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èschilo.

Poeta tragico greco. Si hanno poche notizie certe della sua vita. Combatté a Maratona (490 a.C.), dove morì suo fratello Cinegiro. Partecipò per la prima volta a un concorso tragico tra il 499 e il 496 a.C., ma vinse il primo premio solo nel 484 a.C. Fu a Siracusa, invitato da Gerone, verso il 470 a.C. Trasferitosi ad Atene, ritornò poi in Sicilia dove morì. Delle 90 tragedie che E. avrebbe scritto ne sono giunte a noi solo 7 complete, oltre a vari frammenti. Secondo Aristotele, E. portò a due il numero degli attori, creando con il dialogo le basi dell'arte drammatica, e diminuì le parti del coro. Ma nelle Supplici, certo la tragedia più antica che si sia conservata di E. e di tutto il teatro greco, ancora il coro delle 50 figlie di Danao è il primo attore; e vi manca, come anche nei Persiani, il prologo; le strofe del coro non sono ancora complesse: caratteri tutti d'indubbia arcaicità. Seguirono, a distanza, i Persiani (472 a.C.), unica fra le tragedie rimasteci del teatro greco il cui argomento sia preso dalla storia contemporanea. I Sette a Tebe è del 467 a.C.; per la prima volta la tragedia è preceduta da un prologo e il dialogo vi prevale sul coro. Di datazione incerta il Prometeo legato; del 458 a.C. è la trilogia dell'Orestea composta dall'Agamennone, Coefore, ed Eumenidi: in essa come già nel Prometeo, E. ha accettato la novità del terzo attore, introdotta secondo Aristotele da Sofocle, ma le parti liriche tendono di nuovo ad estendersi, e in queste il poeta esprime le sue idee morali e religiose fondamentali. Già nei Sette a Tebe è posto nei suoi termini drammatici il problema delle relazioni tra l'agire del singolo e le colpe della stirpe. Questo problema ritorna e appare più evidente nell'Orestea, nella quale vediamo impegnate nel gorgo del dolore e della colpa due generazioni della stessa famiglia. In quel succedersi di colpe il poeta vuol scorgere anche l'affermarsi di una legge di superiore giustizia. Già fin dalle Supplici il pensiero di E. appare avviato verso una concezione quasi monoteistica, giacché Zeus è per lui onnipotente fra tutti gli dei e la sua onnipotenza non può avere altro fondamento che la giustizia. E. crede, come Solone, in una punizione mirante a ristabilire l'equilibrio che l'uomo ha spezzato con un atto di volontà, con la hybris; vero è che tale violazione della giustizia si ripercuote di generazione in generazione, che la hybris chiama altra hybris; ma è anche vero che la colpevolezza del singolo si rinnova di volta in volta; così Agamennone ed Egisto non espiano soltanto le colpe di Atreo e di Tieste, ma le proprie; e così Clitennestra e lo stesso Oreste, che uccide in obbedienza al volere di Apollo, ma le furie del rimorso lo perseguitano ugualmente finché gli dei non intervengono a giudicarlo ed assolverlo. La volontà umana è libera: l'eredità della colpa non dispensa dalla responsabilità. Questa verità, che E. ha visto nel mito, ritorna nell'unica tragedia di argomento storico, i Persiani, che è un'esaltazione della vittoria di Salamina, ma anche la rappresentazione commossa delle ansie e dei dolori del vinto. Meno facile a intendersi il significato del Prometeo, tanto che si è giunti persino a metterne in dubbio l'autenticità. Anche rifiutando l'interpretazione romantica che ne esaltò il protagonista come un ribelle alla divinità (Prometeo non è un uomo ma un dio egli stesso), resta sempre il fatto che il governo di Zeus appare in quella tragedia violento e tirannico; il che sembra discordare con il concetto che E. mostra altrove della giustizia divina. La risposta si avrebbe forse nella altre tragedie della trilogia (Prometeo liberato, Prometeo portatore del fuoco) purtroppo perdute. Dalla profonda coscienza morale e religiosa l'opera di E. trae la sua caratteristica costante: l'intensità e tensione massima del pathos tragico. L'arte di E. è arcaica, ma non rude e inelegante, ed è soprattutto varia per la grande potenza fantastica che imprime alla lingua e allo stile sempre nuovi splendori, adeguati all'arditezza dei pensieri e delle situazioni tragiche, che si alternano tra scene di passione gigantesca e di delicata soavità (Eleusi 525 a.C. circa - Gela 456 a.C.). ● Encicl. - E. appare, come personaggio, nella commedia Le rane di Aristofane, dove è l'antagonista di Euripide nella gara letteraria che deve decidere quale sia il più grande tragico che abiti l'Ade. Ma la parodia che Aristofane fa dei versi di E. mostra che la sua arte era sentita già allora come arcaica; rarissime sono le citazioni da E. nei classici, scarso il suo influsso sulla poesia greca e latina soprattutto a paragone di quella di Sofocle e di Euripide; si può dire che E. sia stato riscoperto nella prima metà del XIX sec. ● Icon. - Il suo ritratto è stato sicuramente identificato in un tipo noto in più copie, fra cui una doppia erma dove è accoppiato a Sofocle, derivante da un originale idealizzato, risalente forse a quello bronzeo collocato da Licurgo nel teatro di Dioniso ad Atene (340 a.C.).