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Esistenzialismo.

Movimento filosofico e letterario sviluppatosi nel decennio tra il 1930 e il 1940. Come movimento filosofico l'e. comprende quegli indirizzi di pensiero che concepiscono la filosofia come impegno personale nella ricerca dell'essere. Esso si sviluppò come reazione al pensiero ufficiale dei primi decenni del secolo, dominato dal positivismo e dall'idealismo. L'e. si oppone a ogni concezione della filosofia come disciplina sistematica. Esso cerca di dissolvere ogni astratto razionalismo che riduca la realtà a concetto. Si propone invece di valorizzare la singolarità e irripetibilità dell'esperienza umana che non è assoggettabile a nessun sistema compiuto e che non può essere contenuta entro nessuno schema concettuale. Varie sono le correnti esistenzialistiche il cui punto in comune è quello di considerare l'esistenza non come essere, bensì come ricerca dell'essere. Esse perciò pongono l'accento non sui principi tradizionali della riflessione filosofica, ossia, sull'essere, sullo spirito, sulla ragione, ecc.; ma sull'esistenza dell'uomo nella sua concretezza, finitezza, apertura verso l'essere e anche verso il nulla. Comune ai vari pensatori esistenzialisti è l'esigenza personalistica, cioè l'istanza di un pensiero che sia espressione di un uomo concretamente impegnato nella realtà, in opposizione a ogni pensiero assoluto e astrattamente legato a categorie come quelle dello spirito, della ragione, della trascendenza. Pertanto l'e. è antitetico al pensiero razionalistico tradizionale, la cui caratteristica prima era di voler conciliare la ragione soggettiva dell'uomo con quella oggettiva dell'universo, considerate entrambe manifestazioni della ragione suprema (o Dio). Esso si caratterizza, come una filosofia dell'inadeguatezza, della rottura tra uomo e Dio, tra uomo e mondo, tra uomo e uomo. L'e. si oppone quindi alla ragione del razionalismo filosofico tradizionale, tutto teso a penetrare le leggi dell'universo, nel suo ordine che tutto regola, compresa la condotta dell'uomo. Allo stupore e all'ammirazione che l'uomo della filosofia tradizionale prova di fronte all'ordine dell'universo, l'e. contrappone l'angoscia che l'uomo prova di fronte al disordine universale, di fronte al nulla. Sorta come Kierkegaard-Renaissance, in contrapposizione soprattutto al razionalismo hegeliano, secondo il quale "tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale", la filosofia dell'esistenza si rifà particolarmente al pensiero di S. Kierkegaard. Essa però, è anche imbevuta del pensiero di F. Nietzsche e delle principali dottrine irrazionalistiche del secolo scorso. Le sue radici storiche affondano nella dissoluzione della filosofia hegeliana che rappresenta il più complesso e ardito tentativo di spiegare razionalmente la realtà del mondo e della storia. Di fronte a tale dissoluzione si aprirono due strade, quella del Positivismo, negazione della filosofia stessa, e quella dell'irrazionalismo che sarebbe poi sfociata nell'e. quale capovolgimento della filosofia tradizionale. Il motivo più forte sia del pensiero di Kierkegaard che di quello di Nietzsche, pur nella loro sostanziale diversità, è l'obbedienza dell'uomo a una propria vocazione interiore che richiede la rottura del legame con la realtà oppressiva esterna. In tutte le opere di Kierkegaard (1813-1855) è presente, sottintesa o espressa, una pungente polemica contro la filosofia hegeliana, in quanto filosofia sistematica, astratta, accademica, che pretende di spiegare tutto, di conciliare tutte le contraddizioni. Pertanto, Kierkegaard si contrappone a Hegel come pensatore non sistematico, soggettivo. Egli distingue tre stadi nella vita dell'uomo: stadio estetico (o del piacere immediato); stadio etico; stadio religioso. Nel primo, l'uomo conduce una vita dispersiva, indifferente al bene e al male, senza serietà, guidato dal capriccio del gusto, del senso, della fantasia. Lo stadio etico rappresenta la vita concentrata su una scelta fondamentale, perseguita con serietà, in cui l'individuo accetta il proprio destino come un compito da realizzare nella società, attraverso le istituzioni tradizionali, in particolare il matrimonio. Nello stadio religioso si risolvono le insufficienze dei primi due stadi e l'uomo attua la sua profonda vocazione. Nella fenomenologia dello stadio religioso, Kierkegaard formula quelle categorie divenute poi i punti-base della filosofia esistenziale. Nella vita religiosa l'esistenza umana si rivela nella sua singolarità irrepetibile, tutta tesa ad ascoltare l'appello divino che la pone al di sopra di ogni norma. Essa è incontro di finito e infinito, di tempo e di eternità. Il divino la singolarizza e l'immette nell'assurdità e nel paradosso della fede, innalzandola al di sopra della ragione (propria della vita etica), e del senso (proprio della vita estetica). La verità della fede non è oggettiva, ma intimamente soggettiva: essa è soltanto la mia verità. L'esigenza religiosa si colloca nel paradosso e chi si dispone a ubbidire al richiamo di Dio deve accettare l'assurdità della fede contro le motivazioni della ragione. Così Abramo in Timore e Tremore ubbidisce a Dio che gli chiede il sacrificio del figlio. A chiunque si muova nella direzione della religiosità, Dio chiede, come ad Abramo, che gli si sacrifichi ciò che si ha di più caro. Egli chiede che si vada verso di lui con una disposizione totale che equivale alla completa rottura con il mondo finito e con ciò che più lo rappresenta, ossia la ragione, la morale, lo Stato, la famiglia, gli affetti. Kierkegaard afferma che il cristianesimo è scandalo e che non si può pervenire alla fede se non attraverso lo scandalo. L'accesso al Cristianesimo genuino avviene attraverso l'angoscia. Essa nasce dal senso di colpa e rivela nell'uomo la sua libertà, come possibilità di redimersi o di perdersi. All'esistenza del cristiano, si contrappone quella del filisteo, soddisfatto di sé, non turbato dalla disperazione e che trascorre la propria vita nel mondo della banalità. Negli scrittori esistenzialisti appartenenti al filone laico, le categorie religiose di Kierkegaard vengono secolarizzate e applicate all'esistenza umana, senza alcun residuo teologico: altri pensatori hanno conservato invece la matrice religiosa. Ciò ha fatto sì che si sia giunti a distinguere un e. laico o ateo (o anche e. di sinistra) e un e. religioso o teistico (o anche e. di destra). Per quanto tra le filosofie dei vari pensatori che si richiamano all'e. esistano differenze radicali, in tutte le correnti ricorrono comunque i temi kierkegaardiani: paradosso e scandalo, colpa e disperazione, angoscia e libertà, verità soggettiva e banalità quotidiana. Massimi rappresentanti dell'e. laico sono: M. Heidegger e J.P. Sartre; dell'e. religioso: G. Marcel, N. Berdiaev; mentre K. Jaspers viene considerato ora come esponente della prima corrente, ora della seconda. ║ Teatro e.: indica quella produzione teatrale nata nel secondo dopoguerra in Francia ad opera di autori quali Sartre, Camus, Marcel, i quali hanno tratto dalla filosofia e. i temi fondamentali della loro drammaturgia: precarietà dell'esistenza, solitudine, libertà come fine irrealizzabile. Più che di un'evoluzione in campo scenico, il teatro e. ha portato assunti tematici nuovi scaturiti dalle problematiche degli autori. Con Sartre viene introdotto l'atto unico come elemento di rottura della metrica teatrale, legato ad i lunghi monologhi di personaggi soli con se stessi.