Generale e uomo politico italiano. Figlio di Domenico e di Rosa Raimondi di
Loano, iniziò la carriera marinara a 15 anni come mozzo. Durante un
viaggio nel Mare d'Azov, nel 1832, come capitano mercantile, prese contatto con
esuli liguri che lo iniziarono alla Giovine Italia. L'anno dopo, incontratosi a
Marsiglia con Giuseppe Mazzini, prese parte al tentativo d'insurrezione che
sarebbe dovuto scoppiare a Genova, nel 1834, contemporaneamente con il moto
mazziniano della Savoia. Fallito il tentativo, fu condannato a morte e si
rifugiò a Marsiglia. L'anno dopo si imbarcò per Rio de Janeiro,
rimanendo nell'America del Sud per 12 anni. Partecipò prima
all'insurrezione della provincia repubblicana di Rio Grande do Sul contro
l'impero di don Pedro, poi difese l'Uruguay contro il tiranno argentino Rosas. A
Montevideo, nel 1843, la legione italiana, formata di esuli, vestì per la
prima volta la leggendaria camicia rossa. All'inizio del 1848 s'imbarcò
per l'Italia alla notizia dei tentativi insurrezionali di Palermo; durante la
prima guerra d'Indipendenza capeggiò alcuni battaglioni di volontari
forniti dal governo provvisorio di Milano; in seguito all'armistizio di Salasco,
sdegnato per la politica piemontese, lanciò un proclama invitando gli
italiani a proseguire la guerra per bande e, sconfitti gli austriaci,
entrò in Varese. Accerchiato successivamente da forze preponderanti, si
rifugiò in Svizzera. Fautore della ripresa della guerra, deputato della
città di Macerata, partecipò alla proclamazione della Repubblica
Romana, e a lui fu affidata la difesa della città. Con i volontari
sconfisse il 30 aprile 1849, presso porta San Pancrazio, le truppe francesi
inviate da Napoleone III, e successivamente, a Palestrina e Velletri, le milizie
borboniche penetrate nei territori da sud. Ma la maggior fama gli venne
dall'epica difesa di Roma dal Gianicolo, in seguito agli attacchi dei Francesi
del generale Oudinot prima che scadesse la tregua; la resistenza si
prolungò per un mese. Caduta la Repubblica, uscì da Roma con 4.000
uomini e, braccato dagli Austriaci, si rifugiò nel territorio neutrale di
San Marino dove fu costretto a sciogliere la sua legione. Alcuni suoi compagni,
come il padre barnabita Ugo Bassi e il popolano romano Ciceruacchio, vennero
catturati e fucilati. Contemporaneamente, nella pineta di Ravenna, gli
morì di fatiche la moglie Anita, incinta, che lo aveva seguito nelle sue
imprese. Arrivato fortunosamente in territorio sardo, cominciò per lui un
nuovo periodo di esilio e di peregrinazioni. Proseguì per qualche anno
l'attività marinara, e nel 1857 si stabilì nella piccola isola di
Caprera, a Nord-Est della Sardegna. Contemporaneamente divenne vicesegretario
della
Società Nazionale, alla quale partecipavano (sotto il motto
Italia e Vittorio Emanuele) i fautori del principio che la monarchia
sarda facesse propria la causa italiana. L'anno dopo, divenuto generale
dell'esercito sardo, capeggiò un corpo di volontari, i Cacciatori delle
Alpi, che durante la seconda guerra d'Indipendenza combatterono all'estrema
destra dello schieramento italo-francese, battendo gli Austriaci a Varese e a S.
Fermo. Nel 1860 il Partito d'Azione decise di tentare una spedizione in Sicilia,
in seguito al fermento rivoluzionario dell'isola. La spedizione, nota col nome
di
Spedizione dei Mille (esattamente 1.089 uomini), partì il 5
maggio 1860 dallo scoglio di Quarto presso Genova. I garibaldini, sfuggito il
blocco della flotta borbonica, sbarcarono a Marsala e si diressero verso
l'interno, mentre
G. assunse la dittatura della Sicilia in nome di
Vittorio Emanuele re d'Italia. Calatafimi, Corleone, Milazzo, sono le tappe
dell'epica impresa che la fantasia popolare trasfigurò subito in
leggenda. Sbarcato infine in Calabria, raggiunse rapidamente la Campania e il 7
settembre 1860 entrò a Napoli, battendo poi definitivamente in ottobre le
restanti truppe borboniche sul fiume Volturno.
G. aveva l'intenzione di
proseguire per Roma, ritenuta la naturale capitale della costruenda Repubblica
Italiana, ma il governo sabaudo, temendo l'intervento di Napoleone III,
inviò l'esercito regolare nel S per sbarrare la strada ai garibaldini. A
Teano i due eserciti si incontrarono e
G. rassegnò la dittatura
nelle mani del re, rifiutò ogni onore e si ritirò nell'isola di
Caprera. Negli anni successivi tentò numerose volte la conquista di Roma,
per conto del Partito d'Azione; nel 1862, essendo il capo del governo Urbano
Rattazzi, sbarcò in Calabria dalla Sicilia coi suoi volontari, ma venne
fermato sull'Aspromonte dalle truppe dell'esercito regolare. Ferito, venne
rinchiuso nel forte di Varignano, e successivamente liberato per amnistia. Nel
1866, durante la terza guerra d'Indipendenza, a capo di un corpo di volontari
riportò nel Trentino le uniche vittorie italiane, ma gli fu impedito di
proseguire a causa dell'armistizio italo-austriaco. All'ordine di fermarsi egli
rispose con il famoso "Obbedisco". L'anno dopo effettuò un nuovo
tentativo di conquistare Roma, ma il fallimento del moto costò la vita, a
Villa Glori, a due dei fratelli Cairoli. Si scontrò infine con le truppe
pontificie e francesi armate dei nuovi fucili detti
Chassepots, e mentre
i suoi volontari si sbandavano, dovette ripiegare. Dimenticando però ogni
rancore, accorse a difendere la Francia durante la guerra franco-prussiana e,
nuovamente a capo di volontari, ottenne l'unico successo francese conquistando
Digione. Fu questa l'ultima delle sue gesta militari. Durante questi tempi
subì sempre più il fascino del socialismo e si orientò
verso l'Internazionale; ma il suo socialismo fu più impeto di passione e
di sete di giustizia per il popolo che meditata costruzione ideologica. Negli
ultimi anni scrisse le memorie, che ci sono giunte in varie redazioni, ed alcuni
romanzi storici:
Memorie autobiografiche, Cantoni il volontario, Clelia o il
governo del monaco, I Mille (Nizza 1807 - Caprera 1882).
Curiosità.
Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza quando era ancora italiana. La sua città viene
ceduta alla Francia per aver sostenuto l'Unità d'Italia.
Quando Garibaldi aveva bisogno di raccogliere un po' le idee si ritirava
sull'isola di Caprera e poco a poco ritrovava l'entusiasmo che gli serviva per
combattere per gli ideali nazionali.
Garibaldi fu uno dei primi ad indossare dei veri e propri Blue Jeans; al
Vittoriano di Roma, nel Museo del Risorgimento, sono custoditi i suoi pantaloni.
Un ritratto di Giuseppe Garibaldi