aspetto strutturale, caratterizzato da una miriade di piccole-medie imprese la cui
vitalità è stata dovuta alle dimensioni ridotte e all'iperspecializzazione, soprattutto nei
settori meccanici. Per valore aggiunto l'Emilia-Romagna si colloca al quarto posto tra le
regioni italiane, con l'8,5% del totale nazionale; è ai primi posti anche per le esportazioni.
Particolarmente alte le quote rispetto al totale nazionale per minerali e prodotti non
metallici (32%, grazie soprattutto alla ceramica), prodotti alimentari (18,7%) e macchine
agricole (18%). La regione vanta uno dei tassi di imprenditorialità più alti d'Italia: gli
occupati indipendenti sono infatti il 32,6% contro una media nazionale che non supera il
28,7%. Il tessuto produttivo è caratterizzato da realtà di piccole e medie dimensioni (in media
5,4 addetti per ogni unità locale), imprese artigiane e cooperative. Per ottimizzare i vantaggi
e ridurre i limiti connessi alla presenza di aziende di ridotte dimensioni, sono nati i
cosiddetti distretti industriali nei quali il processo produttivo viene segmentato tra diversi
subfornitori ognuno dei quali realizza per conto di un'azienda capofila un componente del
prodotto finale. Ogni impresa può spingere al massimo il proprio livello di specializzazione,
sapendo di poter contare su un numero di commesse sufficiente ad ammortizzare il costo degli
investimenti.
Settori di punta dell'economia emiliano-romagnola sono l'agroalimentare, il
metallurgico-metalmeccanico, il tessile-abbigliamento (il distretto di Carpi), la ceramica
(Faenza e Sassuolo), le costruzioni e l'impiantistica. Settore tuttora fondamentale
dell'industria è quello della trasformazione alimentare strettamente legato al territorio:
basti ricordare i marchi storici del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma. La fortuna
economica della regione poggia innanzitutto sulla forza del settore primario. L'agricoltura
emiliano-romagnola è oggi la più meccanizzata d'Italia e ai primi posti per produzione
frutticola, orticola, cerealicola e zootecnica. Nelle zone collinari prevale la viticoltura, da
cui la moderna industria enologica ottiene vini di pregio (Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese,
Albana). La suddivisione del territorio in tanti poderi a coltura intensiva è la causa
fondamentale della prosperità agricola dell'Emilia-Romagna. Altre concause sono state una
capillare rete irrigua e l'estesa opera di bonifica per alcune terre del Ferrarese, iniziata
addirittura nel Cinquecento dagli Estensi (si tratta delle cosiddette Terre Vecchie,
caratterizzate da filari d'alberi e da isolate cascine, le boarie). L'assenza di alberi e la
suddivisione dei campi secondo forme perfettamente geometriche sono i segni distintivi dei
territori sottoposti a bonifica in tempi più recenti. Oltre un terzo del suolo romagnolo è
stato bonificato. In particolare il drenaggio idrico ha riguardato i territori del Po dove, con
l'impiego di gigantesche idrovore e l'escavazione di circa 6.000 chilometri di canali, sono
stati guadagnati all'agricoltura oltre 300.000 ettari di terra.
Risorsa importante della
zona lagunare è l'allevamento di anguille e cefali. Nati in mare aperto, questi pesci emigrano
nelle acque di Comacchio per completare il loro sviluppo e poi ridiscendono al mare nel periodo
della riproduzione. Nelle valli lagunari, in cui sono state riprodotte le condizioni ambientali
più favorevoli per le periodiche migrazioni di tali specie ittiche, la pesca ha assunto
strutture e caratteri industriali.
L'industria occupa un posto importante nell'economia
della regione. La scoperta del metano in provincia di Piacenza (Cortemaggiore) ha fatto
dell'Emilia il primo produttore italiano di gas naturale. Il metano rappresenta la necessaria
fonte d'energia per molte industrie meccaniche e la materia prima da lavorare per le industrie
chimiche, concentrate nelle province di Ravenna e Ferrara. Di grande prestigio e tradizione
l'industria motoristica, legata a marchi di auto di gran lusso, come Ferrari e Lamborghini
(acquisita totalmente dal Gruppo tedesco Audi nel 1998), e di motociclette, come Ducati e
Morini. Nel 1996 il marchio Moto Ducati, insieme a quello Morini, viene acquisito dal fondo
d'investimento statunitense TPG (Texas Pacific Group). Nel 1999 la Morini torna alla società
della famiglia Morini, specializzata nella produzione di propulsori a due e quattro tempi per
motocicli e ciclomotori, mentre la Ducati, con il nuovo management, inizia a trasformarsi da
un'azienda puramente metalmeccanica in un'azienda di intrattenimento, incentrata
sull'eccellenza tecnologica delle sue moto, ma che si estende anche alle corse, agli accessori
e all'abbigliamento.
Se lo sviluppo industriale ha riguardato soprattutto l'area emiliana,
la Romagna non è rimasta estranea al progresso economico. La costa adriatica è conosciuta come
uno dei maggiori poli turistici del Mediterraneo. Vanta infatti la spiaggia più estesa d'Europa
e numerose strutture per lo sport, il divertimento e il tempo libero (discoteche, parchi
acquatici, campi da golf e maneggi). Qui sorgono il 52% degli alberghi della regione e si
concentra il maggiore afflusso di turismo estero, grazie anche a una favorevole politica dei
prezzi. Molte tra le stazioni balneari hanno fama internazionale, come Rimini, Riccione e
Cesenatico. Rinomate le stazioni termali come Salsomaggiore e Bagno di Romagna, Castrocaro,
Porretta e le Terme Marine. L'imponente afflusso turistico consente buone possibilità di
guadagno per imprenditori ed artigiani locali e per migliaia di lavoratori stagionali del
settore.
A livello occupazionale il mercato del lavoro in Emilia-Romagna è prossimo da
tempo ad una situazione di pieno impiego, con tassi di disoccupazione a livello fisiologico.
A fronte di un certo rallentamento della crescita economica, la struttura del mercato del
lavoro regionale si mantiene solida e con spiccati elementi qualitativi: l'alto tasso di
occupazione, la partecipazione delle donne, l'alta scolarizzazione e l'ampliamento
occupazionale nei servizi. A livello settoriale, l'andamento è però differenziato: alla
crescita del numero di addetti nei servizi privati e di lavoratori nell'industria si affianca,
infatti, un calo rilevante del numero di occupati nell'agricoltura. I segmenti forti della
struttura produttiva regionale sono caratterizzati da livelli retributivi più elevati della
media nazionale. è il caso dei lavoratori del settore "minerali e prodotti a base di minerali
non metalliferi" e del settore "prodotti alimentari". Infine, in Emilia-Romagna piccolo è
meglio anche dal punto di vista salariale. I dipendenti delle imprese di grandi dimensioni
(che occupano 500 e più addetti) ottengono in media retribuzioni nettamente meno elevate di
quelle degli occupati nelle imprese più piccole.
CENNI STORICI
I primi insediamenti umani
La regione emiliano-romagnola cominciò ad essere abitata al termine dell'ultima
glaciazione, oltre 10.000 anni fa, quando le prime popolazioni sparse si insediarono sulle
terrazze fluviali dell'alta pianura e lungo la fascia pedemontana. Nel periodo Neolitico
(3500-2000 a.C.), sul territorio padano tra il Po e l'Appennino si formano i primi gruppi di
popolazione stanziale, corrispondenti alle culture di Fiorano e dei "vasi a bocca quadrata".
Con l'Età del Rame (2000-1800 a.C.) e soprattutto con l'Età del Bronzo (1800-900 a.C.) ai
villaggi di capanne costruite su palafitte si aggiungono le "terremare", abitati protetti da
poderosi argini di terra. La "cultura villanoviana" - cosiddetta- contraddistingue l'Età del
Ferro (dal IX secolo a.C.) con la nascita dei primi abitati protourbani. Gli importanti
ritrovamenti di Villanova di Castenaso, pochi chilometri a Est di Bologna (da cui la
denominazione "cultura villanoviana"), consistenti in corredi funebri ora custoditi al Museo
Civico di Bologna, sono la testimonianza di una civiltà dedita al culto dei morti. In epoca
storica (fine del VI secolo a. C.) l'abitarono gli Etruschi che vi fondarono
Misa
(Marzabotto) nella valle del Reno e
Fèlsina (Bologna). Vie e percorsi terrestri e
fluviali si intrecciano nella regione: il grande emporio commerciale di
Spina diventa il
luogo di relazione tra il mondo etrusco, quello greco e l'entroterra padano.
Alla metà
del IV secolo a.C. vi fu l'invasione dei Galli boi venuti dalla Lombardia, portatori di una
civiltà rurale che introduce tra l'altro l'allevamento dei suini, blocca il processo di
espansione etrusca e favorisce la diffusione dell'insediamento sparso.
L'epoca romana e l'Alto Medioevo
L'occupazione da parte dei Romani della regione avviene dalla valle del Po, per l'esigenza di
contrastare le offensive dei Galli e l'azione dei Cartaginesi. Nel 268 a.C., al termine della
Via Flaminia, i Romani fondano
Ariminum (Rimini), da cui nel 225 a.C. iniziano la
conquista della regione che sarà completata solo dopo la seconda guerra punica e la definitiva
vittoria sui Galli.
Tra il 191 e il 187 a.C. il console Marco Emilio Lepido traccia la
Via Emilia, la strada dall'andamento lineare che congiunge Rimini con Piacenza. Lungo questa
fondamentale via di comunicazione sorgono via via, nei punti dove la Via Emilia incontra i
corsi d'acqua appenninici, a breve distanza l'uno dall'altro, i principali centri:
Caesena (Cesena),
Forum Popilii (Forlimpòpoli),
Forum Livii (Forlì),
Faventia (Faenza),
Forum Cornelii (Imola),
Bononia (Bologna),
Mùtina (Modena),
Regium Lepidi (Reggio nell'Emilia) e Parma. Tutti adottano il
modello dell'accampamento militare romano (
castra) di cui la Via Emilia costituisce il
decumanus maximus.
La campagna fu divisa in appezzamenti quadrati basati su moduli
di 740 m di lato, che vennero assegnati ai veterani. Questa suddivisione (detta centuriazione),
visibile ancor oggi, effettuata su una fascia continua larga dai 15 ai 20 km tra alta e media
pianura, determinò il geometrismo del territorio, condizionando la rete della viabilità
principale e secondaria, quella dei canali e degli scoli di bonifica e di irrigazione, la
distribuzione degli insediamenti.
La colonizzazione agricola e la fertilità del suolo
concorsero a fare della regione una delle realtà più ricche del mondo romano, mentre Bologna
diventò una delle maggiori città della penisola. Per tutto il periodo romano l'Appennino non
venne toccato dall'urbanizzazione, a eccezione della parte sud-orientale, dove sorsero piccoli
centri.
Sotto l'imperatore Ottaviano Augusto venne fondato il grande porto militare di
Classe (27 a.C.) presso Ravenna, sede della flotta imperiale del Mediterraneo orientale. Tutte
le terre comprese tra il Po, l'Adriatico e l'Appennino furono riunite nella
Regio VIII
Aemilia. Nel 215 d.C. il riordinamento amministrativo dell'Italia romana sancisce la
separazione dell'
Aemilia a Occidente tra Bologna e Piacenza, e della
Flaminia a
Oriente; legittimato il Cristianesimo con Costantino, si modellerà anche l'organizzazione
ecclesiastica intorno alle due sedi arcivescovili di Milano e di Ravenna, dove nel 402 Onorio
trasferisce da Milano anche la sede imperiale.
Caduto l'Impero Romano d'Occidente, il
territorio fu percorso dalle schiere degli Eruli di Odoacre e quindi subì quindi la dominazione
degli Ostrogoti di Teodorico che, vincitore (493), regnò sull'Italia da Ravenna. Presso la sua
corte soggiornarono gli ultimi scrittori latini (Boezio e Cassiodoro) e furono conservate le
tavole del diritto romano del
Corpus iuris giustinianeo. La fortuna di Ravenna con il
suo porto militare e commerciale crebbe durante il periodo dei Bizantini (chiamati i Romani di
Bisanzio, da cui il nome Romagna), che nel 540 d. C. ne fecero la capitale dell'esarcato. Nel
568 iniziò la conquista da parte dei Longobardi, che crearono nel 579 il ducato di Parma; si
ripropose la divisione della regione in due parti lungo la linea dal Panaro fino al Po, la
Longobardìa a Ovest e la Romagna bizantina a Est. Nei due secoli successivi i Longobardi
proseguirono la loro azione di conquista del territorio fino alla definitiva caduta di Ravenna
nel 751.
In questo lungo periodo fu fondamentale l'opera che organizzazioni come i
monasteri e le abbazie intrapresero per la bonifica e lo sfruttamento agricolo del territorio:
Bobbio (614), Nonàntola (751-52), Pomposa (documentata dal IX secolo) sono i centri attorno ai
quali si creano nuovi agglomerati urbani. Il fiume Po con il suo delta diventa il fulcro di un
nuovo sviluppo, nascono i nuclei di Ferrara (sec. VII) e Comacchio, sede vescovile fin dal V
secolo e città dotata, tra il VI e il IX, di una potente flotta.
La reazione dei Franchi
all'invasione longobarda determinò nel 754-56 un nuovo rivolgimento politico: Ravenna e
l'antico esarcato bizantino passarono sotto il controllo papale, mentre nelle città le funzioni
comitali furono assunte direttamente dai vescovi. Tra X e XI secolo si diffuse nelle campagne
l'incastellamento, complesso di torri e altre costruzioni come efficace difesa contro le
incursioni di Ungari e Saraceni. Notevolissimo fu il ruolo politico della famiglia degli Attoni
di Canossa, signori di un territorio amplissimo, comprendente le province di Reggio, Modena,
Bologna, Mantova, Ferrara, Bergamo, Brescia, fino al marchesato di Toscana; durante la lotta
per le investiture spiccò la figura di Matilde di Canossa, alleata del papa Gregorio VII contro
l'imperatore Enrico IV.
L'età comunale
Con la rinascita che segue l'anno Mille si verificò un intensificarsi di scambi commerciali
con un progressivo accrescersi dell'importanza economica e politica delle città rispetto ai
feudatari del contado, importanza che condurrà alla costituzione dei Comuni. Alla fine del
XII secolo la Via Emilia riprende il suo ruolo di grande arteria insieme alla nuova direttrice
Bologna-Firenze. La nuova struttura urbana valorizza la piazza come centro della vita
cittadina, dove sorgono le monumentali sedi dei poteri religioso, civile ed economico. Grazie
alla fondazione dell'Università (1088), Bologna diventa polo di riferimento di tutta la
regione, ma soprattutto della parte nord-orientale, dove si diffonde lo Studio (Ferrara, Parma,
Modena, Reggio). L'arte conosce una sua prima grande rinascita grazie all'opera di Wiligelmo e
Benedetto Antelami.
Le autonomie comunali, soppresse dall'imperatore Federico I
Barbarossa nella dieta di Roncaglia (1158), presso Piacenza, vennero definitivamente
riconquistate dai Comuni riuniti nella Lega lombarda con la battaglia di Fossalta
(presso Modena) nel 1249; il figlio di Federico II, re Enzo, venne fatto prigioniero e
rinchiuso nel
Palatium novum di Bologna fino alla sua morte (1272). Si diffondono i
borghi fortificati con funzioni di presidio dei confini e punte avanzate del popolamento, come
Castel Guelfo, Castel San Pietro, Castel San Giovanni, Rubiera, Reggiolo, Castel Bolognese. Nel
1152 il Po, che passava a Sud di Ferrara dove si divideva nel Po di Volano e nel Po di Primaro,
muta il suo corso con la rotta di Ficarolo, aprendo un nuovo alveo - il Po di Venezia o Po
Grande - che segna il limite attuale della regione. Le città sulla Via Emilia individuano
ancora nel fiume uno strumento economico fondamentale e vi si collegano tramite canali
navigabili. Nelle campagne si diffonde la mezzadria, che dominerà fino al XIX secolo.
Il rinascimento emiliano-romagnolo
Le istituzioni comunali non sopravvissero alle lotte civili tra Guelfi e Ghibellini,
sostenitori rispettivamente del papato e dell'Impero. Della situazione di instabilità politica
dei comuni approfittarono alcune famiglie altolocate, che fra il XIII e il XIV secolo
riuscirono a prendere il potere nelle città istituendo le signorie: gli Estensi a Ferrara, i Da
Polenta a Ravenna, i Malatesta a Rimini, i Manfredi a Faenza, gli Ordelaffi a Forlì, i Pio a
Carpi, i Pepoli a Bologna, gli Alidosi a Imola, i Landi nelle valli del Taro e del Ceno, i
Visconti e poi gli Sforza di Milano a Parma e Piacenza. Tuttavia, alla fine del Duecento
l'imperatore Rodolfo d'Asburgo riconobbe al papato il possesso della Romagna e di Bologna, che
con i suoi quasi cinquantamila abitanti è tra le dieci maggiori città d'Europa. Durante il periodo
avignonese del papato i suoi legati, i cardinali Bertrando del Poggetto e soprattutto Egidio
Albornoz, ristabiliscono anche con la forza militare il dominio sulla parte centro-orientale
della regione: il nuovo ordinamento, sancito dalle Costituzioni dette poi "Egidiane", durerà
fino al 1796. Le signorie favorirono ovunque il rinnovamento economico e culturale, mentre
l'influsso dell'arte toscana si fa sentire nell'intera regione e il ducato mediceo si espande
politicamente fino alle porte di Forlì. Nel richiamo all'antichità classica viene riesumato il
nome Emilia, perso a partire dai rivolgimenti del VI secolo. L'azione militare aggressiva di
Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, sconvolge la Romagna. Il conflitto prosegue anche
con il successore papa Giulio II, concludendosi con la definitiva conquista di Bologna da parte
del potere pontificio (1506). L'influenza romana, che si manifesta con Baldassarre Peruzzi e
Jacopo Barozzi e il Vignola, sostituisce quella fiorentina. Dopo il Trattato di Cateau-
Cambrésis (1559) l'assetto geopolitico della regione è questo: ducato di Ferrara con Modena,
Reggio e Carpi agli Estensi; ducato di Parma e Piacenza ai Farnese; Bologna e Romagna allo
Stato pontificio; Guastalla a un ramo dei Gonzaga; Correggio ai Da Correggio; Miràndola ai
Pico; Repubblica di San Marino. Dal punto di vista economico, il Cinquecento è caratterizzato
soprattutto dall'avvio delle grandi bonifiche, rese possibili dallo sviluppo della scienza
idrografica. La regione si mantiene prospera e densamente popolata, mentre si accentua la
separazione culturale tra città e campagna.
Il Seicento e il Settecento
Con l'annessione (1598) di Ferrara allo Stato della Chiesa, la regione restò per secoli
suddivisa in tre parti: la Chiesa e i due ducati estense (Modena e Reggio) e farnesiano
(Parma e Piacenza). Tra il XVII e il XVIII secolo fiorisce la stagione della civiltà di villa,
con le dimore, connesse a estesi fondi, della nobiltà e della borghesia facoltosa e le regge
ducali ispirate ai modelli d'oltralpe, soprattutto francesi: Colorno, Rivalta, Sassuolo.
Nel Settecento le idee illuministiche e riformistiche iniziano a diffondersi e a trovare
concreta applicazione nelle scelte di governo dei principi e dello stesso Stato pontificio.
Inizia in agricoltura la specializzazione delle colture, si aprono nuove vie di comunicazioni o
si sistemano tracciati già esistenti, come la Via Giardini (1766-76) per il passo dell'Abetone,
la strada dei due mari, la strada della Futa (1759-60), la strada Modena-Mantova (1778-81),
la strada della Lunigiana per il passo del Cerreto (iniziata nel 1785), poi già nell'Ottocento
la strada per Genova della Val Trebbia (1807), la strada Pontremolese (1808), la strada della
Cisa (1809-33), la strada Porrettana (1816-43), la strada del Muraglione (1831). La costruzione
di queste strade incentiva, tra l'altro, il moto di emigrazione verso la pianura. L'attività
rinnovatrice interessa anche la Via Emilia, lungo la quale tra il 1771 e il 1838 sono
ripristinati o realizzati quasi tutti i ponti della parte emiliana. Dopo l'estinzione dei
Farnese, il Trattato di Aquisgrana (1748) assegna il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla a
Filippo di Borbone, genero del re Luigi XV di Francia.
Dalla Repubblica cisalpina allo Stato unitario
L'epopea napoleonica in Italia condusse alla proclamazione, il 7 gennaio 1797, della Repubblica
Cispadana, comprendente i territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, che adottò quale
propria bandiera il vessillo tricolore. La Repubblica Cispadana si fuse quindi alla Repubblica
Cisalpina. La regione ritrovò così l'unità politica fino al Congresso di Vienna (1815) e visse
una stagione di riforme, alle quali si accompagnò il consolidamento della borghesia
imprenditoriale e intellettuale, liberale e moderata. Caduto Napoleone, il Congresso di Vienna
riportò nella regione i signori di prima e il dominio temporale della Santa Sede, salvo Parma e
Piacenza governate da Maria Luisa d'Austria. Dopo aver attivamente partecipato ai moti
risorgimentali, nel 1859-60 la regione si liberò dell'occupazione austriaca e dei governi dei
ducati e delle legazioni. Il territorio della regione, riunificato sotto la dittatura di Luigi
Carlo Farini, fu unito al Piemonte di Vittorio Emanuele II con il plebiscito del 1860 e,
quindi, allo Stato italiano.
Alla fine dell'Ottocento le antiche mura medioevali delle città vengono demolite per fare spazio
alle circonvallazioni. Nelle città nascono le prime industrie e i quartieri operai, mentre
verso Sud e le colline si diffonde la residenza di qualità, oggetto delle prime speculazioni
immobiliari. Nell'agricoltura predomina la coltura del frumento, che nel 1913 fornirà i due
terzi della produzione italiana, mentre l'allevamento si concentra nella pianura irrigua. Nel
1872 prende avvio la "Grande bonifica ferrarese", finanziata da capitali stranieri, che
utilizzando innovazioni tecniche come le idrovore a vapore trasformerà radicalmente il
territorio ferrarese orientale.
Movimenti sociali e lotta politica
Nell'Italia post-unitaria la regione Emilia-Romagna è teatro di proteste sociali come quelle
dette "del macinato" (1869). Il panorama politico vede già una contrapposizione tra il
socialismo, particolarmente diffuso nelle campagne, e il movimento cattolico, particolarmente
forte a Modena e Bologna - dove, nel 1856, viene fondata l'Associazione cattolica italiana,
poi l'Opera dei Congressi, matrice del futuro Partito popolare. Nel 1881 a Rimini è fondato il
Partito socialista rivoluzionario di Romagna; poco dopo a Imola il settimanale "Avanti!" e, nel
Congresso di Reggio del 1893, il Partito socialista italiano, mentre emergono le personalità
carismatiche dell'imolese Andrea Costa e del reggiano Camillo Prampolini. Nel 1896 viene
fondata la prima cooperativa, premessa di un futuro, massiccio sviluppo del movimento
cooperativo, le cui figure più rappresentative sono Giuseppe Massarenti e Nullo Baldini. Nel
1911 si contano più di 900 cooperative agricole e più di 1.700 cooperative di consumo.
Socialista è anche Benito Mussolini, nato a Predappio (Forlì); espulso per la sua scelta
interventista e nazionalista dal PSI, ne diventa il maggior nemico quando, dopo la prima guerra
mondiale, fonda il Partito nazionale fascista, del quale l'Emilia-Romagna esprimerà altri
esponenti di primo piano come Italo Balbo e Dino Grandi. Attraverso i suoi agrari,
l'Emilia-Romagna dà un contributo fondamentale all'affermazione del fascismo; allo stesso
tempo, proprio per la diffusa presenza del movimento socialista e cooperativo, la sua
popolazione è tra le più colpite dalla violenza delle squadre fasciste.
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali inizia il processo di modernizzazione delle
strutture socio-economiche con lo sviluppo dell'industria moderna, del turismo balneare e dei
servizi. Le trasformazioni agricole che accompagnano un sistema economico in via di
industrializzazione vedono un incremento dell'allevamento bovino e suino. La tragica parentesi
della seconda guerra mondiale impone un altissimo tributo di sangue alla popolazione civile: la
fucilazione dei sette fratelli Cervi a Reggio (28 dicembre 1943), la strage di Marzabotto
(28 settembre - 5 ottobre 1944) e le vittime del campo per deportati politici e razziali di
Fòssoli, vicino a Carpi. La lotta partigiana si concentra soprattutto nelle zone montane e
nelle valli del delta del Po. Nel 1947, la Costituzione repubblicana attribuisce ufficialmente
alla regione la denominazione di Emilia-Romagna.
Il "modello" emiliano
Nel secondo dopoguerra la regione diventa una delle principali protagoniste del miracolo
economico italiano. Negli anni Sessanta si conclude la fase delle bonifiche delle valli di
Comacchio, con una ulteriore riduzione delle aree umide, passate da 153.000 ettari nel 1865 a
15.000. Le alterazioni ambientali del territorio regionale sono assai rilevanti anche nella
pianura, dove le coltivazioni estensive hanno causato la scomparsa di milioni di alberi, e
lungo la costa, dove la cementificazione ha distrutto le pinete e le dune costiere. Notevole lo
sviluppo delle infrastrutture: tra il 1956 e il 1967 sono realizzate le autostrade
Milano-Bologna, Bologna-Firenze e Bologna-Rimini, alle quali seguiranno nel 1970 la
Bologna-Padova e nel 1972 la Parma-La Spezia.
Caso unico in Italia e nell'intero Occidente, lo sviluppo capitalistico emiliano degli anni
Settanta e Ottanta del XX secolo ha
avuto tra i suoi principali protagonisti il sistema cooperativo e un'amministrazione politica
egemonizzata a tutti i livelli (regionale, provinciale e comunale) dai partiti di sinistra e in
particolare dal Partito comunista, che ha conseguito importanti risultati anche nelle politiche
sociali, nella sanità, nella scuola. Negli ultimi decenni si è avuto un fortissimo tasso di
urbanizzazione, dovuto a un ulteriore, intenso sviluppo delle strutture produttive. L'economia
regionale, basata su piccole e medie imprese, ha registrato una forte espansione anche sui
mercati internazionali grazie al suo dinamismo e alla capacità di creare "aree-sistema":
Sassuolo, con il comprensorio delle ceramiche; Carpi e in genere Reggio e Modena per il tessile-abbigliamento legato alla moda; Ferrara e Ravenna per l'industria chimica; Bologna e Modena per
il settore manifatturiero, in particolare metalmeccanico. Fortissima inoltre emerge l'industria
alimentare-conserviera legata alla ricca tradizione gastronomica e a un'agricoltura fiorente,
anche se impiega sempre meno addetti. Lungo la costa è determinante l'industria turistica, tra
le più qualificate del mondo, sostenuta da un'imponente organizzazione alberghiera.
Nei mutamenti economici e politici, italiani e internazionali, che hanno caratterizzato gli ultimi
anni del XX secolo, il modello emiliano ha dimostrato una buona tenuta, anche se da quegli
sconvolgimenti la regione non è uscita indenne, perdendo alcuni dei tratti, in parte reali e in
parte leggendari, che ne facevano il posto più socialista dell'Occidente capitalista.
L'egemonia di sinistra nel sistema politico-amministrativo è stata in taluni casi interrotta,
come nel caso di Bologna dove, dopo 54 anni di ininterrotta maggioranza di sinistra, il governo
cittadino è stato retto, dal 2000 al 2004, da una coalizione di centro-destra.
IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE
Il periodo villanoviano
L'Età del Ferro (dal IX secolo a.C.) fu caratterizzata nell'Emilia padana dal fiorire della
cultura villanoviana che si consoliderà, nel corso del VI secolo a.C., anche grazie a movimenti
migratori provenienti dalla zona tosco-umbra. Il nome deriva dalla località di Villanova,
presso Bologna, dove nel 1853 venne scoperta una necropoli.
Considerata la più importante
cultura italiana della prima Età del Ferro, e la prima che in Italia esprimesse forme di
insediamento urbano, la cultura villanoviana ebbe in
Fèlsina (Bologna) la sua capitale,
nella vicina
Misa (Marzabotto), sulla strada per l'Etruria centrale, uno dei centri più
ricchi, e in
Spina il porto principale, aperto ai commerci con la Grecia, come
documentano numerosi ritrovamenti di ceramica attica. La pianura si configura come luogo di
scambi e di confronti tra le culture del Centro Italia e quelle celtiche e del Veneto, con
diffusi fenomeni di convivenza tra popolazioni di ceppi diversi.
Caratteristico del
villanoviano è il vaso di forma biconica per conservare le ceneri del defunto. In seguito ai
numerosi sepolcreti scoperti, la civiltà villanoviana viene divisa in quattro fasi: quella di
S. Vitale, la Benacci I (VIII sec.a.C.), la Benacci II (VII sec. a.C.) e quella di Arnoaldi
(VI sec.a.C.), dopo di che confluì nella civiltà etrusca.
Dalla romanità all'Alto Medioevo
All'inizio del II secolo a.C. l'area emiliano-romagnola entrò nell'orbita romana. Di
fondamentale importanza fu la realizzazione della Via Emilia, voluta dal console Marco Emilio
Lepido, asse di collegamento fra Nord e Centro Italia, nonché di congiunzione tra le città di
Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Faenza, Forlì e Rimini. Altre opere con funzione
celebrativa o civile risalenti all'epoca romana furono l'arco di Augusto e il ponte di Tiberio
a Rimini, là dove la Via Emilia si congiunge alla Flaminia. Ma la colonizzazione romana segnò
in modo profondo la regione sia attraverso la centuriazione, cioè la ripartizione degli
appezzamenti coltivabili assegnati ai veterani dell'esercito, sia attraverso lo schema viario
dei centri cittadini, le cui strade erano ortogonalmente disposte attorno ai due assi viari
principali; ciò è ben evidente nella zona archeologica di Velleia. Gli scavi archeologici hanno
riportato alla luce reperti che testimoniano una condizione di prosperità delle città nel I e
nel II secolo: monumentali sarcofagi, lastre a rilievo, stele con ritratti di defunti - talora
notevoli saggi d'arte provinciale - provenienti dalle necropoli spesso situate lungo la Via
Emilia, epigrafi e statue provenienti dai fori e dalle aree pubbliche, elementi decorativi e
d'arredo dai ricchi palazzi cittadini e dalle ville-azienda sparse nella fertilissima campagna
padana.
Dal 402 d.C. Ravenna fu capitale dell'Impero romano d'Occidente e, alla caduta di
questo (476), dell'esarcato bizantino sino al 751, anno della conquista longobarda. Grazie alla
sua importanza politica, Ravenna fu in questi secoli il luogo in cui si concentrarono
eccezionali testimonianze dell'arte e dell'architettura: il mausoleo di Galla Placidia
(anteriore al 450), a croce greca, dove il rivestimento interno a mosaico realizza una delle
più suggestive creazioni della storia dell'arte; il mausoleo di Teodorico (prima metà del VI
secolo), che ripropone la struttura centrale dei sepolcreti romani con inedita potenza
plastica, impressa dal motivo a tenaglia - riscontrabile nell'oreficeria barbarica - che
scandisce la superficie della cupola monolitica; le chiese di S. Apollinare Nuovo, S. Vitale e
S. Apollinare in Classe (VI secolo), che custodiscono esempi straordinari dell'arte musiva
ravennate.
Dal VII secolo si impone un altro fondamentale fattore di cultura, cioè la
fondazione delle abbazie benedettine, luoghi in cui l'eredità classica viene preservata grazie
all'attività degli
scriptorium, e la produzione artistica viene favorita: celebri le
abbazie di S. Colombano a Bobbio e di S. Silvestro a Nonàntola, sorte rispettivamente nel 614 e
nel 752 sotto la protezione dei re longobardi, e nella Romagna l'abbazia di S. Maria di
Pomposa, che si ritiene risalga all'VIII secolo. Testimonianze eloquenti del periodo abbaziale
sono la lastra nella cripta di S. Colombano (IX secolo), con il motivo longobardo
dell'intreccio stilizzato, e il
Liber gradualis di Nonántola (X secolo), che racchiude
nella preziosa copertura in avorio il prodotto di uno
scriptorium di rilievo europeo.
Il romanico padano
Il fiorire dell'età dei Comuni, fra l'XI e il XII secolo, corrisponde all'affermarsi di
personalità artistiche come l'architetto Lanfranco, che nel 1099 inizia l'edificazione del
Duomo di Modena, e lo scultore Wiligelmo, attivo nello stesso cantiere, la cui influenza si
ritrova nelle chiese abbaziali di Nonántola e di S. Benedetto in Polirone, nell'Oltrepò
mantovano.
Lo stile romanico padano si impone nelle architetture delle cattedrali a
Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Ferrara, nelle quali l'impianto della basilica romana
viene armonizzato con la struttura chiesastica borgognona; il duomo (da
domus, casa di
Dio) è l'edificio simbolo della città, e rappresenta la continuità ideale, attraverso i secoli,
del nascente Comune con il glorioso
municipium romano. Il concetto stesso di "romanico"
ha insita l'idea del recupero dell'arte romana, e non soltanto come ripresa di soluzioni
formali - da sarcofagi, stele, capitelli, ritratti - ma anche come reimpiego di parti riesumate
dal sottosuolo, che vanno a decorare le cattedrali di Modena e Parma. Il linguaggio di
Wiligelmo utilizza modelli tardo-antichi, di cui si serve per esprimere una visione drammatica
della realtà umana. I temi raffigurati nei rilievi che affollano gli elementi architettonici
delle cattedrali di Modena e Ferrara, del Battistero di Parma, sono tratti dall'Antico e dal
Nuovo Testamento, accostati in un parallelismo che è fondamento dottrinario della riforma
cluniacense, ma si ricorre anche alle favole di Esopo e di Fedro, o a remote leggende come
quella di Barlaam e Josaphat (Battistero di Parma), ai bestiari sia del mito classico sia
medioevali, alle raffigurazione dei Mesi dell'anno: un'eterogenea moltitudine di immagini,
spesso assunte a metafora della condizione umana su cui si esercita la missione di salvezza
della Chiesa.
Posteriori a Lanfranco e Wiligelmo sono artisti come Nicolò, attivo nelle
cattedrali di Ferrara e di Piacenza (iniziata nel 1122), Anselmo, maestro campionese sensibile
ai modi provenzali, e Benedetto Antelami, legato al Duomo e al Battistero di Parma e alla
Cattedrale di Fidenza, che introduce elementi dell'Ile-de-France nello stile romanico-lombardo.
In epoca medioevale, alla Via Emilia si aggiunge una serie di assi verticali che collegano la
Pianura Padana all'area oltreappenninica. Il passo di Monte Bardone (attuale Cisa), sulla
strada Romea, e le valli solcate dai fiumi Trebbia, Taro, Enza, Secchia, Marecchia diventano
percorsi consueti a pellegrini e a mercanti. Dai crinali appenninici, in punti di rilievo
logistico - da Marola a Toano, da Fiumalbo a Monteveglio - attorno al 1100 si dirama
l'influenza della contessa Matilde di Canossa, il cui dominio spazia verso la pianura lombarda
e verso la Toscana.
Il gotico
La presenza di Giotto a Ferrara e a Rimini - testimoniata dal Crocifisso del Tempio Malatestiano,
databile intorno al 1312 - fu tra gli elementi che determinarono uno straordinario sviluppo
della pittura riminese. Caratterizzata da una ritrovata classicità e da un'umanizzazione di
figure e gesti, questa stagione pittorica si rivela appieno nelle opere di artisti come
Giovanni da Rimini, autore nel 1309 del Crocifisso di Mercatello sul Metauro (Pesaro),
e Pietro da Rimini, autore del Crocifisso di Urbania (1320 ca.) e, presumibilmente, degli affreschi
nell'ex chiesa di S. Chiara a Ravenna. Altre opere significative del periodo sono gli anonimi
affreschi di S. Pietro in Sylvis a Bagnacavallo, della chiesa riminese di S. Agostino, del
refettorio dell'abbazia di Pomposa e in S. Maria in Porto Fuori presso Classe.
Intanto
Bologna si impone come il centro culturalmente più vivace della regione, grazie soprattutto
all'attività della sua celebre università. I rapporti con la Francia e la presenza di opere
d'oltralpe favoriscono il fiorire di un'arte originale, anche a fronte delle contemporanee
esperienze toscane, di cui è protagonista Vitale da Bologna. Negli affreschi della chiesa di
Mezzaratta (Bologna, Pinacoteca nazionale) e in particolare nel Presepe (1340 ca.) egli
manifesta un'espressività "gotica", ovvero anticlassica, e un vivace realismo. Negli affreschi
dell'abbazia di Pomposa (1351), lo stile di Vitale si fa più solenne e riflessivo. Accanto al
caposcuola s'impone lo Pseudo Jacopino, autore dell'affresco di S. Giacomo alla Battaglia di
Clavijo, già in S. Giacomo Maggiore (Bologna, Pinacoteca nazionale). L'attenzione al dato
naturale si ritrova anche nella scultura del tempo, che si esprime nelle scene scolastiche
raffigurate sui sepolcri dei dottori dell'ateneo bolognese. Un altro artista di area emiliana,
Tommaso da Modena, elabora uno stile lineare e narrativo che anticipa il gotico internazionale,
esemplato da due affreschi modenesi, le Madonne di S. Biagio e di S. Agostino.
Nel 1390 viene iniziata a Bologna la costruzione di S. Petronio, su progetto di Antonio di
Vincenzo, che del gotico offre una versione dai moduli ampi e distesi. Proprio in S. Petronio,
Giovanni da Modena affrescò la Cappella Bolognini con il Paradiso e l'Inferno e le Storie dei
Magi (1410 ca.), secondo la poetica tardo-gotica e con l'efficacia rappresentativa che è
propria di un largo filone dell'arte emiliana. Il gotico internazionale vanterà testimonianze
di squisita raffinatezza in Ferrara, con il soggiorno di Pisanello (1438) e con l'attività di
Antonio Alberti.
Il Rinascimento padano
Sin dall'inizio del Quattrocento è documentata nella regione la presenza di numerosi artisti
toscani: a Bologna, dal 1425 Jacopo della Quercia scolpisce i rilievi e le statue nel portale
maggiore di S. Petronio, nel 1437 Paolo Uccello lascia in S. Martino mirabili prove di
sperimentazione prospettica nell'affresco della Natività. Verso la metà del secolo operano a
Carpi i fiorentini Della Robbia, le cui ceramiche invetriate si trovano nel Castello dei Pio.
Nel Duomo di Modena lavorano Michele da Firenze e Agostino di Duccio (1445 ca.), quest'ultimo
attivo, dopo il 1450, anche presso il Tempio Malatestiano di Rimini. Quest'ultimo, su progetto
di Leon Battista Alberti, rappresenta nell'architettura l'aspirazione dell'Umanesimo toscano
verso la bellezza ideale, elaborata alla luce della classicità greco-romana. All'interno,
l'affresco di Piero della Francesca (1451) e i marmi scolpiti di Agostino di Duccio
contribuiscono a fare del Tempio uno degli esempi più alti della cultura artistica
rinascimentale. Ritroviamo sia l'Alberti che Piero alla corte degli Este, a Ferrara, dove
il primo progettò il campanile della Cattedrale e, forse, l'arco del Cavallo, mentre il secondo
eseguì affreschi, andati perduti, nel Castello (1449). Da qui si diffonde, in Emilia e Romagna,
il concetto umanistico di arte, imperniato su un'idea di spazio organizzato tramite la
prospettiva, subito recepita dagli artisti locali, tra cui Cristoforo e Lorenzo da Lendinara,
autori del
Giudizio universale affrescato nel Duomo di Modena (1460 ca.).
Poco dopo
la metà del Quattrocento, Ferrara diventa il luogo di una straordinaria fioritura artistica,
definita dallo storico dell'arte Roberto Longhi "officina ferrarese". In questo filone
pittorico anticlassico sono riconoscibili diversi influssi: la lezione di Piero della Francesca,
rielaborata in chiave di drammatica espressività, l'esperienza di Rogier van der Weyden,
pittore fiammingo attivo presso gli Estensi, lo stile donatelliano dei celebri bronzi.
Espressione di questo fermento artistico è il ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoia
(1469-70), dove Francesco del Cossa, con il giovane Ercole de' Roberti e probabilmente sotto
la direzione di Cosmè Tura, rappresenta la corte di Borso d'Este, scandita nei dodici mesi,
sotto l'egida dei segni zodiacali, accostando scene di vita quotidiana a fantasiose visioni
astrologiche. Verso la fine del Quattrocento la città di Bologna conosce un periodo di
straordinaria vivacità artistica sotto la signoria dei Bentivoglio, che cesserà nel 1506 con
l'avvento del governo papale: presso la corte bolognese operano i ferraresi del Cossa,
de' Roberti, Lorenzo Costa e il bolognese Francesco Francia, i cui dipinti del periodo maturo
riflettono un classicismo sensibile agli influssi del Perugino. Una stagione felicissima,
rappresentata ai massimi livelli dagli affreschi perduti della Cappella Garganelli in
S. Pietro, opera di Ercole de' Roberti (un frammento superstite è nella pinacoteca nazionale).
Di particolare rilievo, inoltre, la produzione scultorea in terracotta, materiale che sopperisce
alla locale carenza di marmi e materiali lapidei. Protagonisti sono Niccolò dell'Arca, pugliese
operoso a Bologna ove esegue il
Compianto su Cristo morto nel santuario di S. Maria
della Vita (1463), e il modenese Guido Mazzoni, autore del
Presepe nel Duomo della sua
città (1430) e di vari Compianti ancora a Modena, a Ferrara, a Guastalla, a Busseto, gruppi in
terracotta policroma di acuta espressività con influssi ferraresi e franco-fiamminghi.
Il
primo Cinquecento è pervaso anche nell'area emiliano-romagnola dalla preponderante influenza di
Michelangelo, attraverso le statuette dell'arca di S. Domenico (1494) a Bologna e lo scomparso
monumento bronzeo a papa Giulio II sulla facciata di S. Petronio, e di Raffaello, autore di due
pale emiliane, l'
Estasi di S. Cecilia già in S. Giovanni in Monte a Bologna (1514,
Pinacoteca nazionale) e la
Madonna Sistina già in S. Sisto a Piacenza (1515 ca.,
Gemäldegalerie di Dresda).
Importante anche il contributo di seguaci di Raffaello come Baldassarre Peruzzi (disegni per le
fabbriche bolognesi di S. Petronio e di S. Pietro), Giulio Romano (progetto per la tomba di
Claudio Rangoni, ora nel Duomo a Modena, 1537), Jacopo Barozzi detto il Vignola (Palazzo
Farnese a Piacenza, 1559, il portico dei Banchi a Bologna, 1565-68). La tradizione plastica
prosegue con Alfonso Lombardi, ferrarese attivo a Bologna; suo il
Transito della Vergine
in S. Maria della Vita (1522), dalla gestualità eloquente, e la posteriore
Madonna e
santi di Faenza (1524, Pinacoteca comunale), classicamente misurata. Seguace del Lombardi è
il modenese Antonio Begarelli, autore dei complessi statuari di S. Pietro in Modena (1536-1553)
e di S. Giovanni in Parma (1540 ca.).
Il territorio della regione fu interessato da un
altro fenomeno squisitamente rinascimentale, favorito dal mecenatismo dei vari signori locali:
il progetto e la realizzazione di quartieri urbani o intere cittadine ideate secondo la
concezione umanistica di "città ideale". Tra gli esempi più cospicui vi è la cosiddetta
"addizione erculea" di Ferrara, voluta dal duca Ercole I d'Este (dal 1492): a Nord del Castello
un nuovo quartiere sorge su una razionalissima pianta ortogonale progettata da Biagio Rossetti;
all'incrocio degli assi principali, Rossetti concepisce il Palazzo dei Diamanti, dal
rivestimento marmoreo a bugnato, geniale alternativa al laterizio, tipico delle città padane.
Sull'esempio ferrarese vengono realizzate l'"addizione erculea" di Modena, altra città estense
(dal 1535), la riqualificazione urbanistica di Carpi, capitale di Alberto III Pio, il nuovo
impianto di Guastalla voluto da Ferrante Gonzaga su disegno di Domenico Giunti (metà del
Cinquecento); di lì a breve Mirandola si riorganizza come munitissima roccaforte sotto
l'impulso di Ludovico Il Pico. Tardo modello dell'urbanistica rinascimentale è Terra del Sole,
cittadella a pianta stellata eretta da Cosimo de' Medici ai confini della Toscana (dal 1564).
Caso a sé stante in quanto sede periferica di una signoria non locale, il forte di San Leo,
nella valle della Parecchia, commissionato da Federico da Montefeltro al senese Francesco di
Giorgio Martini (dopo la metà del XV secolo). Fra Quattrocento e Cinquecento, inoltre, vengono
edificate nelle campagne dimore signorili e numerose strutture difensive vengono trasformate in
senso residenziale, come avviene per il Palazzo dei Pio a Carpi, la Rocca dei Boiardo a
Scandiano (Modena), il Castello dei Rossi a San Secondo Parmense, la Rocca dei Meli Lupi a
Soragna. Viene privilegiata la struttura con torri angolari, desunta dal modello del fortilizio:
così la Rocca di Riolo, il Palazzo dei Bentivoglio a Gualtieri e il castello estense della
Mésola, entrambi su progetto di G.B. Aleotti, la "Villa di delizie" estense del Verginese
presso Portomaggiore (Ravenna), attribuita a Girolamo da Carpi.
Manierismo e classicismo
Attivo soprattutto a Parma fino alla morte (1534), Correggio è l'originale personalità artistica
che accoglie ed elabora sia l'esempio del Raffaello operante a Roma sia suggestioni lombarde e
venete provenienti da Mantenga e da Leonardo. Tali influenze sono ravvisabili negli affreschi
parmensi della camera di S. Paolo (dal 1519), dove "lombarda", ovvero padana, è la ricca
sostanza umana che permea l'intero ciclo. Nei grandi affreschi a S. Giovanni Evangelista (1520)
e nel duomo (1526-30) Correggio conferma l'essenza "lombarda" della sua idea di spazio: non
definito da architetture ma alluso dalle forme di corpi e nubi, investite dalla luce spiovente.
Ancora "lombardo", di impronta leonardesca, è quel tono colloquiale e coinvolgente delle pale
dell'artista, come la
Madonna di S. Girolamo, o il
Giorno (Parma, Galleria
nazionale). In senso decisamente manierista si sviluppa invece l'opera del Parmigianino
(affreschi in S. Maria della Steccata di Parma, 1530-39), che si contraddistingue per
l'esasperazione della tensione compostiva, fino ad esiti di raffinata astrazione.
Presso
la corte estense, intanto, si affermano personalità artistiche come il Garofano, Girolamo da
Carpi e soprattutto Dosso Dossi, influenzati dal classicismo raffaellesco; evidente, in
quest'ultimo, la predilezione per i temi mitologico-allegorici. La maniera del Dossi
rappresenta un elemento costitutivo nell'opera di artisti come Bastianino e i Filippi, attivi a
Ferrara nella seconda metà del Cinquecento. Altri esempi cospicui di come il Manierismo si
manifesta in Emilia sono gli affreschi di Niccolò dell'Abate nella Sala del Fuoco del Palazzo
comunale di Modena (1545) e nei palazzi Torfanini e Poggi di Bologna (1550-52), le storie di
Ulisse del lombardo Pellegrino Tibaldi, ancora a Palazzo Poggi. Il michelangiolismo di Tibaldi
si ritrova anche nella maniera di Lelio Orsi, autore degli affreschi delle dimore dei Gonzaga
di Novellara (Modena, Galleria estense). A Parma, la squisita eleganza del Parmigianino trova
seguito nella pittura di Girolamo Mazzola Bedoli e di Jacopo Bertoja, frescanti presso il
Palazzo ducale del Giardino.
Nell'ultimo quarto del Cinquecento Bologna diventa centro di
rinnovamento artistico grazie ai Carracci - i fratelli Annibale e Agostino e il cugino
Ludovico - fondatori dell'Accademia del "naturale", poi degli Incamminati, di tendenza
antimanierista. La "riforma" figurativa dei Carracci rivitalizza lo stile corrente in senso
naturalistico, impiegando modi e temi desunti dall'esperienza del reale. Evidente vi è,
inoltre, la lezione cromatica di pittori veneti come Tiziano, Veronese, Tintoretto. Attivi
anche nel romano Palazzo Farnese - dove lasciano un esempio di fondamentale importanza per la
transizione al Barocco -, i Carracci danno una superba prova del loro magistero nel fregio con
le storie di Romolo del bolognese Palazzo Magnani (1590-92). Custodite nella Pinacoteca
nazionale sono le pale della
Madonna dei Bargellini di Ludovico (1588) e della
Madonna di S. Ludovico di Annibale, con un preludio del futuro paesaggio classico.
I Carracci lasciano una profonda traccia sui pittori emiliani rappresentanti del "classicismo
seicentesco" come Domenichino, Francesco Albani e Guido Reni, geniale autore della celebre
Strage degli innocenti (Bologna, Pinacoteca nazionale), e una schiera di artisti tra i
quali Bartolomeo Schedoni, Giovanni Lanfranco, Carlo Bononi, Guido Cagnacci, Alessandro Tiarini.
Ormai in pieno Barocco, il Guercino si orienta, per influsso del Reni, verso un levigato
classicismo arricchito di un cromatismo vibrante (
Assunzione e
Ss. Pietro e
Girolamo del Duomo di Reggio, 1626).
Il Barocco
In Emilia il linguaggio architettonico barocco viene declinato secondo uno stile definito
"classicismo scenografico" di cui l'esempio più precoce è la chiesa bolognese di S. Salvatore
del lombardo Ambrogio Magenta (primo decennio del Seicento). Si tratta di un modo di
moltiplicare e amplificare gli spazi ricorrendo a soluzioni di matrice scenografica, come le
prospettive dipinte, o "quadrature", su volte e pareti, con effetti di sorprendente
illusionismo ottico. Ne sono esempi la chiesa di S. Giorgio a Modena, su disegno del reggiano
Gaspare Vigarani (1646), con l'interno articolato da tribune a foggia di palchetti, o la Villa
Albergati a Zola Predosa del bolognese Gian Giacomo Monti (1665 ca.), dove l'altezza del salone
centrale è suggestivamente resa indefinita.
Il materiale che meglio si presta alla
decorazione, tanto importante da diventare complementare all'architettura, è lo stucco,
virtuosisticamente plasmato dai Reti nella Parma farnesiana, da Lattanzio Maschio e da Antonio
Traeri nella Modena estense, da Giuseppe Maria Mazza e da Angelo Piò a Bologna. Nella
prestigiosa scuola bolognese, in campo figurativo spiccano i binomi di Agostino Mitelli e
Angelo Michele Colonna e di Gian Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi, che affrescano la reggia
estense di Sassuolo. Qui, verso la metà del Seicento, si impone la personalità pittorica di
Giovanni Boulanger, allievo del Reni. Tra Seicento e Settecento, particolarmente significativa
è la figura di Ferdinando Bibiena, architetto e ingegnere teatrale, massimo esponente della
scenografia emiliana. Suoi gli esiti spettacolari nella volta a doppia calotta traforata in
S. Antonio Abate di Parma e nel loggiato del Palazzo ducale di Colorno.
La grande stagione
del Barocco romano - con le grandi personalità che espresse - ebbe naturalmente ripercussioni
sugli ambienti artistici emiliani. Bartolomeo Avanzini, con la consulenza di Francesco
Borromini e Gian Lorenzo Bernini, progetta il grandioso Palazzo ducale (dal 1630) di Modena,
commissionato da Francesco I d'Este. Il Bernini in persona esegue poi nel marmo il ritratto di
Francesco I (Modena, Galleria estense), e il suo seguace Antonio Raggi modella il bozzetto
della statua del Tritone per la reggia estense di Sassuolo (Modena, Galleria estense). Il
bolognese Alessandro Algardi, attivo soprattutto a Roma, antagonista del Bernini e discepolo
dei Carracci, scolpisce il gruppo marmoreo della
Decollazione di S. Paolo (1642;
Bologna, chiesa di S. Paolo).
Il Barocco figurativo è ben rappresentato in ambito
bolognese dall'
Ercole di Domenico Maria Canuti nella volta del salone di Palazzo Pepoli
(1669), edificio che accoglie anche gli affreschi delle
Stagioni (1691) di Giuseppe
Maria Crespi, pervasi da una freschissima vena di naturalismo. Di pochi anni più tardi sono gli
affreschi del soffitto nel Palazzo ducale di Modena (1694), opera di Marcantonio Franceschini,
e quelli della cupola nel duomo di Forlì (1702-6), di Carlo Cignali.
Oltre ad essere per
oltre un secolo la città più autorevole nel campo della pittura, Bologna esprime interessanti
personalità anche nell'architettura, quali Giuseppe Maria Torri, Alfonso Torreggiani, Carlo
Francesco Dotti, legato, quest'ultimo, al santuario della Madonna di S. Luca (1723-57),
congiunto a Bologna dal lungo porticato, rappresentativo degli esiti propri dell'architettura
emiliana nel Seicento e Settecento.
Dal Rococò al Novecento
Verso la metà del Settecento l'influsso dello stile diffusosi in Francia durante il regno di
Luigi XV si fa sentire, soprattutto nella Parma borbonica. Il salottino d'Oro nel Palazzo
ducale di Modena, a
boiseries, e gli interventi di Ennemond-Alexandre Petitot nella
reggia di Colorno sono esiti raffinatissimi del periodo, appena precedente all'affermarsi del
gusto neoclassico, che avrà il maggiore rappresentante in Felice Giani, pittore e disegnatore
attivo anche a Roma. Capitale del gusto neoclassico sarà Faenza, ma anche Bologna, Ferrara,
Forlì, Ravenna, Rimini, Modena rientrano nel raggio d'influenza del Giani, con esiti di livello
europeo.
L'architettura teatrale, la scenografia e la decorazione d'interni trovarono un
importante sviluppo nel corso dell'Ottocento, sulla scia di una tradizione iniziata con il
Teatro Farnese di Parma, eretto dall'Aleotti (1618), e proseguita con il Comunale di Bologna,
di Antonio Bibiena (1763). Vengono costruiti numerosi teatri, con prevalente struttura a
palchetti di derivazione barocca, spesso con importanti sipari e apparati decorativi: il Regio
di Parma (1829); il Comunale di Modena (1841), con sipario di Adeodato Malatesta; il Valli di
Reggio, con l'esterno neogreco di Cesare Costa e il sipario di Alfonso Chierici (1857); il
Municipale di Rimini (1857), su disegno di Luigi Poletti.
La corrente figurativa Verista
della metà dell'Ottocento annovera tra i suoi esponenti artisti come il reggiano Antonio
Fontanesi, il bolognese Luigi Bertelli e il forlivese Silvestro Lega, che presto aderì al
movimento toscano dei Macchiaioli. Frequentazioni con la scuola fiorentina dei Macchiaioli ha
anche il ferrarese Giovanni Boldini, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il gusto tipicamente
tardo-ottocentesco per il revival guida gli interventi sulla Bologna medioevale condotti da
Alfonso Rubbiani tra restauro e "falso in stile". Nel Novecento, nel periodo tra le due guerre,
il ferrarese Filippo De Pisis elabora in modo personale molti assunti dei movimenti artistici
del suo tempo, mentre il bolognese Giorgio Morandi, nonostante l'adesione alla corrente
metafisica, appare sensibile alla lezione di maestri quali Giotto, Vermeer, Cèzanne; dominano
nella sua arte le nature morte, semplici oggetti del quotidiano trasposti in una sfera
atemporale e metafisica.
LE CITTÀ
Bologna
Capoluogo della regione, Bologna (ab. 383 761) sorge alla destra del fiume Reno, ai piedi
degli ultimi rilievi appenninici e al centro di un territorio molto fertile nell'Appennino
Tosco-Emiliano. La città, che deve soprattutto alla sua centralità geografica l'affermazione
del suo ruolo dominante nella regione, è parte di un'area metropolitana che si sviluppa lungo
l'asse costituito dalla romana Via Emilia. La città è il principale nodo di comunicazione
autostradale e ferroviario fra il Nord e l'Italia peninsulare. Notevole l'attività industriale
che conta industrie metalmeccaniche, elettrotecniche, chimiche, farmaceutiche, alimentari,
distillerie, calzaturifici, fabbriche di ceramica e vetrerie.
Bologna è detta "la dotta"
per le sue antiche tradizioni culturali (università del XII sec.) e "la grassa", per le sue
tradizioni gastronomiche. è inoltre
Fèlsina pittrice, per l'importantissima, secolare
attività figurativa che vi si svolse e per le personalità artistiche che vi si formarono e che
vi operarono: dai trecenteschi Vitale e Jacopino alle scuole dei Carracci, di Guido Reni e del
Guercino, dall'architettura e la scenografia teatrali fino all'arte contemporanea di Giorgio
Moranti. La città registra poi l'inconsueta presenza artistica femminile, con Lavinia Fontana
ed Elisabetta Sirani. A riprova del segno lasciato nei secoli in campo culturale, Bologna è
stata designata "città europea della Cultura per l'anno 2000". Pur non possedendo testimonianze
artistico-architettoniche eccezionali, Bologna conserva un centro storico di pregio, le cui
caratteristiche dominanti sono il caldo colore rosso e ocra dei muri (il fosco vermiglio
mattone ricordato da Carducci in una sua celebre ode) e la presenza di lunghi portici i quali,
estendendosi per quasi 38 km, uniscono e armonizzano il paesaggio, attenuando il contrasto tra
edifici di epoche e stili diversi.
STORIA. Risalgono all'Età del Bronzo i primi insediamenti abitativi nell'area della città,
sviluppatasi successivamente nel periodo villanoviano e poi etrusco, durante il quale prese il
nome di
Fèlsina. Dopo la conquista da parte dei Galli Boi (V sec. a.C.), popolazione
celtica della Gallia, la città mantenne il ruolo di capitale con il nome di
Bononia.
L'inizio della storia urbana si ha tuttavia con la colonizzazione romana (dal 189 a.C.) e con
l'apertura della Via Emilia. Nonostante la distruzione a causa di un incendio (53 d.C.), la
città continuò a prosperare fino al III sec., durante il quale fu eretta una cinta muraria,
ricordata come "cerchia di selenite" perché costruita in blocchi di quel materiale. Le
successive invasioni barbariche causarono un periodo di crisi demografica e urbanistica. Come
parte dell'esarcato bizantino di Ravenna, la città iniziò uno sviluppo urbano verso Est, che
proseguì anche durante l'occupazione longobarda (VIII sec.). La costruzione di importanti sedi
di culto fuori dalle mura portò alla formazione di nuovi insediamenti. Nell'XI sec. si ebbe
una ripresa generale della vita urbana, culminata con la fondazione, nel 1088, del primo nucleo
universitario (Studium) con la scuola di diritto.
Al XII sec. risale la costituzione del
Comune, quando l'imperatore Enrico V concesse a Bologna una serie di diritti; venne iniziata la
costruzione di nuove mura, già in gran parte compiute nella seconda metà del secolo. Nello
stesso periodo vennero erette numerose torri e case-torri, per iniziativa di feudatari inurbati
e mercanti emergenti, e si iniziò a costruire i portici, che ampliavano lo spazio a
disposizione delle attività artigianali e commerciali. Nel corso del Duecento Bologna raggiunse
i 50.000 abitanti, collocandosi tra le prime dieci città più popolose d'Europa. Dal punto di
vista delle trasformazioni urbanistiche, i fatti più significativi furono la costruzione di una
nuova cerchia difensiva (ultimata nel 1374) e lo sviluppo di nuovi insediamenti lungo il
perimetro della città, dovuto al formarsi degli ordini mendicanti. Il Duecento segnò un periodo
di potenza e benessere economico: segno del prestigio anche militare della città fu la vittoria
di Fossalta contro le truppe imperiali di Federico II (1249). Il secolo successivo vide la
città travagliata da lotte intestine fra Guelfi e Ghibellini e contesa fra la Chiesa e i
Bentivoglio; tale situazione durò fino al 1446, quando Sante Bentivoglio divenne il signore di
Bologna. Tuttavia, alla fine del Trecento, in un clima di tardiva quanto fervida ripresa
edilizia nel rinato libero Comune, ci fu una serie di importanti interventi e l'avvio della
costruzione di S. Petronio.
Nella seconda metà del Quattrocento, durante la signoria dei
Bentivoglio, Bologna conobbe un profondo rinnovamento urbano che vide un largo impiego della
pietra e del laterizio anche nell'edilizia minore. La signoria dei Bentivoglio durò fino al
1506, anno in cui la città venne annessa allo Stato Pontificio. Governata da un'oligarchia di
nobili, il Senato, insieme ad un cardinale legato, la città iniziò ad assumere la fisionomia
che conserva ancor oggi: sorsero i grandi palazzi "senatori" lungo le vie principali, le chiese
ispirate ai modelli della controriforma e nuovi conventi. Nella seconda metà del Seicento
iniziò l'opera di collegamento della città al santuario di S. Luca tramite il lunghissimo
portico.
Nel XVIII secolo Bologna fu un importante centro di diffusione del giacobinismo
e, dopo le vittorie napoleoniche, fece parte della Repubblica Cispadana prima, poi di quella
Cisalpina e infine del Regno Italico. In epoca napoleonica fu spostata la sede dell'università
nell'odierna via Zamboni, laddove era sorto l'Istituto delle Scienze, una scuola a moderno
indirizzo scientifico promossa da Luigi Ferdinando Marsili. L'istituto venne inaugurato nel
1714 e restituì a Bologna un ruolo importante nella comunità scientifica europea e
internazionale. Dopo la Restaurazione la città ritornò a far parte dello Stato della Chiesa;
durante il Risorgimento aderì alle idee liberali e fu sede dell'attività di alcune società
segrete. Dopo i moti del 1859 venne instaurato un Governo provvisorio e il 18 marzo 1860 la
città fu annessa al Regno d'Italia. Sin dai primi anni successivi all'unità nazionale si mise
mano al tessuto viario del centro, aprendo le vie Farini e Garibaldi e le piazze Cavour e
Minghetti. Via dell'Indipendenza divenne il nuovo collegamento fra piazza Maggiore e la
stazione ferroviaria (1888). La città fu dotata di un piano regolatore nel 1889. Secondo il
criterio prevalente del tempo, Bologna subì numerosi interventi di "restauro" che tendevano al
ripristino dell'aspetto medioevale della città, in antitesi alla sua immagine pontificia e
barocca. All'inizio del XX secolo furono abbattute le antiche mura e vennero eseguiti altri
lavori di apertura e ampliamente di vie adiacenti al nucleo storico. Dal secondo dopoguerra
Bologna ha cominciato ad estendersi in popolosi quartieri periferici, mentre a Sud la sua
dilatazione è stata frenata dalle colline. Notevole lo sviluppo dei settori secondario e
terziario, e determinante anche la presenza della fiera, la seconda in Italia, sostenuta da un
importante aeroporto internazionale.
ARTE. Il capoluogo dell'Emilia-Romagna è una città di grandi tradizioni artistiche e culturali,
con una configurazione urbanistica compatta ed omogenea. Osservando
la pianta della città si colgono le tappe del suo sviluppo urbanistico: al centro l'impianto
della città romana e altomedioevale, quadrangolare con un reticolo di strade che si incrociano
ortogonalmente; a Est e a Ovest di questo spazio l'irraggiamento di strade nella direzione
delle porte dell'antica cinta muraria, tuttora riconoscibile nel tracciato poligonale dei viali
di circonvallazione.
Il volto della città è prevalentemente sei-settecentesca, con
inserimenti realizzati nei due secoli successivi, mentre la parte settentrionale della città,
colpita dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, presenta un aspetto moderno.
Piazza Maggiore costituisce il cuore di Bologna. è da sempre sede dei più importanti
avvenimenti civili, sociali e religiosi della città; fino al 1877 fu anche luogo di mercato. Su
di essa affacciano il Palazzo comunale, la basilica di S. Petronio e il complesso formato dai
palazzi del Podestà e di Re Enzo. Oltre a questi edifici simbolo, ai lati della basilica
sorgono il tardo-trecentesco Palazzo dei Notai, radicalmente restaurato da Alfonso Rubbiani nel
1908, e il Palazzo dei Banchi, in realtà una facciata eretta su disegni del Vignola (1565-68)
per definire il lato orientale della piazza in funzione prospettico-teatrale, con due grandi
aperture che danno accesso alle vie del mercato.
La piazza (m 100 x 75) ebbe origine fra
il 1200 e il 1203 quando, in piena età comunale, crebbe l'esigenza di avere uno spazio che
rappresentasse le istituzioni del governo cittadino; l'assetto attuale fu raggiunto nella prima
metà del Quattrocento. Il Palazzo del Podestà, posto di fronte alla basilica di S. Petronio,
forma un tutto unico con il retrostante Palazzo di Re Enzo. Dell'edificio d'epoca comunale,
abbattuto per volere di Giovanni II Bentivoglio, resta la Torre dell'Arengo (1212) munita di
una grande campana, detta il Campanazzo (collocata nel 1453), che suona in occasione di
avvenimenti cittadini di rilievo. La facciata con portici del nuovo palazzo, voluto dai signori
Bentivoglio, è un pregevole esempio di architettura rinascimentale (1485). Il Palazzo di Re
Enzo deve il nome al figlio di Federico II che, catturato durante la battaglia di Fossalta
(1249), vi fu tenuto prigioniero fino alla morte (1272); il palazzo venne edificato nel 1244
come sede delle magistrature di governo della città, ma ha assunto il suo aspetto attuale nel
1913, dopo un radicale intervento di restauro. Di rilievo, sotto le volte dell'incrocio coperto,
le statue dei quattro santi protettori della città, terrecotte di Alfonso Lombardi (1525).
Accanto a questo complesso sorge il Palazzo comunale, noto anche come Palazzo d'Accursio. Si
tratta di un edificio a pianta quadrangolare, vasto e composito a causa di successivi interventi
di ampliamento.
Al centro dell'omonima piazza, tra il Palazzo del Podestà e il Palazzo comunale,
si trova la celebre
Fontana del Nettuno con la statua in bronzo del Giambologna (1563-66) che
raffigura il dio del mare in atto di placare le onde, e con quattro putti con delfini e quattro
sirene, pure del Giambologna.
La basilica di S. Petronio, dedicata al vescovo patrono
della città, domina Piazza Maggiore con la sua mole imponente. La sua realizzazione, iniziata
nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo, fu voluta dall'autorità civile per ribadire il
principio dell'autonomia e della libertà comunali.
L'elemento monumentale più caratteristico della città è
costituito dalla due torri, la Torre Garisenda e la Torre degli Asinelli, entrambe pendenti per
un cedimento del terreno. Esse sono le superstiti, con altre circa venti altre torri, delle
numerosissime altre strutture difensive, oltre cento, che dal Duecento hanno valso alla città
l'appellativo di turrita.
Tra le numerose
chiese di Bologna, ricche di tesori artistici, quella di S. Domenico rappresenta con l'annesso
convento uno dei complessi monumentali di maggior rilievo.
Tra gli edifici religiosi storicamente più importanti della città vi è il complesso di S.
Stefano, formato da un insieme di fabbricati costruiti e rimaneggiati in epoche diverse.
Eretta dagli Agostiniani fra il 1267 e il 1343, la chiesa di S. Giacomo Maggiore ebbe
l'interno, a una navata, rifatto nella seconda metà del Quattrocento; alla stessa epoca risale
l'elegantissimo porticato laterale, a colonne scanalate in arenaria, impreziosito da fregi in
terracotta.
L'Università, considerata la più antica d'Europa, ha sede nel Palazzo
Poggi, edificio attribuito a Bartolomeo Triachini (1549). Fu qui trasferita nel 1803, a seguito
della riforma della Pubblica Istruzione elaborata nel clima di rinnovamento democratico della
Repubblica Cisalpina. Il palazzo ospitava già da un secolo l'Istituto delle Scienze fondato da
Luigi Ferdinando Marsili e le collezioni da questi donate al Senato bolognese purché venisse
creata una nuova scuola. All'istituto il Marsili affiancò l'Accademia delle Scienze e
l'Accademia Clementina, poi Accademia di Belle Arti. Nei secoli successivi operarono a Bologna
i più rilevanti pittori, scenografi e scultori, nonché scienziati di fama internazionale quali
Marcello Malpighi e Luigi Galvani, Augusto Righi e Guglielmo Marconi.
La data di nascita
dell'Università bolognese è stata convenzionalmente fissata al 1088, anno in cui in città
esisteva sicuramente una scuola di diritto; tuttavia la scuola giuridica bolognese raggiunse
grande prestigio alla metà del secolo seguente per merito di Irnerio, rinnovatore della scienza
del diritto. Egli si dedicò allo studio delle leggi romane, commentandole in pubblico. Intorno a Irnerio,
morto nel 1125, e poi ai suoi allievi, si radunò la "Universitas Scholarium". Nel Duecento alla
scuola di diritto si aggiunsero le scuole di medicina, chirurgia e filosofia. L'Università non
aveva tuttavia una sede unitaria, finché nel 1563 non fu edificato il Palazzo dell'Archiginnasio
che ospitò lo Studio fino al 1803. La costruzione dell'Archiginnasio, sotto la stabile
dominazione pontificia, sancì in modo definitivo la dipendenza della "universitas" degli
scolari dal potere politico.
La Torre della Specola (1721) che sovrasta Palazzo Poggi fu
un osservatorio astronomico di primaria importanza e ospita oggi l'interessante Museo di
Astronomia, con una ricca raccolta di strumenti a partire dagli antichi astrolabi medioevali.
Nei Musei di Palazzo Poggi è possibile visitare gli antichi laboratori del settecentesco
Istituto delle Scienze, luoghi di didattica, ricerca e conservazione insieme. In questo ambito
sono allestite le varie stanze riguardanti: Nautica; Architettura militare; Anatomia umana;
Ostetricia. Il Museo storico dello Studio, inaugurato in occasione delle celebrazioni
dell'ottavo centenario (1888), raccoglie documenti e cimeli che illustrano la storia
dell'Università. La Biblioteca universitaria, che vanta numerosi manoscritti rari, una raccolta
di incunaboli e antichi papiri, ha una vastissima sala di lettura con scaffalature
settecentesche in noce e altre sale con decori pittorici cinquecenteschi. Il nono centenario
della fondazione dell'Università, celebrato nel 1988, ha aggiunto altri spazi allo Studio:
l'incompiuta chiesa gesuita di S. Lucia in via Castiglione, restaurata e divenuta Aula Magna,
e il complesso dell'antico monastero di S. Giovanni in Monte.
Il Palazzo dell'Archiginnasio,
voluto da papa Pio IV come sede stabile dell'Università cittadina, fu progettato da Antonio
Morandi detto il Terribilia nel 1563. L'edificio presenta un lungo portico e, all'interno, un
cortile quadrato a doppio loggiato; questo, come quasi tutti gli ambienti, è decorato dagli
stemmi, scolpiti o dipinti, dei rettori, dei priori e degli studenti che frequentarono lo
Studio fra Cinquecento e Settecento. Lo storico Teatro anatomico in legno, progettato da
Antonio Levanti (1649) e ricostruito dopo gli eventi bellici, costituisce il simbolo del
prestigio della scuola di medicina, ove fu praticata la prima dissezione dell'età moderna. Il
palazzo, sede dell'Università sino al 1803, dal 1835 ospita la prestigiosa Biblioteca comunale,
ricca di oltre 650.000 volumi, 12.000 manoscritti, cospicue raccolte di carteggi, carte
geografiche e stampe.
Tra i musei cittadini spicca la Pinacoteca Nazionale, fondamentale
per ripercorrere la storia artistica della città dal Trecento al Settecento attraverso le opere
qui custodite, in gran parte eseguite per le chiese locali. La raccolta ha origine dalla
quadreria dell'Accademia di Belle Arti, insediatasi nel 1804 nell'attuale sede, un palazzo
progettato da Francesco Martini nella seconda metà del Seicento.
Tra le istituzioni cittadine a carattere scientifico, nate a
corollario dell'attività universitaria, vi sono il Museo di Fisica, con strumenti che vanno dal
Seicento a oggi; l'interessante Museo di Geologia e Paleontologia Giovanni Capellini, la più
grande raccolta paleontologica italiana; il Museo di Mineralogia Luigi Bombici; il complesso
dell'Orto botanico ed Erbario: il primo, fondato nel Cinquecento da Ulisse Aldrovandi,
comprende oltre di 5.000 esemplari di piante locali ed esotiche; il secondo, tra i più antichi
d'Europa, comprende circa 110.000 piante essiccate.
Nei dintorni della città sorge il
santuario settecentesco della Beata Vergine di S. Luca, eretto sul luogo di un antico eremo.
Esso domina il colle della Guardia (m 289) ed è raggiungibile da Porta Saragozza seguendo la
via porticata con 666 archi lunga oltre 3 km, costruita tra il 1674 e il 1715 per collegare
Bologna al santuario, a significare lo stretto rapporto tra la città e questo luogo di
devozione.
Il Palazzo di re Enzo, a Bologna
LA PROVINCIA. La provincia di Bologna (913.119 ab.; 3.702 kmq) si estende su un territorio per
la maggior parte pianeggiante. L'economia è prevalentemente agricola: cereali, foraggi,
frutta, barbabietole da zucchero, canapa, pomodori, ortaggi; allevamento di bovini e suini. Non
mancano però le industrie alimentari, tessili, meccaniche e chimiche. Centri principali
sono Budrio, Casalecchio di Reno, Castel San Pietro Terme, Crevalcore, Imola, Marzabotto,
Medicina, Molinella, Porretta Terme.
Luoghi di interesse
Palazzo comunale o Palazzo d'Accursio
Il Palazzo comunale è costituito da un insieme di edifici che nel corso dei secoli sono via via stati uniti ad un nucleo più antico acquisito dal Comune alla fine del Duecento, comprendente fra l'altro l'abitazione di Accursio, maestro di diritto nello Studio bolognese. Fu inizialmente destinato a conservare le pubbliche riserve granarie e ad ospitare alcuni uffici municipali; da quando nel 1336 divenne residenza degli Anziani, la massima magistratura di Governo del Comune, è la sede del Governo della città. Al nucleo originario (XIII-XIV sec.), costituito dal corpo porticato sormontato
dalla torre, si aggiunsero su tre lati i corpi di fabbrica (1365) che fanno assomigliare il
palazzo ad una roccaforte. Ingentiliscono la facciata grandi finestre quattrocentesche e una
Madonna col Bambino, terracotta di Niccolò dell'Arca (1478). Dal portale cinquecentesco
del palazzo si accede al cortile, oltre il quale vi è il grande scalone da alcuni attribuito al
Bramante. Al primo piano, si trova la Sala d'Ercole, che conserva l'originario impianto rinascimentale, riveduto dai rifacimenti sei-settecenteschi. La statua in terracotta di
Ercole che abbatte l'Idra di Lerna (1519), dipinta in finto bronzo, è opera di Alfonso Lombardi (cui si debbono fra l'altro anche i
Quattro Santi Protettori di Bologna posti sotto il voltone del Podestà); può alludere alla caduta dei Bentivoglio e alla definitiva restaurazione pontificia nel governo della città. Sulla parete destra si trova un affresco con la
Madonna del Terremoto, di Francesco Francia, dipinta su una parete della vicina Cappella degli Anziani come ex voto per il terremoto del 1505, qui trasportata nel secolo scorso. All'ingresso calchi di bassorilievi della
Fontaine dei Innocents di Parigi dono dello stato francese al Comune di Bologna negli anni Trenta, in ricordo dello sculture francese Jean Goujon, attivo a Bologna subito dopo la metà del Cinquecento.
Gli ambienti monumentali all'interno conservano memoria di momenti storici e vicende politiche della città. Al primo piano vi è una seconda galleria, adibita oggi a Sala del Consiglio Comunale, la cui volta fu affrescata fra il 1675 e il 1677 da Angelo Michele Colonna e Gioacchino Pizzoli per il Senato Bolognese, con quadrature architettoniche e allegorie che alludono alla ricchezza, alla fama, alle arti e alla cultura della città.
Al secondo piano si apre la Sala Farnese e la cappella omonima, luogo del cerimoniale civico, di impianto rinascimentale, era ricoperta da una volta dipinta, demolita alla fine del secolo scorso e sostituita con l'attuale soffitto a cassettoni. Fin dalla metà del Cinquecento contro la parete di fondo era collocata una statua in marmo di papa Paolo III Farnese, poi rimossa nel periodo giacobino. Fu un cardinale della medesima famiglia, Girolamo Farnese, a promuovere nel 1665 il restauro dell'attigua cappella e il ciclo di affreschi che nella sala rievocano i fasti bolognesi legati alla dominazione simbolica dello stato pontificio sulla città.
Gli affreschi sono dovuti ad una equipe di pittori guidati da Carlo Cignani, fra cui Lorenzo Pasinelli, Luigi Scaramuccia, Girolamo Bonini, Giovanni Maria Bibiena.
Il monumento ad Alessandro VII, posto nel 1660 nell'attigua Sala degli Svizzeri, fu collocato contro la parete di fondo nel corso dei restauri del 1845. L'arcaica tecnica della lamina metallica su anima di legno è dovuta ad un orafo di origine senese, Dorastante d'Osio. La Cappella Farnese o Cappella del Legato (anticamente "palatina"), luogo dei luoghi più importanti del cerimoniale cittadino, fu costruita dall'architetto Aristotele Fioravanti intorno alla metà del Quattrocento, all'epoca dei lavori voluti nel palazzo dal Cardinal Bessarione. Tra il 1551 e il 1565, su commissione del cardinal legato Girolamo Sauli, fu ampliata da Galeazzo Alessi cui si deve anche il fronte architettonico esterno - originariamente in arenaria - rivestito in scagliola a metà Ottocento durante gli interventi di restauro in Sala Farnese. La decorazione ad affresco risale al 1562, quando era papa Pio IV, sotto la legazione di Carlo Borromeo e la vice legazione del Cardinale Pier Donato Cesi, artefice del riassetto monumentale del centro cittadino (Palazzo dell'Archiginnasio, portico dell'Ospedale della Morte, Palazzo dei Banchi, Fontana del Nettuno).
L'aspetto attuale è determinato da alterne vicende succedutesi nei secoli: il restauro seicentesco voluto dal cardinale Girolamo Farnese, l' uso incongruo come archivio e deposito nel periodo napoleonico e nel corso dell'Ottocento, fino al più recente recupero del 1992. Nel palazzo trovano spazio due importanti raccolte museali: il Museo Giorgio Morandi, inaugurato nel 1993, che raccoglie 281 opere di ogni peperiodo del grande artista bolognese e che ospita inoltre la ricostruzione dello studio di
via Fondazza con gli oggetti che furono materia della sua ricerca artistica; le Collezioni
comunali d'Arte, che raccolgono dipinti dal XIII al XIX secolo, prevalentemente di scuola
bolognese ed emiliana; importanti le opere di artisti quali Vitale da Bologna, Luca Signorelli,
Francesco Francia, Jacopo Tintoretto, Ludovico Carracci, Guido Cagnacci, Giuseppe Maria
Crespi.
Basilica di S. Petronio
La basilica di San Petronio, dedicata al patrono cittadino (ottavo vescovo di Bologna dal 431 al 450), è la più grande (m 132 di lunghezza, 66 di larghezza totale, 47 di altezza) ed importante chiesa bolognese. Fino ad anni recenti la chiesa è stata amministrata come un'istituzione cittadina, essendo sempre stata considerata un simbolo del potere locale in contrapposizione al potere del Vaticano, rappresentato dalla cattedrale San Pietro. La costruzione fu iniziata nel 1390 sotto la direzione di Antonio di Vincenzo. Il modello originale fu commissionato all'architetto per celebrare il potere riconquistato dal Comune. La costruzione dell'edificio si poté dire
conclusa solo alla metà del Seicento. Vi si svolsero, a riprova del prestigio di cui la chiesa
godeva, importanti avvenimenti storici quali l'incoronazione di Carlo V da parte di Clemente
VII (24 febbraio 1530) e le sessioni IX e X del Concilio di Trento, qui trasferitosi nel 1547
per sfuggire all'epidemia che imperversava in quella città.
Nella facciata, incompiuta, in
pietra d'Istria e marmo rosso di Verona, si aprono tre portali; quello di mezzo è ornato dalle
bellissime sculture di Jacopo della Quercia (1425-38): scene bibliche nei pilastri, i profeti
nella strombatura, storie del Nuovo Testamento nell'architrave e una
Madonna col Bambino
nella lunetta. Sui lati si aprono ampie finestre a trafori marmorei; a destra sorge il
campanile, eretto nel 1492.
L'interno, in stile gotico, è di grande suggestione; a
quest'impressione contribuiscono l'equilibrio formale dello spazio, scandito in tre navate, e
la sua luminosità diffusa. Quasi tutte le cappelle laterali sono chiuse da pregevoli transenne
marmoree o in ferro battuto (XV-XVII sec.). Esse racchiudono opere d'arte di grande pregio, tra
le quali vanno citati una
Madonna e santi e un
S. Girolamo di Lorenzo Costa (1492
e 1484), un
Compianto su Cristo morto, gruppo in terracotta dipinta di Vincenzo Onofri
(fine XV sec.), un
S. Rocco del Parmigianino e un notevole
Martirio di S. Sebastiano
di scuola emiliana della seconda metà del Quattrocento. Nella quarta cappella sinistra,
affreschi di Giovanni da Modena e aiuti (1410-15), raffiguranti il
Viaggio dei Re Magi,
scene della vita di S. Petronio, il Paradiso e l'Inferno. Nella bellissima cappella che
custodisce la reliquia del capo di S. Petronio, una ricca decorazione di Alfonso Torreggiani
(1750). Nel presbiterio si eleva la tribuna del Vignola (1548) rimaneggiata nel Seicento; degli
organi laterali, quello di destra è tra i più antichi d'Italia (1475). Da notare la meridiana
tracciata sul pavimento sino alla controfacciata, opera di Gian Domenico Cassini (1655), e
ritenuta una delle curiosità cittadine dai viaggiatori stranieri che nell'Ottocento compivano
il loro Grand Tour in Europa.
Visita virtuale allinterno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della navata centrale
Visita virtuale allinterno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della parte occidentale
Torre degli Asinelli
La Torre degli Asinelli, eretta nel 1119 da Gherardo Asinelli, un nobile di fazione ghibellina,
è alta 97,20 metri, all'interno ha una scala composta da 498 gradini, pende verso Ovest per 2,32 metri.
Nel XII secolo il Comune l'acquistò dai suoi proprietari per destinarla a fini militari, a prigione
e appoggio ai gabbioni in cui venivano rinchiusi i condannati alla berlina.
Nella seconda metà del '300, durante il decennio di dominazione dei Visconti, la torre venne
trasformata in fortilizio. Intorno alla torre fu realizzata una costruzione in legno, posta a
trenta metri da terra e unita alla attigua Garisenda da un passaggio aereo dal quale era
possibile dominare la città e il "Mercato di Mezzo", centro commerciale e possibile fulcro di
sommosse. Questa incastellatura lignea fu distrutta da un incendio nel 1398. Nel 1448, per
accogliere i soldati di guardia, alla base fu costruita una rocchetta merlata in muratura
fornita di portici in sostituzione di preesistenti strutture lignee.
Oggi gli archi del portico della rocchetta sono stati chiusi con vetrine per alloggiare alcune
botteghe di artigiani a ricordo della funzione di centro commerciale del medioevale "Mercato di
Mezzo".
Torre Garisenda
La Torre Garisenda, eretta nel XII secolo dai nobili Garisenda, anch'essi ghibellini, è alta
48,60 metri e pende verso Nord-Est per 3,22 metri. Ai tempi di Dante, che la cita nel sonetto
sulla Garisenda del 1287 e nel canto XXXI dell'Inferno, raggiungeva i 60 metri d'altezza. Tra
il 1351 e il 1360 Giovanni da Oleggio, che governava la città per conto dei Visconti, la fece
abbassare di 12 metri temendo che potesse crollare.
Chiesa di S. Domenico
La chiesa risale al XIII secolo, e fu costruita dai domenicani accanto al convento dove morì il fondatore dell'ordine (1221).
Costruita in forme tardo-romaniche fra il 1228 e il 1238, venne rinnovata da Carlo Francesco Dotti nel 1727-33.
All'interno, a tre navate e notevolmente sviluppato in lunghezza, si apre la Cappella di
S. Domenico, progettata da Floriano Ambrosini (1597-1605); a croce greca e sormontata da cupola,
mostra nel catino la
Gloria di S. Domenico di Guido Reni (1613-15). Qui si trova l'arca
di S. Domenico, straordinaria composizione scultorea di più artisti di epoche diverse: il
sarcofago è opera di Nicola Pisano con la collaborazione di Arnolfo di Cambio, Pagno di Lapo e
fra' Guglielmo (1265-67), il coperchio e il coronamento marmoreo, adorni di statue e festoni,
sono di Nicolò da Bari (1469-73) che per questo lavoro fu poi detto dell'Arca; l'angelo e le
statuette di S. Petronio e S. Procolo sono probabilmente di mano del giovane Michelangelo (1494).
Complesso monumentale di S. Stefano
Fabbricato sul luogo di un antico culto pagano, il Complesso di S. Stefano si articola in una serie di edifici sacri (chiese, cappelle e monastero) davanti ai quali si apre la splendida piazza triangolare, chiusa al traffico e recentemente riportata al suo aspetto antico, con la pavimentazione a ciottoli che discende verso la facciata della chiesa principale, detta del Crocifisso.
Secondo la tradizione fu fondato dal vescovo Petronio nel V secolo, in seguito, tra il X e l'XI
secolo, venne a strutturarsi a imitazione dei santuari di Gerusalemme. Oggi il complesso consta
di quattro chiese: la chiesa del Crocifisso, con facciata romanica e interno a una navata; la
chiesa dei Ss. Vitale e Agricola, eretta nell'XI secolo su una precedente, con interno a tre
navate con pilastri cruciformi alternati da colonne romane; la chiesa della Trinità,
costruzione a due navate trasversali ripristinata nel 1924, che custodisce il gruppo ligneo
dell'
Adorazione dei Magi (XIV sec.), dipinto da Simone dei crocifissi; la chiesa del S.
Sepolcro, uno dei rari esempi di edificio religioso a pianta centrale: il riferimento alla
Rotonda del S. Sepolcro in Gerusalemme è testimonianza di nessi con l'Oriente, sulle vie dei
pellegrinaggi. Edificata nel XII secolo su una chiesa più antica, è cinta da un peribolo e
sormontata da matronei e presenta alcune colonne e capitelli romani di reimpiego; al centro un
tempietto del XIII secolo accoglie la tomba di S. Petronio, adorna di rilievi del XIV secolo.
Chiesa di San Giacomo Maggiore
Situata su una delle più attraenti piazze di Bologna, venne costruita fra il 1267 e il 1315 dai
frati eremitani di S. Agostino e ristrutturata alla fine del '400. L'interno, formato da un'unica
vasta e luminosa navata, accoglie insigni tesori d'arte tra cui la Cappella Bentivoglio, di
architettura toscana
attribuita a Pagno di Lapo Portigiani (1486); pala d'altare di Francesco Francia (1494 ca)
raffigurante la
Madonna in trono col Bambino e santi, nel lunettone superiore
Visione dell'Apocalisse, affresco di Lorenzo Costa; alle pareti, sempre del Costa,
Trionfo della Morte e trionfo della Fama (1490), a destra
Madonna col Bambino e
famiglia Bentivoglio (1488).
Di grande interesse anche la Cappella Poggi, architettata nel 1561 da Pellegrino Tibaldi, autore
anche dei dipinti, nonché la tomba di Anton Galeazzo Bentivoglio di Jacopo della Quercia (1453).
Notevoli pure il quadro con S. Rocco di Lodovico Carracci, due crocifissi lignei di Jacopo di
Paolo (sec. XV), vari polittici gotici e pregevoli dipinti dei secoli XVI, XVII e XVIII nelle
cappelle.
Di non comune eleganza il portico rinascimentale (1477-81) che affianca la chiesa, sorretto da
agili colonne scanalate in arenaria e coronato da un ricco fregio scolpito (vi si aprono varie
arche sepolcrali gotiche con avanzi di pitture e da esso si accede alla chiesa di S.Cecilia,
ammantata di splendidi affreschi con episodi della vita della santa e di san Valeriano,
eseguiti nel 1504-06 dai migliori maestri della scuola bolognese).
Musei e Gallerie di Bologna
Pinacoteca Nazionale
La Pinacoteca Nazionale ha sede nell'ex noviziato gesuita di Sant'Ignazio nel quartiere universitario della città di Bologna. Il museo, oggi completamente rinnovato (1997) nelle sue strutture secondo i più moderni criteri conservativi e museografici, offre un affascinante percorso attraverso la pittura emiliana dal XIII al XVIII secolo.
Tra i numerosi capolavori
della Pinacoteca vanno almeno citati, nella sezione dei primitivi e del Trecento bolognese,
due
S. Giacomo alla battaglia di Clavijo dello Pseudo Jacopino di Francesco (prima metà
XIV sec.), il polittico
Madonna col Bambino e santi di Giotto e della sua bottega
(1333-34) e un nucleo di opere di Vitale da Bologna; nella sezione rinascimentale, opere di
scuola ferrarese, come la
pala dei Mercanti di Francesco del Cossa (1474) e due
Madonne di Lorenzo Costa (1491-96), e di scuola bolognese, come le pale di Francesco
Francia. Provenienti dalla chiesa di S. Giovanni in Monte sono la
Madonna in gloria e
santi del Perugino, la
Madonna col Bambino di Cima da Conegliano e l'
Estasi di S.
Cecilia di Raffaello. Il Manierismo emiliano è rappresentato, tra gli altri, dall'arte del
Parmigianino di cui si può ammirare una
Madonna col Bambino e santi. Notevolissima la
sezione della pittura bolognese dalla fine del Cinquecento alla seconda metà del Seicento, con
opere dei Carracci -
Madonna degli Scalzi di Ludovico e
Madonna di S. Ludovico di
Annibale - e di Guido Reni -
Strage degli innocenti,
Sansone vittorioso,
Ritratto della madre. Il Settecento è soprattutto rappresentato da opere di Giuseppe
Maria Crespi, Donato Creti e dei tre Gandolfi: Ubaldo, Gaetano e Mauro.
Secondo quanto riferisce Luigi Crespi nelle sue Vite (1769), un primo progetto di costituzione di un istituto pubblico nel quale potessero trovare ricovero e tutela i tesori artistici della città, era stato formulato dal Cardinale Lambertini, dal 1740 papa Benedetto XIV.
Egli infatti meditò di erigere all'interno del celebre Istituto delle Scienze - fondato dal Marsili - "una Galleria che fosse superiore a quante altre Gallerie Principesche si ammirano nella nostra Europa, collocandovi tutte le più superbe tavole d'altare, che sono nelle chiese, de' più celebrati autori, redimendole così e salvandole dalle ingiurie, per cui altre si compiangono rovinate e guaste".
Già nel 1762 l'Istituto delle Scienze entrò in possesso di un primo nucleo di dipinti, destinati all'Accademia Clementina. Si trattava di otto tavole di primo Cinquecento che Mosignor Francesco Zambeccari (prelato vicinissimo a papa Lambertini) aveva recuperato sul mercato artistico cittadino: un mercato che si arricchiva in quegli anni coi numerosi quadri che le frequenti ristrutturazioni chiesastiche privavano del contesto originario.
Ancora nel 1776, poi, si aggiunsero una dozzina di tavole trecentesche e di icone bizantine, provenienti dal lascito del veneziano Urbano Savorgnan, già Oratoriano di S. Filippo Neri.
Contemporaneamente, però, un altro luogo cittadino era venuto assumendo i connotati della pubblica Galleria, pur meno connotata didatticamente della prima: l'Appartamento del Gonfaloniere in Palazzo Pubblico, che fin dall'ultimo scorcio del Seicento si era andato arricchendo di dipinti donati da notabili cittadini a gloria della città (opere della scuola di Raffaello, di Cantarini, di Lavinia Fontana, di Annibale Carracci, di Guido Reni) o là conservati per l'alto significato civico rappresentato (la Pala del Voto dello stesso Reni).
La svolta definitiva giunse con la caduta del regime pontificio, nel 1796, e con la nuova legislazione repubblicana.
La soppressione di numerosi conventi maschili e femminili - che mirava alla concentrazione in un minor numero di luoghi degli ordini religiosi ancora significativi; quella di tutte le corporazioni di mestiere (spesso ricche di arredi anche chiesastici); quella ancora delle sedi dell'antico regime, come il Palazzo Pubblico, permisero di prelevare (ad opera dei Commissari clementini, responsabili delle scelte fatte "guida alla mano") quasi un migliaio di opere provenienti dagli edifici sconsacrati e chiusi, e di raccoglierle prima nell'ex convento di S. Vitale (già in qualche modo attrezzato a quadreria); poi - dopo la fondazione della moderna Accademia Nazionale di Belle Arti (1802) - nella recente sede di questa, l'ex convento di Sant'Ignazio (eretto, nelle sue forme attuali, dal Torreggiani nel 1726), poco distante dall'antica sede dell'Accademia Clementina in Palazzo Poggi.
Museo Civico Archeologico
Fondato nel 1881 è ospitato nell'ex ospedale di S.
Maria della Morte, edificio quattrocentesco rimaneggiato da Antonio Morandi (1565). La sezione
preistorica presenta numerosissimi reperti dal Paleolitico all'Età del Bronzo, soprattutto di
provenienza bolognese. Le raccolte che documentano la cultura villanoviana (IX sec.-metà VI
sec. a.C.) sono costituite da suppellettili provenienti da arredi funerari. La sezione etrusca
raccoglie materiali provenienti dalle necropoli di Fèlsina; tra questi la
situla della
Certosa, vaso in lamina di bronzo con scene di vita civile e religiosa. Tra le Antichità
etrusco-italiche sono di particolare interesse gli specchi incisi, fra cui la celebre
patera
cospiana (V sec. a.C.). Fanno parte della raccolta greca la
testa Palagi, replica in
marmo di età augustea dell'Athena Lemnia di Fidia, e splendide ceramiche attiche come
l'
anfora di Nicostene e la
tazza di Codro. La sezione romana presenta
un'interessante serie di oggetti di uso quotidiano e un ricchissimo lapidario, con stele
funerarie figurate, numerosi miliari e altra statuaria. Nel sotterraneo si trova la sezione
egizia, fra le più ricche d'Italia e d'Europa. Di grande interesse i rilievi in calcare della
tomba di Horemheb (1332-23 a.C.), il
sarcofago a cassa di Usai con la mummia
(664-525 a.C.), una raccolta di 120 tipi di amuleti, alcuni importanti esempi di statuaria fra
cui l'effigie di Neferhotep I (1759-1640 a.C.) e quella in calcare dei coniugi Amenhotep e
Merit (1319-1279 a.C.).
Cesena
(ab. 89.393). Dal 1992 forma insieme a Forlì la provincia di Forlì-Cesena. Situata presso la riva destra del Savio, laddove il fiume si interseca con la Via Emilia,
sorge ai piedi del colle Garampo e ha davanti una pianura coltivata e tuttora segnata dal
sistema di centuriazione romano, orientato da Sud a Nord. Il centro storico è ben definito
dalla cinta muraria del Tre-Quattrocento, che gli conferiscono la caratteristica forma di
scorpione.
STORIA. I primi insediamenti umani sorsero sul colle Garampo, da dove era possibile dominare il
passaggio sul fiume Savio e la via di comunicazione transappenninica che ne risale la valle.
Come importante municipio romano sulla Via Emilia, col nome di
Caesena, si sviluppò
anche in pianura. Tolta a Odoacre da Teodorico nel 493; passata nel VI sec. a far parte
dell'Esarcato, seguì di questo le incerte vicende, subendo numerose distruzioni. Dopo si
susseguirono al potere i conti di Montefeltro, gli Ordelaffi di Forlì finché la città fu
inglobata nello Stato della Chiesa nel 1357. Cesena si ribellò più volte al Governo dei papi,
fino al tragico eccidio compiuto dalle truppe bretoni inviate da papa Gregorio XI (1377). Fu
quindi concessa in vicariato da Urbano VI a Galeotto Malatesta (1379). Con la signoria
malatestiana, protrattasi fino al 1465, Cesena conobbe un periodo di rinnovamento urbano e
culturale. Tornata nel 1466 sotto il dominio papale, fu fatta capoluogo del Ducato di Romagna
(1502-03) da Cesare Borgia, duca Valentino e figlio di papa Alessandro VI. Durante il
lunghissimo periodo di governo papale si mise mano al rifacimento di edifici religiosi e
all'edificazione di nuovi conventi. L'operazione urbanistica più significativa del XX secolo fu
lo spostamento a Nord della Via Emilia (1920). Nel secondo dopoguerra la città ha subito alcuni
drastici, discutibili interventi, fra cui l'abbattimento del neoclassico foro annonario e
l'apertura, a ridosso della Cattedrale, di piazza della Libertà. Negli ultimi tempi, Cesena si
è progressivamente ampliata in tutte le direzioni.
ARTE. Il centro cittadino riesce tuttora a mantenere una fisionomia omogenea, anche se reca
alcune tracce di poco rispettosi interventi moderni. Il gioiello più prezioso della città è la
biblioteca Malatestiana, tra le massime testimonianze della cultura umanistica, perfettamente
conservata nella struttura, negli arredi e nel patrimonio librario.
Tra gli
altri monumenti insigni di Cesena figura la Cattedrale, iniziata alla fine del XIV secolo su
progetto del tedesco Underwalden. Venne in parte rifatta in stile rinascimentale veneziano
(1499), evidente nella parte superiore della facciata e nel corpo porticato del lato destro. Il
portale romanico proviene dalla chiesa di S. Lorenzo fuori le mura. Nell'interno, a metà della
navata destra è l'altare di S. Giovanni, pregevole opera scultorea di G.B. Bregno (1494-1505).
La Rocca Malatestiana, sul colle Carampo, sorse nei secoli XIV e XV su precedenti fortificazioni
medioevali. La fortezza è circondata da mura pentagonali con torrioni a diversa sezione;
all'interno sorgono il maschio e il
palatium; in quest'ultimo è alloggiato il Museo
della Civiltà contadina, con interessanti ricostruzioni di ambienti tipici.
Luoghi di interesse
Biblioteca Malatestiana
Nata come biblioteca pubblica per volere di Malatesta Novello, venne progettata da Matteo Nuti (1447-52) sulla falsa
riga della biblioteca di S. Marco a Firenze, ma probabilmente anche su indicazioni di Leon
Battista Alberti. Si trova all'interno dell'ex convento di S. Francesco, a sua volta
incorporato in un edificio ottocentesco di gusto neoclassico. Si accede all'aula da un elegante
portale che reca scolpito nel timpano un elefante, simbolo araldico dei Malatesta. L'interno ha
impianto basilicale, con tre navate rette da colonne marmoree; nei banchi d'epoca, recanti
simboli malatestiani, sono ancora al loro posto 343 codici miniati e 48 incunaboli, legati con
le catenelle originali, tutti pezzi assai pregevoli per le preziose miniature di scuola
bolognese, ferrarese e lombarda. Nel grande salone antistante è conservata la biblioteca Piana,
raccolta privata di papa Pio VII, il cesenate Gregorio Chiaramonti, che conta circa 5.000 volumi,
fra cui notevoli manoscritti, incunaboli ed edizioni rare; vi sono esposti anche 14 corali
quattrocenteschi, splendidamente miniati. Nello stesso edificio ha sede il Museo archeologico,
che conserva reperti di provenienza locale, dalla preistoria all'epoca romana.
Ferrara
(ab. 133.270) Situata in pianura, a pochi km dalla riva destra del basso Po, Ferrara è la
città capoluogo dell'Emilia-Romagna più distante dalla Via Emilia e dal tratto costiero
maggiormente urbanizzato. Questo isolamento le consente di mantenere una vivibilità ormai
sconosciuta ad altre realtà urbane. La sua prerogativa di città a misura d'uomo è anche dovuta
ad una struttura urbana che la lungimiranza di Ercole I d'Este ha saputo far sopravvivere per
secoli, contenendo la crescita entro le mura sino a tempi recenti. Città d'arte e di cultura,
Ferrara è anche un importante mercato agricolo e conta fiorenti industrie per la maggior parte
legate all'agricoltura (molini, zuccherifici, riserie, canapifici) unitamente ad industrie
chimiche, metalmeccaniche, tessili, del legno.
STORIA. Di origine altomedioevale (VI sec.), Ferrara fu donata da Carlo Magno alla Chiesa nel
774. Infeudata dalla Chiesa agli Attoni, la famiglia di Matilde di Canossa (986-1115), divenne
quindi libero Comune. La tipica forma di città lineare, al seguito dell'antica riva fluviale, è
ribadita dalle fortificazioni e ampliamenti del periodo canossiano e poi comunale. Il ramo
ferrarese del Po, via di comunicazione che aveva grandemente favorito i traffici commerciali
della città, perdette importanza a seguito della rotta di Ficarolo (1152) dopo la quale il
corso principale del Po deviò verso Nord. Nel 1240 si attuò il passaggio da Comune a signoria
con l'avvento di Azzo VII Novello d'Este, appoggiato da Venezia. Gli Estensi eressero il
Castello (1385) e promossero la fondazione dell'Università (1391). Verso la fine del Trecento
la città si ampliò dapprima verso Nord; poi, alla metà del secolo successivo, si estese a Sud,
inglobando un tratto dell'alveo fluviale abbandonato. Borso d'Este otterrà ufficialmente
l'investitura a Duca di Ferrara dal papa nel 1471. Lo splendido mecenatismo dei duchi estensi
rese Ferrara uno dei principali centri del Rinascimento, famoso in tutta Europa. Qui furono
attivi Piero della Francesca, Mantegna, Pisanello, Leon Battista Alberti, il fiammingo Rogier
van der Weyden; fiorì inoltre la straordinaria stagione della pittura ferrarese con Cosmè Tura,
Ercole de' Roberti e Francesco del Cossa. Alla corte ferrarese esercitò la sua azione
pedagogica innovatrice il grande umanista Guarino e, più tardi, vi operò Matteo Maria Boiardo,
autore del poema cavalleresco
Orlando innamorato. Il Cinquecento fu ancora un periodo di splendore dal punto di
vista sia figurativo (Dosso Dossi, Tiziano, Giovanni Bellini) che letterario (Ludovico Ariosto
e Torquato Tasso); tuttavia la politica estense di sviluppo del territorio non fu sostenuta da
un'accorta politica finanziaria e il governo dovette ricorrere a tassazioni sempre più elevate
che alienarono ai duchi le simpatie della cittadinanza e del contado, i quali non si opposero
all'annessione di Ferrara allo Stato Pontificio (1598). Con il passaggio dalla signoria degli
Estensi al papato iniziò per la città un periodo di decadenza durante la quale non si
registrano episodi urbani di rilievo, a eccezione della cittadella eretta nel 1608 a Sud-Ovest
e demolita nel 1859.
Dopo l'unità d'Italia, Ferrara fu collegata sin dal 1866 alla rete
ferroviaria e divenne un importante mercato agricolo, principalmente ortofrutticolo, settore in
cui mantiene tuttora una posizione di rilievo. La città non subì nel Novecento abbattimenti e
sventramenti, perché il centro lineare moderno si è naturalmente inserito sulla linea di
demarcazione fra città medioevale e città rinascimentale, spazio volutamente conservato dal
piano del 1492 (l'addizione Erculea). Dal secondo dopoguerra il territorio ha conosciuto
un'industrializzazione diffusa, in cui emerge il polo petrolchimico.
ARTE. La città medioevale comprende un sistema di spazi articolati che racchiudono le sedi del
potere civile e religioso: la Cattedrale e successivamente il Castello, fulcro del definitivo
assetto urbano. Assurto a simbolo cittadino, il poderoso Castello Estense si erge nel cuore
della città. Fu concepito come fortilizio difensivo da Niccolò II lo Zoppo e realizzato secondo
il progetto di Bartolino da Novara (1385) che incorporò una preesistente torre in un corpo
quadrato con altre tre torri. Dalla seconda metà del Quattrocento il Castello fu trasformato in
fastosa residenza ducale; nel secolo successivo la sua austera fisionomia fu addolcita da
balaustre in marmo e da costruzioni cubiche che rialzano le torri. Nel severo cortile si apre
una loggia quattrocentesca da cui si sale al piano nobile per raggiungere il
Giardino
pensile degli Aranci di Girolamo da Carpi (1554). Una serie di ambienti è affrescata da
pittori ferraresi tardo-manieristi, fra cui i Filippi (seconda metà XVI sec.): il corridoio dei
Baccanali, la Sala dell'Aurora, la saletta dei Giochi e il salone dei Giochi. Interessante la
Cappella di Renata di Francia, moglie di Ercole II, esempio inconsueto di luogo di culto
calvinista.
Poco distante sorge l'altro monumento simbolo di Ferrara, la Cattedrale
(XII-XIV sec.) in stile romanico-gotico, dall'inconfondibile facciata a tre cuspidi. Lo sviluppo
artistico di Ferrara si è svolto in gran parte
sotto la dinastia estense che volle fare della capitale del ducato una delle più prestigiose
corti rinascimentali d'Italia. Tra le prime realizzazioni estensi vi è il Palazzo Schifanoia.
L'edificio è frutto di successivi interventi: nato come luogo di "delizie" fu fatto erigere da
Alberto V d'Este nel 1385 e ampliato nel 1391.
Il Palazzo Costabili, erroneamente detto
di Ludovico il
Moro, fu in realtà commissionato a Biagio Rossetti (1495-1504) da Antonio Costabili,
ambasciatore estense presso la corte sforzesca. Incompiuto, mostra una forma aperta, articolata,
di grande armonia. Al piano terreno sono tre sale affrescate dal Garofalo (1508), al piano
nobile ha sede il Museo Archeologico nazionale, conosciuto come Museo di Spina perché conserva
i materiali provenienti dalla necropoli di quella città etrusca, grande emporio mercantile e
luogo d'incontro con il mondo greco e orientale.
Gli splendidi Palazzi dei Diamanti,
Prosperi-Sacrati e Turchi-Di Bagno sono nati insieme al progetto della città ideale concepito
da Ercole I d'Este che ne affidò la realizzazione (1492) all'architetto estense Biagio Rossetti.
A lui spetta il piano di ampliamento urbanistico nella zona a Nord della città antica, noto
come
addizione erculea. Impostato con criteri moderni e funzionali sulla base della
precedente struttura romana a scacchiera, l'ampliamento di Rossetti è armonicamente saldato da
numerosi raccordi alla città medioevale, ma si distingue da essa per l'assenza di un centro
gerarchicamente egemone; si sviluppa invece a partire dai due assi principali di corso Ercole I
e corso B. Rossetti, che si incrociano nel Quadrivio degli Angeli, segnato dalle pilastrature
agli angoli dei palazzi. L'incrocio è dominato dal Palazzo dei Diamanti e dai Palazzi rossettiani
Turchi-Di Bagno e Prosperi-Sacrati.
Visita virtuale al Castello estense di Ferrara: veduta della via Coperta dal rivellino sud
Trasformazione virtuale nel corso dei secoli del castello estense a Ferrara
LA PROVINCIA. La provincia di Ferrara (350.207 ab.; 2.632 kmq) occupa tutto il settore
nord-orientale della regione, una grande e fertile pianura limitata a Nord dal Po e a Sud dal
Reno che la separa dalla Romagna. Il territorio, di origine alluvionale, è tuttora in evoluzione,
condizionato da alterni fenomeni di abbassamento e sollevamento del livello del mare, soggetto
nel tempo agli eventi naturali concernenti il Po e il Reno. Si distinguono, a Ovest, le terre
vecchie, emerse in epoca remota, a Est le terre nuove conquistate dalle bonifiche; prime furono
quelle degli Estensi che vennero continuate nei secoli XIX e XX. Oggi la provincia ferrarese
conserva un patrimonio ambientale di straordinario rilievo ricompreso nel Parco regionale del
Delta del Po.
L'economia della provincia può tuttora contare sull'agricoltura (ortofrutta,
cereali, barbabietola da zucchero, vite) e sull'allevamento di bovini e suini. Le industrie sono
in parte votate alla trasformazione alimentare (zuccherifici, salumifici, industrie molitorie,
conserviere, casearie); altre industrie importanti sono quelle petrolchimiche, meccaniche,
edilizie, tessile-abbigliamento. Fra le altre risorse ricordiamo la pesca (famoso l'allevamento
delle anguille) e il turismo. Centri principali sono Argenta, Bondeno, Cento, Codigoro,
Comacchio, Copparo, Portomaggiore.
Luoghi di interesse
Cattedrale
Voluta dal
governo comunale (XII sec.), fu progettata in forme romaniche dallo scultore-architetto Nicolò.
Tuttavia la facciata è romanica solo nella parte inferiore, mentre è gotica nella parte superiore.
Di Nicolò sono ancora le sculture che ornano il portale centrale: nella lunetta
S. Giorgio
che uccide il drago, nell'architrave scene del Nuovo Testamento e negli stipiti figure di
profeti. Il protiro è sormontato da una loggia a baldacchino che reca nella parte superiore un
Giudizio universale, opera di grande efficacia plastica che richiama esempi del gotico
francese (1300 ca.). Sul fondo si alza il campanile, opera incompiuta attribuita a Leon Battista
Alberti (1442), composto da quattro prismi sovrapposti scanditi da doppi archi stretti dai
pilastri angolari. Infine l'abside, recentemente restaurata, nitida architettura in laterizio
di Biagio Rossetti del 1498.
Casa di Ludovico Ariosto
Ledificio è caratterizzato da un modulo quadrato, nel rispetto di puntali proporzioni
matematiche tra spazi interni ed esterni. Concepito come civile abitazione, il complesso si
discosta tuttavia dai parametri tradizionali delle case ferraresi dellepoca. Innovative paiono
infatti le disposizioni dei camini (piano superiore) sul lato opposto al fronte strada; così
come innovativo è lo spazio riservato allampia sala, a cui si accede mediante la scala di
collegamento che unisce i piani e i locali abitativi. sulla facciata, scolpita su una lunga
fascia di cotto a ornamento del muro di entrata, il Poeta mantiene liscrizione preesistente,
il distico dettato da Dionigi dellAquila per Bartolomeo Cavalieri:
"Parva, sed apta mihi, sed
nulli obnoxia, sed non / sordida, parta meo, sed tamen aere domus" (La casa è piccola ma
adatta a me, pulita, non gravata da canoni e acquistata solo con il mio denaro).
Le sale al piano nobile propongono, grazie ad un allallestimento curato dai Musei Civici di
Arte Antica, una ricostruzione storico evocativa dellassetto realizzato in occasione delle
Celebrazioni per i Centenari Ariosteschi del 1875 e del 1933, attraverso cimeli e pregevoli
edizioni delle opere del Poeta.
Palazzo Schifanoia
Il palazzo fu eretto nel 1385 per volere di Alberto V d'Este.
Costituisce l'unico esempio ancora oggi esistente di dimora destinata alla rappresentanza e
allo svago, un tempo denominata "delizia": il termine "schifanoia" deriva infatti da "Schifar"
ovvero "Schivar la noia", allontanare il tedio dei pressanti impegni richiesti dal Governo.
L'edificio, costruito ad un solo piano, venne ampliato nel 1391 e largamente ristrutturato
sotto la signoria di Borso d'Este (1451-71) che nel 1465 ordinò all'architetto Pietro
Benvenuti degli Ordini di sopraelevare il fabbricato con un piano nobile che servisse da
appartamento ducale dotato di un salone di rappresentanza: il Salone dei Mesi. Tra il 1469 e il
1470, i maestri dellofficina ferrarese, al servizio di Borso dEste, realizzarono lintero
ciclo degli affreschi a carattere pagano che decora le pareti del Salone dei Mesi.
A Cosmè Tura si devono i cartoni preparatori, a Francesco del Cossa ed a Ercole dè Roberti il
grande calendario affrescato. Il ciclo degli affreschi era stato commissionato in previsione
dellinvestitura di Borso dEste a Duca di Ferrara, garante di pace e di stabilità dei dominii
estensi.
Il complesso programma iconografico fu redatto da Pellegrino Prisciano, che attinse da varie
fonti, nella volontà di dimostrare unampia cultura in tempi in cui la "passione" filologica
riportava alla luce numerosi testi antichi, studiati accanto alla produzione medievale e
umanistica. Negli episodi della vita di corte dove compare il Duca in persona, deve aver
utilizzato la vasta lettura economistica fiorita in quegli anni sotto la signoria di Borso e
dal Duca stesso favorita e provocata.
Nei primi decenni del XVIII secolo gli affreschi del Salone dei Mesi erano ancora visibili.
Girolamo Baruffaldi, biografo degli artisti ferraresi, li cita e ne liscia unampia descrizione;
già degradati e in parte perduti restavano sette dei dodici Mesi che componevano il ciclo , da
Marzo a Settembre.
Attualmente l'ala trecentesca dell'edificio ospita diverse collezioni donate nel tempo da
personaggi illustri come il Cardinale Gian Maria Riminaldi.
Ornata di un coronamento di merli dipinti, in origine la facciata dell'edificio era decorata
con motivi geometrici. Contribuì alla valorizzazione della facciata l'imponete portale marmoreo,
attribuito ora a Francesco del Cossa ora a Biagio Rossetti, sovrastato dal grande stemma estense
e dall'Unicorno a ricordo delle bonifiche volute dal Duca. Aggiunto nel 1493, il cornicione in
cotto oggi visibile in luoghi della merlatura, è ascritto a Biagio Rossetti.
Sul finire del secolo nel 1493, Schifanoia subisce l'ultimo ampliamento ad opera di Biagio
Rossetti che già aveva collaborato all'interno del cantiere con Pietro Benvenuto degli Ordini.
Verso Oriente viene aggiunto al palazzo ancora un salone, prolungando la fronte di altri sette
metri; la merlatura di coronamento viene eliminata e sostituita con un cornicione in cotto, che
nelle metope presenta a rilievo l'impresa del diamante, simbolo del duca Ercole I d'Este.
Dopo più di un secolo, Schifanoia è finalmente concluso.
Dalla partenza degli Estensi nel 1598 inizia la decadenza del palazzo che passa a un ramo
cadetto e attraverso Marfisa d'Este va in eredità ai Cybo, duchi di Massa e Carrara.
Nel 1703 Schifanoia è ceduto in livello perpetuo alla famiglia Tassoni e vengono demolite la
loggia e la scala d'onore sul giardino.
I Tassoni subaffittano parte dell'edificio a una manifattura di tabacco e gli affreschi vengono
ricoperti da intonaci bianchi.
Con la conquista napoleonica di Ferrara il palazzo viene confiscato e passa al cittadino
Giacomo Mayol.
La riscoperta degli affreschi iniziò nel 1821 e fu dovuta in gran parte alla curiosità e
caparbietà di Giuseppe Saroli, restauratore e pittore. Questi ebbero un totale impatto sulla
città da indurre il comune a intervenire per recuperare gli affreschi e il Palazzo.
Nella seduta del Consiglio comunale del 6 Novembre 1897 fu approvato il progetto per l'ampliamento
della Biblioteca e per l'adattamento dei locali di Palazzo Schifanoia al fine di trasferirvi il
museo civico.
Il 20 Novembre 1898 venne solennemente inaugurato il Civico Museo Schifanoia alla presenza delle
autorità.
Palazzo Costabili
Iniziato nel 1500 per volere di Antonio Costabili, ambasciatore estense alla corte di Ludovico
il Moro, il Palazzo, opera significativa di Biagio Rossetti, è rimasto incompiuto. Notevole è
la decorazione marmorea delle paraste e dei gradini dello scalone del cortile d'onore, che fu
affidata a Gabriele Frisoni.
Della primitiva decorazione pittorica, cancellata da interventi settecenteschi a loro volta
distrutti, resta testimonianza in alcune sale affrescate nel sec. XVI dal Garofalo. Si segnala
in particolare il sontuoso soffitto della cosiddetta "Sala del Tesoro", di influenza mantegnesca.
L'edificio, acquistato dallo Stato nel 1920, divenne nel 1935 sede del Museo Archeologico
Nazionale. Contiene i reperti della città greco-etrusca di Spina, la cui importanza, come
emporio commerciale e punto d'incontro delle civiltà greca ed etrusca, è testimoniata dalla
presenza di molti oggetti di varia provenienza, alcuni dei quali di altissima fattura. I reperti
coprono un arco di tempo compreso dagli ultimi decenni del VI sec. a.C. sino alla metà del III
sec. d.C.
Palazzo dei Diamanti
Il Palazzo dei Diamanti fu eretto da Sigismondo d'Este su
progetto di Rossetti (1503) e ultimato più tardi. Il nome gli deriva dal rivestimento di bugne
a punta che lo ricopre interamente. La diversa inclinazione delle bugne, rivolte verso il basso
nel basamento, normali nel primo piano, verso l'alto nella fascia superiore, consente alle
superfici di raccogliere il massimo della luce e conferisce una vibrata luminosità all'intero
edificio, temperata dalle eleganti candelabre angolari e dal balconcino angolare. Il palazzo è
sede della Pinacoteca Nazionale, che raccoglie soprattutto opere di artisti ferraresi, tra cui
Cosmè Tura, il Garofalo, Dosso Dossi, il Bastianino.
Forlì
(107.461 ab.) Situata sulla destra del fiume Montone, la città romagnola possiede ancora
pregevoli testimonianze del suo passato, tuttavia pesanti interventi urbanistici eseguiti sia
nel periodo fascista che nel dopoguerra hanno in parte snaturato la fisionomia del centro
storico. Forlì è un attivo centro commerciale e amministrativo, agricolo (ortofrutticoli, vino,
cereali, barbabietole da zucchero) e industriale (industrie conserviere, zuccherifici, caseifici,
industrie metalmeccaniche, chimiche).
STORIA. Di origine romana (Forum Livii, sec. III-II a.C.), l'insediamento urbano si era
sviluppato nella parte occidentale dell'attuale città. Alla caduta dell'Impero Romano Forlì
venne saccheggiata dai barbari di Alarico. Durante la dominazione bizantina appartenne
all'esarcato di Ravenna. Acquistò autonomia comunale nel 1058; durante questo periodo la città
si espanse verso Est (XII sec.) inglobando l'abbazia di S. Mercuriale; nel secolo successivo
saranno edificate in successione due cinte murarie concentriche che dilateranno l'area urbana
fino a quello che sarà il limite delle mura quattrocentesche, coincidente con gli odierni viali
di circonvallazione. Nel 1315 Forlì divenne signoria sotto gli Ordelaffi i quali nell'ultima
fase, con Pino III, promossero un rinnovamento nel tessuto urbano, del quale però restano solo
testimonianze frammentarie (nessuna del grande pittore Melozzo da Forlì). Nel 1480 Girolamo
Riario, nipote di papa Sisto IV, ottenne la signoria di Forlì, ma dovette arrendersi al duca
Valentino, Cesare Borgia. Nel 1504 la città passò sotto il diretto dominio pontificio con papa
Giulio II. Durante le guerre e la dominazione napoleonica fece parte della Repubblica Cisalpina
e del Regno Italico. Dopo il Congresso di Vienna ritornò allo Stato Pontificio sotto cui rimase
fino al 1860, quando entrò nel Regno d'Italia. Forlì conobbe una vivace stagione risorgimentale,
di cui furono protagonisti i patrioti forlivesi Piero Maroncelli e Aurelio Saffi. Nel periodo
fascista, considerata "città del Duce" (Mussolini era nato nel vicino paese di Predappio), subì
massicce inserzioni e demolizioni nel suo assetto monumentale.
ARTE. La chiesa romanica di S. Mercuriale è il monumento più rappresentativo della città. La
basilica-abbazia, consacrata al primo vescovo forlivese, sorge sull'area di un antichissimo
luogo di culto dedicato a S. Stefano (IV-V sec.), in seguito diventato monastero benedettino.
La chiesa risale agli ultimi decenni del XII secolo, ma fu variamente alterata e rifatta tra
Cinque e Settecento, specie nella facciata; venne infine restaurata in due riprese nel corso
del Novecento. La lunetta del portale maggiore è decorata con un altorilievo di scuola
antelamica (1230), raffigurante il
Sogno e Adorazione dei Magi, attribuito all'autore
delle formelle dei Mesi del Duomo di Ferrara. A destra della chiesa è il chiostro
cinquecentesco dell'antico monastero benedettino. L'imponente mole quadrangolare del campanile
romanico cuspidato (1180) domina dall'alto dei suoi 75 m la centrale piazza Aurelio Saffi.
Centro della vita cittadina, la piazza presenta un aspetto prevalentemente moderno a causa dei
pesanti interventi realizzati durante il fascismo. Sulla piazza prospettano il Palazzo del
Podestà (1460), con arcate adorne di terrecotte lavorate, mentre il resto della facciata è un
rifacimento del 1928, e il Palazzo del Municipio, edificio del XIV secolo più volte ricostruito,
con facciata in stile neo-classico (1818-26); dietro si alza la torre civica, crollata per
eventi bellici e ricostruita (1976) sulle fattezze originarie (XV e XIX sec.).
Meritano
attenzione oltre al Duomo, quasi totalmente ricostruito in forme neoclassiche nel 1841
(all'interno affresco dell'
Assunzione, capolavoro di Carlo Cignali, 1702-1706), la
chiesa del Suffragio, a pianta ellittica, del Carmine, di Sant'Antonio Abate in Ravaldino,
tutte appartenenti alla grande stagione del barocco forlivese, che ebbe nella figura
dell'architetto fra' Giuseppe Merenda il suo rappresentante più insigne. La più rilevante
testimonianza cittadina di architettura rinascimentale è l'ex oratorio di S. Sebastiano
(Pace di Maso dei Bombace, 1500 ca), cui non sembra estraneo l'apporto di Melozzo da Forlì; è a
croce greca, preceduto da nartece; nell'interno, pregevoli ornamentazioni plastiche
sottolineano gli elementi strutturali.
Esempi di architettura civile sono il grande
Palazzo Gaddi, bell'esempio di dimora nobiliare settecentesca ora sede di alcune collezioni
civiche; il grandioso Palazzo Paolucci Piazza (XVII sec.), progettato su modello del palazzo
pontificio lateranense romano, oggi sede della Prefettura.
La Rocca di Ravaldino, celebre
per la strenua resistenza al Valentino (1500), è una poderosa fortificazione a torrioni
circolari e con maschio quadrato, progettata da Giorgio Marchesi Fiorentino (1471); l'adiacente
cittadella fu aggiunta da Girolamo Riario.
Il Palazzo dell'Ospedale Vecchio è sede degli
Istituti Artistici e Culturali della città di Forlì, tra i quali il Museo etnografico romagnolo,
con notevoli ricostruzioni ambientali; il Museo archeologico, con reperti provenienti dal
territorio forlivese, dall'età villanoviana a quella romana; la Pinacoteca, che accoglie in
particolare opere di scuola romagnola dal 1400 al 1700 e significative testimonianze della
scultura a Forlì (
Ebe del Canova, 1817) nonché opere di Guido Cagnacci, del Guercino e
un settore dedicato a Marco Palmezzano. Del famoso pittore Melozzo, nato a Forlì nel 1438,
nulla rimane in patria: il ciclo di affreschi da lui eseguito nella Cappella Feo in San Biagio
è stato infatti distrutto durante la seconda guerra mondiale.
LA PROVINCIA La provincia di Forlì-Cesena (352.477 ab.; 2.377 kmq) comprende la parte
meridionale della Romagna e si estende dall'Appennino al mare Adriatico su un territorio in
parte montuoso e collinare, in parte pianeggiante. Prodotti dell'agricoltura sono barbabietole
da zucchero, viti, prodotti ortofrutticoli. Industrie metalmeccaniche, della lavorazione dei
prodotti ortofrutticoli, dell'abbigliamento, tessili e delle calzature. Molto importante è
l'industria turistico-alberghiera sviluppatasi sul litorale adriatico.
Veduta aerea del centro di Forlì, con la chiesa di S. Mercuriale
Luoghi di interesse
Rocca di Ravaldino
Possente costruzione a torrioni circolari e con maschio quadrato, progettata
da Giorgio Marchesi Fiorentino è famosa per la strenua resistenza al Valentino.
Fu costruita prima la Rocca, poi, nel 1481, su commissione del nuovo signore di Forlì, Girolamo
Riario, e sempre ad opera di Giorgio Marchesi Fiorentino, la Cittadella. Furono anche aggiunti
sui due lati esterni della Cittadella, il rivellino di Cotogni (con avanzi ancora visibili) e
il rivellino di Cesena.
Rivellini, Cittadella e Rocca erano tutti corpi separati, circondati da un complicato sistema
di fossati e ponti levatoi.
Nel 1496 Caterina Sforza, vedova del Riario e reggente in nome del figlio Ottaviano, costruì un
terzo rivellino, davanti alla Rocca, e una palazzina sulle rovine dell'antico forte trecentesco.
Il complesso, ritenuto a quei tempi imprendibile, fu giudicato, invece, da Niccolò Machiavelli,
che l'aveva osservato nell'estate del 1499, troppo articolato e quindi estremamente vulnerabile.
Cinta d'assedio nel dicembre 1499 da parte di Cesare Borgia, la Rocca di Ravaldino cadde il 12
gennaio 1500, e Caterina Sforza fu condotta a Roma prigioniera.
Il rapido sviluppo delle artiglierie determinò il declassamento delle fortificazioni forlivesi
a carcere, funzione durata fino alla fine del secolo scorso, quando all'interno della Cittadella
vennero costruite le attuali prigioni. E' stata recentemente restaurata anche attraverso la
ricostruzione delle coperture di due
torrioni e del maschio. Quest'ultimo, che si erge al centro della cortina Est, è costituito da
tre sale sovrapposte; in quella superiore si trova la bocca di un pozzo a rasoio, che scende
fino al livello del cortile interno. Nel maschio si trova anche una singolare scala a
chiocciola in pietra, senza perno centrale, i cui 67 scalini si sostengono per sovrapposizione.
La scala non è accessibile al pubblico. Nel lato Sud della rocca è ancora visibile un grande
stemma dei Borgia.
Modena
(176.972 ab.) Situata nella Pianura Padana fra i fiumi Secchia e Panaro, Modena è città di
forti tradizioni civili e culturali (università di antica tradizione) oltre che un centro
commerciale e industriale tra i principali della regione. Comunemente nota per le sue
tradizioni gastronomiche e per il mito delle automobili Ferrari, Modena è una realtà
storico-artistica articolata e complessa; conserva un tessuto urbano omogeneo, ancora in gran
parte integro nella sua duplice fisionomia medioevale e tardo-rinascimentale, ed importantissimi
musei, archivi e biblioteche.
STORIA. Modena, il cui antico nome,
Mùtina, sembra di derivazione etrusca, venne fondata
in una posizione dominante le vie d'accesso ai principali passi appenninici. Abitata nel III
secolo a.C. dai Galli boi, divenne dal 218 a.C. una piazzaforte romana. Il processo di
urbanizzazione si consolidò con la costruzione della Via Emilia (187 a.C.) e con il
trasferimento di 2.000 coloni romani (183 a.C.). Ricordata da Cicerone come città "floridissima",
si estendeva su un'area quadrangolare, spostata verso Est rispetto all'attuale centro cittadino.
Nel 43 a.C. vi si svolse la
guerra di Modena, episodio della lotta civile tra il Senato
romano, Antonio e Ottaviano, che portò al secondo triumvirato. L'antica Modena iniziò a
decadere a causa delle invasioni barbariche e delle inondazioni (V e VI sec.) che resero la
zona completamente paludosa, costringendo gli abitanti ad abbandonare la città. Essa in seguito
risorse attorno alla sede episcopale, insediata sulla Via Emilia, a Ovest della città romana
distrutta (VII sec.). La presenza di una rete di corsi d'acqua favorì lo sviluppo di attività
artigianali e commerciali; nel IX secolo fu eretta una prima cerchia di mura. Nel X secolo,
sotto il governo della famiglia degli Attoni, Modena si ripopolò e alla morte dell'ultima
discendente degli Attoni, Matilde di Canossa (1115), proclamò il Comune. Nel 1099 era iniziata
la costruzione del Duomo, eloquente segno di un'affermata autonomia e di una considerevole
potenzialità economica. Il periodo comunale fu particolarmente felice, ma la situazione si
deteriorò con il perdurare di lotte interne fra Guelfi e Ghibellini, sedate solo dalla
dedizione a Obizzo II d'Este (1289) sotto la cui signoria venne costruito il castello, lungo il
limite settentrionale delle mura. Dopo una brevissima ripresa dell'autonomia comunale, Modena
passò sotto il governo di Passerino Bonacolsi, signore di Mantova, che iniziò la costruzione di
una più ampia cerchia difensiva, ultimata nel 1380. Gli Estensi, tornati al governo della città
nel 1336, favorirono lo sviluppo culturale ed artistico della città: essa fu ampliata verso
Nord secondo il modello ferrarese (Ercole II d'Este, 1546), con le strade disposte a scacchiera,
e fu cinta con una nuova cerchia di mura a bastioni. Dopo il passaggio di Ferrara allo Stato
pontificio (1598), Modena divenne la capitale del ducato estense e lo rimase, salvo un breve
periodo, sino al 1796. Questo lungo periodo fu caratterizzato da un rinnovamento architettonico
che lungo il Seicento coinvolse gran parte della città; fu rinnovata l'edilizia religiosa e
civile con la costruzione, per esempio, del Palazzo ducale e della cittadella militare. Nel
Settecento, in particolare per iniziativa di Francesco III, si cercò di conferire alla città
quell'aspetto rappresentativo tipico delle capitali europee. Occupata dai Francesi nel 1796,
durante il periodo napoleonico Modena fece parte del Regno Italico. Dopo la Restaurazione,
ritornata sotto la dinastia austro-estense, la città fu ancora oggetto di interventi
urbanistici di rilievo: i bastioni vennero adattati a pubblico passeggio alberato e vennero
rinnovati molti edifici che vi prospettavano. Modena partecipò ai moti risorgimentali del 1831 -
vi scoppiò la congiura, fallita, di Ciro Menotti - e del 1848. Nel 1859, dopo la proclamazione
di un Governo provvisorio, venne annessa per plebiscito al Regno d'Italia. Fra il 1882 e il 1912
le mura furono demolite e sostituite da una circonvallazione alberata, che nel tratto Sud
separa la città antica da quella moderna. Gli sventramenti nel centro storico si limitarono
all'apertura di due piazze, Mazzini (1903) e Matteotti (1936). Dopo il 1960 si è accentuata
l'espansione della città, con un incremento della popolazione del 30% e una progressiva
urbanizzazione dell'area compresa fra la statale Via Emilia e l'autostrada.
ARTE. Il centro della città medioevale, tuttora punto più vitale della città, è Piazza Grande,
dove si affacciano le sedi del potere civile e religioso, interamente dominata dal lato Sud del
Duomo. Nell'angolo nord-orientale della piazza è collocata la
pietra ringadora, un masso
di marmo rosso collocato impiegato in passato come pulpito e pietra del vituperio. Il Palazzo
comunale è costituito da un insieme di edifici eretti fra l'XI e il XV secolo, rimaneggiati e
unificati da un paramento porticato seicentesco. Al primo piano, in una saletta è collocata la
celebre secchia rapita dai modenesi ai rivali di Bologna e immortalata nel famoso poema
eroicomico "La secchia rapita" di Alessandro Tassoni (1622).
Il Duomo di Modena
rappresenta una delle più alte creazioni dell'architettura romanica in Italia, ed è considerato
una vera struttura muraria "vivente" per la folla di figure scultoree che lo adornano.
Altre
importanti chiese modenesi sono: Sant'Agostino, del XIV sec., con interno barocco; San Pietro
(1476); San Francesco (XIII sec.) e San Vincenzo (XVIII sec.).
Nella parte della città
maggiormente segnata dagli interventi estensi si apre corso Canal Grande, la strada di
rappresentanza della Modena capitale, in fondo alla quale sorge il Palazzo ducale. Questo
poderoso edificio quadrilatero, per grandezza e armonia di forme degno di una capitale europea,
fu iniziato su progetto di Bartolomeo Avanzini nel 1634 e terminato alla metà dell'Ottocento.
Assoluta rilevanza artistica e culturale hanno le
istituzioni museali della città, concentrate nel Palazzo dei Musei, imponente edificio
neomanieristico, già arsenale militare, poi ristrutturato come Albergo dei Poveri. Le diverse
raccolte integrano le grandi collezioni lasciate dalla dinastia estense con le raccolte civiche
e ad altre collezioni private; esse sono: il Museo Lapidario Estense, la Civica Biblioteca di
Storia dell'Arte Luigi Polettì, l'Archivio storico comunale, la Biblioteca Estense e Universitaria,
i Musei Civici, la Galleria Estense.
Collocato nel cortile del palazzo, il Museo lapidario
Estense comprende materiali di epoca romana, medievale e rinascimentale, tutti provenienti dal
territorio modenese.
La Biblioteca Estense, già biblioteca ducale, aperta al pubblico nel
1767, è una delle più importanti d'Italia e vanta una ricchissima raccolta di volumi,
manoscritti e preziosi incunaboli; una mostra permanente espone preziosissimi codici miniati
tra cui la celebre Bibbia di Borso d'Este, di 1.200 pagine, in due volumi, con miniature di
Taddeo Crivelli (1455-61).
Nati nel 1871 per iniziativa dello storico e archeologo Carlo
Boni, i Musei civici comprendono il Museo civico di Storia e Arte medioevale e moderna e il
Museo civico archeologico etnologico. Il primo, tipico esempio di museo di matrice positivistica,
raccoglie materiali di natura eterogenea, in gran parte frutto del collezionismo aristocratico
modenese e quasi totalmente provenienti dall'ambito artistico e artigianale locale. Il secondo
mostra serie di reperti dal Paleolitico all'epoca altomedioevale, provenienti dal territorio
modenese; di grande interesse i nuclei di oggetti dell'Età del Bronzo di area terramaricola
(1500-1100 a.C.). La sezione etnologica comprende collezioni di oggetti provenienti soprattutto
dalla Nuova Guinea, dal Perù precolombiano e dall'Amazzonia.
La Galleria Estense è una
delle più importanti pinacoteche italiane, che raccoglie dipinti, sculture, disegni, medaglie e
altri oggetti appartenuti alla Casa d'Este. Formatasi a Ferrara e trasferita a Modena nel 1598,
subì in seguito dispersioni e diradamenti, massimo fra i quali la vendita di cento dei quadri
più importanti ad Augusto III di Polonia (1746). La collezione rimane comunque altamente
rappresentativa dell'arte emiliana e padana dal XV al XVIII secolo (Cosmè Tura, Dosso Dossi,
Correggio, Guercino, Guido Reni), ma con importanti testimonianze
pittoriche di altri ambiti italiani ed europei (Tintoretto, Joos van Cleve, El Greco, Velazquez).
Modena: il Palazzo comunale
LA PROVINCIA. La provincia di Modena (620.443 ab.; 2.689 kmq) si estende su un territorio
morfologicamente vario comprendente l'Oltrepò, la Pianura Padana e l'Appennino Tosco-Emiliano.
L'agricoltura continua a essere un supporto vitale per l'economia (produzione di frutta, verdura,
cereali, foraggi, uva, allevamenti di bovini e suini). Numerose le industrie fra cui spiccano
quelle dell'automobile (Ferrari, Maserati), quelle meccaniche e metalmeccaniche, alimentari,
chimiche, delle ceramiche, poligrafiche, vinicole, maglifici, calzaturifici. Fra i centri
principali ricordiamo Carpi, Castelfranco Emilia, Finale Emilia, Formigine, Mirandola,
Nonántola, Pavullo nel Frignano, Sassuolo, Vignola.
Luoghi di interesse
Duomo
La fondazione dell'edificio attuale, costruito dall'architetto lombardo Lanfranco sul luogo di
un'antica basilica (X sec. d.C.) luogo di sepoltura di S. Geminiano, risale al 1099. Ora la
tomba di S. Geminiano, patrono della città, si trova nella cripta che, pur rimaneggiata,
conserva l'aspetto originario. Il Duomo venne consacrato nel 1184, altri interventi eseguiti
dalla fine del XII secolo sino al XIV sono opera dei maestri campionesi.
La facciata
tripartita del Duomo evidenzia l'impianto basilicale a tre navate, tipico dell'architettura
romanica. La sezione centrale, dove si apre il grande rosone gotico attribuito ai maestri
campionesi (fine 1100/1300), termina con un alto timpano sormontato da due guglie cuspidate;
nel portale Maggiore, con protiro sorretto da leoni di epoca romana, lo scultore Wiligelmo
descrisse entro un "tralcio abitato" - la selva che è sinonimo del mondo - la lotta dell'uomo
per la vita. Di Wiligelmo (citato in un'iscrizione posta sulla stessa facciata e prezioso
collaboratore di Lanfranco) sono anche le formelle a bassorilievo raffiguranti
Storie della
Genesi poste ai lati del portale e sopra le porte laterali; in esse la scultura romanica
raggiunge i massimi livelli di forza espressiva. Un loggiato con trifore racchiuse entro arcate
percorre la facciata e tutti i lati della chiesa, conferendo armonia e plasticità a tutta la
costruzione.
Sul lato che prospetta sulla Piazza Grande si aprono la
Portadei Principi,
con gli stipiti e l'archivolto a motivi vegetali, l'architrave con episodi della vita di S.
Geminiano (tutti della scuola di Wiligelmo), e la
PortaRegia in marmo rosa, eretta da
Anselmo da Campione (1175 ca), con protiro a edicola sormontata da un leone romano. Sul lato
sinistro si apre la
Portadella Pescheria: negli stipiti raffigurazione dei mesi e dei
mestieri; nell'archivolto un episodio del ciclo bretone di re Artù.
Unita alla chiesa da
due archi a sesto acuto, svetta la torre campanaria (m 87), detta Ghirlandina per le due
balconate che cerchiano la cuspide. I primi cinque piani sono attribuiti a Lanfranco, il sesto
e la guglia ottagonale sono opera successiva di Anselmo da Campione (1319).
Visita virtuale allinterno del Duomo di Modena: veduta da sotto lambone
Visita virtuale al Duomo di Modena: veduta del lato sud
Visita virtuale al Duomo di Modena: veduta del lato delle absidi
Ricostruzione virtuale del Duomo di Modena secondo il progetto di Lanfranco con sovrapposizione virtuale dello stato attuale delledificio
Palazzo ducale
Sorto sul sito dell'antico castello, divenne il polo urbano alternativo al Duomo. La lunga e
imponente facciata è a tre ordini di finestre, raggruppate a due a due, secondo un suggerimento
di Francesco Borromini (1651); coronato da una balaustra adorna di statue, l'edificio presenta
due torrioni alle estremità e un corpo centrale soprelevato. L'interno è sede dal 1862
dell'Accademia militare. Dal cortile a doppio ordine di logge, di impronta tardo-rinascimentale,
si accede tramite uno scenografico scalone al piano superiore. Qui si trova il
salone d'Onore,
col soffitto affrescato da Marcantonio Franceschini (1696) e il prezioso
gabinetto d'Oro,
piccola stanza in stile rococò (1742).
Musei e Gallerie di Modena
Galleria Estense
La Galleria Estense venne trasferita dal Palazzo ducale, trasformata da reggia in Accademia
Militare al Palazzo dei Musei. In realtà, il primo nucleo della Galleria Estense proveniva da
Ferrara, capitale del Ducato Estense, abbandonata in tutta fretta dalla Corte nel 1598 al tempo
della devoluzione della città al papato. Modena in quell' anno divenne la nuova sede ducale e
nacque presto l'esigenza di trasformare il vecchio castello medioevale in un palazzo degno di
ospitare i regnanti. La moderna costruzione del Palazzo ducale risale al 1634 per volontà del
Duca Francesco I e su progetto dell' architetto romano Bartolomeo Avanzini.
Per far questo si pensò di abbattere quasi radicalmente il vecchio Castello che sorgeva in
quell' area fin dalla fine del 1200, sostituendolo con un Palazzo prestigioso di armoniche
fattezze. Le raccolte Ducali Estensi passarono così, a partire dal 1598, da Ferrara a Modena e
furono successivamente incrementate grazie alle numerose acquisizioni compiute dai diversi
duchi succedutisi.
Il mecenatismo perseguito dai sovrani fece si che già nella seconda metà del 1600 la quadreria
dei Duchi d' Este fosse considerata una delle più prestigiose a livello europeo. Tale fama si
conservò per ben due secoli, oltre quel 1746, anno nel quale Francesco III, per porre rimedio
al dissesto finanziario del ducato, vendette ad Augusto III, re di Polonia ed elettore di
Sassonia, cento tra i più bei dipinti della Galleria in cambio di centomila zecchini d'oro.
Sotto il governo dei sovrani che seguirono la Galleria accrebbe il suo patrimonio pittorico con
spoliazioni di chiese e con nuovi acquisti, ma la sorte infausta volle che, nel 1796, parte di
queste ricchezze pittoriche lasciassero Modena per raggiungere la Francia come risarcimento
bellico all'indomani delle campagne napoleoniche. Ripristinato dopo il Congresso di Vienna il
governo ducale, nel 1854 la Galleria venne aperta al pubblico per volere del duca Francesco V,
ultimo duca di Modena. Nel 1868, l' intera collezione venne legata alla città di Modena assieme
alla Biblioteca e al Medagliere Estense costituendosi raccolta del moderno Stato unitario
italiano.
Parma
(167.523 ab.). Situata sulla Via Emilia e divisa in due dal torrente omonimo, la città di
Parma si trova in posizione mediana fra il Po e le ultime pendici appenniniche, al centro
dell'Emilia "lombarda", in un punto da sempre crocevia e incontro del mondo padano con altre
realtà, italiane e d'oltralpe. è un attivo centro agricolo-commerciale ed industriale.
L'industria locale è legata all'agricoltura (industria alimentare, enologica, delle macchine
agricole) e al patrimonio zootecnico (salumifici, ecc.), con la presenza di alcuni marchi di
rinomanza internazionale. Altre attività importanti per l'economia della città sono le vetrerie,
i profumi (la classica e famosissima violetta di Parma), i mobilifici, i calzaturifici, le
industrie chimiche. Parma è anche città di grandi tradizioni culturali, legate ad un'università
fondata nel XIII sec., ad un'illustre passato di capitale europea, ad un'attività musicale di
primo piano. Ancora adesso la città mantiene vivo il ricordo delle sue tradizioni e conserva
importantissimi monumenti e diverse istituzioni di prestigio, quali l'Università, il Teatro
Regio, la Galleria nazionale, la Biblioteca Palatina, l'Istituto di Studi verdiani, il
Conservatorio, l'Accademia di Belle Arti.
STORIA. Il ritrovamento di una necropoli e di resti di un villaggio testimoniano la presenza di
insediamenti umani sin dall'Età del Bronzo (1500-1200 a.C.). Forse in seguito occupata dagli
etruschi, dal IV sec. Parma fu un centro gallico; venne poi conquistata dai Romani assieme a
Modena durante la campagna per la conquista della Gallia Cisalpina nel 183 a.C. Ben presto
divenne colonia romana e, grazie alla sua posizione strategica e alla fertilità del territorio,
divenne molto prospera. L'attuale pianta cittadina rivela ancora il tracciato del decumano e
del cardine massimi, assi stradali ortogonali attorno ai quali si sviluppò il sistema viario
cittadino.
Dopo la caduta dell'Impero romano la città subì dapprima la dominazione
ostrogota e poi bizantina, durante la quale ricevette l'attributo di
Chrysopolis (città
d'oro), forse perché vi aveva sede l'erario imperiale. Nel 510 venne occupata dai Longobardi,
che sviluppano il loro insediamento nella parte sud-orientale. Feudo imperiale per un periodo,
passò quindi nelle mani dei vescovi (XI sec.): fra questi Cadalo, l'antipapa Onorio II eletto
dal partito filo-imperiale, che iniziò la costruzione del Duomo, appena fuori dal limite della
città romana. Tra l'XI e il XII secolo Parma si ampliò ben oltre il perimetro romano e, in
seguito alla piena del 1179 che deviò verso Ovest il corso del Parma, si consolidò un
insediamento al di là del torrente. La città prese progressivamente la caratteristica forma di
fuso allungato sull'asse della Via Emilia e nuove mura racchiusero i successivi ampliamenti.
Nel XII secolo la città conquistò l'autonomia comunale, perdendola verso la seconda metà del
Duecento, quando i Da Correggio divennero signori di Parma, presto soppiantati da altre dinastie
nobiliari (Rossi, Della Scala, Este). Una certà stabilità venne raggiunta con il lungo dominio
dei Visconti e poi degli Sforza (1346-1500). La signoria milanese continuò a favorire il
progresso economico della città; in questo periodo venne ricostruita la cinta difensiva (1364)
quasi in corrispondenza degli attuali viali di circonvallazione.
Dopo una fase di
occupazione francese (1500-21), Parma fu ceduta allo Stato pontificio; nel 1545 papa Paolo III
Farnese decise di unire Parma e Piacenza in un ducato per il figlio naturale Pier Luigi. Il
lungo periodo farnesiano vide una generale riorganizzazione dello Stato oltre che la
realizzazione di importanti interventi, fra i quali il parco e il Palazzo ducale, il gigantesco
Palazzo della Pilotta col teatro interno, la cittadella militare, il potenziamento
dell'Università.
Alla morte di Antonio Farnese, che non lasciava eredi, il ducato passò ai
Borbone (1748) che, con l'amministrazione del francese Guglielmo Du Tillot (1759-71),
promossero alcune riforme e diedero impulso alla vita economico-culturale della città. Negli
stessi anni l'architetto lionese Ennemond Alexandre Petitot realizzerà alcuni edifici pubblici
e lo Stradone (ora viale Martiri della Libertà), adibito a passeggio pubblico e degno di una
grande città. è il periodo in cui a Parma prevalgono la cultura e il gusto francesi e tutto
questo continua durante l'epoca napoleonica, con l'amministrazione del governatore Moreau de
Saint-Méry.
Dopo la disfatta napoleonica il congresso di Vienna assegnò la città alla
moglie di Napoleone, Maria Luigia d'Austria (1815-47), sovrana poi mitizzata, che promosse la
realizzazione di strutture assistenziali e di importanti opere pubbliche, fra le quali il
glorioso teatro. A Maria Luigia succedette Carlo Ludovico di Borbone (1847); incapace di
fronteggiare la rivoluzione del 1848, egli abdicò a favore del figlio Carlo III, che venne
ucciso nel 1854 per la sua politica reazionaria e intollerante. Gli successe il figlio, ancora
bambino, Roberto I al cui posto governò la madre Maria Luisa di Borbone che continuò la
politica autoritaria del marito. Nel 1859 Maria Luisa venne costretta a lasciare il ducato.
L'annessione al Regno sabaudo avvenne l'anno successivo con un plebiscito. Con l'unità
nazionale Parma regredì al ruolo di capoluogo di provincia e non subì particolari alterazioni architettoniche e urbanistiche, salvo
l'abbattimento delle mura (1889-1912) e alcuni sventramenti, in parte favoriti dalle distruzioni
belliche dell'ultimo conflitto mondiale.
ARTE. Città aristocratica e raffinata, Parma ha
un'eccezionale importanza sotto il profilo artistico-culturale. La piazza del Duomo raccoglie due
tra i monumenti più insigni del romanico in Italia. Il grandioso Duomo fu eretto nella
seconda metà dell'XI secolo e in gran parte ricostruito fra il 1130 e il 1178. A fianco del
Duomo si erge il
magnifico Battistero ottagonale in marmo rosa e bianco, capolavoro dell'architetto e scultore
Benedetto Anelami (1196-1216). Alle spalle del Duomo sorge la chiesa di S. Giovanni Evangelista
dove il
Parmigianino, originale interprete degli orientamenti manieristici dell'epoca, affrescò alcune
cappelle e dove lavorò anche Correggio, autore dei notevolissimi
Transito di San Giovanni
(1520-1523) nella cupola e
San Giovanni che scrive l'Apocalisse del transetto sinistro.
I luoghi dominati dal ricordo della Parma capitale si caratterizzano per gli edifici e gli spazi
decisamente fuori scala e un po' separati dal resto della città. Famoso tempio della lirica,
noto per il suo pubblico appassionato ed esigente, il Teatro Regio fu commissionato da Maria
Luigia d'Austria ed eretto nel 1821-29 secondo il progetto di Nicola Bettoli.
Numerose sono le raccolte museali presenti tra le quali: il Museo Archeologico Nazionale,
molto importante per i materiali preistorici provenienti da
varie aree dell'Italia settentrionale e per i reperti provenienti dal centro romano di Velleia,
posto tra Parma e Piacenza. Si segnalano in particolare la sezione delle terramare e palafitte
dell'Emilia, con numerosi e interessanti reperti dell'Età del Bronzo, e la
tabula alimentaria,
la più estesa iscrizione in bronzo d'età romana che riporta i nomi dei velleiati beneficiari del
prestito imperiale (II sec.).
Ospitata al piano superiore del Palazzo della Pilotta, la
Galleria Nazionale possiede una splendida sezione dedicata al Correggio, al Parmigianino e alla
pittura accademica e illuministica. Del Correggio sono gli affreschi dell'
Annunciazione,
dell'
Incoronata e della
Madonna della Scala; altri capolavori dello stesso, la
Madonna della Scodella e la
Madonna di S. Gerolamo. Del Parmigianino sono qui
custoditi un
autoritratto e il celebre dipinto
La Schiava turca. Altre sezioni
sono dedicate all'arte romanica, alla pittura toscana (XIV-XV sec.), alla scuola parmense ed
emiliana dal XV al XVIII secolo; vi sono rappresentate anche la scuola fiamminga e quella
genovese, nonchè il Settecento veneto, con G.B. Tiepolo, G.B. Piazzetta (
Madonna della
Concezione e angeli), Canaletto, Bernardo Bellotto, Sebastiano Ricci. Funge da ingresso
l'eccezionale teatro Farnese, ideato da G.B. Aleotti (1618); con un'ampia platea e con un
palcoscenico profondo dotato di scena mobile, rappresenta il primo esempio di teatro moderno;
gravemente danneggiato durante l'ultima guerra, è stato ricostruito negli anni Cinquanta del
XX secolo secondo disegni originali e con gli stessi materiali. Sullo stesso piano della
Galleria è anche l'ingresso alla Biblioteca Palatina, una delle maggiori d'Italia, ricca di
circa 700.000 volumi, oltre 6.000 manoscritti, numerosissimi autografi, incunaboli, incisioni e
stampe e anche alcuni pregevolissimi codici miniati.
Un piccolo edificio nelle vicinanze
del Palazzo della Pilotta ospita la
Camera di S. Paolo, che faceva parte dell'appartamento
delle badesse del monastero delle Benedettine di S. Paolo, ristrutturato nel 1514 per volontà
della badessa Giovanna da Piacenza. Straordinaria è la camera affrescata dal Correggio (1519).
Nelle sedici lunette a monocromo della volta compaiono figure mitologiche; nello spazio
illusionistico della volta, da un grande pergolato a festoni di frutta occhieggiano putti con
cani, strumenti e trofei di caccia; sul camino è raffigurata Diana sul carro. Il senso
dell'allegoria venatoria rimanda alla figura della committente, impegnata a difendere
l'autonornia del convento, a quel tempo vivace centro di cultura.
L'enorme area verde del
Parco ducale si apre di là del torrente Parma, con i suoi 20 ettari fra le più grandi in Italia
all'interno di un centro storico; sistemata a giardino all'italiana nel 1561, fu poi
ridisegnata alla francese e disseminata di abbellimenti architettonici e scultorei da
Jean-Baptiste Boudard e Pierre Constant (XVIII sec.). Sulla destra si erge il Palazzo ducale,
progettato dal Vignola (1561-64) e poi ampliato e trasformato dall'architetto francese Petitot
(1767). Lungo il margine sinistro del parco, il casino Sanvitale, compatta ed elegante architettura del primo Cinquecento.
LA PROVINCIA. La provincia di Parma (394.914 ab.; 3.449 kmq) occupa un territorio in parte
collinare e in parte pianeggiante. Vi si pratica un'agricoltura avanzata e l'allevamento bovino
e suino che alimenta l'industria casearia e dei salumi. Fra le altre industrie le principali
sono quelle alimentari, chimiche e metalmeccaniche. Fra i centri principali ricordiamo Bedonia,
Borgo Val di Taro, Busseto, Collecchio, Colorno, Fidenza, Fontanellato, Fornovo di Taro,
Langhirano, Medesano, Noceto, Salsomaggiore.
Parma: il Palazzo del Governatore
Luoghi di interesse
Duomo
Dedicata all'Assunta, la Cattedrale è considerata una delle più alte espressioni di
architettura romanico-padana. La maestosa
facciata a capanna, in blocchi d'arenaria, è disegnata da tre ordini di loggette e da un
protiro sorretto da colonne su leoni (aggiunto nel 1281). Sul lato destro si innalza il gotico
campanile. L'interno, a croce latina, con presbiterio e transetti rialzati, ha le tre navate
sorrette da pilastri polistili e cruciformi alternati; il quasi eccessivo carico decorativo che
ricopre le volte e le pareti - tutti affreschi di scuola manieristica padana (1555-74) - sembra
stornare l'attenzione dai bellissimi capitelli scolpiti a figure (pilastri e colonne dei matronei).
Nella cupola, l'affresco dell'
Assunzione della Vergine, capolavoro del Correggio (1526-30)
mostra un vortice di nubi e beati avvolgere uno squarcio di cielo, con un effetto di illusionistica
dilatazione. Nel transetto destro, alla parete, è collocata la
Deposizione, mirabile
rilievo di Benedetto Antelami (1180 ca.) che nella rigida struttura delle figure presentate in
ritmate serie verticali risente della scultura provenzale.
Battistero
Il grande edificio di forma ottagonale in marmo di Verona, alleggerito da quattro ordini di
logge aperte, è l'esempio del passaggio dell'arte romanica a quella gotica in Italia. Compiuto
nel 1307, il Battistero, nella sua fusione di architettura e scultura, rappresenta una delle
maggiori espressioni artistiche italiane. Importantissima la decorazione scultorea di Benedetto
Antelami dei tre portali con rispettivi architravi e lunette, ricchi di riferimenti teologici e
rappresentazioni simboliche tipiche dell'iconografia medioevale. Nella lunetta del portale della Vergine, scene dell'
Adorazione
dei Magi e dell'
Annuncio a S. Giuseppe; nella ghiera, figure di profeti; nell'architrave,
Battesimo di Cristo, Banchetto di Erode e
Decapitazione del Battista; mirabili i
rilievi degli stipiti: a sinistra l'albero di Giacobbe, a destra l'albero di Jesse, all'interno
l'albero della vita. Il portale del Giudizio mostra, nella lunetta, il
Redentore con angeli
recanti i simboli della Passione; nell'architrave, la
Resurrezione dei morti; nello
stipite a sinistra, le
Opere di misericordia; nel destro, la
Parabola della vigna.
Il portale della Vita è così detto per la rappresentazione allegorica della
Parabola della
vita.
Anche all'interno del Battistero la decorazione plastica è in massima parte di
mano dell'Antelami; si segnalano in particolare le serie dei
mesi e delle
stagioni
per la loro grande intensità psicologica; altre sculture antelamiche si trovano sopra i portali
e sull'altare.
Teatro Regio
L'edificio, di
severa architettura neoclassica, ha un fronte a portici su colonne ioniche. Il teatro venne
inaugurato il 16 maggio 1829 con l'opera "Zaira", scritta da Vincenzo Bellini per l'occasione.
Colpisce la mole del Palazzo della Pilotta, così chiamato dal gioco della pelota praticato in
uno dei cortili. L'immensa costruzione sorse a partire dal 1583 da un primo edificio porticato,
innestato alla preesistente rocchetta viscontea; in seguito venne ampliato (1602-11) con altre
ali che replicano la parte originaria utilizzata come modulo, ma non riuscì a raggiungere un
assetto definitivo. Con l'estinzione dei Farnese venne spogliato delle raccolte artistiche (1734),
ma presto riacquistò il suo ruolo di contenitore culturale ed ora ospita le maggiori raccolte
cittadine: la Galleria Nazionale, che permette una conoscenza non superficiale dell'opera dei
due grandi pittori locali Correggio e Parmigianino; il Museo Nazionale di Antichità; la Biblioteca
Palatina, cui è annesso il Museo Bodoniano, dedicato al celebre tipografo e incisore G.B. Bodoni.
Casa natale Arturo Toscanini
In questa piccola casa, situata in una delle zone più popolari di "Parma vecchia", nacque il
25 marzo 1867 Arturo Toscanini. Qui visse il primo anno di vita, peraltro in coabitazione con
altre due famiglie; oggi questo edificio, completamente ristrutturato, ospita il museo di
memorie dedicato al Maestro.
Prendendo spunto dall'organizzazione architettonica della casa, l'allestimento del percorso
museale è articolato in stanze tematiche, dove si ripercorre la sua vita privata e professionale. Seguendo i link in basso a sinistra, è possibile visitare virtualmente l'edificio e i principali documenti in esso contenuti. Stanza per stanza, seguendo la planimetria o i link diretti alle singole stanze, riuscirete ad avere un'idea dei tesori qui custoditi; cliccando sulle parole in giallo sfoglierete le diverse foto disponibili.
Monumento inserito nei circuiti del turismo musicale (e non solo) della città, la Casa natale
oggi è luogo di incontro per studenti e appassionati di tutto il mondo.
Piacenza
(102.252 ab.). Situata sulla riva destra del Po e all'estremità della Via Emilia, Piacenza
è una città di prevalente impronta lombarda, risultato della vicinanza geografica e storica con
Milano. Porta dell'Emilia per chi vi giunge dal Piemonte, dalla Lombardia e dalla Liguria,
Piacenza è chiusa dalla rete ferroviaria e autostradale che qui forma un importante nodo e
separa la città dal suo fiume. è un importante mercato agricolo; fra le varie attività
industriali ricordiamo le industrie chimiche, meccaniche, alimentari, tessili, dell'edilizia.
Piacenza è una città ricca di emergenze artistiche, con un centro storico assai vasto,
disseminato di numerosissimi e pregevoli palazzi, dei quali si ammirano in particolare gli
scenografici scaloni e i raffinati serramenti in ferro battuto.
STORIA. Le origini di Piacenza si riconnettono alla sua posizione fra il Po, la Pianura Padana
e gli Appennini: si è notato come questo punto coincida, per la navigazione di risalita fluviale,
con l'avvistamento della catena appenninica, riferimento che può spiegare le ragioni di una
fondazione. Distrutta dai Galli nel 200 a.C.,
Placentia fu ricostruita dai Romani che ne
fecero la testa di ponte a controllo del guado per la Transpadana. Nel 187 a.C. fu raggiunta
dalla Via Emilia e in seguito dalla Via Postumia, che collegava l'alto Tirreno (Genova) con
l'alto Adriatico (Aquileia).
Devastata dai Goti di Totila nel 546, fu in seguito occupata
da Bizantini, Longobardi e Franchi conquistando però una certa floridezza economica grazie ai
commerci connessi alla navigazione fluviale. Nel 997 l'imperatore franco Ottone III concesse il
dominio della città ed il titolo di conte al Vescovo Sigefredo. Nel 1130 fu costituito il
Comune dei consoli, che partecipò attivamente alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa. Lo
sviluppo commerciale, artigianale e finanziario della città produsse una crescita demografica
che si manifestò in un'espansione urbana, principalmente lungo le direttrici della Val Trebbia
(Genova) e della Via Emilia; due cinte murarie furono erette rispettivamente nel XII e nel XIII
secolo.
Tuttavia, i violenti conflitti fra le grandi famiglie guelfe e ghibelline
portarono alla signoria di Alberto Scotti (1290-1303) e successivamente alla signoria milanese
dei Visconti e poi degli Sforza. Piacenza seguì la sorte del ducato di Milano, caduto in mano
ai francesi nel 1499. Fu da questi ceduta allo Stato della Chiesa (1521) e papa Paolo III
Farnese ne fece, insieme a Parma, un ducato per il figlio Pier Luigi (1545). Nel periodo
pontificio vennero realizzati importanti interventi, quali il completamento delle mura
rafforzate da bastioni angolari (1526-45), l'edificazione del castello nel settore Ovest
(1547-48), l'apertura di una grande arteria (l'attuale stradone Farnese).
Come capitale
designata del ducato, Piacenza avrebbe dovuto essere sede del Palazzo ducale che fu però solo
iniziato; infatti, dopo l'uccisione di Pier Luigi Farnese (1547) per una congiura nobiliare, la
capitale fu trasferita a Parma, mentre a Piacenza si andò rafforzando la classe aristocratica.
Le famiglie patrizie, obbligate dai duchi Farnese a spostarsi dai castelli alla città, si
diedero all'edificazione di numerosissimi sontuosi palazzi (nel 1748 ne sono individuati ben 123).
A questo fervore d'iniziativa privata non corrisposero interventi pubblici e Piacenza, sempre
più diversificata da Parma, rimase nell'assetto delineato nel Cinquecento.
Nel corso dei
due secoli successivi la città assunse sempre più fisionomia e funzioni di piazzaforte
militare, prima sotto l'Austria (durante la Restaurazione), poi come importante città di
guarnigione nel nuovo Stato unitario. Per lungo tempo perdurò una situazione di ristagno
economico e demografico, con pochi interventi di rilievo (corso Vittorio Emanuele, corso Cavour
e nella zona della stazione); solo dal secondo dopoguerra Piacenza cominciò un nuovo sviluppo
urbano.
ARTE. Nella parte centrale del centro storico Piacenza conserva la tipica struttura urbanistica
a maglie ortogonali della città romana. Le strade sono per lo più strette, i connotati
stilistici notevolmente omogenei, prevalentemente sette-ottocenteschi. Il fulcro della vita
cittadina è l'elegante piazza dei Cavalli, così chiamata per le due bellissime statue equestri
di Alessandro Farnese e del figlio Ranuccio, bronzi di Francesco Mochi (1620-25). Aperta nel
XIII secolo, la piazza è dominata dal medievale Palazzo comunale, detto anche il
Gotico,
costruito a partire dal 1281 secondo il modello del broletto lombardo. è a due ordini: il
profondo portico ad archi a sesto acuto e la parte superiore in laterizio, traforata da
finestre polifore splendidamente decorate da ghiere in cotto.
Il Duomo si affaccia sulla
quadrilatera piazza aperta nel 1594. Costruito in due fasi, fra il 1122 e il 1233, è di
architettura assai complessa, dovuta all'innesto di elementi gotici su una struttura romanica.
La facciata a capanna, alleggerita da una serie di loggette e da un rosone centrale
trecentesco, si apre in tre portali ornati da sculture opera di maestranze locali influenzate
da Wiligelmo (portale sinistro) e da Nicolò (centrale e destro). L'interno, a croce latina e a
tre navate, esprime linee romaniche nei possenti pilastri cilindrici e il segno del gotico
nell'alzata superiore e nelle volte. Gli spicchi della cupola sono affrescati dal Morazzone e
dal Guercino (1625-27), autore anche delle
Sibille nelle lunette sottostanti. Opere,
inoltre, dei bolognesi Camillo Procaccini (attivo soprattutto a Milano) e Ludovico Carracci
(1609).
La basilica di S. Antonino è uno tra i più antichi insediamenti religiosi sorti
appena fuori del perimetro romano. Eretta nel IV secolo e cattedrale sino all'850, venne
riedificata nella prima metà dell'XI secolo, rimaneggiata più volte e poi restaurata nel secolo
scorso. Nella chiesa nel 1183 avvenne l'incontro tra Federico Barbarossa e i rappresentanti
della Lega Lombarda allo scopo di avviare le trattative per la pace di Costanza.
S. Sisto,
sorto come monastero benedettino nel IX secolo, fu completamente rifatto in epoca
rinascimentale su progetto di Alessio Tramello (1499-11), profondamente influenzato da Bramante
e da Biagio Rossetti. L'interno è impreziosito da affreschi e raffinate decorazioni. Nel
presbiterio, splendido coro ligneo a tarsie del 1514; sul fondo, una copia sostituisce la
celebre
Madonna Sistina di Raffaello (ora a Dresda).
Edifici religiosi molto
interessanti sono la basilica di S. Savino, dall'interno in stile romanico lombardo, con
notevoli capitelli con motivi zoomorfi e fitomorfi, e il santuario della Madonna di Campagna
(1528), dall'interno a croce greca splendidamente affrescato dal Pordenone e da Bernardino
Gatti (1529-31).
Il gigantesco e incompiuto Palazzo Farnese, oggi sede museale, fu
iniziato nel 1559 da Ottavio Farnese su progetto dell'urbinate Francesco Paciotto, venne
proseguito da Jacopo Barozzi, detto il Vignola, architetto ufficiale di Casa Farnese; ma i
duchi, residenti stabilmente a Parma, persero interesse per la fabbrica e i lavori furono
interrotti (1602). Isolato nel contesto urbano circostante, l'edificio ha tre fronti in
laterizio scanditi da comici in pietra; nella corte interna, dove il Vignola aveva previsto un
teatro all'aperto, si eleva il maestoso loggiato a due ordini, con i raccordi angolari
absidati. Al primo piano si apre la cappella ducale, a pianta ottagonale, elegante architettura
di Bernardino Panizzari detto il Caramosino (1588 ca). Saldata al palazzo è la parte superstite
della Cittadella viscontea (1373).
Tra le maggiori istituzioni culturali cittadine figura
la Galleria d'Arte Moderna Ricci-Oddi, costituita dalla collezione donata da Giuseppe
Ricci-Oddi nel 1924 e da successivi accrescimenti. Collocata in un edificio appositamente
progettato dall'architetto Giulio Arata (1925-31), raccoglie circa 500 opere di pittura,
scultura e grafica, in prevalenza di artisti italiani, che documentano in modo esemplare,
secondo ambiti culturali regionali, la vicenda dell'arte figurativa in Italia dal Romanticismo
al Novecento. Fra le tante, si segnalano le opere di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini,
Silvestro Lega, Giovanni Boldini, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Medardo Rosso; Giuseppe de
Nittis, Carlo Carrà, Felice Casorati, Francesco Messina.
A 2,5 km dal centro, in direzione
di Parma, sorge il collegio Alberoni, sede dell'omonima Galleria. Il complesso edilizio venne
eretto nel 1751 per volere del cardinale Giulio Alberoni, già primo ministro di Filippo V di
Spagna. Nell'appartamento del cardinale si trovano alcuni pregevoli dipinti, fra cui uno
straordinario
Ecce Homo di Antonello da Messina (firmato e datato 1473).
LA PROVINCIA. La provincia di Piacenza (266.279 ab.; 2.589 kmq) costituisce l'estremo limite
occidentale dell'Emilia e si estende su un territorio compreso tra il Po e l'Appennino ligure.
è per la maggior parte montuoso e collinare, con una parte pianeggiante e molto fertile.
Risorsa principale è l'agricoltura (ortaggi, frutta, cereali, viti). Importante è anche
l'allevamento del bestiame. Le industrie sono prevalentemente di trasformazione dei prodotti
agricoli (caseifici, zuccherifici, salumifici), ma non mancano industrie meccaniche, tessili,
chimiche, degli idrocarburi. Centri principali sono Bobbio, Borgonovo Val Tidone, Carpaneto
Piacentino, Castel Sangiovanni, Cortemaggiore, Fiorenzuola d'Arda.
Il Palazzo del Comune a Piacenza
Ravenna
(138.122 ab.). Situata nella bassa pianura romagnola, poco distante dalla linea di costa,
Ravenna è una città monumentale di fama internazionale. è un importante centro agricolo-commerciale e un attivo centro industriale. La scoperta, negli anni '50 del XX secolo, di
giacimenti di metano ha alimentato lo sviluppo delle industrie chimiche e petrolchimiche. Fra
le altre attività industriali ricordiamo le industrie del settore alimentare. Antica città di
mare arenata nel sedimento dei suoi fiumi, Ravenna ha recuperato la funzione portuale attraverso
l'ampliamento del porto-canale Corsini, attivo porto mercantile (esportazione di prodotti
chimici ed importazione di petrolio grezzo). Importante risorsa è anche il turismo. Disseminato
delle splendide testimonianze del passato, il tessuto urbano di Ravenna appare tuttavia
disomogeneo e di qualità discontinua, con un centro storico circondato da una disordinata
periferia.
STORIA. Antico porto di origine etrusca, punto d'incontro e di scambio fra la navigazione
marittima e quella interna, Ravenna divenne colonia romana nel II secolo a.C. Augusto ne fece
la sede della flotta ("classis") pretoria del Mediterraneo orientale allorchè, poco più a Sud,
venne creato il porto di Classe per il ricovero e il rifornimento delle navi. La presenza della
flotta produsse un incremento dei traffici e soprattutto dei legami culturali con l'Oriente,
fenomeno che lascerà segni duraturi.
Nella crisi dell'Impero romano, pur risentendo della
difficile situazione di decadenza economica e degrado politico, Ravenna fu capitale (402),
scelta dall'imperatore Onorio perchè protetta dalle acque. Dopo la caduta dell'Impero, fu
residenza di Odoacre e, dal 493, del re ostrogoto Teodorico, col quale visse un periodo di
duplice identità, gota e romana, ariana e cattolica. La conquista bizantina (540) segnò
l'inizio di un periodo di prestigio politico per la città, durante il quale fu arricchita degli
splendidi edifici e apparati musivi. Ravenna divenne il centro principale dell'Esarcato, ovvero
di quel territorio dell'Impero bizantino comprendente parte dell'Emilia-Romagna.
Passata
ai Longobardi (751) e quindi ai Franchi (754), Ravenna fu da questi ultimi donata, con il suo
territorio, a papa Stefano II. Né il principato vescovile, né le signorie dei Traversari (fine
XII sec.-1240) e dei Da Polenta (1302-1441) lasciarono tracce rilevanti, però nel frattempo
eventi naturali (deviazione del corso del Po a Nord e progressivo interramento del porto di
Classe) avevano grandemente modificato l'assetto della costa e, di conseguenza, spostato
altrove i traffici commerciali. Ravenna scivolò quindi in una posizione del tutto marginale e
nel degrado, finiti i rapporti con l'Oriente e dovendo inoltre subire la concorrenza della
crescente potenza di Venezia, che infine la sottomise nel 1441. Con il dominio veneziano,
durato fino al 1509, si ebbe qualche intervento migliorativo, come il rinforzo delle
fortificazioni e la pavimentazione delle strade.
Recuperata da papa Giulio II e riunita
allo stato della Chiesa, la città non uscì dalla sua condizione di isolamento e di ristagno
economico, anche se si compirono alcune opere importanti, quali la deviazione a Sud dei fiumi
Ronco e Montone, unificati in un unico alveo (i Fiumi Uniti, 1736), l'apertura del porto-canale
Corsini (da Lorenzo Corsini, papa Clemente XII, 1738) e la costruzione della strada lastricata
per Forlì (1786).
Durante le campagne napoleoniche Ravenna fece parte delle Repubbliche
Cispadana, Cisalpina, Italiana e del Regno Italico. Dopo il Congresso di Vienna ritornò a far
parte dello Stato pontificio cui si ribellò nel 1859. Fu annessa al nuovo stato unitario nel
1860. Creati nuovi collegamenti ferroviari con Bologna, Ferrara e Rimini, potenziato il porto e
intrapreso il restauro dei monumenti, la città iniziò un percorso di riqualificazione, ma solo
nel secondo dopoguerra Ravenna conobbe una vera ripresa economica, legata alla scoperta di
ingenti giacimenti di metano. La città diventò un importante polo portuale industriale, con uno
scalo che è primo nell'Adriatico e secondo in Italia. Le conseguenze negative di questo
repentino sviluppo si manifestano però in un notevole scadimento dell'area periurbana e
nell'abbassamento dei suoli, causato dalla massiccia estrazione di gas e acqua per l'industria.
ARTE. Ravenna è una delle più notevoli mete turistiche d'Italia e del mondo, nel suo genere una
città unica, di importanza fondamentale nella storia della civiltà europea nel V-VI sec. La
fulgida stagione artistica ravennate si articola in tre fasi successive, storicamente
coincidenti con il periodo finale dell'Impero d'Occidente, con il dominio ostrogoto e con la
riconquista da parte dell'imperatore d'Oriente Giustiniano.
Il trasferimento della sede
imperiale, per volere di Onorio, da Milano a Ravenna segna l'inizio di un'opera di abbellimento
della città grazie soprattutto allo splendido mecenatismo di Galla Placidia, sorella di Onorio
e lei stessa imperatrice in nome del figlio Valentiniano III. Del gruppo di monumenti fatti
erigere da Galla Placidia fa parte il celebre Mausoleo a lei dedicato.
Altri edifici
placidiani sono l'ex basilica di S. Croce, già unita da un nartece al Mausoleo, rifatta nel
1716, e la basilica di S. Giovanni Evangelista, chiesa votiva fatta erigere da Galla Placidia
(426-34), quasi del tutto ricostruita dopo gli ingenti danni subiti nell'incursione aerea del
1944.
Risalente anch'esso alla prima metà del V secolo, il battistero Neoniano, più noto
come battistero degli Ortodossi (per distinguerlo da quello degli Ariani) venne eretto dal
vescovo Orso e poi completato dal vescovo Neone, dal quale prende il nome.
Di forma
ottagonale, notevolmente interrato, il battistero degli Ariani reca all'interno anche una
raffigurazione a mosaico del
Battesimo di Cristo, in cui la nudità del Redentore è
tipicamente ariana e la personificazione del Giordano è una reminiscenza iconografica
classica.
Allo stesso periodo teodoriciano appartiene anche la chiesa di S. Apollinare
Nuovo, fondata per il culto ariano da Teodorico tra il 493 e il 496; riconvertita al culto
cattolico (560 ca.), viene più tardi dedicata a S. Apollinare, con l'appellativo "nuovo" per
distinguerla da un'altra più antica.
Fuori dal recinto urbano si erge isolato il mausoleo
di Teodorico, secolare ed enigmatico simbolo di Ravenna "città morta". L'edificio, eretto dal
re ostrogoto poco dopo il 520, ripropone la struttura centrale dei sepolcreti romani con
inedita potenza plastica.
Capolavoro della cultura artistica bizantina e simbolo della
grandezza imperiale, la basilica di San Vitale fu consacrata nel 547, quando Giustiniano aveva
scelto già da alcuni anni Ravenna come capitale dell'Esarcato.
Superato il ponte sui
Fiumi Uniti inizia l'area archeologica di Classe: sono visibili le basi di una fontana pubblica,
di due magazzini e di altri edifici dell'insediamento portuale bizantino (V-VI sec.) insistente
su strutture romane. A tre chilometri sorge la basilica di S. Apollinare in Classe, la cui
decorazione conclude la parabola della produzione musiva ravennate.
Tra gli altri
monumenti cittadini ricordiamo il Duomo ricostruito in forme barocche (1734-43) sulla
cattedrale paleocristiana purtroppo abbattuta, detta basilica Ursiana dal fondatore, il vescovo
Orso (inizio V sec.); la Tomba di Dante, morto a Ravenna dove si trovava in esilio, ospite di
Guido Novello Da Polenta; il tempietto neoclassico realizzato dall'architetto ravennate Camillo
Morigia (1780) sostituì il precedente mausoleo di Pietro Lombardo (1483), del quale si sono
fortunatamente conservati l'urna e il celebre bassorilievo raffigurante il poeta immerso nella
lettura.
Notevoli le istituzioni museali. Il Museo Nazionale ha sede negli edifici
conventuali dell'ex monastero benedettino di S. Vitale, collegato alla basilica. è un'importante
raccolta di carattere archeologico e di arti applicate, il cui primo nucleo fu organizzato
dall'erudito camaldolese Pietro Canneti agli inizi del Settecento e poi via via accresciuto
principalmente dai reperti provenienti dagli scavi nel territorio ravennate.
Il Museo
arcivescovile, collocato nello storico Episcopio ravennate, edificio di fondazione antichissima
(prima del 396), raccoglie materiale prevalentemente lapideo proveniente dalla distrutta
basilica Ursiana e altri pezzi di diversa origine. Il pezzo forte della collezione è la cattedra dell'arcivescovo Massimiano (VI sec.)
in avorio scolpito.
Nella Pinacoteca comunale è ben documentata la pittura romagnola dal
XIV al XVIII secolo; molto popolare la statua giacente di Guidarello Guidarelli, giovane
cavaliere ucciso nel 1501, capolavoro di Tullio Lombardo (1525). La Pinacoteca è alloggiata
nell'ex monastero dei Canonici Lateranensi, che su un lato mostra la cosiddetta
Loggia
Lombardesca, elegante struttura a due ordini di arcate sovrapposte, realizzata da mestri
marmorari lombardi all'inizio del Cinquecento.
Visita virtuale allinterno della Cappella di SantAndrea, a RavennaLA PROVINCIA. La provincia di Ravenna (350.223 ab.; 1.859 kmq) è compresa fra le province di
Forlì-Cesena, Ferrara, Bologna, l'Appennino Tosco-Emiliano e il mare Adriatico e si estende su
un territorio per la maggior parte pianeggiante. La parte bassa della pianura è frutto di un
secolare modellamento dovuto alla grande instabilità idrografica, faticosamente arginata da una
lunga opera di bonifica idraulica, conclusa solamente nella prima metà del Novecento.
Principale risorsa è l'agricoltura (produzione di barbabietole da zucchero, ortaggi, cereali,
frutta, uva) che alimenta anche l'industria (zuccherifici, molini, oleifici). Molto importante
l'industria turistico-alberghiera che si è sviluppata lungo il litorale romagnolo (Cervia,
Milano Marittima). Fra i centri principali ricordiamo: Alfonsine, Bagnacavallo, Brisighella,
Conselice, Faenza, Lugo.
Luoghi di interesse
Basilica di S. Vitale
La basilica di S. Vitale fu voluta da Ecclesio, che resse il vescovato di Ravenna all'incirca
nel decennio tra il 522 e il 532. I lavori ebbero inizio negli anni successivi al 525. La fine
dei lavori all'edificio varia dal 547 fino al 548, anno in cui il vescovo Massimiano la consacrò,
come ricorda un'iscrizione nella chiesa.
La pianta centrale richiama tanto l'architettura
classica quanto quella coeva bizantina. Dai due corpi ottagonali concentrici sporgono il
nartece e l'abside affiancata da due ambienti di servizio; in origine il monumentale nartece si
allargava in un quadriportico, ora scomparso. Il rivestimento esterno è in laterizio, scandito
da lesene; un portale marmoreo rinascimentale si apre sul lato Sud.
L'interno è di grande
suggestione per la scansione spaziale e per la luce che, dalle finestre in alabastro, si
diffonde variamente sui rivestimenti marmorei e musivi. L'ambiente è composto dal deambulatorio
circolare che regge i matronei e dal vano centrale sottostante la cupola, dilatato da esedre
aperte da due ordini di arcatelle. I bellissimi capitelli, sormontati da pulvini, recano
rilievi a foglie di loto. La zona del presbiterio risplende dei celebri mosaici, con scene
ancora intrise di naturalismo e realismo e tipiche figurazioni nello stile statico e solenne
proprio dell'arte bizantina. Sull'arcone d'ingresso, incorniciati da medaglioni, i volti di
Cristo, degli apostoli e dei santi Gervasio e Protasio; all'interno, sopra le trifore,
Offerte di Abele e di Melchisedec, storie della vita di Mosè e Isaia (a destra),
Ospitalità di Abramo, Sacrificio d'Isacco, Mosè che riceve le leggi e Geremia (a
sinistra); nell'arcone absidale, le città di
Gerusalemme e Betlemme, da cui si
protendono due angeli. Alle pareti del presbiterio le due famose scene celebrative del potere
imperiale orientale che, nonostante la stilizzazione formale, in alcuni volti rivelano
penetrante realismo:
Teodora con corteo di due ministri e sette matrone e
Giustiniano
col vescovo Massimiano e seguito di sacerdoti, funzionari e soldati; nel catino, il
Redentore tra arcangeli che offre a S. Vitale la corona del martirio e riceve dal vescovo
Ecclesio il modello della chiesa.
Visita virtuale allinterno della Basilica di San Vitale, a Ravenna
Basilica di S. Apollinare Nuovo
La basilica di S. Apollinare Nuovo fu eretta da Teodorico all'inizio del secolo VI, come chiesa
palatina di culto ariano intitolata a Gesù Cristo. Nel 548 venne modificata in parte dal
vescovo Agnallo che avvalendosi dell'editto di Giustiniano la riportò al culto cattolico.
Il nome che la chiesa porta attualmente, invece, le venne dato quando, timorosi per il pericolo
di un attacco da parte dei pirati, alcuni monaci benedettini di Classe trasportarono le spoglie
del loro santo in questa chiesa. Purtroppo l'esterno della chiesa non mostra più oggi il suo
antico aspetto.
Il quadriportico, per esempio, fu sostituito verso il XVI secolo da un porticato di marmo greco,
vennero fatti ritocchi alla facciata, ed anche l'abside subì dei cambiamenti. Al contrario, il
campanile non ha subito variazioni: risalente al IX secolo è traforato da monofore, bifore e
trifore che ne alleggeriscono la massa ed il volume man mano che si innalza.
Sulle pareti della navata centrale corre una sontuosa decorazione musiva organizzata su tre
fasce sovrapposte; quella più alta, di epoca teodoriciana, alterna a decorazioni simboliche
episodi della vita di Cristo, espressi con uno stile narrativo aderente alla tradizione
ellenistico-romana; nella fascia mediana, solenni e plastiche figure di santi e profeti;
nell'inferiore, in gran parte del periodo bizantino, due lunghe teorie di martiri (a destra) e
di vergini precedute dai Re Magi (a sinistra), rispettivamente rivolti a Cristo e alla Vergine,
entrambi in trono fra angeli. Notevoli anche le raffigurazioni iniziali (teodoriciane) del
Palazzo di Teodorico, del porto e città di Classe, con scene urbane del tutto schematiche e
fantastiche.
Basilica di Sant'Apollinare in Classe
Fu edificata dal vescovo Ursicino (533-36) e consacrata dal vescovo Massimiano (549); il
campanile cilindrico che la affianca, reso slanciato anche dal graduale allargarsi delle
aperture, risale al X secolo. L'interno della chiesa è a tre navate, con file di colonne
sormontate da raffinati capitelli a foglie d'acanto "girate dal vento". Il fulcro visivo e
prospettico della basilica è nell'ampia conca absidale rivestita di mosaici, eseguiti di epoche
diverse ma tutti di cultura bizantina, senza più alcun residuo naturalistico. Sull'arco
trionfale,
Cristo benedicente fra i simboli degli evangelisti (IX sec.), a cui tendono
dodici agnelli (gli apostoli) fuoriuscenti dalle turrite città di
Gerusalemme e Betlemme
(VII sec.); sotto, due palme dorate (VII sec.); più in basso, gli arcangeli
Michele e
Gabriele (VI sec.), sovrapposti ai busti degli evangelisti Matteo e Luca (XII sec.). Nel
catino, in alto, indicata dalla mano dell'Eterno, la rappresentazione simbolica della
Trasfigurazione di Cristo sul Monte Tabor, in cui Cristo è la croce iscritta nel cerchio
stellato, affiancata dalle figure di
Mosè ed Elia; sotto, in un astratto paesaggio di
rocce, alberi, fiori, arbusti e uccelli, si mostra la figura solenne di S. Apollinare orante
tra dodici pecorelle, simboleggianti il gregge dei fedeli; fra le finestre, le figure dei
vescovi Ursicino, Orso, Severo ed Ecclesio (VI sec.); più tarde sono le scene poste alle
estremità: a destra, i
Sacrifici di Abele, Melchisedec e Abramo; a sinistra,
l'
Imperatore Costantino IV che consegna i privilegi alla chiesa di Ravenna.
Ravenna : la chiesa di Sant'Apollinare in Classe
Visita virtuale allinterno della Basilica di SantApollinare in Classe, a Ravenna
Battistero Neoniano
Cominciata verso la prima metà del V secolo e terminata completamente verso il 450 può essere
considerata una delle più antiche costruzioni di Ravenna .
A pianta ottagonale, appare interrato di tre metri rispetto all'attuale piano stradale. Al
semplice e disadorno esterno in laterizi si contrappone lo spazio interno, illusionisticamente
ampliato dai due ordini di arcate e arcatelle e dalla diversa intensità cromatica del manto
decorativo. La ricca decorazione musiva della parte inferiore alterna tralci e iscrizioni con
sontuose tarsie lapidee; sopra, tra le finestre, figure di profeti in stucco, inquadrati da
classiche edicole. Come smaterializzata nei vividi colori intrisi di luce appare la ruotante
sequenza degli apostoli nella cupola, che reca al centro il
Battesimo di Cristo; qui si
avverte già il passaggio dal naturalismo ellenistico-romano ai nuovi schemi astratti bizantini.
Interessante a questo proposito è il confronto con gli stessi soggetti - gli Apostoli -
raffigurati nei mosaici del battistero degli Ariani, datato alla prima metà del VI secolo, e
appartenente ormai alla fase teodoriciana (inizio sec. VI).
Visita virtuale allinterno del Battistero Neoniano, a Ravenna
Battistero degli Ariani
Edificato alla fine del V secolo è ispirato al Battistero Neoniano: si noti, per esempio, nella
aprte esterna la sporgenza di absidi nei lati alterni della costruzione ottagonale; nella parte
interna la concezione generale dell'apparato decorativo.
Non si deve però pensare ad nun'imitazione in quanto vi sono fra le due costruzioni enormi
differenze prima fra tutte la presenza, originariamente, di un deambulatorio che correva lungo
il perimetro esterno, interrompendosi soltanto in corrispondenza dell'abside orientale, di
dimensioni maggiori delle altre, diversamente che nel battistero cattolico.
Internamente lo spazio è disadorno, tranne la cupola: solo i mosaici della cupola sono stati
conservati.
Nel medaglione sommitale, incorniciato da una ghirlanda di alloro piuttosto stilizzata, la
scena del battesimo di Cristo è trattata con grande scioltezza e fa posto ad alcune
reminiscenze classiche.
Il corpo di Cristo è l'asse portante dell'opera, qui raffigurato come un giovane glabro,
aureoloato, immerso nelle acque. Il Battista, sta alla sua sinistra, coperto da una pelle di
pantera annodata sulla spalla, alla quale si appoggia il lungo bastone ricurvo che sostituisce
l'usuale croce astile.
Da uno scoglio emergente dall'acqua del fiume, egli si china in avanti sporgendo la destra
priva di attingitoio, che si limita a toccare i capelli del Cristo. L'acqua battesimale viene
in realtà versata dal becco della Colomba che discende verticalmente dalla sommità del
medaglione. Dietro questa stupefacente singolarità iconografica si celano certamente forti e
determinate ragioni teologiche, che oggi tuttavia non riusciamo più ad afferrare.
In posizione simmetrica ripsetto al battista si trova un vecchio barbuto, con lunghi capelli
ricadenti sulle spalle, dai quali dietro al capo si alzano due chele di granchio, è seduto
sulla riva davanti a un vaso capovolto dal quale defluisce l'acqua del fiume.
Il vecchio ha il corpo nudo fino al bacino, le gambe coperte da un panneggio e tiene nella
destra una canna palustre. La completa aderenza al tipo romano della divinità fluviale rende
superflua la denominazione che compare invece sopra la personificazione del Giordano nel tondo
del battistero neoniano.
La fascia esterna della decorazione musiva contiene i dodici apostoli recanti la corona
rituale, disposti in due file guidate rispettivamente da Pietro - con l'attributo della chiave -
e da Paolo - con l'attributo del rotolo -, fermi ai lati di un trono vuoto con un cuscino di
porpora ricamato, al quale è appoggiata una croce incrostata di gemme.
Si riconoscono condensati in un unico partito decorativo gli stessi motivi iconografici che nel
modello neoniano erano svolti in due fasce. D'altra parte, questi mosaici nei quali un albero
di palma è intercalato alle figure degli apostoli, potrebbero forse essere confrontati con la
Teoria dei martiri in S. Apollinare Nuovo.
Visita virtuale allinterno del Battistero degli Ariani, a Ravenna
Mausoleo di Galla Placidia
Costruito fra il 425 e il 450, il piccolo edificio a pianta cruciforme nasconde all'interno un
incantevole rivestimento a mosaico che ricopre tutta la parte superiore e riproduce nella cupola
semisferica un cielo notturno, creando un effetto di dilatazione dello spazio. Riflessa dalle
tessere del mosaico, la luce - il mezzo espressivo più immateriale, metafora dello splendore
divino - brilla come l'essenza stessa di quelle figurazioni simboliche, affioranti dal blu
lapislazzuli dello sfondo. Nel tamburo campeggiano otto figure di apostoli, di solenne
ieraticità; nelle volte a botte si alternano, con gusto tipicamente orientale, motivi floreali
stilizzati ed elaborati girali di acanto; nella lunetta sull'entrata, la scena del Buon Pastore,
di matrice ellenistica; di fronte,
S. Lorenzo davanti alla graticola; nelle lunette
laterali si fronteggiano due coppie di cervi alla fonte. A terra, tre sarcofagi marmorei,
quello centrale è romano (creduto di Galla Placidia), i laterali risalgono al V e al VI secolo.
Visita virtuale allinterno del mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna
Mausoleo di Teodorico
Nel luogo della necropoli dei Goti, il re Teoderico volle erigere il proprio mausoleo.
Costruito nel 520, rimase però incompiuto nell'interno e in alcune parti dell'esterno; inoltre,
alcuni elementi furono asportati, altri perduti e prorpio per questo motivo oggi alcuni tratti
del mausoleo risultano di difficile interpretazione.
Il mausoleo è formato da due ordini di prismi decagonali, formati di blocchi perfettamente
squadrati di pietra d'Istria.
La parte inferiore è più larga e ha su ciascun lato una nicchia voltata a tutto sesto, che nel
lato a Ovest lascia il posto alla porta d'accesso alla camera inferiore, che ha pianta a croce
ed è coperta da una volta a crociera.
La parte superiore è, invece, più stretta e termina in alto con una doppia fascia circolare
orlata superiormente con un motivo ornamentale detto "a tenaglie" ed è coperto da una cupola
formata da un monolito con dodici anse sul bordo, nelle quali furono incisi i nomi di otto
apostoli e degli evangelisti. Come sotto anche nella parte siperiore vi è una camera sepolcrale
a forma circolare. Lo stato odierno del mausoleo ci impedisce di persumere come potesse essere
la sua struttura precedentemente. Si pensa che un loggiato raccordasse la parte del corpo
superiore sotto la fascia circolare, al perimetro del corpo inferiore. Tuttavia molti dettagli
restano oscuri. Per esempio, il significato e la funzione delle dodici anse del monolito.
Qualcuno ha fornito una soluzione abbastanza pratica spiegando la presenza di quei fori per
fare passare le canape che avrebbero dovuto sollevare la mole del mausoleo di oltre trecento
tonnellate.
Per alcuni la struttura del mausoleo riprende quella di una tenda usata nelle regioni orientali
dai Goti per cui le anse sarebbero una stilizzazione degli elementi strutturali della copertura
che fuoriescono dal cielo della tenda, terminando a forma di grosso uncino.
Analogamente, il fregio a tenaglia, riprodurrebbe un gancio in uso nelle tende d'Oriente,
anziché essere un semplice motivo ornamentale analogo a quelli ritrovati anche su alcuni
gioielli dei Goti.
Reggio Emilia
(141.482 ab.). La città di Reggio Emilia si trova lungo la Via Emilia fra Parma e Modena.
è un importante mercato agricolo (cereali, uva, foraggi, frutta e verdura) e zootecnico
(allevamento di bovini e suini). L'agricoltura alimenta industrie casearie, enologiche,
conciarie, molitorie, a cui si affiancano industrie metalmeccaniche, chimiche, delle confezioni,
dell'edilizia e dei materiali da costruzione.
STORIA. I primi insediamenti abitativi umani risalgono all'età neolitica e del Bronzo, come
testimoniano i ritrovamenti archeologici negli immediati dintorni della città. Fondata nel
175 a.C. come luogo di sosta equidistante dalle due colonie di Modena e Parma, la città trasse
il nome di
Regium Lepidi dal console M. Emilio Lepido, cui si deve la realizzazione
della Via Emilia. Fiorente centro commerciale, con le invasioni barbariche ebbe una crisi
economica e demografica che la ridusse alla cittadella fortificata vescovile (IX sec.),
corrispondente al nucleo centrale della città storica. Passò dai Bizantini ai Longobardi (568)
e, alla fine dell'VIII secolo, ai Franchi che la trasformarono in contea. Verso la fine dell'XI
secolo nacquero diversi nuovi borghi e insediamenti lungo la sponda sinistra del torrente
Cròstolo, che anticamente scorreva accanto alla città.
Divenuta Comune agli inizi del XII
secolo, partecipò alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa (1167). Una ritrovata
prosperità economica produsse nuove opere urbane, prima fra tutte la costruzione, tra il 1199 e
il 1314, di una poderosa cerchia di mura, modello tra i più significativi non solo dell'area
emiliana: l'alveo del torrente fu spostato a Ovest, mentre l'impianto urbano venne ruotato di
45 gradi rispetto a quello romano, determinando la caratteristica forma esagonale che chiude
tuttora il perimetro del centro storico. In seguito alle lotte fra Guelfi e Ghibellini il
governo della città fu affidato a Obizzo d'Este la cui politica anticomunale venne continuata
dal successore Azzo VIII. Nel 1331 Reggio venne conquistata da Ludovico il Bavaro e poi fu
contesa da Gonzaga, Visconti ed Este, che la riconquistarono definitivamente nel 1409.
Il
dominio estense, protrattosi fino al 1796 (solo interrotto dal 1512 al 1523 dall'occupazione da
parte di papa Giulio II), portò un notevole benessere economico che arricchì la città di
ragguardevoli edifici, di impronta prevalentemente ferrarese. Si sviluppò in questo periodo
l'industria della seta, che raggiunse un primato e una notorietà europei. Nel 1570 fu
realizzato l'intervento della
Tagliata, cioè il completo abbattimento di tutto quanto si
trovava nel raggio di 600 metri dalle mura. Tale drastico provvedimento bloccò ogni espansione
urbana fino alla fine del XIX secolo. Per tutto il Seicento non vennero realizzate opere di
rilievo, con l'eccezione del santuario della Beata Vergine della Ghiara (1597-1619), e
l'economia restò legata alle strutture agricole e artigianali tradizionali.
Un lungo
periodo di pace e l'avvio delle riforme dell'assolutismo illuminato determinarono l'inizio
della ripresa, ma solo la caduta del governo estense e la proclamazione della Repubblica
cispadana furono d'impulso a nuove prospettive. Proprio a Reggio si tenne il congresso che
portò alla proclamazione della Repubblica Cispadana, con l'adozione del vessillo tricolore
bianco, rosso e verde. Dopo la Restaurazione la città ritornò alla dinastia d'Austria-Este e
partecipò attivamente ai moti risorgimentali del 1831, 1848 e del 1859. Nel 1860 venne annessa
al nuovo stato unitario.
Con l'Ottocento lo stile neoclassico è introdotto come linguaggio
ufficiale dell'architettura pubblica e privata: la famiglia degli architetti Marchelli è
l'indiscussa protagonista del rinnovamento estetico della città. Nella seconda metà
dell'Ottocento vengono realizzati il Teatro municipale e i giardini pubblici, mentre più tardi,
tra il 1880 e il 1900, sono abbattute completamente le mura. Solo nei primi decenni del
Novecento la città inizia ad espandersi, differenziando le destinazioni dell'abitato: nel
centro storico, le funzioni commerciali e direzionali; nella prima periferia Sud i nuovi
quartieri residenziali; a Nord la zona industriale, collegata alla ferrovia. Elemento primario
e propulsore dell'industria cittadina furono le Officine Meccaniche Reggiane, alla cui
produzione è legata la realizzazione e il potenziamento del vicino aeroporto. Dal secondo
dopoguerra la città ha purtroppo avuto un'espansione scoordinata e tumultuosa, nonostante l'adozioni di diversi piani regolatori.
ARTE. Poche tracce rimangono a testimoniare l'esistenza della romana
Regium Lepidi, il cui
tessuto viario a scacchiera appare appena riconoscibile in quanto alterato dal successivo
impianto urbanistico medievale. Bisogna giungere all'epoca romanica per poter ricostruire la
storia artistica della città attraverso i suoi monumenti: il Duomo fondato nel IX secolo è
stato più volte rifatto e rimaneggiato, ma conserva ancora il suo aspetto romanico nella parte
superiore della facciata, con gli archetti pensili e i due grandi oculi laterali. Sulla
facciata incombe un'insolita torre ottagonale (1267) recante la pregevole
Madonna con
Bambino e offerenti in rame sbalzato e dorato, di Bartolomeo Spani (XV sec.). Durante il
Cinquecento, Prospero Sogari detto il Clemente eseguì il rivestimento marmoreo, comprese le
sculture, della parte inferiore della fronte della cattedrale. L'interno, a croce latina,
conserva un bellissimo coro quattrocentesco e alcuni ammirevoli mausolei tra cui quello di
Valerio Malaguzzi, zio materno dell'Ariosto, opera dello Spani. Accanto al tempio è il
Battistero, dalla pianta a T, originale creazione tardo-quattrocentesca di Bartolomeo Spani per
il suo protettore vescovo Arlotti.
Sulla stessa piazza Prampolini - il luogo più
rappresentativo della città, che prende il nome dl Camillo Prampolini, illustre uomo politico
reggiano - affaccia anche il Palazzo comunale, risalente al XV secolo, ma rifatto nella seconda
metà del Cinquecento. L'elegante facciata è settecentesca, opera dell'architetto Lodovico
Bolognini che al primo piano dell'edificio realizzò la
Sala del Tricolore, dove nel
gennaio del 1797 il vessillo bianco, rosso e verde fu proclamato simbolo della Repubblica
Cispadana.
La basilica di S. Prospero, tra le più antiche chiese di Reggio, fu ricostruita
nel 1514-23; la facciata, eseguita nel 1753, crea un curioso contrasto cromatico con il
grandioso campanile ottagonale in pietra rimasto incompiuto al terzo ordine, opera dei fratelli
Pacchioni (1536-51), su disegno di Cristoforo Ricci riveduto da Giulio Romano. All'interno, nel
presbiterio e nel catino dell'abside, il grande ciclo di affreschi di Camillo Procaccini (fine
XVI secolo) con il potente verismo del
Giudizio universale; un magnifico coro ligneo a
due ordini di stalli intagliati (tarsie di Cristoforo e Giuseppe De Venetiis, 1545-46).
Nonostante le distruzioni sono ancora molti i palazzi signorili che documentano un passato
splendore in campo storico e artistico. Lungo la Via Emilia, principale via cittadina -
interessata all'azione riformatrice neoclassica dei Marchelli -, sorgono tra gli altri il
Palazzo Fontanelli-Sacrati, dalla raffinata facciata quattrocentesca, il Palazzo Ruini con
facciata seicentesca ma con parti interne dell'inizio del Cinquecento. Sulla stessa via
prospetta la chiesa dei Ss. Pietro e Prospero, con annesso monastero. Il grande e luminoso
interno mostra pregevoli dipinti di scuola reggiana e bolognese.
Il santuario della
Madonna della Ghiara è considerato un capolavoro dell'architettura del Seicento: ad un sobrio
paramento esterno in laterizio corrisponde un sontuoso interno a croce greca splendidamente
decorato in stucco dorato, a cornice di un ciclo di affreschi che ricopre le volte, eseguito
dai più valenti artisti emiliani del tempo (Alessandro Tiarini, Luca Ferrari, Camillo Gavasseti,
Lionello Spada ed altri).
Nel contesto urbano della Reggio ottocentesca si inserisce la
grandiosa struttura del Teatro Municipale (1857), tra i più belli e funzionali d'Europa, oggi
intitolato allo scomparso attore reggiano Romolo Valli. Eretto in stile neoclassico da Cesare
Costa, ha un'elegante facciata aperta da un lungo portico architravato. La splendida sala
interna, con rosse tappezzerie e affreschi allegorici nella volta, è a ferro di cavallo con
quattro ordini di palchi e la galleria.
Nei pressi, i Musei Civici, iniziati nel 1799 con
l'acquisto delle raccolte dello scienziato Lazzaro Spallanzani, arricchite nella seconda metà
dell'Ottocento per opera di Gaetano Chierici. A queste si aggiunsero, nel 1975, le nuove Raccolte di Preistoria, Protostoria e Archeologia
reggiana e, nel 1977, la Galleria Fontanesi. Nel Gabinetto di Numismatica è custodito il
tesoro tardo-antico di oreficeria e monete. Il Museo Spallanzani di Storia naturale
è ancora ordinato secondo lo stato della scienza alla fine del Settecento, con
l'importantissima raccolta zoologica, mineralogica e paleontologica del celebre scienziato.
Il Museo di Paletnologia Gaetano Chierici è tra i più antichi d'Italia e anch'esso
conservato nell'originarlo ordinamento, modello per i musei di preistoria e protostoria del
tardo Ottocento. Nella Galleria Antonio Fontanesi - intitolata al celebre pittore
ottocentesco (1818-1882) cui Reggio diede i natali - è ben presentata una vasta raccolta di
dipinti soprattutto di artisti locali, dal XV al XIX secolo. Le nuove Raccolte dì Preistoria,
Protostoria e di Archeologia romana comprendono i materiali rinvenuti durante gli scavi degli
ultimi decenni del Novecento, tra i quali la celebre
Venere neolitica, proveniente da
Chiozza di Scandiano, e i
cippi di Rubiera, segnacoli funerari etruschi (620-580 a.C.)
decorati con fregi e lunghe iscrizioni.
Ospitata nell'eccentrico edificio
medioevaleggiante opera di Ascanio Ferrari, la Galleria Parmeggiani raccoglie oggetti
(armi, oreficerie, tessuti, dipinti e arredi) che sono per la maggior parte dei falsi, raro
esempio di gusto collezionistico dell'epoca, nell'ambiguo accostamento tra oggetti originali e
prodotti ottocenteschi in stile medievale e rinascimentale. La collezione, costituita in
Francia tra Ottocento e Novecento dal pittore e mercante asturiano Ignacio León y Escosura,
dal pittore Cesare Detti e dallo stesso Parmeggiani, fu da questi trasferita in Italia sotto
il falso nome di Louis Marcy nel 1924.
LA PROVINCIA. La provincia di Reggio Emilia
(443.445 ab.; 2.293 kmq) occupa un territorio metà montuoso-collinare, metà pianeggiante la
cui risorsa principale è l'agricoltura (cereali, ortaggi, frutta, uva) che, unitamente
all'allevamento di bovini e suini, alimenta l'industria casearia, dei salumi ed enologica.
Importanti sono anche le industrie metalmeccaniche, chimiche, dei laterizi, delle ceramiche.
Centri principali sono Castelnovo ne' Monti, Correggio, Guastalla, Luzzara, Novellera,
Scandiano.
Reggio Emilia: scorcio del centro
Rimini
(130.160 ab.). Capoluogo di provincia dal 1991, Rimini è situata alla foce del fiume
Marecchia, fra le colline appenniniche e il mare Adriatico, all'estremità sud-orientale della
Pianura Padana. Posta all'incrocio fra la Via Emilia e la statale adriatica, dotata di
aereoporto (Miramare), Rimini è un polo turistico di primaria importanza: circa i due terzi
della popolazione lavorano nel settore terziario legato al turismo che costituisce la
principale fonte economica della zona. Rimini è anche il secondo polo fieristico della regione
e sede di industrie (meccaniche, materiali da costruzione, macchine per la lavorazione dl legno,
alimentari); vi è inoltre praticata la pesca. Tuttavia, l'immagine predominante che si ha della
città è quella del "divertimentificio", affollata da discoteche e altri locali di svago,
schiacciata dalla presenza stagionale di milioni di turisti. Questo aspetto, periodicamente
riproposto dai mass media, ha offuscato la Rimini città d'arte e quasi del tutto cancellato la
percezione della sua vicenda storica.
STORIA. Il territorio di Rimini fu anticamente popolato dagli Umbri e poi occupato dai Galli
senoni. Nel 268 a.C. la città fu rifondata dai Romani come
Ariminum, ancora
riconoscibile nella trama viaria a maglia ortogonale del centro storico. In epoca bizantina
Rimini divenne una delle città strategicamente più importanti, parte della Pentapoli
marittima.
Fra X e XI secolo il corso del fiume Marecchia si spostò più a Nord, venne
aperto un nuovo porto e in seguito si formarono nuovi borghi. Dal XII secolo Rimini diventò
libero comune; durante questo periodo venne eretta una cerchia di mura che ampliò di poco
l'area della città romana. Passata sotto il dominio pontificio per breve tempo, dalla fine del
XIII secolo fino al 1500 fu signoria dei Malatesta che ne promossero il prestigio politico e
culturale. Fu specialmente il mecenatismo di Sigismondo Malatesta (al potere dal 1429 al 1463)
a richiamare alla corte riminese letterati, poeti e soprattutto grandi artisti (Brunelleschi,
Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Agostino di Duccio); ma di questa stagione
effimera resterà traccia quasi solo nel Tempio Malatestiano.
Economicamente indebolita,
Rimini si arrese a Cesare Borgia. Per quanto tre anni dopo il dominio di quest'ultimo si
spezzasse, Pandolfo Malatesta non fu in grado di riprende il governo della città e, appena
ritornato al potere, la cedette ai veneziani che la persero a loro volta nel 1509 con la guerra
della lega di Cambrai. Da quell'anno, salvo due parentesi malatestiane nel 1522 e nel 1527,
Rimini rimase allo Stato pontificio fino al 1860 quando fu annessa al Regno d'Italia.
Con
l'allacciamento alla ferrovia si avviò una fase di ripresa, anche per merito del turismo
balneare. La pratica dei bagni marini, iniziata a Rimini intorno al 1830, si diffuse
ulteriormente e al primo stabilimento balneare realizzato nel 1843 si aggiunsero altre
strutture ricettive e abitazioni residenziali che ampliarono l'area urbana. Sul lungomare,
aperto a partire dal 1860, venne realizzata l'eclettica architettura del Grand Hotel (Paolito
Somazzi, 1908), reso noto dall'opera cinematografica del riminese Federico Fellini.
La
seconda guerra mondiale provocò alla città danni ingentissimi: nel periodo fra il 7 e il 21
aprile del 1944 andò distrutto oltre un terzo dell'abitato. La ricostruzione modificò
pesantemente il volto di Rimini ed anche in seguito la forte pressione turistica ha portato
alla totale saturazione della fascia litoranea, sostituendo la città dei villini e dei giardini
con un fitto agglomerato di alberghi, pensioni e condomini.
ARTE. Dell'antica
Ariminum romana notevoli vestigia. Eretto nel 27 a.C. in onore di
Augusto e in ricordo del riattamento della Via Flaminia, l'Arco di Augusto fungeva da porta
della città, chiuso fra due torri di età tardo-antica eliminate nel 1937. In pietra d'Istria,
presenta un grande fornice affiancato da semicolonne corinzie; nei quattro clipei sono
collocati i busti delle divinità tutelari, Giove e Apollo (nel fronte esterno), Nettuno e
Minerva (nel fronte interno); la merlatura è medievale.
Dall'Arco di Augusto, percorso il
rettifilo del corso di Augusto, si giunge al Ponte di Tiberio. Tra i più notevoli ponti romani
superstiti, venne costruito in pietra d'Istria fra il 14 e il 21 d.C. A cinque arcate, misura
62 m e poggia su una base fondata nel letto del fiume; le pile sono oblique rispetto all'asse
del ponte per favorire il flusso della corrente del fiume che, anticamente, scorreva verso Est.
Fra le arcate sono poste quattro sobrie edicole e nei cunei di chiave sono scolpiti alcuni
emblemi. Due iscrizioni celebrative sono incise nei fronti interni dei parapetti.
L'anfiteatro romano, del II secolo, è il solo parzialmente superstite nella regione; i due assi
dell'arena ellittica sono di notevoli dimensioni (m 73.16 e m 44.52), scoperto nel 1844 e
scavato fra il 1926 e il 1935, mostra ora due arcate del portico esterno e parte dell'arena e
della cavea.
Dell'età comunale restano alcune tracce nel Palazzo dell'Arengo e
nell'adiacente Palazzo del Podestà, entrambi soggetti a pesanti interventi di restauro
novecentesco. Il primo, eretto fra il 1204 e il 1207, fu più volte rimaneggiato e poi
radicalmente restaurato (1924); presenta il tipico schema dei palazzi pubblici dell'Italia
settentrionale, con torre campanarla e sala soprastante il portico. Il secondo, di fondazione
trecentesca, è in gran parte frutto di una reintegrazione in stile (1925).
La splendida
anche se breve committenza di Sigismondo Malatesta ha dato alla città il Tempio Malatestiano,
considerato la rappresentazione delle teorie architettoniche del rinascimento, al quale
lavorarono grandi artisti quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Agostino di
Duccio. Sigismondo Malatesta fece erigere anche il poderoso Castel Sismondo (1438-1446), alla
cui realizzazione collaborò forse Filippo Brunelleschi. Fortezza e allo stesso tempo dimora
signorile, nel corso del tempo subì guasti e modifiche che l'hanno resa irriconoscibile
rispetto all'immagine che ne ha lasciato Piero della Francesca nell'affresco del Tempio
Malatestiano.
Nella chiesa di S. Agostino sono custoditi altri importanti affreschi, unica
grande testimonianza della scuola riminese del Trecento, originale interpretazione del
giottismo in terra romagnola.
La chiesa di S. Giuliano, antichissima ma ricostruita nella
seconda metà del Cinquecento, reca sull'altare maggiore il
Martirio di S. Giuliano di
Paolo Veronese (1580 ca.), la cui presenza a Rimini testimonia consolidati legami con la
Serenissima.
La più importante raccolta pubblica di Rimini è il Museo della Città,
collocato nell'ex convento e collegio dei Gesuiti, imponente architettura di Alfonso
Torreggiani (1750). Nella sezione archeologica si ricordano soprattutto i mosaici in bianco e
nero (notevole la
scena di attracco nel porto). Rimarchevole il grande affresco
raffigurante il
Giudizio universale dell'anonimo Maestro detto dell'Arengo (XIV sec.),
proveniente dalla chiesa di S. Agostino. Nella sezione relativa all'umanesimo malatestiano si
segnalano, in particolare, il
Crocifisso di Giovanni da Rimini (prima metà del
Quattrocento), dipinti di Guido Cagnacci (
La vocazione di S. Matteo); opere di
commissione malatestiana, fra le quali
Cristo morto sorretto da quattro angeli di
Giovanni Bellini (1460 ca) e la
pala di S. Vincenzo Ferreri di Domenico Ghirlandaio;
altri dipinti di scuola emiliana, fra cui tele del Guercino.
LA PROVINCIA. La provincia di Rimini (269.195 ab.) si pone come estremo lembo Sud-Est della
regione, al confine con la regione Marche e lo Stato di San Marino. Il carattere territoriale
dominante della provincia riminese è costituito dai 49 km di litorale fortemente antropizzato e
votato al turismo. Lungo la costa si succedono alcune tra le località balneari più note
(Riccione, Bellaria, Cattolica, Igea Marina), mete del turismo di massa italiano ed europeo. A
questo ambiente totalmente urbanizzato si contrappone un entroterra poco conosciuto e
frequentato, dove il gran numero di borghi fortificati disseminati nella fertile campagna
testimonia delle antiche lotte tra Montefeltro e Malatesta. La morfologia del territorio e la
sua posizione di confine resero impossibile un'unificazione amministrativa e politica,
manifestando a lungo forme di autonomia locale con il sorprendente esempio della Repubblica di
San Marino.
Rimini: veduta aerea
Luoghi di interesse
Tempio Malatestiano
Il tempio, in pietra d'Istria e marmi, fu realizzato attorno alla preesistente chiesa gotica di
S. Francesco. Il progetto di Leon Battista Alberti, iniziato nel 1450, fu purtroppo interrotto
nel 1461 col declino delle fortune di Sigismondo, e la costruzione rimase incompiuta.
Gravemente danneggiata durante la seconda guerra mondiale, è stata successivamente restaurata.
Sulla facciata si aprono tre arcate a tutto sesto, separate da semicolonne reggenti una
trabeazione; in alto, l'arco che avrebbe dovuto alzarsi al centro è rimasto incompiuto. Un
basamento decorato dai simboli malatestiani scorre attorno a tutto l'edificio. I fianchi sono
ritmati da possenti arconi spartiti da pilastri; sotto le arcate del lato destro sono collocati
sette sarcofagi di umanisti vissuti alla corte malatestiana. L'interno, a una sola navata,
conserva l'impianto tardo-gotico che in parte contrasta con la decorazione plastica
rinascimentale. I capolavori custoditi nel tempio sono: l'affresco raffigurante
Sigismondo
Malatesta inginocchiato davanti a S. Sigismondo di Piero della Francesca (1451), un
Crociflsso di Giotto e i notevolissimi bassorilievi di Agostino di Duccio (1454-56)
raffiguranti le
arti liberali e le
scienze del trivio e del quadrivio, le
fantasiose
scene di giochi infantili e l'
arca degli Antenati e dei Discendenti
con i bassorilievi di
Minerva tra una schiera di eroi e
Trionfo di Scipione
l'Africano. A destra dell'ingresso si trova il
sepolcro di Sigismondo Malatesta,
attribuito a Francesco di Simone Ferrucci.
EMILIA-ROMAGNA: UNA CUCINA PER GHIOTTONI
La tradizione enogastronomia emiliano-romagnola è ricchissima e prestigiosa, alimentata dalla
copiosa produzione cerealicola, ortofrutticola ed enologica della regione. Le differenze
geografiche e storiche tra Emilia e Romagna coinvolgono anche le consuetudini alimentari: da un
lato, una cucina dai caratteri "continentali" che utilizza carni bovine e suine, burro, formaggi;
dall'altro, una cucina dai caratteri mediterranei che predilige le carni ovine e il pesce,
l'olio e gli ortaggi.
Nella cucina piacentina confluiscono suggestioni provenienti dal Piemonte, dalla bassa Lombardia
e dell'entroterra ligure. Tra le ricette tipiche, i
pisarei e fasö, gnocchetti di mollica
di pane, farina e latte, conditi con un umido di fagioli borlotti e salsa al pomodoro, e la
bomba di riso, sformato ripieno di carne di piccione, funghi e, talora, tartufi; tra i
secondi invece è da ricordare la
picula 'd caval, trito di carne equina cucinato in
umido con olio e pomodori. Il Piacentino produce salumi che hanno conquistato la Denominazione
di Origine Protetta (DOP): coppa, pancetta, salame, il
fiocchetto e il
gambon.
Per quanto riguarda i vini, la zona a Denominazione d'Origine Controllata (DOC) dei "Colli
piacentini" produce ben undici denominazioni; tra le più note un rosso, il Gutturnio, e alcuni
bianchi (Monterosso Val d'Arda, Malvasia, Ortrugo).
Marchi universalmente noti e indissolubilmente legati al territorio emiliano sono il Parmigiano-Reggiano e il prosciutto di Parma. L'area di produzione del Parmigiano-Reggiano è situata tra le
province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e, fuori dai confini regionali, Mantova. Già
noto e apprezzato nel Medioevo, è tuttora inimitabile nelle sue peculiarità poiché irripetibili
sono la sua storia e le sue regole di produzione. Il Parmigiano-Reggiano viene prodotto dal 1°
aprile all'11 novembre impiegando esclusivamente il latte di due mungiture, di cui una
parzialmente scremata, di bovini alimentati con foraggi selezionati; dopo di che le tipiche
forme vengono fatte stagionare dai 20 mesi fino ai tre anni.
L'area di produzione del prosciutto di Parma comprende la zona di Langhirano e le valli del
Baganza e del Taro, il cui clima secco e ventilato reca un contributo fondamentale al
raggiungimento delle caratteristiche organolettiche del salume; il Consorzio di tutela ne
salvaguarda la qualità e l'autenticità con l'apposito marchio riproducente la corona ducale a
cinque punte. Altri prodotti condividono l'eccellenza del prosciutto di Parma, primo fra tutti
il prezioso
culatello di Zibello, ricavato dalla parte più magra della coscia del maiale
e prodotto in sette comuni della Bassa parmense. La zona umida nelle vicinanze del Po è ideale
per il suo delicatissimo processo di stagionatura. Sempre nella provincia di Parma, precisamente
a San Secondo, è prodotta la
spalla cotta, prediletta da Giuseppe Verdi: ricavata
dall'omonimo taglio di carne del maiale, viene speziata e marinata nel vino, insaccata con
l'osso e quindi cotta a vapore. Infine, il
salame di Felino, prodotto con carni magre di
prima scelta e pancetta, e stagionato per tre mesi. La zona DOC "Colli di Parma" offre numerosi
bianchi tra cui una Malvasia che i gastronomi abbinano al culatello. Dalla montagna giungono
prodotti spontanei, primi fra tutti i funghi di Borgotaro e di Albareto. Tra i piatti tipici
spiccano gli
anolini in brodo, una delle innumerevoli varianti emiliane della specie "pasta
ripiena". Tra le altre specialità ricordiamo i
corsetti, dischetti di pasta all'uovo
conditi da sugo di carne, tipici dell'Appennino e che già risentono degli influssi liguri.
Il territorio montano della provincia di Reggio Emilia offe prodotti tipici come il pecorino
dell'Appennino Reggiano e salumi come lo
zuccotto di Bismantova e la
pancetta canusina.
In collina due produzioni DOC: il Lambrusco Reggiano e il Colli di Scandiano e Canossa. Tra i
piatti fanno la loro apparizione i cappelletti, che a Modena e a Bologna diventeranno tortellini;
lo gnocco fritto, alternativa emiliana al pane e ideale per accompagnare salumi e formaggi;
l'
erbazzone, torta salata di biete e spinaci, con parmigiano e uova. Ricca infine
l'offerta di dolci: il
piscione, con pasta di mardorle, meringa e canditi; la ciambella,
ideale da intingere nel vino; la
spongata di Brescello, ricco impasto di frutta secca e
spezie chiuso nella pasta frolla.
Anche Modena è famosa per alcune specialità legate all'allevamento dei suini: il prosciutto di
Modena, il cotechino e lo zampone nelle sue varianti locali. Notevoli anche i vini, con le DOC
Lambrusco, ma il marchio più prestigioso è l'
aceto balsamico tradizionale di Modena.
Viene ricavato da uve scelte Trebbiano, spillato, setacciato e fatto bollire a fuoco diretto
sino a ridurlo della metà, quindi invecchiato in botti di legni pregiati di dimensioni sempre
minori. Il processo richiede anni e un lavoro che giustifica il costo elevatissimo. La variante
di largo consumo e decisamente più economica è l'
aceto balsamico di Modena, dove la
mancanza dell'aggettivo "tradizionale" sta a significare una procedura semplificata e assai
meno laboriosa. Famose le ciliege di Vignola, di più varietà e destinate tanto al consumo
quanto alla conservazione e trasformazione. Tipica di Vignola è la
torta Barozzi,
raffinato dolce al cacao dedicato al famoso architetto cinquecentesco Antonio Barozzi, detto il
Vignola. Tra i piatti tipici del modenese, i tortellini, i maltagliati con fagioli, la zuppa di
spinaci; tra i secondi, i bolliti misti, serviti con salsa verde e talvolta con mostarda e
peperonata. Meno note le specialità montane come le
tigelle, focaccine non lievitate e
cotte sulla piastra, e i
borlenghi, sottili ostie farcite da un battuto di lardo, aglio
e rosmarino.
Bologna, la grassa, è considerata per tradizione la capitale gastronomica d'Italia. Dalla sua
biblioteca universitaria proviene il più antico testo di cucina in lingua italiana, ora alla
Library of Congress di Washington, intitolato
Libro de arte coquinaria, scritto verso la
metà del Quattrocento dal maestro cuoco Martino da Como. I piatti di autentica tradizione
bolognese - quindi non genericamente emiliani - appartengono soprattutto all'ambito delle paste
fresche: tagliatelle, lasagne e naturalmente i tortellini, di cui primato è conteso a Bologna
dai modenesi. Altre prelibatezze sono il
fritto misto, che si distingue per la presenza
della crema fritta; i
bocconotti, vol-au-vent ripieni di minuta di pollo, funghi e
tartufi; la cotoletta di vitella impanata, con prosciutto crudo e formaggio. Tra i prodotti
tipici, la mortadella, l'asparago verde screziato di viola coltivato ad Altedo, le patate di
Budrio e le cipolle di Medicina. Tra i vini, meritano menzione i rivalutati Colli Bolognesi,
tra i quali si segnala un bianco, l'indigeno Pignoletto. Tra i prodotti della collina e della
montagna, oltre a i funghi e ai tartufi, spiccano i marroni di Castel del Rio.
Il Ferrarese rappresenta una singolare area gastronomica, né emiliana né romagnola. Rivela
chiari influssi della cucina mantovana per l'uso della zucca, ma il piatto più tipico è la
salama da sugo, insaccato di coppa di collo, pancetta, lardo, fegato e lingua di maiale,
condito con vino rosso e spezie e stagionato dai 6 ai 12 mesi: è tradizionalmente abbinata a un
puré di patate. Nel capoluogo sopravvive il
pasticcio ferrarese, piatto risalente alla
corte estense, fatto con maccheroni, sugo di funghi e besciamella, racchiuso in un involucro di
pasta frolla; dalla comunità ebraica cittadina provengono specialità come il prosciutto d'oca e
i dolci del Purim. Tipica è anche la cosiddetta
coppia ferrarese, i cornetti di pane di
pasta a lievitazione naturale, croccanti e con poca mollica. Il territorio del delta rifornisce
la tavola con pesce di mare e di acqua dolce: vongole - Goro è tra le capitali
dell'acquicoltura - e soprattutto anguille, simbolo economico e culinario di Comacchio e delle
sue valli. Da un'antica proprietà fondiaria dell'abbazia di Pomposa prende il nome l'unica DOC
della provincia, il rosso Bosco Eliceo.
Attraverso la provincia di Ravenna si entra in terra di Romagna, regno incontrastato della
piadina. Il territorio è caratterizzato da produzioni ortofrutticole DOP, come la pera, la
pesca e la nettarina di Romagna; perdura l'attività ittica (in particolare pesce azzurro).
Dagli allevamenti bovini provengono le pregiate carni della razza Romagnola, mentre sui colli
di Brisighella si producono oli extra vergini d'oliva (Brisighello e Nobile Drupa) che hanno
ottenuto riconoscimenti di alta qualità. Tra i vini, l'Albana e i vini dei Colli di Faenza. I
boschi collinari danno funghi, frutti di bosco e tartufi (famoso il mercato di Brisighella).
Piatti tipici della provincia sono il riso con sugo di anatra selvatica; la
tardura, una
minestra di pane e formaggio grattuggiati, arricchita da tuorli d'uovo; la zuppa di rane.
Nella provincia di Forlì e Cesena l'offerta gastronomica varia dalle ricette di pesce e di pasta
della Riviera ai sapori robusti dell'Appennino, nei quali si coglie l'influenza della confinante
Toscana. Una menzione speciale merita Forlimpopoli, paese natale di Pellegrino Artusi, autore
de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene", pietra miliare della letteratura
gastronomica italiana. I salumi tipici della zona sono la coppa di testa, la
salsiccia
passita, il lombetto di maiale (a Castrocaro), il
ciavarro, ovvero una salsiccia
agliata di carni di bassa scelta, il coppone di Sarsina. Tra i prodotti caseari, il
ravaggiolo e il
formaggio di fossa di Sogliano sul Rubicone, ricavato da latte
ovino e/o vaccino e stagionato in apposite fosse. I boschi del crinale appenninico sono ricchi
di tartufi, funghi e castagne, mentre voci importanti della produzione di pianura sono la
coltivazione dello scalogno e l'allevamento del pollame; dal mercato ittico di Cesantico viene
abbondante pesce azzurro. Dai colli a vigne provengono i cosiddetti Vini del Passatore: Albana,
Pagadebit e Trebbiano, bianchi; Sangiovese e Cagnina, rossi.
Alla tradizione gastronomica della provincia di Rimini appartengono primi piatti come i
passatelli in brodo, i cappelletti, variante di magro dei tortellini, e i
garganelli,
maccheroncini casalinghi. Tra le ricette di tradizione marinara spicca il
brodetto, con
pomodoro, aceto e pepe. Notevoli anche le risorse ortofrutticole, olearie e vinicole; nella DOC
Colli di Rimini si trovano bianchi da Trebbiano e rossi da Sangiovese e Cabernet Sauvignon.
I CASTELLI DEL PARMENSE
Non così celebri come quelli della Valle
d'Aosta o della Loira ma altrettanto interessanti per l'atmosfera densa di
storia e poesia che ancora vi aleggia, i numerosi manieri della Val di Taro
meritano senz'altro una visita, alla scoperta di un suggestivo passato.
L'epoca d'oro di questi castelli oltre cento in tutta la provincia di
Parma va dal XIII al XV sec., quando i principi-signori del luogo decisero di
trasformare, in gara l'uno contro l'altro, quelli che prima erano solo fortilizi
con funzione strategico-difensiva in sontuose dimore gentilizie, simbolo della
loro ricchezza e prestigio.
Dalla pianura, la Bassa del Po, dove spesso
dilagavano le milizie imperiali provenienti da Settentrione, sino alle cime
più impervie dell'alpe, teatro di scorrerie brigantesche, è tutta
una fioritura di rocche medievali, caratterizzate dalla tipica struttura
architettonica emiliana con torri angolari coperte da tetto e massicce cortine
merlate.
Sono almeno una decina tra i molti i castelli da ricordare per la
loro importanza storico-artistica: la Rocca dei Sanvitale a Fontanellato (con
splendidi affreschi del Parmigianino), il castello di San Secondo Parmense, la
Rocca di Soragna, il castello di Sala Baganza, quello di Bardi, la fortezza di
Varano de' Melegari signoria dei Pallavicino e poi dei Visconti il castello di
Montechiarugolo, le rocche di Pellegrino Parmense, di Castelguelfo e di
Ravarano.
Ma il più imponente e meglio conservato è senza
dubbio il castello di Torrechiara, la cui mole fiabesca (non a caso fotogenica
protagonista di romanzesche avventure cinematografiche) si erge su di un colle
isolato. Voluto da Pier Maria Rossi, valoroso quanto sfortunato rivale di
Ludovico il Moro, Torrechiara risale agli anni 1448-60 ed è considerato
uno tra i più preziosi gioielli dell'architettura militare del primo
Rinascimento. La sua fama però è in gran parte legata alla
romantica e contrastata vicenda d'amore tra il condottiero e la nobildonna
Bianca Pellegrini d'Arluno, che preferì questa residenza all'altro
castello di Roccabianca, fatto costruire appositamente per lei da Pier Maria.
L'affetto che univa il potente signore alla sua dama rivive in ognuna delle
fastose sale del maniero, decorate da celebri artisti dell'epoca tra cui il
lombardo Benedetto Bembo, autore del ciclo di affreschi (1463 ca.) conservati
nella stanza nuziale dei due amanti, chiamata la Camera d'oro per gli stucchi e
i festoni dorati che la abbelliscono. Alla morte di Pier Maria Rossi la sua
dimora passò nelle mani dell'acerrimo avversario Ludovico il Moro e
quindi ai Farnese, subendo nel corso degli anni varie trasformazioni ed
ampliamenti. Alla fine del XVI secolo risale la decorazione della sala maggiore
del castello, la Camera dei Giocolieri, ad opera del grande frescante Cesare
Baglioni.
Oltre alle sale interne, il castello di Torrechiara conserva
intatti altri ambienti notevoli come il grande cortile centrale con doppio
porticato laterale, la cucina e le logge seicentesche affacciate sulla
valle.
PICCOLO LESSICO
Culatello di Zibello
è la parte più pregiata, il cuore del prosciutto, quella che sta tra il fiocco e il gambetto.
Un prodotto di salumeria che ha forma caratteristica a pera, imbrigliato in giri di spago tale
da formare una rete a maglie larghe.
La materia prima è la parte centrale della coscia del suino, disossata e sgrassata, posta sotto
sale a caldo, cioè su carne appena macellata, per circa dieci giorni, poi lavata con vino,
ricoperta con pepe macinato e sale, insaccata nella vescica o nel budello di maiale e legata.
La stagionatura avviene in locali freschi e ventilati e dura dai dieci ai dodici mesi, durante
i quali, per non far seccare la carne, il norcino provvede a inumidire l'insaccato con vino
bianco, brandy o distillato di mais.
Il salume si presenta magro e morbido, di gusto dolce e delicato; il colore al taglio è rosso
uniforme con presenza di grasso di colore bianco fra i fasci muscolari.
Il culatello di Zibello è prodotto nei seguenti comuni dell'Emilia: Polesine Parmense, Busseto,
Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo Parmense, Sissa e Colorno. Ogni anno è prodotto un
numero di pezzi limitato, che non arriva a diecimila. I suini destinati alla produzione del
culatello di Zibello devono essere allevati nel territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e la lavorazione della carne deve avvenire nel territorio tradizionalmente vocato che
ha particolari caratteristiche climatiche determinanti la stagionatura del culatello.
La produzione del culatello è testimoniata in vari testi, leggi e disposizioni delle autorità
parmensi e la sua produzione è comunque una pratica antichissima. In un atto del comune di
Parma del 1735, il "Calmiero della carne porcina salata", e in altri documenti del XVIII e XIX
secolo si trova testimonianza della preparazione caratteristica del culatello con la vescica e
lo spago.
Per il suo sapore equilibrato e delicato va mangiato da solo, tagliato a fette fini e
accompagnato con pane casereccio o di Ferrara. Prima di essere aperto e tagliato, il salume va
tenuto qualche giorno avvolto in un telo da cucina bagnato con vino.
Gnocco Fritto
Lo gnocco fritto, così chiamato a Modena e a Reggio Emilia, è una specialità emiliana che vanta
nomi diversi e alcune varianti. Amalgamando farina, acqua, lievito, strutto e sale si ottiene
un impasto che, lasciato lievitare, viene steso a sfoglia. Diviso in quadratini e fritto in
olio bollente, è abitualmente consumato con i salumi locali. è comunque considerato uno
spuntino, e non un piatto, apprezzato lontano dall'ora di pranzo.
Mortadella di Bologna
è un salume di origine molto antica: è il più famoso insaccato della tradizione gastronomica
felsinea e le sue origini sono testimoniate in documenti fin dall'età del Rinascimento. A
codificarne la ricetta fu Cristoforo di Messisbugo, scalco al servizio del cardinale Ippolito
d'Este nonché autore di uno dei primi e fondamentali trattati di gastronomia della storia. La
mortadella moderna è forse leggermente diversa da quella del Messisbugo, tuttavia obbedisce al
precetto da lui stabilito di utilizzare soltanto carne di maiale. è preparata infatti con le
parti meno pregiate dell'animale, macinate, condite con sale e pepe a chicchi e con pistacchi
ed è arricchita da striscioline di lardelli. Una volta insaccata viene cotta in forni ad aria
secca, quindi raffreddata velocemente. Se ne producono in Italia ogni anno circa diciotto
milioni di quintali ed è conosciuta ed esportata in tutto il mondo con il nome di "bologna".
Esistono anche versioni aromatizzate all'aglio o al tartufo. La mortadella viene preparata in
pezzature molto varie insaccate in budello naturale o artificiale, dal formato casalingo a
quello più grande, abitualmente esposto nei negozi di salumeria, ma anche in formati giganti.
Sull'origine del nome mortadella vi sono pareri controversi: c'è chi ritiene che sia il
diminutivo di "mortada", una parola oggi scomparsa che deriva dal latino e significa carne
aromatizzata con bacche di mirto. A questa tesi si oppongono coloro che sostengono la
provenienza da mortaio, visto che questo era utilizzato un tempo per ridurre in poltiglia
l'impasto da insaccare. è anche poco chiaro perché fin dal Medioevo si sia affermata come
specialità di Bologna, visto che il procedimento di produzione può essere applicato ovunque.
è probabile che siano stati i salaroli bolognesi a difenderne il segreto per secoli.
La mortadella è di forma cilindrica, di consistenza compatta e non elastica. La superficie al
taglio deve essere di colore rosa uniforme con la presenza di quadrettature bianco-perlacee di
grasso che non deve essere inferiore al quindici per cento e superiore al ventotto. Il profumo
è tipicamente aromatico, il sapore delicato senza traccia di affumicatura.
La zona di produzione comprende il territorio di Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto,
provincia di Trento, Toscana, Marche e Lazio.
è ideale accompagnata con fette di pane per ghiotte merende, o a cubetti alternati da dadini di
formaggio per stuzzichini, ma è anche ingrediente fondamentale nel ripieno dei tortellini alla
bolognese.
Parmigiano-Reggiano
Tecnicamente si tratta di un formaggio a pasta cotta, duro, di latte vaccino parzialmente
scremato per affioramento.
L'area di produzione comprende le provincie di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova
limitatamente al territorio sulla destra del Po e Bologna soltanto sulla sinistra del fiume
Reno.
Le 2.700.000 forme prodotte ogni anno, vendute in Italia ed esportate in quarantotto Paesi di
tutto il mondo, escono da un numero incredibilmente alto di piccoli caseifici, almeno
seicentocinquanta secondo stime recenti del Consorzio di tutela. Ognuno raccoglie il latte di
poche stalle e produce non più di cinque o sei forme al giorno. Il Parmigiano-Reggiano continua
a essere fatto alla maniera antica, codificata da esperienze di cui si trovano tracce in
documenti che risalgono al XIII sec.
Nel caseificio arriva il latte della mungitura serale, che viene disposto in larghe vasche
d'acciaio dove rimane per tutta la notte. La mattina si toglie la crema affiorata, che serve
per fare il burro, e si aggiunge il latte della mungitura mattutina. Subito dopo inizia il
lavoro del casaro: la coagulazione avviene con il caglio di vitello, la cagliata viene rotta e
raccolta in fascere dove assume la forma caratteristica.
Dopo qualche giorno si procede alla salatura, che viene praticata per venti-trenta giorni
circa. Inizia quindi la fase di maturazione, di almeno dodici mesi, ma anche fino a
ventiquattro o più. Prima di arrivare al mercato le forme vengono controllate una per una,
saggiate con uno speciale martelletto-diapason che rivela con le sue vibrazioni sonore se la
pasta all'interno è perfettamente salda. A questo punto viene applicato il marchio centrale
sulle due facce della forma, ripetuto su tutta la circonferenza dello scalzo.
Una forma di parmigiano pesa circa trentadue chilogrammi: se si tiene conto che per fare un
chilo di formaggio occorrono sedici litri di latte ne consegue che per ogni forma se ne
impiegano oltre cinque ettolitri.
Questo fornisce l'idea di quale concentrazione di elementi nutritivi si trovino nel parmigiano,
soprattutto calcio e fosforo, uniti a una grande digeribilità rendendolo alimento
particolarmente indicato per bambini e anziani.
Il parmigiano è formaggio da tavola quanto da grattugia, ingrediente fondamentale di centinaia
di ricette. è buona regola preferire per il consumo da tavola il formaggio stagionato per il
periodo minimo concesso, cioè dodici mesi, mentre per la grattugia è opportuno sceglierne uno
di ventiquattro mesi o più, detto stravecchio. Un pezzo di parmigiano confezionato sotto vuoto
si conserva a lungo. Nel frigorifero può essere mantenuto avvolto in una pellicola.
Piadina
La piadina è la più classica delle specialità romagnole.
è un pane àzimo (privo cioè di lievito) di vecchissima tradizione, cotto un tempo sul "testo",
l'apposita pietra posta su braci ardenti.
Il "testo" viene oggi generalmente sostituito con una normale padella di ferro.
L'impasto è composto da farina, strutto, sale, un pizzico di bicarbonato di sodio e tanta acqua
tiepida quanta ne occorre per ottenere un impasto piuttosto duro.
Si stende in cerchi dello spessore di circa 1/2 cm e del diametro di 15 cm.
Si mangia spaccata a metà, farcita di formaggio tenero, o di fette rosolate di pancetta, o di
cavoli alla romagnola. Delle buone piadine fatte in casa sono sempre accompagnate da vino rosso
abbondante.
Repubblica Cisalpina
Repubblica creata da Napoleone dopo la Campagna
d'Italia nel 1797. Vinti Piemontesi e Austriaci, Napoleone occupò la
Lombardia, si impossessò di Bologna e Ferrara, e diede solida
organizzazione alle sue conquiste, formando la Repubblica Cisalpina, che
comprendeva la Lombardia fino all'Oglio, la Valtellina, Modena, Reggio, Massa e
Carrara, Bologna, Ferrara, la Romagna, la contea di Bormio e i feudi svizzeri di
Chiavenna e Maccagno, con capitale Milano. Fondata il 29 giugno 1797, fu
riconosciuta dall'Austria col Trattato di Campoformio (ottobre 1797). Per quanto
dichiarata libera e indipendente, fu sempre in realtà dominata dalla
Francia. Era governata sulla base di una costituzione modellata su quella
francese del 1795, con alla testa un Gran Consiglio diviso in due collegi
(seniori e iuniori) cui era affidato il potere legislativo, e un Direttorio di
cinque membri, con funzioni esecutive. Tornati gli Austriaci in Italia, dopo la
campagna del 1799, la Repubblica Cisalpina crollò, per rinascere quando
Bonaparte, con la vittoria di Marengo (1800), ritornò padrone d'Italia.
Il 25 gennaio 1802, la Repubblica abbandonò il nome di Cisalpina per
prendere quello di italiana, avendo Napoleone a presidente e F. Melzi d'Eril a
vice presidente. In seguito fu detta Regno d'Italia, quando (1804) la Repubblica
francese si trasformò in Impero, con Napoleone re ed Eugenio Beauharnais
viceré. Cessò di esistere definitivamente nel
1814.
Salame di Felino
è un salume molto pregiato, preparato con carne suina di prima scelta che viene tritata
finemente con la pancetta (quindici per cento), mischiata al sale e speziata pochissimo con
pepe nero frantumato e pepe bianco in grani. L'impasto, impilato a forma conica su assi
inclinate, viene posto in frigorifero per un giorno o due a perdere l'umidità.
Viene quindi insaccato in budello gentile, ovino o suino. Per arrivare al giusto grado di
maturazione viene appeso a stagionare per almeno tre mesi in locali areati e umidificati.
Durante questo periodo il salume si ricopre della caratteristica e leggera muffa biancastra
rivelatrice della corretta stagionatura.
Il salame di Felino originale viene prodotto soltanto nel territorio del comune di Felino e
nelle zone collinari circostanti, in provincia di Parma. I salumifici in tutta l'Emilia ne
producono uno analogo chiamato "salame tipo Felino".
Il salame di Felino viene presentato tra gli affettati misti dell'antipasto nei pranzi tipici
emiliani, ma anche da solo, accompagnato da riccioli di burro; è inoltre inevitabile
protagonista del pic-nic.
Sangiovese
Il Sangiovese si produce in tutta la Romagna con predominanza delle zone collinari della
provincia di Ravenna, e Forlì-Cesena.
Vino di Denominazione di Origine Controllata si presenta con un bel colore rosso brillante
scuro, un profumo vinoso e fruttato ed un sapore asciutto, aromatico, con retrogusto
leggermente amarognolo.
Indicato con i primi, le paste al sugo e le carni rosse, ha una gradazione minima di circa
11,5°.
Squacquarone
è un formaggio di latte vaccino, a pasta molle, di consistenza cremosa e burrosa, prodotto in
Romagna. Il sapore è fresco e delicato, simile a quello dello stracchino lombardo.
Lo squacquarone è consumato soprattutto con la piadina calda, sulla quale viene spalmato.
Tigella
Fra le rustiche specialità gastronomiche dell'Appennino modenese c'é la "crescentina", oggi
comunemente chiamata "tigella". Rappresenta l'esempio di una
consuetudine famigliare rimasta intatta nel tempo, la cui storia si perde nei secoli.
Le tigelle sono piccoli dischi composti di argilla purissima prelevata nei castagneti a
notevole profondità. L'argilla viene miscelata con una speciale terra refrattaria, amalgamata
con acqua, e utilizzata per modellare dei dischi che vengono temprati, cioè cotti, nella cenere
ardente.
Le crescentine invece vengono impastate con farina di grano, acqua e latte in cui viene sciolto
del lievito; si lasciano lievitare dopodiché si lavora l'impasto in modo da formare piccole
schiacciate rotondeggianti di 10-15 centimetri di diametro. A questo punto, utilizzando le
tigelle precentemente scaldate nel fuoco del camino, ci si appresta al rito della cottura con
tutta la famiglia riunita.
Il metodo di cottura é molto particolare ed avviene a strati, infatti sopra alla prima tigella
calda si pone una crescentina, poi una o due foglie di castagno essicate e tenute in dispensa
per l'occasione, quindi un'altra tigella seguita da una crescentina e dalle foglie, un'altra
tigella e cosi via, fino a formare una torre sistemata vicino al focolare. Al termine della
cottura la torre viene smontata e le crescentine, che ormai hanno preso il nome di tigelle,
sono pronte per essere gustate immediatamente oppure conservate a lungo in dispensa.
Squisite farcite con lardo macinato o tagliato a fette sottilissime, insaporite da un odore di
aglio, rosmarino e parmigiano grattugiato.
Tortellini
La storia del tortellino, infatti, fu inventata dal poeta ottocentesco Giuseppe Ceri, che
scrisse un poemetto ispirandosi a
La Secchia Rapita del Tassoni: Venere, Marte e
Boccaccio, scesi a dare manforte ai modenesi, si fermarono a dormire in una locanda di
Castelfranco Emilia, giusto a metà strada tra Bologna e Modena. Lì Venere si fece sorprendere
senza veli dall'oste che, per non scordarsi la sua bellezza, si affrettò a riprodurre nella
pasta l'ombelico della dea.
La specialità emiliana per eccellenza non è solo bella, ma anche buona: è così che ha
conquistato la tavola di tutti gli italiani. I modi per cucinare i tortellini sono infiniti, ma
la presentazione classica per eccellenza è in brodo di cappone.
Villanoviano
Si dice degli aspetti della città del
ferro, propri del Bolognese e dell'Italia centrale tirrenica, diffusa a Sud fino
ai Colli Albani e ad Anzio. Il nome deriva da Villanova, presso Bologna, dove
nel 1870, si esplorò un esteso sepolcrato di cremati, con poche tombe di
inumati. Caratteristico del villanoviano è il cinerario o ossario di
forma biconica, con la bocca coperta mediante una ciottola capovolta. Molto
discusso è ancora a quale popolazione si debba attribuire questa
civiltà. In seguito ai numerosi sepolcreti scoperti dal 1870 in poi,
viene divisa in quattro fasi: quella di S. Vitale, la Benacci I (VIII sec.
a.C.), la Benacci II (VII sec. a.C.) e quella di Arnoaldi (VI sec.
a.C.).
PERSONAGGI CELEBRI
Ludovico Ariosto
Poeta (Reggio Emilia
1474 - Ferrara 1533). Primo di dieci figli, Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia l'8 settembre
1474 da Daria Malaguzzi Valeri e dal conte Niccolò Ariosto, capitano della rocca di quella città.
La famiglia si trasferisce prima, nel 1481, a Rovigo, dove Niccolò è stato inviato dal duca Primo
d'Este con l'incarico di comandante della guarnigione; poi, a seguito della guerra scoppiata
tra Ferrara e Venezia, a Reggio, infine nel 1484, a Ferrara. E ferrarese, poi l'Ariosto amò
sempre dirsi, tanto che, oramai vecchio, dichiarava che avrebbe ucciso chi gli avesse impedito
di passeggiare ogni giorno sulla piazza di Ferrara, tra la facciata del duomo e le due statue
dei marchesi Niccolò e Borso. In mezzo a quell'Italia sconvolta dalle guerre tra Spagna e
Francia, Ferrara rappresentava per lui la stabilità.
Tra il 1489 e il 1494, contro voglia, per volere del padre, e con esiti piuttosto modesti,
studia diritto presso l'Università di Ferrara. Ma intanto partecipa alla vivace vita della
corte di Ercole I, dove entra in contatto con vari e prestigiosi letterati e umanisti (Ercole
Strozzi, Pietro Bembo e molti altri). Lasciato finalmente libero dal padre di dedicarsi ai
prediletti studi letterari, abbandona la giurisprudenza e intraprende lo studio della
letteratura latina, impegnandosi anche in una produzione poetica sia latina (liriche amorose,
elegie,
De diversis amoribus,
De laudibus Sophiae ad Herculem Ferrariae ducem primum,
Epithalamium, epitaffi ed epigrammi) sia volgare, le
Rime (pubblicate postume 1546).
Nel 1500 si chiude bruscamente il periodo degli studi tranquilli e dell'ozio letterario e si
colloca la prima e traumatica svolta nella vita dell'Ariosto. Muore il padre, lasciando a lui
che è il primogenito, oltre a una non floridissima situazione economica, la tutela delle cinque
sorelle e dei quattro fratelli (tre dei quali minorenni e il maggiore Gabriele paralitico, che
rimane con lui tutta la vita). Per provvedere alle necessità familiari è costretto, pertanto,
ad assumere i più diversi incarichi pubblici e privati, che a malincuore vengono continuamente
a distrarlo dall'attività letteraria, l'unica a lui congeniale. E proprio a causa delle
condizioni economiche e materiali imposte dalla vita cortigiana, l'Ariosto, a differenza del
Boiardo, avverte una forte contraddizione tra la sua passione letteraria e il legame con la
corte estense.
Nel 1502 ottiene il capitanato della Rocca di Canossa. Intorno al 1503 ha un figlio,
Giambattista, dalla domestica Maria (più tardi avrà un altro figlio, Virginio, da Olimpia
Sassomarino). Sempre nello stesso anno entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, figlio
di Ercole I e fratello del duca Alfonso. Sotto il "giogo del Cardinal da Este", uomo gretto,
avaro e insensibile alla cultura e alla poesia, svolge svariati, faticosi, mal retribuiti e
ingrati compiti: dalle incombenze pratiche, quali aiutare il signore a spogliarsi, alle
faccende amministrative, dalle funzioni di intrattenimento e di rappresentanza alle delicate e
rischiose missioni politiche e diplomatiche. Tra il 1507 e il 1515, periodo assai ricco di
incidenti diplomatici, è spesso costretto a fare viaggi a cavallo per recarsi ad Urbino, a
Venezia, a Firenze, a Bologna, a Modena, a Mantova e a Roma.
E così, mentre attende alla stesura dell'
Orlando furioso, e si impegna nell'ambito del teatro
di corte, scrivendo e mettendo in scena i primi importanti esperimenti del nuovo teatro volgare,
le commedie
Cassaria e
I Suppositi, l'Ariosto è protagonista di una delle fasi più aspre delle
guerre d'Italia.
Nel 1509 segue il cardinale nella guerra contro Venezia. Nel 1510 si reca a Roma per ottenere
la revoca della scomunica inflitta da papa Giulio II al cardinale, ma viene minacciato di
essere gettato ai pesci. Nel 1512, insieme al duca Alfonso, vive una romanzesca fuga attraverso
gli Appennini, per sottrarsi alle ire del pontefice, deciso a non riconciliarsi con gli Estensi,
alleatisi con i francesi nella guerra della Lega Santa.
Nel 1513, alla morte di Giulio II, si reca nuovamente a Roma per felicitarsi con il nuovo papa
Leone X, sperando, tuttavia invano, di ottenere un beneficio generoso che gli permetta una
sistemazione più tranquilla. In quello stesso anno torna a Firenze, dove dichiara il suo amore
alla donna della sua vita, Alessandra Benucci, una fiorentina sposata con il ferrarese Tito
Strozzi. Morto il marito, nel 1515, la Benucci verrà ad abitare a Ferrara, ma non vivrà mai con
lui, neppure dopo il matrimonio, celebrato in gran segreto nel 1527 affinché lei non perda i
diritti all'eredità del marito e lui i suoi benefici ecclesiastici.
Nel 1516 esce la prima edizione dell'
Orlando furioso, dedicata al cardinale Ippolito d'Este,
che tuttavia non dimostra alcuna gratitudine. E quando, nel 1517, questi, eletto vescovo di
Buda, pretende che il poeta lo segua in Ungheria, egli si rifiuta, rompendo ogni legame.
Siamo a un'altra svolta nella vita dell'Ariosto. Inizia un tormentato periodo di crisi non solo
per il poeta, in gravi difficoltà economiche, familiari e giudiziarie (per certe proprietà
terriere della sua famiglia), ma anche per il ducato Estense in lotta con il papato e per
l'Italia intera. Nel 1518, dunque, passa al servizio o "servitù" del duca Alfonso, pur
senza migliorare la situazione economica. Intanto, tra il 1517 e il 1525, attende alla
composizione delle sette
Satire (pubblicate solo nel 1534): realistica e amara meditazione
sugli ambienti cortigiani e sulla sorte degli uomini di lettere. Questi sono probabilmente
anche gli anni a cui risale la stesura dei
Cinque Canti, composti in vista di un inserimento
nel
Furioso, ma poi lasciati da parte a causa dei toni cupi e perciò dissonanti rispetto al
resto del poema. Tra il 1519 e il 1520 prosegue la composizione delle rime in volgare e compone,
inoltre, due commedie
Il Negromante e
I studenti (incompiuta).
Dopo aver ristampato nel 1521 il
Furioso, essendogli stato sospeso lo stipendio di cortigiano,
nel 1522 l'Ariosto è costretto, seppur malvolentieri, ad accettare l'incarico affidatogli dal
duca Alfonso: il commissariato della regione montuosa e selvatica della Garfagnana. Le
Lettere,
scritte per dovere d'ufficio al duca, rivelano la grande fermezza, serietà e sagacia
amministrativa e politica con cui l'Ariosto cercò di ricondurre la legge e l'ordine in quel
territorio di confine, infestato dai banditi e dalle violenza delle fazioni rivali.
Lasciata la Garfagnana, nel 1525 si apre un periodo più sereno e per il poeta e per il suo
ducato. Tornato a Ferrara, il duca gli affida varie cariche amministrative ma anche incarichi a
lui più congeniali. Viene chiamato, infatti, a far parte del Maestrato dei savi e viene
nominato sovrintendente agli spettacoli di corte. Riscrive in versi la
Cassaria e
I Suppositi,
rielabora
Il Negromante e nel 1528 scrive una nuova commedia, la
Lena. Nel 1532, tra l'altro,
dirige le recite di una compagnia padovana inviata a Ferrara dal Ruzzante. Pochi sono i viaggi
di questi anni. Nel 1528 è a Modena con il duca per scortare l'imperatore Carlo V di passaggio
nello Stato estense. Nel 1531, dopo essere stato a Firenze, ad Abano e a Venezia, il marchese
del Vasto, Alfonso d'Avalos, condottiero dell'esercito imperiale, gli assegna, a Correggio, una
pensione di cento ducati d'oro.
L'Ariosto trascorre gli ultimi anni della sua vita nell'amata casetta in contrada Mirasole, tra
l'affetto di Alessandra e del figlio Virginio e la revisione del Furioso, la cui edizione
definitiva esce nel 1532.
Ammalatosi di enterite, muore il 6 luglio 1533. Dal 1801 il suo corpo è tumulato nella sala
maggiore della Biblioteca Ariostea di Ferrara.
Giorgio Bassani
Scrittore (Bologna 1916 - Roma 2000). Nacque a Bologna il 4 marzo del 1916 da una famiglia
della borghesia ebraica, ma trascorse l'infanzia e la giovinezza a Ferrara, destinata a
divenire il cuore pulsante del suo mondo poetico, dove si laureò in Lettere nel 1939.
Durante gli anni della guerra partecipò attivamente alla Resistenza e conobbe anche
l'esperienza del carcere; nel 1943 si trasferì a Roma, dove visse per tutta la vita, pur
mantenendo sempre fortissimo il legame con la città d'origine. Fu solo dopo il '45 che si
dedicò all'attività letteraria in maniera continuativa, lavorando sia come scrittore (poesia,
narrativa e saggistica) sia come operatore editoriale: è significativo ricordare che fu proprio
lui ad appoggiare presso l'editore Feltrinelli la pubblicazione de
Il gattopardo,
romanzo segnato dalla stessa visione liricamente disillusa della storia che si incontra anche
nelle opere dell'autore de
Il giardino dei Finzi Contini.
Bassani ha lavorato anche nel mondo della televisione, arrivando a ricoprire il ruolo di
vicepresidente della Rai; ha insegnato nelle scuole ed è stato anche docente di Storia del
teatro presso l'Accademia d'Arte Drammatica di Roma. Ha partecipato attivamente alla vita
culturale romana collaborando a varie riviste, tra cui "Botteghe Oscure", rivista di
letteratura internazionale uscita tra il '48 e il '60. Va inoltre ricordato il suo lungo e
costante impegno come presidente dell'associazione Italia Nostra, creata in difesa del
patrimonio artistico e naturale del Paese.
Dopo alcune raccolte di versi (tutte le sue poesie verranno poi raccolte in un unico volume nel
1982, con il titolo
In rima e senza) e la pubblicazione in un unico volume delle
Cinque storie ferraresi nel 1956 (alcune però erano già comparse singolarmente in varie
edizioni), Bassani raggiunse il grande successo di pubblico con
Il giardino dei Finzi
Contini (1962): nel 1970 il romanzo riceverà anche un'illustre trasposizione
cinematografica per opera di De Sica, dalla quale però Bassani vorrà sempre prendere le
distanze. Le opere successive dello scrittore, sviluppate tutte intorno al grande tema
geografico-sentimentale di Ferrara, sono
Dietro la porta (1964);
L'Airone (1968);
L'odore del fieno (1973), riunite nel 1974 in un unico volume insieme con il romanzo
breve
Gli occhiali d'oro (1958), dal significativo titolo
Il romanzo di Ferrara.
Dopo un lungo periodo di malattia, segnato anche da dolorosi contrasti all'interno della sua
famiglia, Bassani si spense a Roma il 13 aprile del 2000.
Allo scrittore la sua città ha dedicato il grande parco detto dell'Addizione Verde, oggi Parco
Giorgio Bassani, "che insieme con il museo Shoah, costituisce un monumentale esempio europeo di
come si possa collegare il passato con il futuro, una ferita della storia con la bellezza
leggera di un giardino pubblico" (Carl Wilhelm Macke,
Giorgio Bassani, la Germania e
l'Europa).
Matteo Maria Boiardo
Poeta (Scandiano 1441 - Reggio Emilia 1494).
Trascorse la fanciullezza a Ferrara e, dopo aver perso sia il padre sia il nonno con cui aveva
vissuto, assunse il titolo feudale legato alla contea familiare di Scandiano, di cui iniziò a
disporre assieme al cugino Giovanni. Entrò così in rapporti con il principe Ercole, governatore
di Modena, e iniziò a frequentare la corte estense che aveva il suo centro a Ferrara. Per conto
del principe si occupò di testi classici (Senofonte e Cornelio Nepote), ed elaborò poesie
latine a imitazione di Virgilio, ma ben presto si dedicò alla poesia volgare con il canzoniere
Amorum libri tres, composto e rielaborato dal 1469 al 1476, scritto in onore della nobildonna
Antonia Caprara. Intanto svolse attività diplomatica a Roma e a Napoli, ed ebbe incarichi
amministrativi (come capitano di Modena) tra il 1480 e il 1483.
Boiardo maturò in questo periodo l'intenzione di scrivere un poema di genere cavalleresco che
risultasse anche un omaggio encomiastico alla stirpe estense. L'idea, favorita dall'interesse
che il nobile pubblico di Ferrara tributava alla tradizione cavalleresca, in particolare
arturiana, si concretizzò nel 1483 con l'
Orlando innamorato.
Si tratta di un poema cavalleresco che mescola elementi del ciclo carolingio e bretone, al
quale l'autore aggiunse in seguito solo una parte di un terzo libro rimasto incompiuto. Ma la
storia delle edizioni dell'opera è quanto mai complessa, poiché mancano sia manoscritti
completi sia copia dell'edizione definitiva dell'opera, promossa dalla famiglia un anno dopo la
morte dell'autore.
Per il suo contenuto avvincente e insieme concentrato in alcuni motivi (la perenne fuga di
Angelica) e temi ricorrenti (l'amore, l'attrazione per il fiabesco, la nostalgia per l'universo
della cavalleria), l'
Innamorato ebbe grande successo, testimoniato dalle numerose continuazioni
dell'opera (oltre a quella celebre di Ludovico Ariosto, l'
Orlando furioso, pubblicato in forma
definitiva nel 1532, ne scrissero Nicolò degli Agostini e Raffaele da Verona) e dai suoi
rifacimenti (di Francesco Berni e di Lodovico Domenichi).
Antonio Allegri detto Il Correggio
Pittore (Correggio 1489 circa - 1534). Compì il suo apprendistato artistico a Mantova presso
uno zio pittore, studiando nel contempo le opere di Andrea Mantegna, Leonardo da Vinci e
Giorgione in diverse città del Nord Italia. Decisivo fu poi il viaggio a Roma, grazie al quale
ebbe modo di avvicinarsi all'opera di Raffaello. Fu al ritorno dalla capitale che dipinse gli
affreschi della
Camera della Badessa a Parma (1519) nei quali il suo stile entrò in una fase
matura, combinando la morbidezza delle linee e i sapienti accostamenti coloristici con il
rigore e la complessità della composizione. Dal 1520 al 1524 Correggio lavorò agli affreschi
della cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, dove gli effetti di luce e la
mossa disposizione delle figure suggeriscono uno sfondamento prospettico. La resa della
profondità spaziale e del movimento raggiungono l'apice nell'
Assunzione della Vergine (1526-1530)
della cupola del Duomo di Parma.
Risalgono agli ultimi anni dell'artista, stabilitosi di nuovo a Correggio, la
Madonna di san
Gerolamo, detta anche
Il giorno (1527 ca., Galleria Nazionale, Parma), uno studio della luce
del pomeriggio; e l'
Adorazione dei pastori (1530 ca., Gemäldegalerie, Dresda), una scena
notturna che è un raffinato esercizio di chiaroscuro. Tra i lavori più tardi, ricordiamo la
serie di quadri commissionati dal duca di Mantova come dono per Carlo V:
Giove e Io (1532 ca.,
Kunsthistorisches Museum, Vienna) e
Giove e Antiope (1532 ca., Louvre, Parigi), scene
mitologiche di raffinato erotismo. La sua opera ispirò i Carracci e il Parmigianino, ed è
all'origine dello sviluppo del Manierismo.
Guglielmo Marconi
Scienziato (Bologna 1875-1937). Studiò a Bologna e a Firenze e fin da giovanissimo, intuendo la
possibilità di utilizzare le onde elettromagnetiche per inviare segnali a distanza, si
interessò di telegrafia senza fili. Verso il 1895, dopo numerosi esperimenti realizzati nella
villa paterna di Pontecchio, mise a punto un'apparecchiatura con cui riuscì a inviare segnali
intelligibili a una distanza di circa 2.400 km, usando un'antenna direzionale. Dopo aver
brevettato il sistema telegrafico in Gran Bretagna (1896), fondò a Londra la Marconi's Wireless
Telegraph and Signal Company, nella quale lavorarono diversi scienziati a un ulteriore
perfezionamento dei progetti. Nel 1899 inviò segnali radio in Francia attraverso la Manica e
nel 1901 realizzò la prima comunicazione attraverso l'Oceano Atlantico tra Poldhu, in
Cornovaglia, e St John's, nell'isola di Terranova (Canada).
Il suo sistema fu presto adottato dalle navi britanniche e italiane e, verso il 1907, fu
organizzato un regolare servizio pubblico transatlantico di telegrafia senza fili. Nel 1909
Marconi ricevette il premio Nobel per la Fisica insieme col fisico tedesco Karl Ferdinand
Braun. Durante la prima guerra mondiale fu incaricato di organizzare il servizio italiano di
telegrafo senza fili, e in quell'occasione mise a punto la trasmissione a onde corte come mezzo
di comunicazione segreta. Proseguì poi gli esperimenti con le onde corte e cortissime e con le
microonde, anche in relazione a un loro possibile impiego in medicina. Marconi fu nominato
senatore nel 1914 e ricevette il titolo di marchese nel 1929; ottenne inoltre la presidenza
del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell'Accademia d'Italia.
Ciro Menotti
Patriota (Migliorina, Carpi 1798 - Modena 1831).
Entrò nella Carboneria nel 1830 e cercò di ottenere dal duca di
Modena Francesco IV l'appoggio ai moti rivoluzionari del tempo. Ma alla vigilia
dell'insurrezione il duca cambiò idea e fece imprigionare Ciro Menotti,
che fu impiccato il 26 maggio 1831 su uno dei bastioni della cittadella di
Modena.
Giovanni Pascoli
Poeta (San Mauro di Romagna, oggi San Mauro
Pascoli, Forlì 1855 - Bologna 1912). All'età di dodici anni perde il padre, ucciso da
una fucilata sparata da ignoti; la famiglia è così costretta a lasciare la tenuta che il padre
amministrava e perde la tranquillità economica di cui godeva. Nei successivi sette anni Pascoli
perde la madre, una sorella e due fratelli; prosegue gli studi a Firenze e poi a Bologna. Qui
aderisce alle idee socialiste, fa propaganda e viene arrestato nel 1879; nel 1882 si laurea in
lettere. Insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno, cercando di riunire attorno a sé i
resti della famiglia e pubblicando le prime raccolte di poesie:
L'ultima passeggiata (1886)
e
Myricae (1891). L'anno seguente vince la prima delle sue 13 medaglie d'oro al concorso di
poesia latina di Amsterdam. Dopo un breve soggiorno a Roma, va ad abitare a Castelvecchio con
una sorella e passa all'insegnamento universitario, prima a Bologna, poi a Messina e a Pisa;
pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche. La sua produzione poetica prosegue
con i
Poemetti (1897) e i
Canti di Castelvecchio (1903); sempre nel 1903 raccoglie i suoi
discorsi sia politici (si era intanto convertito al credo nazionalista), che poetici e
scolastici nei
Miei pensieri di varia umanità. Rileva poi la cattedra di letteratura
italiana a Bologna, succedendo al Carducci al cui insegnamento si riallaccia; pubblica gli
Odi ed inni (1907), le
Canzoni di re Enzo e i
Poemi italici (1908-11). La sua produzione
poetica, vasta ed eclettica, consistette in un incessante sforzo di ricerca metrica e formale
imperniata su temi vari, quali: il gusto per le piccole cose, viste con gli occhi di un
bambino; il torbido, il nascosto; l'ansioso bisogno di quiete, di un "nido" sereno di affetti;
il simbolismo; la celebrazione, propria delle sue ultime opere. Nel 1912 la sua salute
peggiora e deve lasciare l'insegnamento e curarsi a Bologna, dove muore poco dopo.
Giovanni Pico della Mirandola
Umanista, filosofo e teologo (Mirandola, Modena
1463 - Firenze 1494). Nasce il 24 febbraio 1463 da Giovan Francesco I e Giulia Boiardo, zia di
Matteo, autore dell
Orlando Innamorato.
Una precoce vocazione per gli studi allontana il giovanissimo Pico, contrariamente ai fratelli
Galeotto e Anton Maria, dallesercizio delle armi e dallamministrazione dello Stato, e lo
spinge nel 1477, secondo il disegno e la volontà della madre, alluniversità di Bologna per
studiare diritto canonico.
Pico, non interessato a questi insegnamenti, dopo la morte della madre, avvenuta nellagosto
1478, si trasferisce a Ferrara su invito del Duca Ercole I dEste. Qui Giovanni simbatte in
una città culturalmente molto viva e ha modo di incontrare uomini dotti come Vespasiano Strozzi
e Gianbattista Guarini, e probabilmente pure Girolamo Savonarola.
Ma presto viene attratto da unaltra città, Padova, importante centro di studi filosofici,
capitale dellaristotelismo e di uninterpretazione in particolare di questultimo, laverroismo. Nella città veneta, in cui Pico resta dallautunno del 1480 alla primavera del 1482, segue i corsi di Nicoletto Vernia da Chieti e del cretese Elia Del Medigo che inizia Giovanni alla conoscenza dellebraico e per lui traduce i commenti ad Aristotele di Averroè.
Nellestate del 1482 Pico torna a Mirandola e di lì, sul finire di quellanno, si reca a Pavia,
accompagnato da Manuele Adramitteno, suo maestro di greco, per seguire i corsi di retorica e
quelli di logica matematica. Nello studio pavese resta tuttavia solo un anno e nei primi mesi
del 1484 si stabilisce a Firenze. In questi anni Pico aveva già avuto modo di entrare in
rapporto con la città toscana tramite contatti con due figure che risulteranno fondamentali per
la formazione di Giovanni, vale a dire Marsilio Ficino e Angelo Poliziano. Egli aveva scritto
infatti a Ficino per avere da questi una copia della
Theologia platonica de immortalitate
animorum e aveva altresì inviato nel 1483 ad Angelo Poliziano cinque libri delle proprie
elegie latine, in merito alle quali riceve un giudizio piuttosto lusinghiero che non gli
impedisce tuttavia di dare fuoco a quelle carte.
A Firenze Pico può beneficiare degli influssi di un ambiente culturale straordinariamente ricco
e animato, che peraltro si qualifica come il più vivo centro del platonismo che Giovanni può
così al meglio comparare e confrontare con laristotelismo che aveva studiato a Padova.
Il 3 giugno 1485 Pico scrive unassai importante lettera a Ermolao Barbaro, umanista padovano,
difendendo con forza il valore della pura speculazione filosofica anche quando espressa con
linguaggio non raffinato rispetto alla vacua ricerca delleloquio elegante e stilisticamente
ineccepibile.
Dal luglio 1485 a marzo 1486 il filosofo soggiorna a Parigi dove ha la possibilità di assistere
e partecipare alle dispute della Sorbona e di approfondire gli studi teologici in una
riconosciuta capitale della filosofia scolastica e dellaverroismo.
Di ritorno in Italia Pico avvalendosi dellapporto di Elia del Medigo e di Flavio Mitridate
intensifica lo studio dellebraico, del caldaico e dei testi cabalistici. Si immerge nei testi
neoplatonici e lavora alla stesura del
Commento della Canzone dAmore di Girolamo Benivieni.
è questo per Giovanni un periodo di profonda e febbrile meditazione che lo conduce ad ideare
il progetto di riunire a Roma un convegno di dotti fatti convenire per discutere pubblicamente
su diversi argomenti e teorie del sapere filosofico e teologico.
Il 10 maggio 1486, mentre è diretto a Perugia dove intende ritirarsi per preparare la disputa
romana, Pico è protagonista di un avventura amorosa, insieme drammatica e romanzesca. Ad
Arezzo infatti una gentildonna, Margherita, sposa di Giuliano Mariotto de Medici, viene
prelevata da Pico, come verosimilmente convenuto, e con questi fugge a cavallo, assieme ai
domestici e amici di Giovanni, verso il senese. Presto tuttavia Pico viene raggiunto dagli
aretini che uccidono la maggior parte dei famigli del filosofo che viene arrestato. Pochi
giorni dopo viene liberato, grazie allintervento di Lorenzo de Medici, e può raggiungere così
Perugia.
A partire dal mese di dicembre del 1486 comincia a circolare a Roma linvito alla pubblica
disputa, che avrebbe dovuto svolgersi nel febbraio del 1487, e la stampa delle
Novecento Tesi
redatte da Pico.
Nellintenzione del filosofo il dibattito avrebbe dovuto essere preceduto da un discorso
introduttivo, che in realtà non venne pronunciato. Si tratta della celebre e fondamentale
Oratio de hominis dignitate.
In breve tempo gli scritti pichiani sollevano critiche, reazioni sfavorevoli ed accuse. Il
termine della disputa viene prorogato e il papa Innocenzo VIII incarica di esaminare le Tesi.
Nel marzo del 1487 una Commissione appositamente nominata dal pontefice condanna sette Tesi
pichiane come eretiche o offensive e giudica altre sei Tesi infondate.
Il 31 maggio 1487 Pico pubblica un
Apologia, scritta in venti giorni, con la quale intende
respingere i dubbi e dissolvere i sospetti di eresia. Il papa allora emana un primo
Breve con
il quale Pico viene richiamato ed accusato di aver disatteso la sentenza. Successivamente il 5
agosto Innocenzo VIII con un altro
Breve condanna le Tesi pichiane e ne vieta la lettura e la
stampa.
Pico decide allora di allontanarsi da Roma contando di poter sottoporre ad altri dotti, semmai
alla Sorbona a Parigi, la sue Tesi. Il papa, una volta avuta la notizia dellallontanamento del
filosofo, diffonde la notizia della condanna delle Tesi di Giovanni e ne ordina larresto.
Nel mese di febbraio del 1488 Pico viene arrestato vicino a Lione in Francia da Filippo di
Savoia, governatore del Delfinato, e rinchiuso nella Rocca di Vincennes. La sua prigionia,
grazie allinteressamento di principi italiani, in particolare di Lorenzo de' Medici, e
allintervento dello stesso re di Francia Carlo VIII, dura tuttavia un solo mese.
Dallestate dal 1488 Pico si stabilisce nei pressi di Firenze, sui colli fiesolani, moralmente
turbato per la condanna di eresia sancita dalla Chiesa, che Lorenzo de' Medici tenta di far
rimuovere operando presso la curia romana.
Proprio a partire da questo periodo si applica con particolare fervore agli studi teologici e
si accentua in lui in maniera intensa lansia mistica e religiosa. Lavora a un commento ai
Salmi e fa pressione su Lorenzo il Magnifico affinché Girolamo Savonarola, conosciuto da Pico a
Ferrara, venga richiamato a Firenze dove il frate domenicano giunge, presso il convento di San
Marco nel 1489. In questanno Pico scrive l
Heptaplus, commento allegorico ai
versetti della Genesi.
Del 1492 è un'altra fatica di questo fervido periodo intellettuale del Filosofo, il
De Ente et
Uno, lopera che si propone di conciliare la filosofia di Platone con quella di Aristotele. La
morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nellaprile di quellanno 1492, seguita di lì poco da
quella di altri due amici di Giovanni, Angelo Poliziano ed Ermolao Barbaro, accresce in lui un
senso di solitudine e lattrazione per un interiore misticismo, mentre si consolidano e si
fanno più vivi i rapporti con Savonarola.
Il 18 giugno 1493 il papa Alessandro VI, succeduto a Innocenzo VIII, emette il Breve con cui
assolve Pico da ogni censura e nota di eresia.
In questo periodo Giovanni lavora a una forte e poderosa confutazione contro lastrologia, le
Disputationes adversus astrologiam divinatricem pubblicate dal nipote Gianfrancesco nel 1496.
Pico intensifica la propria meditazione religiosa e il proprio distacco vissuto nellisolamento
del convento fiorentino di San Marco. Qui morì Giovanni Pico, dopo tredici giorni di febbri
misteriose e dolorose, per cui si parlerà poi di possibile avvelenamento.
Fra Girolamo Savonarola
Predicatore e riformatore domenicano (Ferrara
1452 - Firenze 1498). Nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da giovane intellettualmente
dotato com'era, si dedicò con successo a studi di filosofia e medicina.
Nel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese tuttavia la repentina decisione di
entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna, dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una
vita ascetica dedicata alla preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di
Aristotele e di San Tommaso Aquino.
Nel 1482 Savonarola si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in
città, da dove iniziò a predicare con toni violenti contro la vita immorale della corte di
Lorenzo de' Medici, ma sembra che questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi
passarono abbastanza inosservati.
Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi anni di prediche in giro per
l'Italia, la sua denuncia del paganesimo diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi
attacchi contro Lorenzo de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del
convento di San Marco, del quale Savonarola stesso fu nominato priore nel 1491.
Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia Savonarola, non pago, aumentò ugualmente il livello della sua
denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero e del nuovo papa Alessandro
VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia, padre di diversi figli, tra i quali i noti
Lucrezia e Cesare ed eletto papa grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia.
Proprio il contrario degli ideali di Savonarola, che anelava ad una rigenerazione morale e
spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue idee, riformando i monasteri
toscani dell'Ordine Domenicano secondo una rigida osservanza della Regola originariamente
stabilita e sottraendo il controllo dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre
dell'Ordine.
Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il
diritto del re, di sangue angioino, alla successione al Regno di Napoli, dopo la morte di
Ferrante d'Aragona (1458-1494).
Savonarola supportò la causa del re francese, sperando in cambio di un appoggio per la
formazione di un governo democratico in Firenze ed effettivamente la visita di Carlo VIII a
Firenze permise a Savonarola di scacciare l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e di
instaurare una Repubblica teocratica.
In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale molto severa e basata sulla
legge di Cristo, considerato il vero Re di Firenze. Divennero famosi i falò delle vanità,
roghi pubblici nei quali vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora
bastava anche un innocente libro di poesie o una copia del
Decamerone del Boccaccio), ornamenti
e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli.
Dall'alto del suo successo, Savonarola poté riprendere gli attacchi contro l'immoralità della
Curia romana e di Alessandro VI, ma il papa contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma per
difendersi dalle accuse di false profezie. Savonarola rifiutò adducendo motivi di salute
cagionevole.
Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i monasteri domenicani toscani
avrebbero dovuto riferire ad una nuova Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto
di Savonarola di obbedire, questi fu scomunicato il 12 Maggio 1497.
A questo provvedimento Savonarola reagì dichiarandolo privo di valore e continuando le sue
prediche nel Duomo di Firenze, mentre il papa reagì minacciando di interdizione la città, se al
predicatore non fosse stata tolta la parola.
Oltretutto, l'ostilità locale nei confronti di Savonarola, opportunamente orchestrata da parte
dei francescani, iniziò a crescere fino a quando, nel marzo 1498, il francescano Padre
Francesco Rondinelli sfidò Savonarola ad un'ordalia del fuoco per stabilire la santità del
predicatore domenicano.
Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la sfida il suo devoto discepolo Domenico da
Pescia.
Il 7 Aprile 1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima per le
lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla esasperata e di umore
mutevole se la prese con Savonarola, arrestato sul luogo assieme a Domenico da Pescia. A nulla
servì la reazione dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle
lacrime che versavano ad ogni sermone di Savonarola), i quali provocarono gravi disordini,
assaltando, fra l'altro, il convento di San Marco al grido di
Salvum fac populum tuum,
Domine.
Il papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il predicatore ribelle ed
inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e il vescovo di Ilerda ad assistere al
processo. Nonostante le torture, Savonarola non cedette, tuttavia furono redatti, a cura di
alcuni notai compiacenti, degli atti palesemente contraffatti del processo, nei quali Savonarola
avrebbe ammesso di essere un falso profeta.
Sulla base di questa confessione Savonarola venne condannato, assieme ai suoi seguaci
Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione, seguita dal rogo dei corpi e
dalla dispersione delle ceneri nell'Arno.
La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498.
La figura di Savonarola fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano della Riforma
e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero, eretto a Worms, in Germania.
Arturo Toscanini
Direttore d'orchestra (Parma 1867 - New York
1957). Dopo gli studi nei conservatori di Parma e Milano, cominciò la carriera come
violoncellista e come maestro sostituto del coro in una compagnia d'opera in tournée. Nel 1886,
in Brasile, si trovò a dover sostituire il direttore titolare per una rappresentazione
dell'
Aida di Verdi che riscosse un grande successo. Nel 1898 diresse per la prima volta al
Teatro alla Scala di Milano. Dal 1908 al 1915 fu direttore principale della Metropolitan Opera
Company di New York e direttore artistico unico alla Scala dal 1921 al 1929. Successivamente si
dedicò al repertorio sinfonico, rifiutandosi di dirigere nell'Italia e nella Germania fasciste
degli anni Trenta. Direttore della New York Philharmonic Symphony Orchestra dal 1929 al 1936,
nel 1937 fu a capo della National Broadcasting Company Symphony Orchestra, creata appositamente
per lui e che egli diresse in una importante serie di trasmissioni radiofoniche. Nel 1946 tornò
in Italia unicamente per dirigere il concerto inaugurale della Scala ricostruita dopo i
bombardamenti. La sua ultima interpretazione pubblica risale al 1954.
A Toscanini si devono soprattutto la rivalutazione dello stile interpretativo e l'introduzione
di una ferrea disciplina sia sulla scena sia all'interno dell'orchestra. Ciò è vero in
particolare per le opere di Verdi, per quelle di Leoncavallo (
I Pagliacci) e di Puccini
(
Bohème,
La fanciulla del West e
Turandot). Nel repertorio sinfonico, inoltre, il maestro
italiano era considerato insuperabile per le interpretazioni di Beethoven, Brahms, Debussy e
Ravel. Il suo rigore e il rispetto per l'opera del compositore furono colonne portanti della
sua limpidezza interpretativa, dalla quale era bandito ogni eccesso o forma di affettazione.
Giuseppe Verdi
Misicista (Roncole di Busseto, Parma 1813 -
Milano 1901). Nacque da povera famiglia a Roncole di Busseto il 10 Ottobre 1813.
Sviluppatasi in lui molto presto una vigorosa inclinazione musicale, egli ebbe come primo
maestro l' organista delle Roncole Pietro Baistrocchi; si esercitava su una modesta spinetta e
aiutava i genitori nella bottega, una modesta osteria di paese.
A dodici anni si recò a Busseto per aiutare negli affari il suo futuro protettore Barezzi, e fu
a Busseto che studiò musica con il maestro di banda Provesi e latino con il canonico Seletti.
Fu in seguito a Milano con una borsa di studio del Monte di Pietà e con un sussidio del
Barezzi: a diciannove anni tentò di entrare in Conservatorio, ma non vi fu ammesso e decise di
proseguire gli studi con il maestro Lavigna.
Tornato a Busseto, venne nominato maestro di musica del Comune e direttore della banda.
Nel 1835 sposò la figlia del suo protettore Margherita Barezzi, da cui ebbe due figli che
perirono con la madre a Milano negli anni 1838-40, dove la famiglia Verdi si era nel
frattempo trasferita.
La sua prima opera fu
Oberto Conte di San Bonifacio(1839) rappresentata con successo al
Teatro La Scala di Milano. La seconda opera
Un giorno di regno(1840), a soggetto comico,
cadde rovinosamente e aggiunse così nuovo dolore alle sciagure familiari.
Proprio allora iniziò la straordinaria produzione di opere. La sua instancabile e prodigiosa
attività non cedette nemmeno alla vecchiaia che trascorse prevalentemente nella villa di
Sant'Agata a pochi chilometri da Busseto, insieme alla inseparabile, fedelissima Giuseppina
Strepponi, vissuta con lui dal 1849.
Giuseppe Verdi morì a Milano il 27 gennaio 1901 ed è oggi sepolto nella Casa di Riposo dei
Musicisti da lui fondata.
Cesare Zavattini
Scrittore (Luzzara 1902 - Roma, 1989). Si avvicinò al cinema come soggettista e sceneggiatore,
collaborando con Mario Camerini e Alessandro Blasetti. Autore tra i più prolifici e
significativi del nostro cinema, dotato d'un umorismo surreale, fu uno dei più importanti
protagonisti del neorealismo, partecipando a oltre centoventi film e fornendo un notevole
contributo tecnico-innovativo. Fautore di un criterio cronachistico, privo di ogni retorica, i
film a cui lavorò furono tra i massimi esempi del cinema inteso come "pedinamento della realtà".
Fondamentale fu il sodalizio con Vittorio De Sica, per il quale scrisse opere come
Sciuscià
(1946),
Ladri di biciclette (1948),
Miracolo a Milano (1951),
Umberto D. (1952), che fornivano
una lucida rappresentazione dell'Italia del dopoguerra. Tra i tanti altri film, si ricordano
Amore in città (1953);
La ciociara (1960), dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia;
I misteri
di Roma (1963);
Matrimonio all'italiana (1964). Zavattini è stato autore di diversi libri quali
Parliamo tanto di me (1931),
I poveri sono matti (1937),
Io sono il diavolo (1943),
I misteri
di Roma (1963),
La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini (1977) e
Una, cento, mille
lettere (1988), magnifico carteggio nel quale spiccano le sue lettere con l'editore Valentino
Bompiani. Nel dialetto della sua terra, il luzzarese, compose i versi di
Stricarm, in d'na
parola. A ottant'anni, Zavattini esordì nella regia con il film
La verità, il suo testamento
spirituale.
CENTRI MINORI
Bagnacavallo
(16.147 ab.). Cittadina agricola e industriale in provincia di Ravenna. Conserva diverse
testimonianze della sua origine romana; subì le dominazioni gotica, bizantina, longobarda,
passando quindi a diversi feudatari e nella giurisdizione dei comuni maggiori. Primo esempio di
un feudo concesso in Italia a uno straniero: nel 1375 fu ceduta al capitano di ventura inglese
John Hawkwood (italianizzato Giovanni Acuto), che sette anni più tardi la vendette agli Estensi.
Possiede un centro storico pressoché inalterato nel suo assetto medievale, con una piazza
principale dalla quale si diramano radialmente le vie porticate. Sulla piazza si affacciano i
principali edifici pubblici: la duecentesca Torre civica o dell'Orologio (35 m) nelle cui
celle, nel 1848, fu rinchiuso il bandito Stefano Pelloni detto il Passatore; il Palazzo Vecchio,
risalente al XIII secolo e più volte ricostruito; il Palazzo del Municipio in elegante stile
neoclassico, progettato da Cosimo Morelli (1791-1803), distinto da un alto porticato
analogamente al teatro comunale Carlo Goldoni, opera del bolognese Filippo Antolini (1845). In
posizione eccentrica si apre la splendida piazza Nuova (1758?59), la cui forma ellittica è
definita da portici a tutto sesto.
Tra gli edifici religiosi, la collegiata di S. Michele
Arcangelo che, ristrutturata nel XV secolo nella parte absidale, richiama influenze
bramantesche; nell'interno,
Redentore e santi di Bartolomeo Ramenghi detto il
Bagnacavallo. La chiesa di S. Giovanni e l'annesso convento delle Cappuccine, entrambi
risalenti al Trecento, furono ristrutturati in stile barocco; nell'ex convento - dove nel 1821
morì Allegra, figlia di Lord Byron - hanno oggi sede la Biblioteca C. Taroni, sorta nel 1774,
la Pinacoteca e il Museo civico, con le sezioni archeologica, etnografica e naturalistica.
A un chilometro sorge la pieve di S. Pietro in Sylvis, tra le più belle e meglio conservate
della Romagna. Risalente agli inizi del VII secolo, è un significativo esempio di architettura
esarcale o protoromanica. Nell'interno, a tre navate divise da archi a tutto sesto su pilastri,
conserva notevoli affreschi (1320-25), forse ascrivibili a ignoto maestro riminese,
raffiguranti il
Redentore tra gli evangelisti, gli apostoli e
Cristo crocifisso tra
la Madonna e S. Giovanni.
Bobbio
(3.899 ab.). In provincia di Piacenza, è il centro più importante della valle del
Trebbia. Situato in una zona ricca di acque, è stazione turistico-termale. Sorse intorno
all'abbazia di San Colombano, la più antica del regno longobardo, fondata nel 614 dal monaco
cenobita Colombano attorno a una preesistente chiesa di S. Pietro. Tra il IX e il XII secolo
l'abbazia fu un importante centro economico e culturale, sede di un famoso "scriptorium" e di
una celebre biblioteca. Sede vescovile nel 1014, il borgo fu cinto da mura nel XII secolo.
Passato ai Visconti nel XIV secolo, seguì le sorti dello Stato milanese fino al 1748, quando fu
annesso allo Stato sabaudo. Unito a Genova fino al 1859, passò alla provincia di Pavia e
infine, nel 1923, a quella di Piacenza.
L'attuale basilica di S. Colombano è stata
ricostruita dal 1456 al 1522 inglobando i resti della chiesa abbaziale; i corpi di fabbrica
superstiti sono la parte absidale della basilica e il lungo loggiato (1570) del grande cenobio.
Sul fianco sinistro si ergono il campanile e l'adiacente absidiola, risalenti al IX secolo. Con
facciata tripartita e preceduta da portico cinquecentesco, la basilica ha un interno a tre
navate divise da pilastri polistili. Conserva uno splendido coro ligneo (1488) e notevoli opere
d'arte nella cripta: un pavimento a mosaico del XII secolo, pressoché integro, con motivi
simbolici di gusto romanico; una rara cancellata in ferro del XII secolo; il sarcofago di S.
Colombano, arca marmorea di Giovanni dei Patriarchi da Milano (1480). Nel Museo dell'Abbazia,
raccolta di materiali archeologici e opere legate alla figura del santo.
Sull'irregolare
piazza del Duomo, con case medievali a portici, prospetta il Duomo, testimoniato nel 1075, con
facciata quattrocentesca chiusa da due torri derivate dall'impianto originario; nell'interno,
decorazione di gusto neogotico-bizantino (Aristide Secchi, 1896) e affreschi trecenteschi.
La parte alta di Bobbio è dominata dal Castello, eretto nel 1440 da Pietro Dal Verme, oggi sede
museale; il poderoso torrione e i resti della porta d'ingresso delle mura sorgono sui resti di
un primitivo insediamento monastico. Lo storico
Ponte Gobbo sul Trebbia, formato da
undici arcate disuguali, è il simbolo di Bobbio; forse di origine romana, documentato a partire
dal 1196, è stato ristrutturato nei secoli XVI e XVII.
Bondeno
(16.749 ab.). Centro in provincia di Ferrara, attraversato dal Panaro e dal canale di
Burana. Numerose sono le industrie connesse alla trasformazione dei prodotti agricoli e alla
frutticoltura.
Insediamento preistorico e romano, legato nell'Alto Medioevo all'abbazia di
Nonàntola, Bondeno fu dotato da Matilde di Canossa di un castello, poi roccaforte estense.
Terra di alluvioni e di confine tra Emilia, Veneto e Lombardia, reca imponenti testimonianze
delle opere di bonifica: la
botte Napoleonica, in stile dorico-romano, con due gallerie
sottopassanti (1899), e il
cavo Napoleonico, importante complesso di sifoni, chiaviche e
bacini, lungo 18 km, che convoglia parte delle acque del Reno fino a Bondeno, scaricandole nel
Panaro e servendo una vasta area delle province di Ferrara e Bologna.
Brisighella
(7.597 ab.). Centro in provincia di Ravenna, situato nella bassa valle del Lamone, è
stazione termale. Insediato sin dalla remota antichità, il borgo prosperò con i commerci
derivati dalle cave di gesso, con la lana, la seta, il cuoio, il vino e l'olio. Ufficialmente
fondata da Maghinardo de' Pagani da Susinana alla fine del Duecento, Brisighella fu contesa tra
i Manfredi e la Chiesa; dopo una breve dominazione veneziana (1503-09) fu annessa allo Stato
pontificio.
Il borgo conserva integro il suo aspetto medievale, degna cornice alla festa
che vi si celebra tra giugno e luglio. Via degli Asini, o del Borgo, resta uno straordinario
esempio di strada sopraelevata e coperta da un portico sul quale si aprono una sequenza di
arcate e gli ingressi alle case, addossate alla scarpata della roccia; sul suo selciato
transitavano le carovane degli asini e dei muli utilizzati nelle vicine cave di gesso.
Sui
tre speroni rocciosi in selenite che sovrastano il borgo si ergono rispettivamente la Rocca, la
Torre dell'Orologio e il santuario di Monticino, dedicato alla Madonna (1758) e circondato da
cipressi. La Rocca, eretta nel 1310 da Francesco Manfredi, fu elevata nel suo aspetto attuale
alla metà del XV secolo e durante il periodo veneziano; consta di due torri cilindriche a
beccatelli (la maggiore, aggiunta dai veneziani) raccordate alla cinta di mura. Nell'interno ha
sede il Museo del Lavoro contadino nelle vallate del Lamone, Marzeno e Senio. Sullo spuntone
antistante svetta l'alto profilo della Torre dell'Orologio, eretta nel 1290 e più volte
restaurata da Alfonso Rubbiani.
La seicentesca collegiata dei Ss. Michele e Giovanni
Battista fu eretta su disegno del fiorentino Gherardo Silvani; sul ricco altare, una
Madonna del Quattrocento su tavola e, nel battistero, un gruppo in terracotta della
Pietà (XV sec.).
Busseto
(6.962 ab.). Centro agricolo in provincia di Parma. Vanta il prestigio di antica capitale
dello stato dei Pallavicino, che ne detennero il dominio dal X secolo al 1587, quando passò al
ducato farnesiano. Nella frazione Róncole, oggi Róncole Verdi, nacque Giuseppe Verdi (1813-1901),
il "cigno di Busseto". Qui è possibile visitare l'umile casa natale del grande musicista.
Sulla centrale piazza Giuseppe Verdi si affacciano la Rocca, il quattrocentesco Palazzo del
Comune e la collegiata di S. Bartolomeo. La Rocca, fondata nel 1250, fu rifatta nell'Ottocento
da Pier Luigi Montecchini in stile gotico con torri angolari merlate, tra le quali si erge la
cinquecentesca Torre dell'Orologio; nell'interno hanno sede il Municipio e il grazioso Teatro
Verdi, inaugurato nel 1868 con "Rigoletto" e "Un ballo in maschera". La collegiata di S.
Bartolomeo fu ricostruita (1437-50) su una precedente trecentesca; nell'interessante facciata
neogotica si apre un bel portale rinascimentale con decorazioni in cotto; all'interno, eleganti
stucchi di gusto rococò e un ciclo di affreschi di Michelangelo Anselmi (1538-39). Lungo via
Roma si allineano Palazzo Barezzi, casa del suocero di Verdi e suo primo mecenate; Palazzo
Orlandi, sede del Museo dei Cimeli verdiani; Palazzo del Monte di Pietà (Domenico Valmagini,
1679-82), con ampio portico, dove è custodita la Biblioteca del Monte (1768).
Un viale
alberato porta alla Villa Pallavicino, il cui progetto è attribuito al Vignola. Preceduta da un
monumentale padiglione d'accesso in stile rococò, la villa consta di cinque corpi disposti a
scacchiera comunicanti con loggiati passanti. Ospita il Museo civico; negli ambienti interni,
stucchi settecenteschi e affreschi di Ilario Spolverini e G.B. Draghi. Quasi di fronte alla
villa è S. Maria degli Angeli, costruita in stile tardo gotico da Gianlodovico e Pallavicino
Pallavicino tra il 1470 e il 1474; conserva lo splendido
Compianto su Cristo morto,
gruppo in terracotta di Guido Mazzoni (1476-77).
A due chilometri, in territorio piacentino,
si trova Villa Verdi. L'appartamento privato conserva la disposizione e l'arredo del tempo in
cui fu abitata dal maestro e dalla moglie Giuseppina Strepponi.
Carpi
(60.589 ab.). Centro in provincia di Modena, sul torrente Secchia. è un attivo centro
industriale (industrie casearie, enologiche, salumifici, raffinerie e industrie plastiche).
Tradizionale attività artigianale, documentata fin dal Seicento, è la lavorazione della
scagliola e del "truciolo" per ottenere cesti, cappelli, ecc. Nel secondo dopoguerra ha avuto
un grande sviluppo il settore legato alla maglieria e alle confezioni. Nel territorio comunale
si pratica l'allevamento del bestiame e l'agricoltura.
Le prime notizie di Carpi risalgono
all'VIII secolo. Sorta attorno alla pieve di S. Maria della Sagra e fondata secondo la
tradizione dal duca longobardo Astolfo, fu poi borgo fortificato di Matilde di Canossa, che lo
donò alla Chiesa. Autonoma rispetto a Modena e Reggio, fu contesa tra diverse famiglie e alla
fine occupata dal modenese Manfredo Pio (1319). Fino al 1525 Carpi rimase signoria dei Pio, che
ne promossero lo sviluppo urbano ed economico; soprattutto con l'ultimo signore, Alberto III,
mecenate e fortemente influenzato dall'educazione umanista di un precettore d'eccezione quale
Aldo Manuzio, Carpi divenne un gioiello rinascimentale nell'impianto e nelle architetture
progettate da Baldassarre Peruzzi. Nel 1525 passò agli Estensi, seguendo le sorti del ducato.
Negli ultimi decenni del XX secolo la città ha avuto una crescita edilizia abnorme che ha
snaturato i rapporti con l'originaria trama urbanistica.
Tra le più vaste della regione,
Piazza dei Martiri è un ampio spazio rettangolare concepito per riunire le funzioni rappresentative
religiose, signorili e mercantili della città. Il lato occidentale è interamente occupato
dall'armonioso Portico Lungo (212 m, 52 arcate), mentre a Nord si erge la facciata barocca
della cattedrale di S. Maria Assunta, il cui interno mantiene inalterato il carattere
architettonico rinascimentale. Il lato orientale della piazza è invece definito dal Palazzo dei
Pio, detto anche il Castello. Residenza signorile dei Pio, la struttura è scandita dalla
massiccia Torre di Passerino Bonacolsi (1320), dal torrione di Galasso Pio (XV sec.), dal
bastione circolare dell'Uccelliera (1480). Dal grande cortile interno, ispirato ai modelli
bramanteschi, si accede all'appartamento monumentale e a diversi ambienti riccamente ornati,
tra i quali il salone dei Mori, la preziosa cappella rinascimentale affrescata da Bernardino
Loschi (inizi XVI sec.), la stanza del Forno, la stanza della Torre di Passerino, la stanza
ornata, la stanza dei Trionfi, lo studiolo di Alberto Pio, la stanza dell'Amore. Vi sono
conservate diverse importanti collezioni (dipinti, arredi, ceramiche, xilografie, materiali
archeologici e risorgimentali) attinenti all'arte e alla storia locale. Nel complesso è
ospitato anche il Museo della Xilografia italiana; in un cortile, con accesso da piazza dei
Martiri, si trova il Museo-monumento al
Deportato politico e razziale, progettato da Lodovico
Belgioioso (1973).
Sul piazzale re Astolfo, nucleo della cittadella medievale, si
affacciano il Castelvecchio (XV sec.) il fronte più antico degli edifici che compongono il
Palazzo dei Pio, e la pieve di S. Maria in Castello, detta la Sagra, risalente all'VIII secolo,
con facciata rinascimentale su disegno del Peruzzi. L'alto campanile duecentesco con pinnacoli
e cuspide segna il perno di riferimento dell'intero impianto antico di Carpi.
Nel comparto
di Borgogioioso e Borgonovo, derivato dall'ampliamento quattrocentesco della città, si
concentrano importanti edifici: la chiesa di S. Nicolò, completata da Baldassarre Peruzzi nel
1516; la seicentesca chiesa di S. Ignazio con l'alta facciata in cotto, il complesso di S.
Chiara (fine XV sec.), i Palazzi Barbieri-Grillenzoni e Bonasi-Gandolfi (sec. XVIII).
Il centro di Carpi (Modena)
Castell'Arquato
(4.574 ab.). In provincia di Piacenza, la cittadina è costituita da due nuclei: il borgo
ai piedi della collina; il centro monumentale, già chiamato Solario, scenograficamente sospeso
sulla cima. Probabile insediamento in età romana, l'abitato è testimoniato nell'VIII secolo;
appartenne al vescovo di Piacenza fino al 1220, in seguito fu soggetto agli Scotti e quindi
allo Stato milanese fino al 1707, quando passò sotto il ducato di Parma del quale seguì i
destini.
Il culmine del borgo alto è la bella piazza Alta, o del Municipio, dove si
affacciano il Palazzo pretorio, l'imponente parte absidale della collegiata di S. Maria e,
protesa verso valle, la Rocca. Il Palazzo pretorio, ora Municipio, è una costruzione massiccia
(1293), con torre, loggetta e un coronamento merlato; nella grande sala consigliare, soffitto a
cassettoni e ricca decorazione pittorica. La collegiata di S. Maria è una struttura romanica
risalente agli inizi del XII secolo, con campanile trecentesco. La facciata ha un bel paramento
dal colore caldo, dove si alternano conci di tufo e arenaria. Sul fianco sinistro, sotto il
portico detto del Paradiso (XV sec.), si apre un portale romanico strombato; nella lunetta,
Madonna col Bambino,
S. Pietro e un angelo (scuola di Piacenza, seconda metà XII
sec.). All'interno, sopravvivono parti significative dell'impianto primitivo, come i capitelli
figurati (inizi XII sec.), sculture (XII sec.) e affreschi quattrocenteschi. Dall'adiacente
chiostro trecentesco si accede al Museo della Collegiata il cui pezzo forte è uno splendido
paliotto bizantina, raffigurante l'
Eucarestia (XIII sec.). La Rocca è una poderosa opera di
difesa fatta erigere dal Comune di Piacenza nel 1343 e rafforzata da Luchino Visconti nel 1347.
Comprende due spazi cintati: uno superiore e uno inferiore, dove sorge l'alto mastio con
funzione di ingresso.
Più in basso è posto il cinquecentesco torrione farnesiano dai
grandi arconi concavi; a fianco, il Palazzo del Duca (XIII-XIV sec.), sotto il quale è una
fontana a cannelle multiple (1292). Nell'ex ospedale di S. Spirito è allestito il Museo
Geologico con raccolte di notevole valore scientifico, tra le quali i resti di una balenottera
del Pliocene.
Cattolica
(15 559 ab.). Centro balneare in provincia di Rimini, sull'Adriatico. Porto peschereccio.
Stazione itineraria romana sulla Via Flaminia (220 a.C.), in epoca bizantina formò
l'insediamento dello scomparso castello di Conca. Nel 1270-71 venne fondato il nuovo borgo
medioevale, sotto le giurisdizioni di Rimini e Ravenna. Dopo la signoria dei Malatesta e un
breve dominio veneziano, passò allo Stato pontificio, dipendendo da Rimini fino alla fine del
Settecento. Nell'Ottocento, come gli altri centri della costa, cominciò ad essere meta del
turismo balneare da parte della nobiltà e dell'alta borghesia emiliano-romagnola. Ottenuta
l'autonomia amministrativa nel 1896, durante il ventennio fascista, insieme alla vicina
Riccione, divenne un centro mondano di rilevanza internazionale.
L'abitato storico sorge
su un terrazzo a un chilometro dal mare, allungato a margine della Via Flaminia. A Sud il
promontorio di Gabicce conclude, dopo oltre cento chilometri, il litorale romagnolo. La città
conserva alcune testimonianze delle sue origini romane nell'area archeologica e nell'Antiquarium,
posto all'interno del Centro culturale polivalente, architettura contemporanea di Pier Luigi
Cervellati. La massiccia Rocca Malatestiana (1490), ora Rocca Varni, costituiva il caposaldo
difensivo dell'abitato. L'ospedale dei Pellegrini, fondato nel 1584 ed oggi adibito a caserma
dei carabinieri, testimonia la cultura dell'ospitalità a Cattolica. Tra gli edifici
contemporanei si evidenziano la chiesa di S. Antonio (anni Settanta del Novecento, architetti
Riccardo Magnanini e Giancarlo Pediconi) e l'ex colonia Navi (1932, architetto Clemente Busiri
Vici), oggi sede di un Parco Tematico che illustra con l'ausilio delle più moderne tecnologie
multimediali il rapporto tra l'uomo e il mare.
Cento
(29.237 ab.). Cittadina in provincia di Ferrara, in posizione quasi baricentrica tra
Bologna, Ferrara e Modena. Fiorente centro commerciale, Cento sorge in quella zona di pianura
chiamata delle "terre vecchie", compresa tra i fiumi Po a Nord, Panaro a Ovest e Reno a Sud.
Prende il nome da un'unità di superficie romana, e come colonia romana nasce, nel II secolo a.C.
Cento e la vicina Pieve, matrice religiosa dell'insediamento, formarono fino al 1376 un'unica
entità amministrativa. Il borgo di Pieve di Cento, dal 1929 in provincia di Bologna, condivise
le sorti di Cento sotto il dominio degli Estensi e, dal 1598, del papato; con la sua trama
regolare delle vie simmetriche e porticate, è un piccolo gioiello di urbanistica medievale. A
Cento nacque, nel 1591, Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino.
Il territorio del
Centese è profondamente segnato dalle opere eseguite nel corso dei secoli per governare le
acque e bonificare il suolo; qui, alla diffusione della dimora alla "bolognese", con le tipiche
stalle-fienili e le case separate dalla vasta corte, si accompagnano ambiti di grande interesse,
quali le aree della "partecipanza agraria".
L'abitato storico di Cento conserva l'impianto
urbanistico risalente al XIII secolo e i caratteri architettonici derivati dal consistente
sviluppo edilizio dei secoli XVII e XVIII. Delle quattro porte d'ingresso alla città oggi
rimane solo la PortaPieve; la poderosa Rocca a beccatelli e merlatura ghibellina fu costruita
dai bolognesi (1387) e modificata nei secoli XV e XVI; dal profilo della robusta struttura
emergono le torri angolari e l'alto mastio che funge da ingresso. Nella centrale piazza
Guercino prospettano il Palazzo del Governatore (1502), sede della Galleria d'Arte moderna
Aroldo Bonzagni, con la lunga facciata merlata interrotta dalla Torre dell'Orologio, e il
seicentesco Palazzo comunale, dall'elegante portico a tre arcate e l'ampia balconata superiore.
Edifici d'uso residenziale di grande interesse sono la Casa Provenzali, affrescata all'interno
dal Guercino, il Palazzo Rangoni (1640), sede della Civica Biblioteca del Patrimonio degli
Studi, e la Casa Pannini (1360), che richiama le case medievali bolognesi con il porticato
ligneo e la sequenza di monofore accoppiate al piano superiore; un tempo accoglieva un
importante ciclo di affreschi del Guercino, in parte conservati presso la Pinacoteca civica.
Quest'ultima, ospitata nel Palazzo del Monte di Pietà e dell'Archivio notarile (Giovanni
Calegari, 1782), oltre ad opere del Guercino, raccoglie dipinti di Pellegrino Tibaldi, Ludovico
Carracci, Denijs Calvaert. L'ex chiesa di S. Lorenzo è uno dei maggiori esempi del barocco
centese (Pietro Alberto Cavalieri, 1765-73). La chiesa del Rosario (1633-41), eretta forse su
disegno dello stesso Guercino, reca all'interno quattro opere del grande artista centese: la
Crocifissione,
S. Francesco, S. Giovanni Battista, Padre Eterno (1645).
Cervia
(25.395 ab.). Cittadina in provincia di Ravenna, stazione climatica estiva sulla spiaggia
adriatica. Dispone di un attrezzato porto turistico, di 254 stabilimenti balneari e di
centinaia di strutture ricettive molto diversificate. L'antico abitato di Cervia sorgeva al
centro delle saline, originando dal primitivo centro di Ficocle, distrutto nel 709. Il canale
delle Saline, che oggi separa Cervia da Milano Marittima, collegava l'abitato con il mare.
L'influenza di Venezia fu rilevante nei secoli XIII-XV; ne resta il ricordo nella tradizionale
festa dello "Sposalizio del mare", che si celebra annualmente dal 1445 nel giorno
dell'Ascensione, a somiglianza dell'analoga festa veneziana. Con la pace di Agnadello del 1509
passò sotto lo Stato pontificio, decadendo e spopolandosi a causa del clima malsano fino al suo
definitivo abbandono. Tra il 1697 e il 1714 venne costruita Cervia nuova, la città del sale,
secondo una concezione di città ideale. Il progetto urbanistico di Bellardino Berti previde
un'area rettangolare cinta da bastioni con ampia piazza centrale. Allo sviluppo del turismo
marino contribuirono la costruzione del primo stabilimento balneare (1882), la realizzazione
del collegamento ferroviario con Ravenna e la bonifica delle paludi. è stata mantenuta un'area
a pineta (la pineta di Cervia) che costituisce il precario residuo della scomparsa foresta
costiera.
La principale piazza Garibaldi riunisce le sedi del potere civile ed
ecclesiastico: il Palazzo comunale, su disegno di Francesco Fontana (1702), caratterizzato
dalla Torre dell'Orologio, e la coeva Cattedrale, più propriamente chiesa dell'Assunta,
incompiuta nella facciata; nell'interno, dipinti seicenteschi di Simone Cantarini, Francesco
Longhi e Barbara Longhi. Il perimetro del centro storico è formato dalle caratteristiche case
dei salinari, gli operai addetti all'estrazione del prezioso prodotto. Presso il porto-canale
sorgono la poderosa Torre di S. Michele (1691), sede della Biblioteca Comunale, e il
settecentesco complesso dei magazzini del Sale, significativo esempio di archeologia
industriale, restaurato e sede del Museo della Civiltà salinara, che illustra gli antichi
processi di estrazione e lavorazione del minerale; il complesso comprende il magazzino detto
della Darsena (1712) e quello detto Torre (1691). Le saline di Cervia, che costituirono per
secoli la principale fonte economica della zona, si estendono a Ovest della strada Romea su una
superficie di circa 828 ettari, dei quali 765 a Riserva naturale della salina di Cervia, sede
di una avifauna caratteristica e parte del Parco regionale del Delta del Po. Dopo un periodo di
produzione quasi azzerata si è assistito a una piccola e lenta ripresa. Le proprietà
terapeutiche dei fanghi e dell'"acqua madre" (quella che resta nei bacini dopo la
cristallizzazione del sale) vengono utilizzate nel moderno centro termale della città.
All'interno del moderno impianto salino di Cervia si trova la salina Camillone, una piccola
area dove è stato mantenuto, a scopo didattico, l'antico metodo di estrazione del sale
dall'acqua marina.
Cesenatico
(21.344 ab.). Centro in provincia di Forlì-Cesena. In riva all'Adriatico, rinomato centro
di villeggiatura estiva; vivace l'attività di pesca nell'Adriatico. La storia e la vita stessa
di Cesenatico s'identificano con quella del suo porto-canale, fondato nel 1302 dalla città di
Cesena e del quale Leonardo da Vinci eseguì il rilievo planimetrico quotato (1502). Entrato
dapprima nell'orbita veneziana, Cesenatico passò dopo il 1509 sotto il dominio pontificio.
Nella notte tra il 1° e il 2 agosto 1849, Giuseppe Garibaldi, reduce dalla difesa di Roma e
accompagnato da Anita morente, si imbarcò da qui con l'intento di raggiungere Venezia.
Cesenatico, riscoperta dalla borghesia di Cesena, ebbe il suo primo stabilimento balneare dopo
la costruzione della ferrovia Rimini-Ravenna nel 1880. Già agli inizi del Novecento
l'amministrazione comunale si propose di promuovere il turismo concependo l'idea di una
città-giardino. Furono inoltre edificate, alla sinistra del porto-canale, le prime colonie
marine, destinate ai soggiorni marini dei figli dei lavoratori.
Il porto-canale è l'asse
principale attorno al quale gravita la vita sociale di Cesenatico. Unico del suo genere in
Italia è il
Museo galleggiante della Marineria dell'alto e medio Adriatico, che espone
diversi esemplari di barche tradizionali perfettamente restaurate. In piazza delle Conserve,
nel ben conservato borgo antico, sono visibili le
ghiacciaie, costruzioni interrate a
forma di tronco di cono, che servivano a conservare i prodotti del mare. Da notare la
seicentesca parrocchiale di S. Giacomo e la Biblioteca che contiene un piccolo
Antiquarium romano. Rappresentative dell'architettura balneare di Cesenatico sono le
colonie marine, in particolare la colonia AGIP (Giuseppe Vaccaro e Ferruccio Gherardini, 1937-38)
e la colonia Enpas (Paolo Portoghesi ed Eugenio Abruzzini, 1961-65).
Codigoro
(13.799 ab.). Centro in provincia di Ferrara, sulla riva sinistra del Po di Volano. Il
territorio è stato oggetto di immani opere di bonifica attuate mediante grossi stabilimenti
idrovori. Tra gli insediamenti di archeologia industriale va segnalato l'impianto idrovoro di
Codigoro, utilizzato nella Grande bonifica ferrarese.
A cinque chilometri, sulla strada
Romea, si trova la celebre abbazia di Pomposa. Fu un importante centro di studi e di riforma
monastica e fondiaria, raggiungendo il massimo splendore nell'XI secolo. Ospitò Dante Alighieri,
Pier Darniani e Guido d'Arezzo. Dopo un secolare declino, nell'Ottocento divenne di proprietà
statale e fu sottoposta a un'intensa attività di restauro. Il cornplesso monumentale comprende
la basilica di S. Maria, il monastero e il Palazzo della Ragione. La basilica, di tipo
ravennate-bizantino, è preceduta da uno splendido atrio a tre arcate, realizzato da mastro
Mazulo, ricco di sculture con animali simbolici; negli oculi degli archi è impresso l'albero
della vita. Accanto svetta l'alto campanile, opera di Deusdedit (1063), impreziosito da inserti
cromatici. L'interno della chiesa è a tre navate, ripartite da colonne di recupero romane e
bizantine. La parte più antica vicino all'abside risale al VI secolo; il pavimento del XII
secolo è a tarsie di marmi preziosi, con motivi geometrici, animali mostruosi, elementi
vegetali e figurativi. Le pareti della navata centrale sono rivestite da affreschi di scuola
bolognese della metà del Trecento e dai resti di decorazioni pittoriche precedenti. Nell'abside,
opere di Vitale da Bologna e aiuti (1351). Il monastero si affaccia sul cortile che conserva i
pilastri angolari del primitivo chiostro (XII sec.). Sul lato Est si apre la Sala capitolare,
con portale e bifore a ogiva (all'interno, affreschi trecenteschi); nello spazio del dormitorio
superiore ha sede il Museo pomposiano, dove è esposta una raccolta di oggetti provenienti dal
restauri e dagli scavi del complesso. Sul lato Sud è il refettorio, con un significativo ciclo
di affreschi di maestro vicino a Giuliano e Pietro da Rimini o a Giovanni Baronzio. Il Palazzo
della Ragione, infine, chiude il lato Ovest del chiostro; edificato nell'XI secolo, vi si
amministrava la giustizia. Si caratterizza per la serrata sequenza delle arcate del portico al
piano terra e per la loggia superiore.
Comacchio
(21.502 ab.). Cittadina in provincia di Ferrara. Dista sei chilometri dal mare, col quale
comunica per mezzo di un canale sfociante al porto di Magnavacca. Sorse su tredici isolette in
epoca tardo-romana, in posizione strategica per il controllo delle rotte adriatiche e le vie
d'acqua dell'entroterra padano. Poco distante era Spina, centro etrusco fiorito dalla fine del
VI al III secolo a.C. Comacchio raggiunse la massima prosperità tra i secoli VI e IX, grazie
alla pesca, alla produzione del sale e al commercio marittimo; è noto il capitolato del re
Liutprando (VIII sec.), che riconosce i diritti di Comacchio per il commercio del sale dei
porti fluviali della Longobardia. Più volte occupata e distrutta dai veneziani, nel 1299 passò
sotto gli Estensi e due secoli dopo allo Stato della Chiesa; la città iniziò un lento declino,
nonostante l'intensa attività edilizia e urbanistica della prima metà del Seicento e alla quale
Comacchio deve in gran parte la sua attuale fisionomia. Nonostante sia oggi quasi interamente
circondata dalla terraferma, la sua particolare conformazione e l'intimo rapporto con
l'elemento acqua richiamano ancora l'immagine di una piccola Venezia.
Al centro della
città antica sorge l'elegante Loggia dei Mercanti o del Grano (1621) dalla svettante Torre
dell'Orologio (trecentesca, rifatta nel 1824). Poco lontano è la Cattedrale di S. Cassiano,
originaria dell'VIII secolo e ricostruita su progetto di Angelo Cerutti nella seconda metà del
Seicento. Notevole la torre campanaria poggiante su un'enorme base in pietra d'Istria.
Seicentesche anche la chiesa del Rosario (1618) e la chiesa di S. Maria in Aula Regia (1655).
I ponti sono un elemento distintivo di Comacchio: sul canale Maggiore rimangono il Ponte
S. Pietro e il Ponte degli Sbirri di Luca Danesi (1631-35). A quest'ultimo si deve anche il
singolare complesso dei Trepponti (1634) eretto su due canali che si intersecano e composto da
cinque arcate sovrastate da due torri con funzione difesiva.
Le Valli di Comacchio
costituiscono una grandiosa zona umida di oltre 11.000 ettari, dai caratteri paesaggistici e
naturalistici unici. Sono quanto rimane di un vastissimo comprensorio lagunare e vallivo che
per secoli ha caratterizzato il territorio sud-orientale della provincia di Ferrara, segnato
inoltre da insediamenti umani peculiari, quali i "casoni" da pesca e i "lavorieri" (impianti
per la cattura delle anguille). Presso Casone Foce si trova il Museo delle Valli di Comacchio.
Il centro di Comacchio (Ferrara)
Correggio
(20.278 ab.). Centro in provincia di Reggio Emilia, deriva il nome dalla lunga striscia
di terra "corrigia" che emergeva tra i torrenti Cròstolo e Tresinaro. Nato intorno a una pieve
longobarda, fu dominio fin dall'Alto Medioevo della famiglia che ne prese il nome: i Da
Correggio. Sotto di essi si sviluppò una splendida corte che accolse poeti e letterati come il
Tasso, l'Aretino, il Bembo e l'Ariosto. Grande fu il mecenatismo della poetessa Veronica
Gambara, vedova del conte Giberto X, e di Claudia Rangone, moglie di Giberto XI. A Correggio
nacque il grande pittore Antonio Allegri detto il Correggio (1489-1534). Nel 1452 il feudo fu
elevato a contea e nel 1559 ottenne il rango di città. Deposto dall'imperatore Ferdinando II,
l'ultimo dei Da Correggio, fu annessa al ducato di Modena nel 1635.
La rinascimentale
residenza dei Da Correggio, detto il Palazzo dei Principi, fu compiuto poco oltre il
1500, forse su disegno di Biagio Rossetti. Chiara l'impronta ferrarese, che si riscontra anche
nel colore rosato del cotto e negli ornati. Attraverso lo splendido portale, ricco di
figurazioni (opera di un maestro della scuola di Pietro Lombardo), si accede al cortile
porticato. Di grande interesse gli ambienti interni, tra i quali lo scenografico
salone
delle Capriate. Il palazzo ospita la Biblioteca civica, gli Archivi storico,comunale e
notarile e il Museo Civico, che custodisce, tra l'altro, un
Redentore di Andrea Mantegna
(1493).
La basilica di S. Quirino fu eretta tra il 1513 e il 1587 su disegno attribuito al
Vignola, ed è affiancata da una torre trecentesca. L'asse viario più caratteristico della
cittadina è corso Mazzini: ampio come una piazza, tutto acciottolato, chiuso dalle case
porticate con facciate dai colori pastello e abbellimenti settecenteschi e neoclassici. La
strada si allarga a formare la "piazza" limitata dal Palazzo della Ragione con la torretta
dell'Orologio, opera di Quirino Asioli (XVIII sec.); vi prospetta il Palazzo del Municipio,
dall'elegante scalone settecentesco. Nel Borgo Vecchio, corrispondente all'area urbana del XIII
secolo, sorge la ricostruzione della casa del Correggio, fatta nel 1755. La chiesa di S.
Francesco è il polo di aggregazione del Borgo Nuovo, formatosi nel XV secolo. L'armoniosa
architettura in cotto e il più antico caratteristico campanile pendente preludono al suggestivo
interno a tre navate con archi a sesto acuto su pilastri polistili.
Cortemaggiore
(4.508 ab.). Città in provincia di Piacenza, diventata la capitale italiana degli
idrocarburi da quando, nel dopoguerra, l'AGIP vi ha impiantato grandiose strutture per lo
sfruttamento dei ricchi giacimenti di metano. La città antica rappresenta un ben conservato
esempio dell'urbanistica rinascimentale; Cortemaggiore fu infatti rifondata verso il 1470 da
Gianlodovico Pallavicino, intenzionato a farne la nuova capitale del suo stato con il nome di
Castrum Laurum. Del progetto fu incaricato Maffeo Carretto, coadiuvato da Gilberto Manzi, che
concepì un rettangolo regolare di m 400x350, attraversato da sette ampie vie rettilinee e
parallele intersecate da otto trasversali, formanti una scacchiera di isolati.
All'estremità Sud della città sono i resti del Palazzo signorile, con elegante loggiato, e
della Rocca. Sulla vasta piazza Grande (dei Patrioti) si erge la collegiata di S. Maria delle
Grazie (Gilberto Manzi, 1481), prodotto della cultura tardo-gotica lombarda, con campanile del
Cinquecento e facciata del 1881. All'interno, di grande interesse l'arca sepolcrale di
Gianlodovico Pallavicino, ornata di squisiti rilievi (1499), e una serie di tavole dipinte da
Filippo Mazzola, padre del Parmigianino (1499). La chiesa della SS. Annunziata, con facciata di
tipo lombardo caratterizzata da elementi gotici e protorinascimentali, conserva all'interno un
ciclo di affreschi del Pordenone, autore anche della grande tela della
Deposizione.
Infine l'oratorio di S. Giuseppe, gioiello barocco (1576-93), impreziosito da stucchi di
Bernardo Barca e Domenico Dossa e da dipinti di G.B. Tagliasacchi.
Faenza
(54.118 ab.). Città in provincia di Ravenna, nella pianura romagnola. Sorge sulla via
Emilia ed è lambita dal fiume Lamone. Vivace mercato agricolo e centro industriale. Nota come
la "capitale della ceramica" per una secolare tradizione di artigianato artistico, tanto che
dalla seconda metà del Cinquecento si diffuse in Europa il termine
faïence (faenza)
per indicare la ceramica stessa. Tuttavia, Faenza è anche una città artisticamente degna di
grande attenzione, soprattutto per merito delle testimonianze del periodo neoclassico, di
livello assolutamente europeo.
Faenza fu fondata alla fine del II secolo a.C. dai Romani
con il nome di
Faventia. I più significativi episodi urbanistici del Medioevo furono la
creazione del borgo Durbecco a Est, oltre il Lamone (XI sec.), e l'allargamento urbano dovuto al
formarsi di comunità religiose attorno al centro (XIII sec.). Libero comune dal XII secolo, fu
in seguito conquistata dai Manfredi, che ne mantennero la signoria dal 1313 al 1501. Furono in
particolare Astorgio II e Carlo II (1448-77), influenzati dal clima umanistico della Firenze
medicea, a promuovere significativi interventi architettonici e urbanistici, quali la fabbrica
del Duomo, la sistemazione delle piazze centrali e l'edificazione delle mura, mantenute fino al
primo Novecento. Conquistata da Venezia, Faenza entrò nel 1510 a far parte dei domini della
Chiesa. La felice stagione neoclassica si aprì nell'ultimo quarto del Settecento, grazie alla
committenza dell'alta borghesia cittadina, aperta alle istanze culturali illuministiche e
influenzata dal gusto francese; protagonisti del momento furono gli architetti Giuseppe
Pistocchi e Giovanni Antolini, il pittore Felice Giani e lo scultore Antonio Trentanove.
L'attuale aspetto di Faenza rivela gli interventi di ricostruzione del secondo dopoguerra, dopo
gli ingenti danni bellici; la città ha assunto una fisionomia frammentata, ove frequentemente,
fra pregevoli emergenze artistiche si inseriscono scadenti costruzioni moderne.
L'impianto
romano di Faenza si legge chiaramente nell'andamento viario a maglia ortogonale sul cui cardine
principale si allineano le piazze centrali. Su piazza della Libertà, in posizione sopraelevata,
sorge l'imponente struttura del Duomo, dalla severa facciata rimasta al grezzo, ingentilita
dalle finestre e dagli oculi. Eretto dal 1474 al 1511 su progetto del fiorentino Giuliano da
Maiano, ha un interno a croce latina e a tre navate di impronta brunelleschiana, ma con
caratteri di ascendenza romanica e gotico-padana, quali l'alternanza pilastri-colonne e le
volte a vela. Da notare la classicissima arca di S. Savino, scolpita dal fiorentino Benedetto
da Maiano (1474-76).
Nella scenografica piazza del Popolo si fronteggiano due lunghi
porticati a doppio loggiato, frutto di un progetto manfrediano di ispirazione vitruviana,
compiuto fra il XVII e XVIII secolo e ridisegnato nell'Ottocento. Dal lato della torre è il
Palazzo del Podestà, antico Palazzo comunale (XII sec.), ampiamente rimaneggiato e poi
restaurato "in stile" a fine Ottocento. Di fronte è il palazzo del Municipio, già residenza del
capitano del popolo (XIII sec.) e quindi dimora dei Manfredi, che conserva ben poco della
struttura originaria; un passaggio coperto, con volta decorata a grottesche (XVI sec.), immette
nella corte della Molinella dove prospetta il teatro Masini, di Giuseppe Pistocchi (1780-87).
Appartengono ancora al periodo signorile le case Manfredi (sec. XIV-XV), con tracce
dell'originaria decorazione in cotto e le quattrocentesche case Ragnoli.
Della prima metà
del Settecento sono il poderoso Palazzo Ferniani con pregevole soluzione dell'angolo (1740-50)
e il Palazzo Bertoni (1745); del Palazzo Morri (XVI sec.) si notano i bellissimi scaloni, uno
barocco, l'altro neoclassico. Interessante per l'edilizia sette-ottocentesca è corso Matteotti:
vi emerge il fastoso Palazzo Bertoni (1768).
Il magistero degli artefici della stagione
neoclassica faentina - gli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antolini, il pittore Felice Giani e lo scultore Antonio Trentanove - si rivela appieno nell'imponente Palazzo
Milzetti, oggi sede del Museo del Neoclassicismo. Eretto su progetto di Pistocchi e Antolini
(1794-1802), ha la facciata ritmata dagli stipiti bugnati delle finestre; preziosissima la
decorazione degli ambienti interni, opera di Felice Giani, che in alcune scene rivela contenuti
simbolici ed esoterici propri dell'ideologia massonica; notevole pure l'ornamentazione a stucco
di Antonio Trentanove (galleria di Achille, gabinetto d'Amore, sala da bagno). Corso Mazzini è
la via maggiormente rappresentativa dell'edilizia sette-ottocentesca; allinea la casa che
Giuseppe Pistocchi edificò per sé (1787-90), il Palazzo Conti e il Palazzo Gessi, entrambi del
Pistocchi, il Palazzo Zanelli dalla plastica facciata (1750 ca.); più avanti, la Casa Morri,
tipico esempio del nitido neoclassicismo faentino (1805-10). Su corso Garibaldi prospetta il
Palazzo Laderchi (opera di Francesco Tadolini, 1780), con l'interna galleria decorata da Felice
Giani e Antonio Trentanove; segue la Casa Caldesi, opera alquanto convenzionale di Giuseppe
Pistocchi (1800 ca.).
All'estremità occidentale del centro storico è la chiesa di S. Maria
Vecchia, detta anche S. Maria foris Portam, perché all'esterno delle mura sino alla metà del XV
secolo; della chiesa originaria, rifatta intorno al 1655, invertendone l'orientamento, rimane
il campanile ottagonale, affine ai modelli ravennati (IX sec.). Nel borgo Durbecco, quasi
interamente ricostruito dopo gli eventi bellici, si nota la chiesa della Commenda, risalente al
XII secolo, ma modificata nei tre successivi; nel catino dell'abside, affreschi di Girolamo da
Treviso (1533). Settecentesche sono le chiese di S. Umiltà (1741-44), le cui linee semplicissime
non lasciano presagire l'incantevole interno rococò; di S. Francesco, con la bella Cappella
della Madonna della Concezione; dei Ss. Ippolito e Lorenzo (1771-74), con elegante
ornamentazione a stucco di Antonio Trentanove.
Il Museo Internazionale delle Ceramiche ha
sede nell'ex convento di S. Maglorio. Fondato nel 1908 e risorto dopo la quasi completa
distruzione bellica, raccoglie una vasta documentazione relativa alla produzione ceramica nel
mondo. Si segnalano la copiosissima creazione locale, dalla fase arcaica (XIII-XIV sec.) a
quella del primo e del secondo istoriato, ai tipi dei "bianchi di Faenza", sino alla raffinata
produzione barocca e neoclassica della fabbrica Ferniani; le collezioni delle ceramiche delle
regioni italiane, con prevalenza di quelle umbro-marchigiane, poi toscane, venete, abruzzesi,
pugliesi, campane e lombarde; la raccolta delle targhe devozionali, ampio campionario di arte
popolare dal XV al XX secolo; le sezioni del Medio ed Estremo Oriente e delle civiltà
precolombiane; fra le opere moderne, gli esemplari di alcuni maestri del Novecento (Picasso,
Chagall, Matisse, Léger, Rouault).
Nell'ottocentesco Palazzo dei Gesuiti è ospitata la
Pinacoteca comunale; conserva soprattutto opere di scuola faentina e romagnola (XIV-XIX sec.),
ma anche importanti esemplari di ambito esterno. Fra i dipinti,
Madonna col Bambino e
santi di Giovanni da Rimini,
Madonna in trono col Bambino e i Ss, Michele e Andrea
di Marco Palmezzano;
Cane e sporta di Arcangelo Resani. Fra le sculture:
S. Girolamo,
legno policromo di Donatello; il delicato busto in marmo col
S. Giovannino, attribuito
ad Antonio Rossellino; infine due splendide casse nuziali quattrocentesche, in legno dorato e
intarsiato.
Fidenza
(23.182 ab.). Cittadina in provincia di Parma, sulla Via Emilia a metà strada tra Parma e
Piacenza, presso la riva destra del rio Stirone. Fiorente mercato agricolo e centro industriale
(calzature, fertilizzanti, materiali per costruzioni stradali). Centro romano, nel 41 a.C.
Ottaviano le conferì la cittadinanza romana con il nome di
Julia Fidentia. Secondo la
tradizione, nel 291 d.C. qui venne martirizzato S. Donnino. Tra il VII e il IX secolo si
affermò la denominazione di "Borgo San Donnino", che rimarrà fino al 1921. Nell'XI secolo
divenne capoluogo di contea e successivamente feudo dei Pallavicino; da questi fu ceduto nel
1145 al comune di Piacenza. Nel 1199 se ne impadronirono i parmigiani. Nel 1249, Federico II
investì Oberto II Pallavicino della signoria di Fidenza, perduta nuovamente nel 1268 ad opera
della città di Parma, contro la quale Fidenza si costituì, nel 1281, in libero Comune. Nel 1335
passò sotto lo Stato milanese, prima con i Visconti e quindi con gli Sforza. Tornata nuovamente
ai Pallavicino, nel 1545 la città entrò a far parte dello Stato dei Farnese. Il duca Ranuccio
le conferì il titolo di città e nel 1575 Ottavio Farnese iniziò la costruzione di una cinta
muraria bastionata a sette lati, che ancora oggi caratterizza la pianta del nucleo storico
della città. Fidenza fu ricostruita nel dopoguerra, dopo le ingentissime distruzioni del 1944.
Piazza del Duomo, ben conservato centro del borgo altomedievale e attraversato un tempo dalla
Via Emilia, è dominata dalla maestosa facciata della Cattedrale di S. Donnino ed è delimitata a
est da una linea di case antiche e a Nord dalla Portadi S. Donnino. La prima fondazione della
Cattedrale risale al periodo paleocristiano, quando venne costruita una piccola chiesa per
custodire le spoglie di S. Donnino. Nel Medioevo la chiesa divenne tappa obbligatoria per i
pellegrini che lungo la Via Francigena si dirigevano a Roma.
Considerato uno dei massimi
esempi dell'architettura romanica padana, la Cattedrale deve il suo assetto attuale a tre fasi
successive di sviluppo: tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII fu definita la struttura
basilicale a tre navate; verso la fine del XII secolo, su progetto di Benedetto Antelami, fu
realizzata una nuova facciata delimitata da due torri; infine, negli ultimi anni del XIII secolo,
vennero costruite l'abside in forme gotiche e le volte a crociera ogivali che coprono la navata
centrale. Le cappelle laterali, invece, furono aggiunte solo nel Cinquecento. Nella facciata,
chiusa fra due torri gemelle, si aprono tre portali, notevoli per la ricchezza delle decorazioni
scultoree e incorniciati da protiri assai elaborati. Opera della scuola antelamica è il portale
mediano. Una sorta di bassorilievo "a nastro", raffigurante episodi dell'infanzia di Cristo e
della vita di S. Donnino, corre lungo la facciata.
Al campanile, opera di Giovanni del
Bruno (1569), si affianca la bella abside del 1287. L'interno, a tre navate, è una struttura
slanciata sovrastata da matronei a quadrifore. Molte sculture presenti dell'interno rivelano la
grande scuola di Antelami: nell'abside le opere più pregevoli:
Cristo giudice affiancato
dai simboli degli Evangelisti e da figure di angeli. Nel Museo Diocesano è collocato il
manufatto di maggior pregio: la statua della
Madonna in trono col Bambino, opera di
Benedetto Antelami (fine XII sec.).
Piazza Garibaldi è dominata dal Palazzo comunale, un
severo edificio porticato. Sebbene esistesse già nel 1191, la struttura del palazzo risale al
XIV secolo; nella seconda metà del XIX secolo venne rifatta la facciata in stile gotico lombardo.
In piazza Giuseppe Verdi sorge il teatro Girolamo Magnani, iniziato nel 1812 e concluso nel
1861. La ricca decorazione interna è opera dello scenografo fidentino Girolamo Magnani.
Il
Palazzo delle Orsoline, costruito nel 1708 al posto della trecentesca Torre Salvaterra, ospita
il Museo del Risorgimento Luigi Musini, nato grazie alle donazioni dei figli del patriota
locale al quale il museo è intitolato. Nello stesso palazzo è ospitato anche il Museo Paleontofilo, che raccoglie reperti fossili provenienti dal locale
Parco dello Stirone.
Fiorenzuola D'Arda
(13.393 ab.). Centro agricolo in provincia di Piacenza, alla destra del fiume Arda, sulla
Via Emilia. Notevole centro agricolo e commerciale, sorge a metà strada tra Piacenza e Fidenza.
Industria conserviera, salumaria, conciaria, raffinazione del petrolio di Cortemaggiore.
Due sono le tradizioni legate al nome di Fiorenzuola, la prima riferita alle sue origini romane,
la seconda al passaggio di S. Fiorenzo di Tours, vescovo di Orange nel VI secolo. Nei suoi
pressi Rodolfo II di Borgogna, riportò una vittoria su Berengario I, re d'Italia (923). Feudo
dei Pallavicino dal XV secolo al 1585, la città fu quindi ricompresa nell'ambito del ducato
farnesiano seguendone le sorti.
Sul centrale corso Garibaldi (ex Via Emilia) prospettano
il Palazzo Bertamini, con vasto ciclo di affreschi (Bartolomeo Rusca e Francesco Natali, 1723-25),
e il quattrocentesco Palazzo Grossi, adorno di un fregio rinascimentale e di maestose finestre.
Merita una menzione la collegiata di S. Fiorenzo, ricostruzione della fine del Quattrocento,
con caratteri ereditati dal romanico e dal gotico piacentino. Attraverso il rinascimentale
portale in cotto si accede nell'interno a tre alte navate; nell'abside, vasto ciclo di affreschi,
opera di pittori lombardi (fine Quattrocento-inizi Cinquecento).
A circa quattro chilometri
sorge l'abbazia di Chiaravalle della Colomba, iniziata nel 1135 dai Cistercensi per impulso di
Bernardo di Chiaravalle. La leggenda narra di una colomba che, volando e spargendo pagliuzze
con il becco, indicò il luogo per la costruzione dell'abbazia. Il complesso, trasformato nel
Seicento, è stato sottoposto a una serie di ripristini delle condizioni romaniche, condotti tra
il 1893 e il 1963. La facciata è tripartita e preceduta da un atrio; nell'interno, nitidamente
restaurato, sono frammenti di affreschi e opere di influsso giottesco (XIV-XV sec.). Dalla
navata destra si accede al magnifico chiostro, ritmato dalla sequenza delle arcatelle con
colonne angolari recanti il motivo gotico del "nodo".
Forlimpòpoli
(11.314 ab.). Cittadina in provincia di Forlì-Cesena. Posta tra i due capoluoghi, sorge
al centro di un fiorente territorio agricolo. Di chiara origine romana come indica il suo nome
(
Forum Popilii), crebbe come luogo di transito e di mercato grazie alla sua posizione
sulla valle del Bidente e in diretta comunicazione con il mare. Distrutta dal re longobardo
Grimoaldo (seconda metà VII sec.), passò nel basso Medioevo agli Ordelaffi di Forlì. Nuovamente
annientata dal cardinale Albornoz nel 1361, venne ricostruita dagli Ordelaffi, che ne
ampliarono la rocca e ne completarono la cerchia muraria, della quale rimangono tuttora tracce.
Caterina Sforza, Lodovico Rangone e gli Zampeschi ne tennero il feudo tra il 1481 e il 1592,
quando ritornò sotto il diretto governo pontificio.
Nella centrale piazza Garibaldi sorge,
sulle rovine dell'antica Cattedrale di S. Maria Pupiliense, la Rocca, eretta dall'Albornoz alla
fine del Trecento e rafforzata dagli Ordelaffi nel secolo successivo; la sua possente mole a
pianta trapezoidale è completata da torri cilindriche angolari, raccordate da suggestivi
camminamenti coperti e dal bastione d'ingresso con il ponte levatoio. Agli inizi dell'Ottocento
furono aperte le arcate verso la piazza e si ricavò il piccolo teatro Giuseppe Verdi, riformato
nel 1881 con tipiche strutture in ghisa. Il teatro è rimasto famoso per l'episodio della sera
del 25 gennaio 1851, quando il brigante Stefano Pelloni detto il Passatore vi depredò gli
spettatori.
Da notare la chiesa dei Servi (1510-20), dall'insolita pianta circolare, e la
collegiata di S. Rufillo, di origine paleocristiana (VI sec.), rifatta nel XIV secolo e
restaurata nel 1821, con l'aggiunta del pronao neoclassico sotto il quale sono due pregevoli
monumenti sepolcrali degli Zampeschi (XVI sec.).
Gualtieri
(6.041 ab.). Centro in provincia di Reggio Emilia, situato ai piedi dell'argine maestro
del Po. D'origine romana, divenne una residenza fortificata longobarda al margine delle vaste
depressioni vallive della "Bassa". A lungo conteso tra Este e Da Correggio, venne incorporato
stabilmente nel ducato estense nel 1479. La sua fama è associata ai Bentivoglio, che ne tennero
il feudo dal 1567 al 1634; il marchese Cornelio Bentivoglio promosse la grandiosa opera di
bonifica (bonifica Bentivoglio) delle terre a Sud dell'abitato, intrapresa nella seconda metà
del Cinquecento. Tale opera consentì di regolare la situazione idrica recuperando
all'agricoltura un vastissimo comprensorio; a pochi chilometri dalla cittadina, presso gli
impianti della Bonificazione Parmigiana-Moglia si trova la botte Bentivoglio (1566), capolavoro
di ingegneria idraulica, condotto lungo 77 m che consente alle acque del canale di bonifica di
sottopassare il letto del torrente Cròstolo.
Gualtieri è uno dei più significativi centri
minori realizzati in epoca rinascimentale. Fulcro del centro urbano è la grande e scenografica
piazza Bentivoglio, porticata su tre lati. Voluta da Cornelio Bentivoglio, amico di Torquato
Tasso, fu realizzata da G.B. Aleotti detto l'Argenta (inizi XVII sec.). Vi domina l'imponente
Palazzo Bentivoglio, serrato da due torrioni angolari. Residenza signorile fino al 1634, è
stato parzialmente demolito nel 1750. Nell'interno sono notevoli: la grandiosa
Sala dei
Giganti (m 32x18), affrescata da Sisto Badalocchio con episodi della
Gerusalemme Liberata
(XVII sec.) e da Giovanni da San Giovanni con l'
Investitura di Cornelio Bentivoglio, le
sale di Giove e di Icaro; la cappella; il Teatro settecentesco di G.B. Fattori, rifatto nel
1905. Nel palazzo ha sede il
Museo documentario Antonio Ligabue, intitolato al pittore
naďf contemporaneo, gualtierese di adozione. Antica residenza estiva dei vescovi di Parma
è la Palazzina o Villa Guarienti, con un impianto cinquecentesco circondato da un vasto parco
all'inglese (Pietro Marchelli, XIX sec.).
Guastalla
(13.618 ab.). Vivace centro agricolo e industriale in provincia di Reggio Emilia, nella
bassa pianura emiliana, presso la sponda destra del Po. Mercato agricolo e zootecnico;
industrie alimentari, del legno, chimiche, meccaniche. Di origine longobarda, fu donata da
Carlo Magno ai vescovi di Reggio; sotto i Canossa assunse un rilievo strategico per il
controllo del fiume. Passò in seguito ai Da Correggio e ai Visconti che rafforzarono il
primitivo castello e ampliarono l'abitato. Nel 1406 acquisì piena autonomia con la famiglia
Torello, fino alla sua vendita nel 1539 a Ferrante I Gonzaga, famoso capitano al servizio di
Carlo V. I quasi due secoli durante i quali fu sede della corte di un ramo dei Gonzaga
rappresentarono il periodo d'oro di Guastalla. Con il trattato di Aquisgrana, nel 1748, fu
incorporata nel ducato di Parma e Piacenza. Passata ai Francesi (1796), nel 1815 tornò a far
parte del ducato di Parma e quindi nel 1848 a quello estense, del quale seguì le sorti.
Nella conformazione urbana di Guastalla hanno influito il fattore idrografico, che ha
determinato l'andamento curvilineo di alcune strade, ricalcato sugli antichi argini del Po, e
il segno lasciato da una stagione rinascimentale tutt'altro che trascurabile, quando la città
fu oggetto di un vero e proprio piano urbanistico, promosso da Ferrante e Cesare Gonzaga. Nel
1550 l'architetto Domenico Giunti progettò un impianto a maglie ortogonali che inglobasse la
parte medievale (Castelvecchio) e quattrocentesca (Castelnuovo), circondato da una cinta
muraria pentagonale che proteggesse la città sia dalle inondazioni del Po che dagli attacchi
esterni. Nel 1695, l'ingegnere francese Du Plessis realizzò un nuovo circuito a sette lati con
bastioni, muraglie e argini, impronta incancellabile e solo in parte compromessa dalla città.
Nella caratteristica piazza Mazzini, circondata su tre lati da portici, si erge la statua
bronzea di Ferrante I Gonzaga, di Leone I Leoni detto l'Aretino (tardo Cinquecento): sulla
piazza prospettano la Cattedrale, il Palazzo ducale e il Palazzo del Comune, tutti progettati
da Francesco Capriani, detto il Volterra. La Cattedrale, consacrata da Carlo Borromeo nel 1574,
è fiancheggiata da due campanili seicenteschi. Più modesto il Palazzo ducale (1567), adorno di
stemmi delle famiglie Visconti, Torello e Gonzaga; nell'interno, la Galleria Mossina, ricca di
statue e scalone marmoreo, e ambienti con decorazioni di Bernardino Campi (1586).
La città
conserva una serie di abitazioni porticate dell'epoca dei Gonzaga, dove ha sede, tra l'altro,
la Biblioteca Maldotti, con oltre 60.000 volumi e documenti di storia guastallese. In piazza
Garibaldi si trovano la chiesa della Concezione (1579) a pianta ottagonale; la seicentesca
Torre del Pubblico detta anche Campanone. Il santuario della Madonna della Porta di distingue
per il fastoso interno barocco con paliotti di arte carpigiana. Merita una sosta la chiesa di
S. Maria Annunziata o dei Servi (Francesco Capriani, detto il Volterra, 1598), interessante
esempio del barocco emiliano; nell'interno, pala del pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi
raffigurante
I sette beati in adorazione della Pietà. Neoclassico è il teatro Ruggeri
(XVII sec.), riedificato da Giovanni Paglia nel 1814.
A breve distanza dal centro storico
sono l'oratorio di S Giorgio, una pregevole architettura romanica (XII sec.) già nota nel IX
secolo, e la basilica della Pieve, del IX secolo ricostruita nel Duecento in forme lombarde,
rimaneggiata nel 1605 e ricomposta in forme romaniche nel 1926-31.
Imola
(63.999 ab.). Città in provincia di Bologna, sulla sinistra del fiume Santerno. La Via
Emilia divide in due parti pressoché equivalenti l'abitato. L'economia è prevalentemente
agricola, con un fiorente artigianato del mobile, delle ceramiche e del libro. Pur legata
amministrativamente, economicamente e culturalmente al capoluogo provinciale, Imola è una città
che si sente profondamente romagnola. Nata come colonia romana nel II secolo a.C., diventò
municipium (
Forum Cornelii, I sec. a.C.), favorita da uno sbocco mercantile (con
la via Sélice, la strada per Consélice) sul Po e sull'Adriatico. Distrutta dai Longobardi, si
disperse in più nuclei e il collinare
castrum Imolae (l'odierna località di Castellaccio)
darà il nome alla nuova città ricostituitasi attorno alla residenza vescovile (X sec.). Dopo la
fase comunale si affermò la signoria degli Alidosi (1341-1424), poi si alternano al potere i
Visconti e i Manfredi; dal 1473 al 1499 è la volta di Girolamo Riario e Caterina Sforza, sotto
i quali la città ricevette un'impronta rinascimentale ancora leggibile nell'impianto delle
piazze centrali e in alcuni palazzi, ove il segno toscano si amalgama con la materia e la
tradizione locale. Per pochi anni (1499-1503) fu dominio di Cesare Borgia, che chiamò al suo
servizio Leonardo da Vinci quale ingegnere militare; in questa occasione Leonardo eseguì la
famosa pianta di Imola, la prima mappa moderna di una città. Durante il lungo governo
pontificio Imola fu unita alla legazione di Ravenna e visse un diffuso processo di rinnovamento
edilizio; nella seconda metà del Settecento emerge la personalità di Cosimo Morelli, la cui
progettazione di stampo classicista rimane in numerosi edifici della città. In seguito Imola
venne assorbita culturalmente da Bologna e, dopo l'unità d'Italia, si distinse come uno degli
epicentri del socialismo italiano, con Andrea Costa suo primo deputato (1882), e primo comune
italiano ad amministrazione socialista (1889). Oggi la città è nota soprattutto per la presenza
dell'autodromo, che ospita il Gran Premio di San Marino di Formula Uno.
La città storica,
nonostante i danni subiti durante l'ultimo conflitto, presenta un volto ancora compatto e
omogeneo, nel quale è tuttora percepibilissimo l'impianto viario di origine romana. In
posizione appena decentrata, l'armoniosa Piazza Matteotti è il risultato della riqualificazione
urbanistica operata da Girolamo Riario fra il 1474 e il 1484; si sorge l'ampia e solenne
architettura di Palazzo Sersanti, già dimora della signoria, eretto su progetto di Giorgio
Fiorentino (1480-84); le sue armoniche linee rinascimentali risentono dello stile
brunelleschiano, evidente nei pulvini che innalzano i capitelli e danno slancio alle arcate
(motivo ripetuto nei porticati settentrionali della piazza). Di fronte è il Palazzo comunale,
due-trecentesco, ma ristrutturato nella seconda metà del Settecento da Alfonso Torreggiani e da
Cosimo Morelli; l'edificio antico si rivela sul fianco destro, negli archi ogivali con
capitelli romanici; due voltoni uniscono il palazzo ai vicini isolati e creano alle sue spalle
uno spazio raccolto, quasi una "camera" urbana, il vero fulcro del centro cittadino (piazza
Caduti per la Libertà).
La Cattedrale sorge isolata, quasi gigantesca nel contesto urbano
che la circonda. Dedicata a S. Cassiano, risale al XII secolo, ma si presenta del tutto rifatta
dall'intervento di Cosimo Morelli (1781) che ha tuttavia lasciato inalterati i volumi
dell'antica chiesa romanica; la facciata è assai più tarda (Filippo Antolini, 1850), mentre il
campanile è quattrocentesco. Nel classico e arioso interno si nota un mirabile
Crocifisso
ligneo cinquecentesco, forse di provenienza spagnola.
La chiesa di S. Maria in Regola è
un'altra delle realizzazioni imolesi di Cosimo Morelli (1780-86), che la edificò avendo in
mente la lezione del Palladio; pittoresco l'antico campanile a sezione ovoidale, eretto nel
1181; nell'interno, a pianta quadrata, transenne bizantine del VI secolo all'altare.
La
Rocca di Imola è la più rappresentativa delle fortezze romagnole. A pianta quadrata, con torrioni circolari a livello delle
cortine, racchiude il poderoso mastio quadrangolare della precedente fortificazione. Nata come
fortino eretto dagli Alidosi nell'XI sec., fu ricostruita nel 1259 e ulteriormente ampliata nel
1322; il suo aspetto attuale è il risultato degli interventi operati da Danesio Maineri e
Giorgio Fiorentino nella seconda metà del Quattrocento. All'interno sono conservate una
ricchissima collezione di armi (XIV-XIX sec.) e una cospicua raccolta di ceramiche e maioliche
medioevali, fra cui un interessante nucleo di boccali del XV secolo.
Notevoli e ben
conservati alcuni edifici residenziali: il Palazzo Della Volpe, forse opera di Giorgio
Fiorentino (1480 ca.), con ornamentazioni in cotto sulle facciate; il Palazzo Calderini, bella
architettura rinascimentale toscana, atipica per le tre diverse fasce di rivestimento murario;
il cinquecentesco Palazzo Sassatelli Monsignani, dal bel cortile a loggiati. Singolare la
farmacia dell'ospedale S. Maria della Scaletta, che conserva l'arredo originale, con vasi in
ceramica faentina e imolese e pregevoli decorazioni nei soffitti (1794). Il cosiddetto Palazzo
dei Musei è un edificio sorto nel Settecento sull'ex convento di S. Francesco, della cui chiesa
inferiore si vedono ampi resti (parte absidale), mentre la chiesa superiore è stata trasformata
in teatro nel 1811. Il complesso è sede del Museo Civico G. Scarabelli, istituito nel 1857;
particolarmente interessanti sono le stanze di geologia e la sezione di archeologia. Al piano
superiore è la Biblioteca Francescana, che conserva un raro
Salterio latino del Duecento.
Palazzo Tozzoni, una delle migliori realizzazioni di Domenico Trifogli (1726-38), è stato
acquisito dal comune e aperto al pubblico; all'interno ha un suggestivo scalone con statue e
stucchi, ma la cosa più interessante sono gli ambienti arredati, che rivelano la scena
domestica e il gusto di una famiglia nobile tra Sette e Ottocento, e i suoi vasti interessi
collezionistici, che vanno dai dipinti alle terrecotte, dalla numismatica all'archeologia, dai
disegni alle stampe e alle raccolte librarie. Domenico Trifogli ha inoltre lavorato al
rifacimento delle duecentesca chiesa di S. Domenico (1702-18); pregevolissimo il portale
gotico, in cotto finemente lavorato (1340).
Nell'ex convento dei Domenicani ha sede la
Pinacoteca comunale che documenta in particolare le scuole romagnole ed emiliane fra XV e XVIII
secolo. Tra i dipinti di maggiore spicco,
Sposalizio della Madonna e santi di Gaspare
Sacchi,
Madonna col Bambino fra i Ss. Cassiano e Pier Crisologo di Innocenzo da Imola,
alcune opere di Lavinia Fontana (
Madonna di Ponte Santo), due
Nature morte di
Francesco Codino (XVII sec.),
ritratto di Francesco e Giacomo Gommi di Giacomo Zampa
(1775); nella sezione dedicata alla pittura moderna, opere di Filippo De Pisis, Felice Casorati,
Domenico Cantatore, Renato Guttuso.
Lugo
(31.718 ab.). Cittadina in provincia di Ravenna, al centro di una fertilissima pianura a
coltivi. Di origine preromana, crebbe di importanza nel Medioevo come nodo viario sulla strada
S. Vitale, che collega Ravenna con Bologna. Dominio degli Estensi dal 1377, raggiunse grande
sviluppo e prosperità, divenendo il maggiore centro della Romagna estense e sede privilegiata
di scambi, tra cui l'importante fiera-mercato di settembre. Alla sua prosperità concorse la
presenza di una rilevante comunità ebraica, confinata nel 1639 all'interno del ghetto.
Il
centro della città si compone di un insieme articolato di piazze, formatesi agli inizi del
Settecento per soddisfare le esigenze del mercato e della fiera. Vi si distribuiscono le più
importanti architetture della città.
In Piazza F. Baracca, centro civico dove rimane
tuttora la Torre dell'Orologio, sorge il monumento a Francesco Baracca (Domenico Rambelli, 1936),
eroe della Grande Guerra e nativo di Lugo. Alla scuola di Cosimo Morelli appartiene invece la
chiesa del Suffragio, con ricco interno barocco.
In piazza Martiri della Libertà si apre
l'ingresso alla Rocca, costruita nel 1297 da Uguccione della Faggiola (ne rimane il mastio
cilindrico merlato). Il complesso, ristrutturato nella seconda metà del Cinquecento, si dispone
intorno al cortile centrale con bastioni, giardino pensile, torri e cortine murarie. Sede del
municipio, ospita il piccolo Museo Francesco Baracca, ove sono raccolti cimeli e ricordi
dell'aviatore (1888-1918).
Il vero fulcro urbano è il
Pavaglione, un grande
quadriportico chiuso (m 132x84), contenente oltre 80 botteghe. Il primo impianto risale al 1570,
per iniziativa di Alfonso II d'Este. La struttura attuale è una bella architettura del
ferrarese Giuseppe Campana, unica nella regione, completata nel 1783 per ospitare il mercato
dei bozzoli dei bachi da seta e ancora utilizzata per il mercato e per spettacoli estivi.
Su piazza Trisi prospetta il Palazzo Trisi, eretto su progetto di Cosimo Morelli (1764-75);
ospita la Biblioteca Civica e l'Archivio storico comunale. In piazza del Teatro è il restaurato
Teatro Rossini, prototipo di teatro all'italiana, eretto dal Petrocchi (1757-59), con interno
completato da Antonio Galli detto il Bibiena (1760-61).
Luzzara
(8.273 ab.). Cittadina in provincia di Reggio Emilia, al confine con il Mantovano.
Documentata fin dal VII secolo, in epoca altomedievale si trovava su un'isola circondata dalle
acque del fiume Po. Sottomessa al ducato di Mantova, quindi a Guastalla, appartenne infine al
ducato estense. Nota come capitale dei pittori naďf italiani, diede inoltre i natali allo
scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini (1902-89). Nell'ex convento di S. Felice è ospitato
il Museo Nazionale dell'Arte naďf Cesare Zavattini, con ampia documentazione sulla
pittura naďf in Italia e in Europa (interessanti le tele di Antonio Ligabue).
Pregevole la
parrocchiale di S. Giorgio, con abside romanica. A destra della chiesa, il cinquecentesco
Palazzo della Macina, adorno di uno stemma gonzaghesco in terracotta invetriata. Nella piazza
svetta isolata la Torre del Comune eretta nel 1724 utilizzando i materiali delle fortificazioni
cittadine abbattute.
Maranello
(15.165 ab.). Centro in provincia di Modena. Nell'Alto Medioevo era compreso nell'ambito
del sistema fortificato di Matilde di Canossa. Passato al Comune di Modena, seguì le vicende
del ducato estense e venne infeudato ai marchesi Calcagnini che ne conservarono il possesso
fino al 1796. Fu località di villeggiatura per la nobiltà e la ricca borghesia estense. Il
borgo era dominato da una Rocca trecentesca della quale restano, all'interno di una proprietà
privata posta lungo la statale, due torri merlate con caditoie e residui di mura. Presso la
rocca rimane anche l'antica chiesa parrocchiale con interessante torre campanaria.
Maranello è ora indissolubilmente legato alla notissima Casa automobilistica Ferrari la cui
presenza ha influito non poco nella recente storia urbana. Il fondatore, Enzo Ferrari (Modena,
1898-1988), aprì la sua prima scuderia nel 1929 in un'officina nell'allora periferia Est della
città. Il marchio Ferrari, il cavallino rampante, deriva direttamente dall'emblema personale
del celebre aviatore Francesco Baracca, eroe della prima guerra mondiale. Al termine del
conflitto tale emblema fu affidato dai genitori del pilota a Enzo Ferrari, che lo adottò
ponendolo su uno scudo giallo, colore della città di Modena. Ferrari iniziò l'attività
agonistica con l'Alfa Romeo, di cui nel 1938 divenne il direttore sportivo. Due anni dopo se ne
staccò per fondare, presso la vecchia sede della scuderia, l'Auto Avio Costruzioni Ferrari, che
curò lo studio e la costruzione della vettura sportiva 815 spider 8 cilindri 1500 cc. Nel 1943
l'ingegner Ferrari trasferì le officine a Maranello, ampliandone l'organico. Nel 1946 nasce la
prima vettura da corsa "Ferrari 125", 12 cilindri 1550 cc, che il 25 maggio 1947 dà alla
Ferrari la prima vittoria al Gran premio di Roma; da allora, oltre 5000 affermazioni con
trionfi nei campionati mondiali di Formula Uno, mondiali marche, costruttori, 24 ore di Le Mans,
Mille miglia, Targa Florio e Gran premi di Formula Uno. I due stabilimenti di Modena e
Maranello occupano una superficie complessiva di 252.000 mq di cui 94.000 coperti, con 1.550
dipendenti nella produzione e 350 nella squadra sportiva. Producono 3.500 vetture all'anno,
Gran turismo e Formula Uno. Associata dal 1969 alla FIAT, è un marchio di prestigio
internazionale.
Marzabotto
(6.039 ab.). Centro in provincia di Bologna, celebre per la suggestiva città etrusca,
detta convenzionalmente "Misa" dal nome di Pian di Misano dove è stata scoperta. Marzabotto fu
teatro di una feroce rappresaglia nazista (20 settembre-5 ottobre 1944) nella quale furono
trucidati 1.836 civili. Nella moderna Parrocchiale è visitabile la cripta-ossario in memoria
dei martiri.
A Marzabotto furono messi in luce, tra il 1862 e il 1883-89, i resti di uno
dei più straordinari insediamenti protostorici della regione. La vasta area archeologica
comprende il perimetro della città etrusca (VI-IV sec. a.C.), la collina dove sorgeva
l'acropoli e la piana dove si estendeva l'abitato. il nucleo urbano è suddiviso in 8 "regiones"
da quattro strade principali che incrociandosi con le vie minori formano la maglia degli
isolati. Sono riconoscibili i resti di una fornace per laterizi, di una fattoria romana, di una
fonderia per bronzo e di due necropoli. Il Museo Etrusco
Pompeo Aria espone una ricca
documentazione proveniente dagli scavi. Si segnalano:
donna con guerriero e
negro con
anfora sulle spalle (coronamento per candelabri), stele in arenaria con bassorilievo;
bronzi votivi e cippi in pietra per le offerte; ricostruzione di una parte di tetto,
rivestimento di colonna in terracotta, testa di
kouros di provenienza greca; corredi di
due ricche sepolture etrusche.
Massa Lombarda
(8.367 ab.) Centro in provincia di Ravenna, importante per la produzione e lavorazione di
frutta e ortaggi. Nota con il nome di Massa San Paolo fin dal VII secolo, quando apparteneva ai
monaci greci del monastero di S. Maria in Cosmedin di Ravenna. Assunse la nuova denominazione
di Massa Lombarda dopo che nel 1251 vi trovarono rifugio numerose famiglie di profughi
provenienti da Brescia e da Mantova per sottrarsi alle persecuzioni di Ezzelino da Romano,
signore di Verona. Passò nel 1235 al Comune di Imola, quindi agli Estensi, seguendo poi le
vicende dello Stato pontificio.
A Massa Lombarda ha sede, dal 1983, il
Centro per lo
studio della Frutticoltura e Agricoltura della Bassa ravennate A. Bonvicini. Nello slargo
di piazza Matteotti si affacciano la Torre dell'Orologio e il Palazzo del Municipio, al quale
contribuì Cosimo Morelli. Edifici religiosi di pregio sono la chiesa del Carmine (XVI-XVII sec.),
con annesso chiostro, e la settecentesca chiesa di S. Salvatore, dovuta in parte a Cosimo
Morelli e in parte a Zaccaria Facchini. La cinquecentesca parrocchiale di S. Paolo, con
elementi romanico-gotici nella parte absidale, conserva un pregevole coro settecentesco e la
tela dei
Ss. Rocco e Sebastiano di Carlo Cignani. Il complesso già sede della
Congregazione di Carità e l'ex oratorio di S. Maria Assunta ospitano la
Biblioteca e il
Museo civico Carlo Venturini; nella pinacoteca si segnala la
Caduta di S. Paolo di
Sebastiano Filippi detto il Bastianino.
Mirandola
(21.646 ab.). Centro in provincia di Modena, al centro di un vasto triangolo formato dai
fiumi Po, Panaro e Secchia. Mercato agricolo e del bestiame; industrie casearie, dei salumi,
conserviere, metallurgiche, calzaturiere e zuccherifici. Insediata già in età protostorica, fu
colonizzata in età romana. Dall'Alto Medioevo assunse una sempre maggiore importanza strategica
come crocevia dei principali collegamenti della bassa pianura; in quanto tale subì saccheggi,
distruzioni e assedi (famoso quello di papa Giulio II nel 1511). Tipica signoria-cuscinetto
nell'orbita degli Stati estensi, appartenne alla famiglia Pico dal XIV secolo al 1707, quando
venne ceduta al duca di Modena. La fama dei Pico è legata a Giovanni II (1463-94), la "Fenice
degli ingegni", esponente di spicco della cultura umanistica, famoso per la prodigiosa memoria.
Cinta da bastioni tra il 1541 e il 1544, Mirandola fu una delle prime città bastionate d'Italia,
completando una graduale sistemazione urbanistica, iniziata nel XV secolo, che ne definì il
caratteristico perimetro ottagonale. Nel 1617 diventò ducato, raggiungendo nel corso dello
stesso secolo il massimo sviluppo e floridezza.
Poco rimane del piccolo centro
rinascimentale e delle sue celebri fortificazioni. Della reggia dei Pico restano alcune parti e
la ricostruzione neogotica novecentesca di un torrione. Il Palazzo comunale (1468), con
l'elegante portico dalle esili colonne in marmo veronese, custodisce in una sala alcuni
dipinti, tra cui ritratti dei Pico. A destra del Palazzo comunale è il Palazzo della Ragione,
con elementi goticizzanti (XIV sec.), a sinistra, il Palazzo Bergomi (XV sec.), con portico e
ornati in cotto.
La chiesa di S. Francesco d'Assisi, ricostruita nel Quattrocento in forme
gotiche e più volte restaurata, è una delle più antiche chiese francescane d'Italia e pantheon
della famiglia Pico. L'interno è a tre navate scandite da archi ogivali; allineate alle pareti
della navata sinistra, le arche a cassone pensile dei Pico (XIV-XV sec.).
Il Duomo di S.
Maria Maggiore, eretto nel 1447 in forme goticizzanti; conserva i fianchi e le absidi originali,
il campanile seicentesco e la facciata derivata da un rifacimento del XIX secolo. Nell'ex
collegio dei Gesuiti ha sede il Centro culturale polivalente mirandolese; comprende la
Biblioteca Comunale, il Museo Numismatico, il Museo Archeologico e la Pinacoteca, con diversi
ritratti dei Pico, tra cui
Alessandro I d'Este del Peranda e
Alfonso IV di Justus Sustermans.
Nonántola
(11.830 ab.) Centro agricolo in provincia di Modena. La sua vicenda storica e culturale è
sostanzialmente legata all'esistenza dell'omonima famosa abbazia benedettina, fondata alla metà
dell'VIII secolo da Anselmo, duca longobardo del Friuli e cognato di re Astolfo. L'abbazia
divenne una delle più potenti dell'Italia settentrionale, al centro di una vasta unità
amministrativa, accrescendo di prestigio grazie anche alla sua intensa attività culturale con
un proprio
scriptorium. Nel Medioevo promosse un'estesa opera di bonifica nella bassa
pianura modenese. Trasformata in commenda (XV sec.) e passata ai Cistercensi (1514), fu
soppressa solo nel 1769. Fin dall'XI secolo la giurisdizione dell'abbazia sul borgo e sul
territorio era regolata tramite gli accordi della "partecipanza agraria", forma di concessione
in uso delle terre, che permane ancora oggi.
Nell'antico complesso abbaziale emerge la
chiesa di S. Silvestro, di forme romanico-lombarde risalenti al XII secolo, particolarmente
evidenti nella zona absidale. Nella facciata si apre l'originale portale preceduto da protiro
con bassorilievi della scuola di Wiligelmo raffiguranti episodi della vita di Maria e di
Cristo, storie dell'abbazia e, nella lunetta,
Cristo in trono tra angeli e simboli degli
evangelisti, attribuito allo stesso Wiligelmo. L'interno a tre navate è scandito da
possenti pilastri a fascio in cotto; il presbiterio sopraelevato copre la bellissima e vasta
cripta con 64 colonne dotate di capitelli dei secoli VIII-XII. Tra le opere d'arte si ammira,
all'altare maggiore, l'
arca di S. Silvestro e il polittico della
Madonna in trono col
Bambino,
Crocifissione e figure di santi, di Michele di Matteo (1460).
A lato
della chiesa si sviluppa l'edificio del monastero benedettino, caratterizzato da un doppio
loggiato quattrocentesco sul cortile. Nel refettorio, con notevoli affreschi dei secoli XI-XII,
è allestita una mostra permanente di materiale archeologico; del Tesoro dell'abbazia fanno
parte la
stauroteca (croce doppia bizantina dell'XI sec.), che secondo la tradizione
conserva un frammento della Santa Croce, e il ricchissimo Evangeliario detto di Matilde (XIII
sec.).
Porretta Terme
(4.747 ab.). Centro in provincia di Bologna, situato in una bella conca sulla sinistra
del fiume Reno, alla confluenza del Rio Maggiore. è una nota località termale e di villeggiatura.
Le proprietà delle sue acque (salsoiodiche-clorurato-sodiche), scaturite da otto sorgenti
(quattro "Acque Alte" presso il rio Maggiore e quattro "Acque Basse" presso il Reno), erano già
conosciute in età etrusca e romana. L'odierno centro risale agli inizi del XIII secolo, quando
al fiorire delle attività commerciali, artigianali e mercantili si unì la riscoperta delle
acque, trasformando Porretta in una meta dell'aristocrazia e della borghesia non solo bolognese.
La città ottenne privilegi da Bologna e dal 1418 ebbe vita autonoma. Nel 1448 fu elevata a
contea, e data prima ai Sanuti e poi alla famiglia Ranuzzi di Bologna, che ne promossero la
vocazione di stazione termale. Nel 1797 fu fatta capoluogo del dipartimento delle Terme della
Repubblica cispadana.
Nel Settecento gli stabilimenti termali vennero rinnovati e
potenziati, ma la fortuna delle terme e lo sviluppo dell'abitato si verificarono a partire
dall'Ottocento, favoriti anche dall'apertura della strada Porrettana (1816-43), seguita nel
1864 dalla ferrovia. Nel nucleo storico, lungo il rio Maggiore, sorgono i neoclassici
stabilimenti termali Leone-Bovi (XVIII-XIX sec.). Sull'antica piazzetta del Grano prospetta la
parrocchiale di S. Maria Maddalena, eretta nel 1425 e più volte ricostruita (XVI-XVII sec.)
nell'interno, dipinti di Denijs Calvaert e Alessandro Tiarini.
Riccione
(33.661 ab.). Cittadina in provincia di Rimini. Tra i più rinomati centri di
villeggiatura balneare della costa romagnola, è dotato di una delle spiagge più belle e
frequentate dell'Adriatico, con un arenile profondo fino a 200 m. L'abitato è diviso in due dal
porto-canale. Sorto come luogo di sosta lungo la Via Flaminia, nel XIII secolo divenne borgo
con il nome di Arcione (da cui per metatesi, Riccione), sorto presso il Castello degli Agolanti,
di cui rimangono alcune tracce. Piccolo villaggio, Riccione si sviluppa dal 1865, dopo
l'apertura di una stazione della linea ferroviaria Bologna-Ancona. Le nuove concezioni
idroterapiche portano alla costruzione dei primi "ospizi marini" per l'infanzia. Nel 1880
sorgono le prime ville lungo la strada Viola (oggi viale Maria Ceccarini), asse di collegamento
tra la vecchia borgata e il mare. Il centro balneare ha un incremento rapidissimo sulla base di
un piano urbanistico che concepisce una città-giardino a maglia ortogonale. L'istituzione
dell'autonomia comunale nel 1922 e il successivo ventennio segnano l'inizio di una nuova
stagione turistica, con la realizzazione di infrastrutture e alberghi tra i quali l'elegante
Grand Hotel (1929).
Viale Maria Ceccarini è assurto a simbolo di Riccione; qui si
concentrano il passeggio, lo shopping e la vita mondana della città. Nel lungomare, gli
alberghi più belli sono stati ristrutturati, e insieme al Delphinarium Riccione, allo
Stabilimento termale e soprattutto alle numerose discoteche e locali notturni costituiscono le
proposte qualificanti di una vasta offerta ricettiva. Il Museo del Territorio, presso il Centro
civico della Pesa, comprende una sezione geologico-naturalistica e una sezione archeologica.
Salsomaggiore
(18.387 ab.). Centro in provincia di Parma. Situato tra i primi rilievi collinari a
pochi chilometri da Fidenza, è uno dei più importanti centri termali italiani. L'acqua di
Salsomaggiore appartiene al gruppo delle clorurato-sodiche-bromoiodurate.
La struttura
socio-economica della città e soprattutto quella urbanistico-architettonica si definiscono nei
primi decenni del Novecento, secondo lo schema tipico delle "villes d'eau" dell'epoca, che
culmina nelle terme Berzieri (1913-23), vero e proprio fulcro vitale della cittadina e simbolo
della nuova borghesia in ascesa. Il fastoso edificio, ricchissimo di decorazioni che uniscono
lo stile floreale a quello
art déco, citazioni classiche e suggestioni orientaleggianti,
fu iniziato nel 1913 nell'area in cui sorgeva il vecchio stabilimento termale. Venne inaugurato
il 27 maggio 1923 e intitolato a Lorenzo Berzieri, il medico che nella prima metà
dell'Ottocento aprì una prima "casa" per sfruttare le virtù terapeutiche delle acque. Autore
del progetto fu l'architetto fiorentino Ugo Giusti, ma fondamentale risultò l'apporto di
Galileo Chini, a cui si deve l'apparato decorativo interno.
Nel Parco Mazzini, ampio
spazio verde nel cuore della città, sorge il moderno complesso delle terme Luigi Zoja,
progettato da Franco Albini e Franca Helg e inaugurato nel 1968. Sull'elegante viale Romagnosi
si erge imponente il palazzo dell'ex Grand Hôtel des Thermes, grandiosa architettura
liberty-déco trasformata in centro per esposizioni e congressi. Il progetto dell'edificio,
inaugurato nel 1900, è dell'architetto milanese Luigi Broggi, l'apparato decorativo liberty di
Alessandro Mazzuccotelli. Intorno alla metà degli anni Venti, il complesso alberghiero venne
restaurato e modificato da Ugo Giusti e Galileo Chini.
Sassuolo
(40.649 ab.). Cittadina in provincia di Modena, nell'alta pianura emiliana, allo sbocco
del fiume Secchia, presso la sua sponda destra. Polo dell'industria ceramica italiana. Tipica
la fabbricazione del liquore Sassolino. La città fu libero comune parteggiante alternativamente
per Bologna o per Modena; diventò, verso la fine del XII secolo, feudo della famiglia Della Rosa;
passò quindi agli Este (1417) che la cedettero ai Pio di Carpi. Nel 1599 tornò agli Este che,
nella seconda metà del Seicento, la elessero a propria località di villeggiatura. Oggi la città
si presenta come un disordinato insieme urbano formato da insediamenti produttivi, commerciali
e residenziali che si estendono alla fascia pedecollinare.
L'edificio storico più
rappresentativo di Sassuolo è il Palazzo ducale, voluto da Francesco I d'Este e oggi di
proprietà dell'Accademia militare di Modena. Fu edificato su progetto dell'architetto
Bartolomeo Avanzini (1634) trasformando il preesistente Castello dei Pio in "Villa di delizie".
Il complesso evidenzia un particolare rapporto scenografico tra l'abitato e il fiume lungo il
quale si sviluppava il parco. Benché spogli, gli ambienti interni presentano incantevoli
decorazioni a stucco e ad affresco, con sorprendenti effetti
trompe l'oeil: la Sala
della Fortuna, la camera dell'Amore, la camera delle Virtù estensi, la camera del Genio, la
Galleria di Bacco (affreschi di Jean Boulanger, prima metà XVII sec.), il salone delle Guardie
e il salone della Musica. Nel cortile, la
Fontana del Nettuno di Antonio Raggi, su disegno di
Bernini. Nel parco, la splendida barocca Peschiera o Teatro delle Fontane, nata dalla
collaborazione di Bartolomeo Avanzini e Gaspare Vigarani, e il casino del Belvedere
(nell'interno, tempere raffiguranti le ville di delizia Estensi).
Scandiano
(22.549 ab.). Cittadina in provincia di Reggio Emilia, alla destra del torrente
Tresinaro. Importante centro agricolo, commerciale e industriale; dopo il capoluogo è il più
popoloso comune della provincia. Origina da un castello fondato nel 1262 da Gilberto Fogliani
con il concorso di famiglie di fuorusciti guelfi sconfitti nella battaglia di Montaperti, nel
Senese (1260). Dopo l'occupazione estense (1409), fu dato in feudo ai Boiardo che lo tennero
fino al 1560; passò in seguito ai Thiene, ai Bentivoglio e infine ritornò a un ramo degli
Estensi. Ricco di storia, è luogo di interesse monumentale; diede i natali, tra l'altro, ai due
grandi scienziati Antonio Vallisneri (1661-1730) e Lazzaro Spallanzani (1729-99), di cui la
città conserva ancora l'elegante residenza.
La Rocca dei Boiardo, riadattata a residenza
signorile, è oggi di pertinenza dell'Accademia militare di Modena. La lunga facciata a Sud è di
raffinata fattura barocca, con una magnifica torre angolare. L'ingresso, sul lato Nord, si
distingue per la massiccia torre con merlatura ghibellina, un tempo munita di ponte levatoio.
Nell'interno si trovavano gli affreschi di Niccolò dell'Abate con
scene dell'Eneide
(1540), ora esposti alla Galleria Estense di Modena. Di fronte alla rocca sorge la pieve di S.
Maria, con il quattrocentesco campanile. Nel centro storico della cittadina si eleva la Torre
dell'Orologio, antico ingresso al castello, ristrutturato nel XVI secolo.
Vignola
(20.180 ab.). Centro in provincia di Modena, alla sinistra del fiume Panaro. Capitale
della ciliegia, ha improntato la propria economia sulla produzione di questo frutto. Fu patria
dell'architetto Jacopo Barozzi detto il Vignola e dello storico Ludovico Antonio Muratori.
Il suo edificio-simbolo è la celebre Rocca, uno dei più interessanti esempi di architettura
fortificata della regione, ora di proprietà della Cassa di Risparmio di Vignola. Citata nel IX
secolo, la Rocca fu fondata secondo la tradizione dagli abati di Nonàntola; soggetta in seguito
ai vescovi e al Comune di Modena, quindi agli Estensi nel 1336, che la infeudarono alla
famiglia dei Contrari. Imponente e compatta, la struttura è serrata da quattro torri angolari
(Nonantolana, delle Donne, del Pennello e dell'Orologio) e sormontata da un coronamento a
beccatelli e merlature, sulle quali si notano tracce di affreschi. Per il ponte levatoio si
entra nella suggestiva corte interna dalla quale si accede al piano terra, con le sale di
rappresentanza dette dei Leoni e dei Leopardi, delle Colombe, degli Anelli e dei Cardinali,
adorne di decorazioni araldiche (XVI sec.). Al piano superiore, le stanze di abitazione con la
cappella, le sale delle Donne, dei Fatti, dei Contrari, dei Cani, degli Stemmi, dei Tronchi
d'Albero (ciclo di affreschi tardo-gotici, di ignoto artista ferrarese).
Di fronte alla
Rocca si affaccia il Palazzo Boncompagni, dei secoli XVI e XVII, realizzato su disegno del
Vignola o, più probabilmente, dal ferrarese Bartolomeo Tristano; nell'interno, ardita scala a
pianta ovale con gradini pensili.
Repubblica di San Marino
(61.13 kmq, 26.232 ab.). A poche decine di chilometri dalla costa e dalla città di Rimini è la
Repubblica di San Marino, la più piccola e antica repubblica del mondo, posta a ridosso del
Montefeltro, tra le valli della Marecchia e del Conca. L'antico nucleo abitato della capitale,
San Marino, è abbarbicato alle pendici occidentali del monte Titano, il cui possente profilo a
strapiombo è identificabile a lunga distanza nella pianura adiacente alla costa.
L'insediamento risale, secondo la leggenda, al lapicida dalmata Marino qui giunto nel IV secolo
per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano. Nel IX secolo fu riconosciuta l'autonomia
amministrativa e territoriale alla Comunità. Tra i secoli XII e XV questa ampliò il suo dominio
contrastato dai Malatesta di Rimini; i suoi confini sono immutati dal 1406. Una moderna
espansione edilizia di scarsa qualità ne ha alterato la fisionomia storico-paesaggistica, il
luogo conserva tuttavia nel suo insieme una struttura urbanistica di sapore medievale,
rinchiusa nelle mura cinquecentesche.
Il sistema fortificato è una delle principali
attrazioni di San Marino. La Rocca o
Guaita è cinta da due ordini di mura; la torre,
risalente all'XI secolo, fu rifatta nel Quattrocento. Da questa posizione si apre un suggestivo
e amplissimo orizzonte. Si continua lungo le mura merlate, percorrendo il sentiero sull'orlo
del precipizio fino alle mura della Fratta (XIV sec.) e da qui alla seconda Torre della Cesta
(XIII sec.) dove è ospitato il Museo delle Armi antiche. La terza e più avanzata difesa è la
Torre del Montale (inizi XIII sec.), isolata all'estremo picco del monte.
Centro della
vita civile della capitale è piazza della Libertà (già detta Spianata del Pianello), ove
prospetta il Palazzo del Governo. Eretto nel 1894 sul posto dell'antica
domus magna communis
su disegno di Francesco Azzurri e ispirato ai palazzi comunali del Trecento, si distingue per
la struttura slanciata coronata dalla torre merlata con l'orologio.