Branca dell'etnologia che studia le culture musicali originali di tipo arcaico
del mondo intero. Generalmente, la vastissima materia di cui si occupa
l'
e. viene suddivisa in tre grandi sezioni: a) folclore musicale
occidentale; b) civiltà musicali dell'antico oriente; c) musiche e
strumenti di popoli di arretrata civiltà. Questa scienza, relativamente
recente, venne fondata dal fonetista inglese A.J. Ellis che diede alle stampe un
saggio intitolato
On the Musical Scales of Various Nations (Sulle scale
musicali delle diverse nazioni), che indagava con metodi scientifici moderni
sulle musiche orientali. L'importante studio vide la luce nel 1885. Oggi fanno
parte dell'
e. l'
etnofonia, la
geografia musicale, la
musicologia comparata e lo studio delle musiche primitive, di quelle
extraeuropee e del folclore musicale in genere. Una spinta notevole allo
sviluppo dell'
e. fu data dall'invenzione del fonografo mediante il quale
W. Fewkes poté, per la prima volta, registrare i canti originali degli
indiani americani Zuñi. In seguito venne aperto in America un
importantissimo archivio fonografico. Altri due archivi furono in seguito
fondati a Berlino e a Vienna. E proprio a Vienna si formò la prima vera
scuola di etnologia musicale con Pöch, Exner, Lach e Idelsohnn che fecero
notevoli studi sulla musica ebraica, sulla musica delle regioni scandinave e
dell'Europa orientale. A Berlino venne fondata un'altra scuola cui fecero capo
von Homborstel, Stumpf e il notissimo Curt Sachs, autore, fra l'altro, del
più importante catalogo di strumenti. Della
e. si occupa
intensamente anche l'Unesco che nel 1950 ha tentato l'unificazione dei vari
metodi di studio e specialmente di trascrizione dei fonogrammi. Per la
misurazione degli intervalli gli etnomusicologi si valgono tuttora del
monocordo, strumento usato perfino da Aristotele per i suoi studi di
acustica. Ma oggi ci sono anche altri validissimi strumenti che permettono
l'esatta misurazione degli intervalli, operazione necessaria per poter esaminare
le scale musicali usate nei vari paesi orientali, arabi e americani. Oltre che
per la musica dei vari popoli, gli etnomusicologi studiano anche il "parlato"
inteso come una successione di suoni di altezze variabili. Poiché presso
molti popoli vengono usate scale di cinque o di sette gradi, l'etnomusicologo
deve occuparsi anche di esaminare la "sacralità cosmica" di quei numeri
presso le civiltà che ne fanno uso. L'
e. parte dall'assunto, per
risolvere certi problemi, che dalle origini la musica doveva essere soltanto
canto. Esistono infatti genti primitive come i Vedda dell'isola di Ceylon o
alcune tribù isolate della Patagonìa che non hanno mai conosciuto
strumenti musicali di alcun genere. Questa gente, però, usa un
suono-linguaggio che esprime tanto la parola che la musica. L'
e. compie
approfonditi studi anche sull'effettiva origine degli strumenti musicali nati,
secondo gli specialisti, dagli "impulsi motori" della danza. La medesima scienza
ha scoperto, fra l'altro, che la polifonia, ritenuta fino a poco tempo fa
esclusivo retaggio della musica occidentale, è invece presente in tutte
le culture. Inoltre collega un canto attualmente eseguito dal folclore di
qualsiasi paese ad altri canti molto più antichi e derivanti da popoli
anche lontani l'uno dall'altro.