Dir. - La libertà di
e. è sancita dall'art. 16 della
Costituzione secondo cui "ogni cittadino è libero di uscire dal
territorio della Repubblica e di rientrarvi", così come può
"circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale, per
motivi di sanità o di sicurezza". L'unico limite all'
e. è
posto dagli obblighi di legge derivanti dal servizio militare e da eventuali
responsabilità penali. Non sussistendo altri limiti all'
e., il
mancato rilascio del passaporto deve considerarsi un abuso, in quanto lede un
preciso diritto costituzionale del cittadino, non soggetto alla
discrezionalità degli uffici di pubblica sicurezza. Pertanto, in netto
contrasto col dettato costituzionale apparivano i limiti posti dalla legge di
pubblica sicurezza, risalente al 1931, secondo cui (art. 158), chiunque, senza
essere munito di passaporto o di documento equipollente, avesse tentato di
espatriare veniva punito con l'arresto da tre mesi a un anno, e con la
reclusione da due a quattro anni, qualora il fatto fosse stato determinato, in
tutto o in parte, da motivi politici. Questa norma, riguardante l'
e.
clandestino per motivi politici, è stata giudicata in contrasto con i
princìpi fondamentali di libertà dei cittadini e con l'art. 16
della Costituzione, dalla Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il
primo comma dell'art. 158 del T.U. di pubblica sicurezza, con sentenza 18.3.1959
n. 19. Il diritto all'
e., o più propriamente alla libera
circolazione delle persone, così come delle merci, ha ottenuto ampi
riconoscimenti nei trattati della Comunità europea, consentendo ai
cittadini dei paesi aderenti di varcare le frontiere con la sola carta
d'identità e di occupare un impiego o esercitare una professione in un
paese diverso dal proprio.