Imperatore romano. Pastore di origine dacica, si segnalò nell'esercito e
nel 293, nella tetrarchia creata da Diocleziano, fu nominato Cesare per
l'Oriente con residenza a Sirmio e giurisdizione sulla Macedonia, l'Epiro,
l'Acaia, l'Illirico e le province del Danubio. Sposò allora Valeria,
figlia dello stesso Diocleziano. Condusse una serie di battaglie vittoriose
contro i barbari che premevano sui confini dell'Impero lungo il Danubio; nel 297
riportò una splendida vittoria sui Persiani, e nel 299 sui Marcomanni ed
i Sarmati. Divenne allora tracotante ed imperioso, dominando completamente
l'animo debole di Diocleziano. Spinto dalla madre Romula, pagana, superstiziosa
e nemica acerrima dei cristiani, fu il principale promotore della persecuzione
contro di questi. Già dopo la vittoria persiana cominciò a radiare
dall'esercito e dalla corte i cristiani. All'inizio del 303 si recò a
Nicomedia, e dopo una serie di colloqui segreti con Diocleziano, riuscì a
far promulgare il primo editto di persecuzione (303). Un doppio incendio
scoppiò a distanza di pochi giorni nel palazzo imperiale:
G.
riuscì a far cadere la colpa sui cristiani ed a strappare all'esasperato
Diocleziano altri tre editti sanguinari di persecuzione (303-304). Bramoso di
spadroneggiare sempre più, costrinse il vecchio Diocleziano ad abdicare,
e nel 305 prese il titolo e la carica di Augusto. Spiegò allora tutta la
sua crudeltà sanguinaria, perseguitando con maggiore furore i cristiani.
Ma i suoi piani di predominio assoluto furono sconvolti nel 306 quando, per la
morte di Costanzo Cloro, fu acclamato Augusto dai soldati il figlio di questi,
Costantino. Intanto la tetrarchia creata da Diocleziano andava in rovina per il
sorgere di imperatori rivali. Per punire il ribelle Massenzio, nel 307
G.
tentò di occupare Roma, ma abbandonato dai soldati dovette ritirarsi. Nel
310 fu colpito da una grave malattia; vistosi prossimo alla fine e, sembra,
pentito degli orrendi crimini di cui si era macchiato, concesse (311) ai
cristiani di esistere e di riedificare le loro chiese, riconoscendo apertamente
il fallimento della sua persecuzione (nell'Illirico verso la metà del III
sec. - Roma 311).