Atto da cui, per mezzo dell'osservazione o della pratica, si perviene alla
conoscenza di un aspetto della realtà. L'
e. si distingue
dall'
esperimento in quanto questo è sempre provocato, è
artificiale, si applica cioè esclusivamente a quelle situazioni
predisposte da chi intende verificare una ipotesi o teoria, mentre
nell'
e. l'oggetto del conoscere è di solito spontaneamente offerto
dalla natura. L'
e. in generale è quindi comprensiva sia dell'
e.
pura (o
e. naturale) sia dell'
esperimento (
e.
artificiale) ● Filos. - Nell'ambito della ricerca filosofica, per
e. s'intende in generale la conoscenza diretta di una determinata sfera
della realtà acquisita personalmente. Nell'antichità il problema
dell'
e. fu posto dai filosofi sofisti nei termini di
nomos (uso) e
physis (natura). Secondo Prodico di Ceo, la storia della civiltà
corrisponde alla trasformazione della
physis in
nomos. Antifonte,
sofista (V sec. a.C.), considera la
physis quale somma di tutte le
e. successive, ordinate in modo da rendere possibile un giudizio. Lo
stoicismo, ponendosi sulle tracce dell'epicureismo, pone i vari gradi della
conoscenza e afferma che il conoscere comincia con la
sensazione alla
quale fa seguito la
rappresentazione e il
ricordo. Quando si
raggiungono vari ricordi della stessa specie, si ha l'
e. da cui deriva la
scienza (sapere intellettivo) che è connessione organica di
concetti. In età medioevale il problema dell'
e., in rapporto a
quello della ricerca della verità, viene proposto da Ruggero Bacone,
secondo cui solo l'
e. costituisce il fondamento valido della
verità. L'
e. è
intuitus, ossia visione diretta,
conoscenza immediata della realtà. Bacone imposta sul terreno
dell'
e. anche il dato della fede, distinguendo tra
e. esterna, nel
senso d'immediatezza del conoscere sensibile, ed
e. interna, nel senso
d'immediatezza del dato della fede per opera dell'illuminazione divina. Il
valore dell'
e. costituisce il fondamento su cui G. d'Ockham pone la
propria visione del mondo. Secondo Ockham dell'
e. di una cosa si
può parlare solo con riferimento alla conoscenza intuitiva di essa,
mentre la
sostanza costituisce il substrato ignoto di quanto l'
e.
rivela attraverso l'osservazione dei fenomeni. Anche la vita spirituale acquista
realtà entrando nell'ambito dell'
e.; l'anima pura, in quanto forma
immateriale, non è oggetto di
e., e di essa perciò non
è possibile fondare scientificamente la realtà. Il problema
dell'
e. acquista grande importanza in età rinascimentale, in
connessione con l'intensificarsi della ricerca scientifica. Leonardo da Vinci
pone come unico criterio della validità delle scienze il grado di
certezza delle proposizioni che esse enunciano, rifiutando, per l'indagine
scientifica, il principio d'autorità, ma basandola essenzialmente sui
dati dell'
e. In tal modo Leonardo anticipa le metodologie scientifiche
successivamente elaborate da Galileo, Bacone, Cartesio. Secondo Galileo,
l'analisi, partendo dal dato sperimentale per giungere alla struttura matematica
che costituisce l'ossatura della realtà, s'integra coi processi della
ragione, attraverso cui il pensiero formula leggi universali che trovano poi una
conferma nell'
e. Francesco Bacone pone per primo il concetto di
esperimento, e il suo pensiero rappresenta nell'età moderna il
primo grande tentativo di elaborazione di una teoria della conoscenza
scientifica. Newton insiste particolarmente sul fatto che bisogna partire
dall'
e. e limitarsi a esprimere il comportamento dei fenomeni che si
svolgono seguendo leggi rigorose. J. Locke distingue un'
e. esterna
(sensazione) e un'
e. interna (riflessione), considerandole come le uniche
irriducibili fonti della nostra conoscenza. L'
e. esterna ci offre gli
elementi primi del conoscere, ossia le idee semplici (colori, suoni, sapori,
ecc.) e l'
e. interna consente all'intelletto di astrarre dalle
qualità sensibili e di formulare idee complesse. Insieme, i due tipi di
e. costituiscono il presupposto della riflessione intellettuale. Locke
prelude implicitamente alle forme complesse trascendentali di Kant. Questi
tuttavia criticò il concetto di
e. proposto da Locke, dimostrando
come l'
e. presupponga alcuni necessari elementi ideali che sono ad essa
uniti, ma che non derivano da essa. Rifacendosi alla distinzione fra
fenomeno (apparenza) e
noumeno (cosa in sé) posta da Kant,
Schopenhauer afferma che la filosofia deve partire dal mondo dell'
e.,
inteso come l'insieme dei dati della coscienza. Per una filosofia essenzialmente
pessimistica e conservatrice come quella di Schopenhauer, il mondo è
immutabile, ragione per cui ogni sforzo umano per migliorarlo è votato
all'insuccesso. Pertanto, nell'
e. umana i margini della libertà
appaiono quanto mai stretti e le possibilità di controllare e dirigere le
situazioni appaiono scarse o nulle. Del problema dell'
e. si è
particolarmente occupato J. Dewey secondo il quale, contrariamente a quanto
vuole l'idealismo, l'
e., la cui materia è data dal mondo fisico e
sociale, è antecedente al pensiero. Essa non è mai né
puramente fisica né puramente intellettuale e neppure è mai
puramente soggettiva. Pertanto, essa non è pura coscienza, una semplice
puntualizzazione dell'
e. del soggetto, ma neppure è, come vuole il
Positivismo, un contenuto oggettivo particolare. Essa è invece un metodo
di ricerca. Alla passività della contemplazione, propria della filosofia
classica, Dewey sostituisce l'
e. che rompe la stabilità apparente
delle cose, scoprendo relazioni e qualità che rimarrebbero altrimenti
nascoste. Dewey precisa che nell'
e. effettiva non incontriamo mai singoli
oggetti o eventi di una situazione. Infatti viviamo e agiamo in connessione con
un ambiente reale, con una situazione particolare, e questo nostro vivere
è un esperimento. Nell'
e., uomo e mondo s'intrecciano e
interagiscono. Pertanto, ogni
e. si attua nel quadro di una situazione
storicamente determinata e presenta un aspetto prevalentemente ricettivo e un
aspetto prevalentemente attivo. L'idealismo ha posto l'accento sull'aspetto
attivo e spirituale, lasciando nell'ombra gli aspetti ricettivi dell'
e.
così che essa viene tutta a incentrarsi sul soggetto libero e creatore.
Da questa concezione idealistica, contraddetta dalla realtà, si distacca
decisamente Marx in cui l'
e. si pone come attività e iniziativa
dell'uomo, a meno che egli non venga privato di ogni iniziativa autonoma nel
lavoro alienato, a lui esterno. In tal modo, l'uomo "non si afferma nel suo
lavoro ma si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera
energia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo
spirito". Alla posizione neopositivista che nega ogni influenza storica,
incentrando tutto sull'
e. scientifica, si contrappone la posizione
antropologica. In particolare, gli studi sulla mentalità primitiva
compiuti da etnologi, psicologi, sociologi, storici delle religioni, hanno
offerto larghi contributi al problema dell'
e. umana, specie con
riferimento al pensiero mitico e alle sue connessioni e contrapposizioni col
pensiero logico e sperimentale. ║ Particolare importanza rivestono,
nell'ambito della ricerca psicoanalitica, le
e. infantili. Infatti, la
maggior parte delle attività psichiche inconsce è costituita da
e. infantili che rimangono nell'individuo adulto come disposizioni
latenti e ne determinano la condotta opponendosi però a qualsiasi
tentativo di divenire coscienti, cioè senza che l'individuo sia in grado
di rendersi conto dei meccanismi che regolano le proprie tendenze. Vivaci
emozioni provate nei primi anni di vita possono far sì che certi
desideri, impulsi, bisogni, istinti, vengano inibiti e restino come forze
segrete che orientano sotterraneamente la condotta dell'individuo. Le analisi
psicologiche condotte su soggetti sani o nevrotici hanno dimostrato che
e. infantili, emozionalmente piacevoli o dolorose (per es. il piacere
provato dal bambino lattante nel succhiare dal seno materno o il dolore
provocato dal divezzamento), esercitano grande influenza su tutta la vita
dell'individuo.