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Epicureismo.

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La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

 
 

Epicureismo.

Scuola filosofica fondata da Epicuro e la sua dottrina. Nel suo significato più generale, il termine indica la predilezione per i godimenti della vita, la ricerca del piacere e la fuga dal dolore e dalla fatica. Fondata nel 306 a.C. ad Atene, la scuola ebbe presto numerosi seguaci nella Jonia, poi in tutto il mondo greco-romano e in Egitto, rimanendo attiva sino al IV sec. d.C. L'e. si riconnette all'atomismo di Democrito, soprattutto per quanto riguarda le teorie fisiche e all'edonismo dei Cirenaici per quanto riguarda la morale. Rilevanti sono però le modifiche apportate sia alle concezioni dell'uno che dell'altro. Nell'e., come nella filosofia atomistica, l'universo viene spiegato mediante gli atomi, il vuoto e il movimento. Gli atomi, infiniti di numero, si distinguono per la diversa grandezza, forma, peso. Essi si muovono nel vuoto, in uno spazio infinito, così da costruire una pluralità illimitata di mondi. Le meteore e i corpi celesti rappresentano la perfetta realizzazione dell'atomo, sia come elemento materiale che come essenza spirituale. Infatti, essi sono a un tempo materia e forma pura e si muovono come esseri liberi, secondo un sistema di repulsione e d'attrazione in cui conservano la loro autonomia. Questa dottrina meccanicistica deriva dall'atomismo democriteo che rifiuta ogni principio teologico e concepisce l'anima come una sostanza corporea "composta di particelle sottilissime; diffusa per tutto il corpo e molto simile a un soffio". Anche gli dei vengono concepiti come composti di atomi sottili, ma a differenza dell'anima umana, privi di un solido involucro corporeo. Essi hanno un quasi-corpo che solo la mente può intuire: hanno forma umana e abitano negli immensi spazi frapposti tra mondo e mondo, immortali e incuranti delle cose umane. Pertanto, gli dei altro non sono, nella concezione epicurea, che i corpi celesti considerati come elementi eterni e immutabili. Secondo Epicuro, noi trasformiamo tali corpi in divinità che costituiscono per l'uomo una causa di turbamento e di inquietudine, e perciò minacciano la pace e la quiete dell'anima. Quanto alla gnoseologia, l'e. considera la sensazione il primo fondamentale criterio di verità, in quanto, essendo prodotta dagli efflussi che emanano dai corpi, essa è una fedele riproduzione della realtà stessa e quindi immediatamente evidente. Il "concetto" (prolessi) è il risultato mentale (o mnemonico) di varie sensazioni già provate e ci consente di sapere quali saranno le esperienze relative all'oggetto di cui abbiamo la nozione. Ne consegue che l'ambito più vero della nostra conoscenza concettuale, fissato nelle parole, coincide con l'ambito stesso delle nostre esperienze sensoriali. La "supposizione" (ipolessi) che ci consente di andare al di là dell'evidenza immediata, nella zona delle opinioni ipotetiche, esige una conferma da parte delle sensazioni che sono sempre vere: l'errore appartiene al ragionamento non al senso. Nell'etica l'e. pone il piacere come fine supremo della vita morale: le stesse virtù assolvono il loro compito nel conseguimento del piacere. A differenza della concezione edonistica dei Cirenaici, i filosofi epicurei considerano come "bene imperfetto" quello provocato da stimoli esterni che si accompagna al soddisfacimento di un bisogno ("piacere in movimento"), e come "bene superiore" il conseguimento di uno stato di equilibrio ("piacere calmo") che si accompagna all'assenza di inquietudine per l'anima (atarassia). Secondo gli epicurei, non basta abbandonarsi all'immediatezza del piacere come tale e fuggire il dolore, ma è necessario inserirsi attivamente, con l'intelligenza, nel vivo dei sentimenti e delle passioni e saper discernere i bisogni naturali da quelli artificiosi e vani, e tale è l'opera della prudenza. L'etica epicurea esalta l'individuo che, tenendosi lontano dagli affanni della vita sociale e politica ("vivi nascosto"), realizza la propria felicità nell'armonioso equilibrio del corpo e dell'intelligenza, in vincolo di amicizia coi pochi che, come lui, si dedicano spassionatamente alla conoscenza dell'universo. Nell'e. sono presenti molti dei caratteri propri del materialismo. Esso infatti considera l'associazione degli atomi determinata dal "caso", così che nulla può testimoniarci l'esistenza di una realtà superiore alla materia. Il fine della vita è il piacere, e la morte non è che lo sciogliersi di un vincolo casuale: essa non è dolorosa, dato che, una volta morti, non abbiamo più alcuna sensibilità. Gli dei non intervengono nel nostro mondo e perciò dobbiamo bandire, come non sano, ogni timore religioso. Largamente presente nella cultura del mondo romano (esso fu soprattutto rappresentato da Lucrezio), l'e. entrò in crisi nell'età della decadenza, venne rifiutato dalla cultura medioevale, in quanto anticristiano, e fu invece largamente accolto da quella rinascimentale. Vasta fu la sua influenza, soprattutto per la fisica (Galileo, Gassendi, Hobbes, ecc.) e per la logica (Empirismo inglese del XVII sec.). Influenzò largamente anche la dottrina morale del Rinascimento e pensatori come Lorenzo Valla ne tentarono un inserimento nell'ambito della tradizione culturale cristiana. Particolarmente presente nella cultura del Seicento (La Mothe le Voyer, La Rochefoucauld, Saint-èvremond). Della filosofia di Epicuro si è occupato a fondo anche K. Marx, che dedicò ad essa la propria tesi di laurea, basata sulla confutazione di Hegel che aveva espresso un giudizio sfavorevole sulla filosofia della natura di Epicuro, non condividendone il materialismo. Marx svolse un'analisi critica delle differenze tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, volendo dimostrare l'evoluzione dell'e. rispetto all'anatomismo democriteo. La predilezione di Marx per Epicuro deriva dall'avere egli tenuto conto sia dell'elemento spirituale che di quello materiale dell'atomo (Democrito aveva considerato solo quello materiale) e dall'aver dimostrato, respingendo il determinismo democriteo, la possibilità per l'uomo di agire liberamente. Pertanto, nella filosofia di Epicuro Marx indica il principio di libertà necessario all'azione umana e vede in lui il filosofo illuminato, l'ateo impegnato a liberare l'uomo dal timore della divinità. La sua difesa dell'e. non impedì tuttavia a Marx di criticarlo, rimproverandogli soprattutto di non aver dato una risposta soddisfacente al problema del comportamento dell'uomo verso l'ambiente in cui vive. Infatti, se la filosofia di Democrito conduceva al determinismo, ossia alla negazione della libertà umana, la filosofia di Epicuro conduceva a una falsa nozione della libertà assoluta e astratta, non veniva posta nel suo rapporto dialettico con la necessità, ossia nel quadro delle relazioni tra l'uomo e l'ambiente.

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Filosofìa.

(dal greco philosophía: amore del sapere). Originariamente il termine venne usato in senso generale per indicare la scienza e la ricerca culturale in genere. Una sua delimitazione, nel senso di disciplina avente per oggetto lo studio dell'attività speculativa, cominciò ad aversi solo con Platone. Il termine f. cominciò infatti a prevalere nei circoli socratico-platonici in contrapposizione a sofista (sapiente), usato sino allora col significato che oggi viene dato al vocabolo filosofo. Successivamente il termine sofista passò a indicare una particolare scuola filosofica classica e, nel suo significato più largo, chi si dedica a una ricerca pretenziosa e fa uso di ragionamenti intenzionalmente capziosi. La f. presocratica circoscriveva il proprio compito alla ricerca intorno al supremo principio della natura. Pur rimanendo questo uno dei compiti della ricerca filosofica di ogni tempo, essa assunse una nuova dimensione con Socrate e Platone, trasformandosi da ricerca naturale in ricerca ideale dei valori, e fu questa la ragione per cui questi pensatori respinsero l'attributo di sapienti. Secondo la nuova concezione, infatti, il filosofo non è un "sapiente", ma un semplice "ricercatore di sapienza", e la f., intesa come scienza dei valori, non è più "sapere", bensì "ricerca". Questa nuova concezione non annullò quella originaria della f. intesa come ricerca intorno al supremo principio della natura. Da essa tuttavia derivò una nuova interpretazione e l'esigenza di nuovi valori da porre al pensiero. Questa concezione caratterizzò tutta la f. classica. Col crollo della società antica, venne a cadere anche il tentativo di trovare un principio logico da cui dedurre scientificamente il mondo e prevalse la tendenza a ricorrere a un Essere supremo, concepito come persona dotata di volontà assoluta e perciò trascendente ogni ragione umana. Il problema del rapporto tra ragione e fede divenne predominante. Il contributo del pensiero cristiano alla f. fu di mostrare che il principio universale non può essere che l'atto di coscienza. Questo era stato già intuito da Platone che, però, non ne aveva sviluppato a sufficienza il significato. Con ciò il pensiero cristiano poté considerarsi l'interprete delle stesse esigenze della f. greca. Col ritorno al classicismo del periodo rinascimentale, venne ripresa anche l'esigenza di considerare la f. come la base costitutiva dell'ordine scientifico del mondo. Si pervenne così alle concezioni di Cartesio e di Spinoza. A quest'ultimo si deve il tentativo più compiuto di spiegare tutto e di giustificare tutto, compreso il male, inserendolo in una costruzione scientifica del mondo, interpretato come un'unica grande coscienza, avente in sé la ragione del proprio ordine. La possibilità di far coincidere una sistemazione scientifica del mondo con un ordinamento di valori venne posta in dubbio da Kant che postulò, invece, un mondo degli oggetti avente soltanto valore relativo, fenomenico, ossia privo di valore, e un mondo di puri valori. Con Kant, la f. rinuncia a costituirsi come scienza suprema, mentre viene approfondito il concetto di valore e si afferma il principio che ogni valore trova fondamento nell'unità della coscienza. L'idealismo post-kantiano, pur riconoscendo che tutto deve essere l'espressione di un atto di coscienza, tenta di ricostruire l'unità del mondo e dei valori. Esso però si richiama alla coscienza in generale, ossia allo spirito. Nella f. contemporanea è prevalso invece il tentativo di concepire il valore come atto della coscienza singola, pur non rinunciando alla sua universalità e alla costruzione di un ordine razionale, scientifico, della natura, in cui questi valori siano applicati. Avendo rinunciato a una visione unitaria del pensiero, si sono poste alcune esigenze fondamentali: 1) spiegazione scientifica, razionale, del mondo fisico, biologico e psicologico; 2) necessità che tale spiegazione risponda a valori assoluti; 3) necessità che questa visione del mondo, secondo fini assoluti, costituisca una garanzia contro la falsità e il male. Come osserva il filosofo esistenzialista K. Jaspers, la f. non può essere definita in quanto "non è determinabile mediante altro che non sia f.". Essa tuttavia si differenzia dalle altre forme di conoscenza e dalle scienze particolari in quanto, pur avendo in comune con esse l'esigenza scientifica, presenta anche l'esigenza, a queste sconosciuta, che l'ordine razionale scientifico abbia anche valore assoluto. Pertanto la f. non può raggiungere, come invece le scienze particolari, risultati definitivi e perfettamente dimostrabili. Nella f., infatti, poiché ogni termine è in rapporto con un valore postulato, esso ha validità solo per coloro che accettano tale valore, e ogni deduzione risulta opinabile. La sua esigenza scientifica differenzia però la f. dalla religione per quanto anche questa si presenti come la ricerca di un valore supremo. Infatti, la ricerca filosofica, pur cominciando con un atto di fede in un valore assoluto, pone a se stessa l'obbligo di presentare tale valore come un principio di razionalità. Nel corso di tutta la storia del pensiero, la validità della f. è stata a varie riprese negata. Scettici, mistici e dogmatici negano infatti, con diverse motivazioni, la possibilità di pervenire alla conoscenza dei fini ultimi e a una visione razionale della realtà. Spesso, però, tra i negatori della f. e della validità della ricerca filosofica, figurano pensatori che occupano un posto di primo piano nella storia della f. che essi hanno arricchita di nuovi fermenti. ║ Storiografia filosofica: sin dall'antichità classica si trovano tentativi di ordinare lo sviluppo del pensiero precedente nelle sue varie ramificazioni. Questo tentativo fu compiuto da Aristotele con lo scopo di tracciare una linea di sviluppo, un processo storico delle correnti filosofiche a lui anteriori. La storia della f. ha però assunto la caratteristica di branca autonoma solo nel XIX sec., quando più viva cominciò a farsi sentire l'esigenza di vedere, al di là della costruzione sistematica del singolo filosofo, la continuità di un lungo processo razionale. La storia della f. si propone infatti di cogliere il filo sotterraneo che lega i singoli pensatori e i problemi dibattuti, lungo tutto il corso del pensiero, pur nella libera concezione del filosofo. Da parte di alcuni storici della f. è stato inoltre posto il problema del rapporto esistente tra l'apparire storico di certe correnti di pensiero filosofico e i problemi da queste sollevati, e i contemporanei sviluppi di altre branche quali l'arte, la letteratura, la dottrina politica. Si è così arrivati a una concezione che tende a vedere in ogni età l'espressione di una problematica comune a tutti i pensatori, pur nella diversità delle singole interpretazioni. La storia della f. tende sempre più ad essere considerata un momento tipico della storiografia in generale, senza un proprio sviluppo autonomo, scisso dal processo degli eventi storici. Sulla necessità di mantenere un costante contatto tra la storia della f. e la storia della cultura in generale hanno insistito i migliori storici della f. Infatti, i vari fenomeni culturali sono tra loro strettamente connessi, per cui non è possibile intendere e penetrare i sistemi e le dottrine filosofiche, se ci si limita a seguire l'evoluzione del processo filosofico attraverso la filiazione delle idee da altre idee, senza tener conto del complesso svolgimento della civiltà umana. Così, per es., è impossibile intendere la rivoluzione filosofica del Rinascimento, se non si tiene conto della novità introdotta dal sistema copernicano, né è possibile dare una giusta valutazione del positivismo del XIX sec. se non si tiene presente il contemporaneo sviluppo delle scienze. ● Encicl. - Se non si tien conto del pensiero orientale, ossia della tradizione filosofica cinese e indiana, lo sviluppo storico della f. ha inizio con la civiltà greca e si distingue, nelle sue grandi linee, in f. antica, medioevale, moderna, contemporanea. Nel periodo pre-socratico (VII-V sec. a.C.) il pensiero si volge all'osservazione del mondo e al problema delle origini del reale e i pensatori sono, insieme, filosofi e scienziati della natura. Così i primi filosofi fioriti nella Ionia (Scuola ionica o Scuola di Mileto) tra cui Talete, Anassimene, Anassimandro, ricercano la "sostanza prima" del mondo. Talete sostiene che tutte le cose scorrono in un flusso continuo, come vuole la natura del loro elemento originario, l'acqua. Anche l'anima viene considerata come un principio di movimento in un universo tutto animato. Altri pensatori, seguendo una concezione pluralistica, basano invece la loro ricerca sulle "sostanze molteplici" costitutive del cosmo: così Empedocle (concezione dei quattro elementi: acqua, aria, terra, fuoco), Anassagora (teoria delle omeomerie, le particelle elementari della realtà), Democrito (concezione atomistica). Già con Anassagora, però, s'inizia un processo di differenziazione tra natura e spirito, mentre gli Eleati (Parmenide, Melisso, Zenone) si pongono il problema dell'essere. Col movimento sofistico (Protagora, Gorgia, Prodico di Ceo), l'interesse si volge prevalentemente verso l'uomo. Tale processo di avvicinamento all'uomo e ai problemi etici raggiunge la sua piena maturità con Socrate (469/70-399 a.C.) che pone la ricerca filosofica su nuove basi e col quale s'inizia un'opera di rinnovamento e si apre un processo etico-spirituale che raggiunge le vette più alte nell'opera di Platone. Per distinguerle dalla scuola socratica che fa capo a Platone, vengono indicate come "scuole socratiche minori" quelle che raggrupparono i vari discepoli e continuatori di Socrate, ramificandosi in varie correnti: cirenaica (Aristippo, Egesia, Annicceri); cinica (Antistene, Cratete, Diogene), megarica (Euclide di Megara, Eubolide, Stilpone). Seguendo l'ispirazione etica del maestro, Platone (428/ 27-348/47) giunge a costruire una f. che non rappresenta un rigido sistema, ma un complesso di problemi alla cui base si pone la teoria delle forme eterne del reale, nota come "dottrina delle idee". Discepolo di Platone, Aristotele (384/83-322/31) svolge una profonda critica all'assolutismo trascendente platonico, in nome delle reali esigenze e debolezze degli individui nella loro concretezza presente. Con Platone e Aristotele, l'analisi del pensiero porta al completamento della Fisica con l'Etica e la Metafisica, e alla costruzione della Logica. Lo spirito, in quanto sostanza pensante, viene distinto dal corpo, e indicato come dovere morale dell'uomo quello di svilupparlo, domando la sua natura materiale. Contro gli sviluppi logico-ontologici del socratismo, compiuti da Platone e Aristotele, e come reazione al movimento socratico minore, si sviluppò lo scetticismo greco di cui fu primo assertore Pirrone (365-274 a.C.). A partire dal III sec., la ricerca filosofica acquistò un orientamento prevalentemente etico, con lo sviluppo della Scuola stoica ed epicurea. Fondatore dello Stoicismo fu Zenone (334-262 a.C.). Esso si basava su una logica del concreto non molto dissimile da quella epicurea. Queste due correnti filosofiche, soprattutto lo Stoicismo, ebbero il loro sviluppo finale a Roma. Tra i massimi rappresentanti dell'ultima fase stoica, figurano M.A. Seneca, Musonio Rufo e l'imperatore Marco Aurelio. Nel primo secolo dell'era cristiana, si sviluppa una filosofia semiorientale della rivelazione che si svolge in parte sul terreno dell'ellenismo greco e in parte su quello giudaico, avendo il suo centro in Alessandria, punto d'incontro e di fusione delle due culture. Questo indirizzo ebbe tra i suoi massimi rappresentanti Filone di Alessandria (30/20 a.C. - 50 d.C.). Tra le scuole di questo periodo, ebbe particolare fortuna il Neopitagorismo, rappresentato dai cosiddetti scritti "ermetici". Questo indirizzo si concretò nel Neoplatonismo in cui confluirono le grandi correnti della filosofia precedente: platonismo, aristotelismo, stoicismo, pensiero giudaico-alessandrino, neopitagorismo. Iniziato da Ammonio Sacca, il Neoplatonismo ebbe il suo massimo rappresentante in Plotino (204-270) che cercò di conciliare le esigenze razionalistiche del mondo ellenico con l'esperienza mistica dell'Oriente, sulla base di un'ispirazione eminentemente religiosa. Pertanto, con Plotino, gl'interessi religiosi prendono il sopravvento su quelli filosofici e lo scioglimento della scuola di Atene nel VI sec. segna la fine della f. greca. ║ F. medioevale: il pensiero cristiano, in quanto volto a creare una f. di Dio, del mondo e dell'uomo, è l'erede del pensiero greco, filtrato però attraverso il Neoplatonismo che, con le sue esigenze spirituali, più si avvicina alle preoccupazioni teologiche degli scrittori cristiani. Nei primi tre secoli si affermano i Padri apostolici, gli apologisti e i controversisti. Particolarmente importanti, sotto l'aspetto filosofico, sono i Padri apologisti, tra cui spicca San Giustino, in quanto essi sviluppano il loro pensiero in polemica con quello classico. Il massimo sviluppo della Patristica si ha a partire dal III sec. durante il quale centro del pensiero cristiano fu la Scuola di Alessandria, il Didascaleion, in cui si opera un avvicinamento dell'apologia cristiana con le dottrine classiche. Massimi rappresentanti di questa scuola furono Clemente Alessandrino e Origene che fu il primo vero grande filosofo del Cristianesimo. Mentre l'indirizzo filosofico-teologico della Patristica orientale è prevalentemente speculativo, quello seguito dai padri latini è soprattutto pratico. Tra questi un posto di primo piano occupa Tertulliano, al quale fece seguito Sant'Agostino (354-430), il massimo pensatore della Patristica e uno dei più grandi di tutti i tempi. In ogni modo, più che filosofico, l'interesse vitale dell'età patristica fu di natura teologica e i Padri operarono per pervenire a una sistemazione dell'insegnamento evangelico: dottrina della Trinità, Incarnazione, Redenzione, Provvidenza, Grazia, ecc. Al di là della riduzione della f. a teologia, si ebbe l'assimilazione del pensiero classico che penetrò nell'elaborazione della dottrina di Dio e dell'uomo, affermando l'ancillarità della f. rispetto alla teologia. A partire dal IX sec., con la formazione delle nuove scuole, s'inizia la Scolastica che non è un sistema filosofico, ma una convergenza spirituale. È questa l'epoca in cui l'individuo tende a nascondersi dietro la comunità e la personalità singola dietro la corporazione. Scholasticus fu detto chiunque si occupasse di f. o di teologia nell'ambito delle scholae. La f. delle varie "scuole", in quanto organi ufficiali della Chiesa Cattolica, presenta caratteri comuni sia dal punto di vista formale sia da quello contenutistico. Al di là di questi caratteri è tuttavia possibile ravvisare una molteplicità d'indirizzi e di correnti. La f. scolastica è prevalentemente ricettiva e si richiama al pensiero antico e a quello patristico, basandosi sul commento di testi e su dispute interpretative (il famoso problema degli universali). Molla di tutta la speculazione scolastica è la metafisica e il problema centrale della speculazione cristiana tra il IX e il XIV sec. è quello dei rapporti tra fede e ragione: credo ut intelligam. All'interno della Scolastica si muovono vari indirizzi di cui i principali sono quello mistico e quello razionalistico. Il centro più vivo della mistica speculativa fu nel XII sec. l'abbazia di San Vittore di Parigi, da cui il nome di Vittorini dato a questi pensatori. Un altro centro particolarmente vivo durante il XII sec. fu la scuola del chiostro di Chartres che s'impegnò per lo sviluppo della cultura profana e che ebbe il suo massimo rappresentante in Giovanni di Salisbury. I maestri del XIII sec. approfondirono l'utilizzazione della filosofia orientale e dei motivi più rilevanti della speculazione araba ed ebraica. Centro culturale particolarmente vivo fu l'università di Parigi. Tra i grandi maestri di questo secolo si ricordano Guglielmo d'Auvergne, San Bonaventura, Alberto Magno. Ma la Scolastica tocca le sue vette più alte con Tommaso d'Aquino, Sigieri di Brabante, Duns Scoto. La speculazione del primo (Tomismo) doveva diventare più tardi la dottrina ufficiale della Chiesa. Il secondo è il massimo rappresentante dell'Averroismo latino, ossia dell'indirizzo di pensiero che si rifà all'arabo Averroè per contestare l'interpretazione tomistica dell'aristotelismo. G. Duns Scoto, infine, ebbe il merito di aver vigorosamente contrapposto il mondo della conoscenza a quello dell'azione, il mondo della necessità a quello della libertà, facendo una distinzione fra ricerca teorica e ricerca pratica, e preludendo alla fine della Scolastica che avvenne con l'insinuarsi della sfiducia nella possibilità di mantenere la fede come perno della ricerca umana. Ma, ancor più che da Duns Scoto, la fase critica del distacco del mondo della fede da quello della ricerca razionale è rappresentata da Guglielmo di Occam. Critica della metafisica razionalistica e fondazione della metafisica mistica sono i due aspetti complementari dell'occamismo in cui la fede tende a diventare un residuo teorico-pragmatico; mentre la ragione, come esperienza, diventa il principio della ricerca. A Occam si ricollega il movimento (movimento occamistico) che si affermò lungo tutto il XIV sec., preannunciando la f. moderna. ║ F. moderna: la f. moderna si apre con il moto culturale (Umanesimo) che cominciò ad affermarsi soprattutto in Italia, nella seconda metà del XIV sec., per raggiungere le sue vette più alte nel secolo successivo. Le molteplici tendenze filosofiche del Rinascimento, pur partendo da posizioni tra loro molto diverse, convergono nella loro contrapposizione, spesso fortemente polemica, alla declinante f. scolastica. Il XV sec. è percorso dal tema di un rinnovamento del pensiero, e dall'espressa esigenza di un ritorno ai classici, visti nella loro luce vera e non attraverso le deformazioni e alterazioni operate dalla Scolastica medioevale. Si afferma che l'opera degli antichi va colta nel suo significato più profondo, per scoprire verità nuove, e non per ripetere temi già noti. Nasce così l'Accademia Fiorentina che si propone come continuatrice dell'antica Accademia Ateniese, fondata da Platone. Da essa non uscì nessun grande filosofo, ma rilevante fu il suo contributo alla diffusione delle dottrine platoniche secondo l'interpretazione umanistico-rinascimentale. Parallelamente si sviluppava la dottrina politica e religiosa e tra le figure di maggior rilievo si ricordano N. Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, Lutero, Calvino, G. Bruno, T. Campanella. Contemporaneamente, anche la ricerca scientifica compiva grandi progressi e si avevano le geniali intuizioni di Copernico, Keplero, Galileo, Newton. Questi fermenti e i mutamenti di pensiero riflettevano le trasformazioni politiche, sociali ed economiche che andavano verificandosi in tutto il complesso della società europea, simili dunque, per quanto distinte da innumerevoli differenze locali. Si andò accentuando il distacco della filosofia politica dalla teologia alla quale era stata unita per tutta la precedente era cristiana. I fermenti di quest'epoca dovevano portare al razionalismo cartesiano e allo sviluppo di varie correnti di pensiero, aventi prevalentemente carattere nazionale. Nasce così e si sviluppa l'empirismo inglese che ha inizio con F. Bacone (1561-1626) il cui merito principale fu quello di aver considerato ormai matura per il proprio tempo la fondazione di una scienza della natura, assegnando al pensiero filosofico il compito di determinarne il metodo. L'empirismo inglese raggiunse il suo pieno sviluppo con Th. Hobbes, J. Locke (il padre dell'Illuminismo inglese), G. Berkeley, D. Hume. Dal razionalismo di Cartesio (1596-1650) si sviluppa in Francia una corrente di pensiero che porta alla revisione dei valori teorici e pratici del passato, sino a sfociare nell'Illuminismo settecentesco. Diverso sviluppo ebbe il razionalismo cartesiano filtrato attraverso il pensiero di Spinoza che pervenne a una metafisica monistica da cui si diramano i grandi sistemi idealistici del pensiero tedesco. La filosofia di G. W. Leibniz rappresenta, nel XVII sec., la più compiuta espressione dell'esigenza razionale di unità e di universalità nell'ambito religioso e culturale. Tra i grandi pensatori del XVII sec. figura G.B. Vico, secondo cui la vera scienza umana è la "scienza della storia". Si perviene così all'Illuminismo, termine col quale s'indica il vasto movimento di idee sviluppatosi in Europa tra la Rivoluzione inglese (1688) e la Rivoluzione francese (1789). Esso raggiunse la massima intensità e forza rinnovatrice in Francia anche per le violente opposizioni che le idee da esso propugnate incontrarono nelle forze conservatrici. Dalla Francia il moto si diffuse nel resto d'Europa e soprattutto in Germania. Carattere essenziale dell'illuminismo fu il proposito di fare trionfare i "lumi della ragione" in ogni campo del pensiero e della vita. Esso si oppose a ogni dogmatismo e metafisica, e nella sua polemica contro il passato giunse talvolta a concezioni materialistiche. L'illuminismo ebbe la sua massima espressione nell'Enciclopedia francese alla quale collaborarono, tra gli altri, Rousseau, Voltaire, Montesquieu. Tra gli Illuministi italiani si ricordano: A. Genovesi, P. Verri, C. Beccaria. Una nuova fase della storia della f. si apre con I. Kant, la cui f. costituisce la base di tutto il pensiero successivo: la realtà è un mondo di fini e tutto il nostro conoscere è un giudizio di valore. Con Kant s'inizia la fondazione dell'idealismo che si svilupperà poi in modo diverso con Fichte, Schelling, Hegel. ║ F. contemporanea: la f. contemporanea viene in genere fatta iniziare a partire dal movimento romantico che, nel suo sviluppo filosofico, si oppone all'intelletto e alle sue astrazioni, ossia all'Illuminismo, in nome del sentimento, della passione, dell'oscurità dionisiaca dell'anima umana e di tutto ciò che d'irrazionale vi è nell'uomo. Se Novalis è il pensatore più dichiaratamente romantico, l'irrazionalismo romantico è presente anche nel pessimismo di Schopenhauer, nell'esaltazione del superuomo di Nietzsche, nell'esistenzialismo di Kierkegaard. Filosofo romantico per eccellenza fu J.G. Fichte (1762-1844) che, dal kantismo, sviluppò per primo un sistema idealistico originale. Dal fichtismo si sviluppò la f. di F. Schelling (1775-1854). Essa si propone come f. della libertà (basata sulla ricerca di un realismo capace di spiegare l'esistenza come libera creazione insieme di Dio e dell'uomo) contrapponendosi all'hegeliana f. della necessità. Il pensiero di Hegel (1770-1837) sovrasta ogni altra costruzione filosofica del XIX sec. per l'ampiezza dei suoi orizzonti, per la risonanza avuta nel proprio tempo e per l'influenza avuta sugli sviluppi del pensiero successivo. All'idealismo hegeliano si richiamano infatti le massime ideologie politiche del XIX e XX sec.: costituzionalismo conservatore, liberalismo, socialismo marxista. Una nuova fase nella storia della f. s'inizia dopo la parentesi positivistica. Vengono indicate come Positivismo quelle dottrine sviluppatesi dal pensiero di A. Comte (1798-1857) e che hanno in comune il principio fondamentale secondo cui valida e feconda è soltanto la conoscenza dei fatti, ragione per cui la certezza viene unicamente dall'osservazione che è propria delle scienze sperimentali. Le nuove correnti di pensiero sviluppatesi a cominciare dagli ultimi decenni del secolo scorso, e che rappresentano più propriamente la f. contemporanea, costituiscono per gran parte una reazione al positivismo. Le principali sono: Pragmatismo (S. Perice, W. James, J. Dewey); Spiritualismo (C. Renouvier, L. Brunschvicg, O. Laprune, M. Blondel, H. Bergson); Neocriticismo (R. Lotze, G. Fechner, W. Wundt, W. Windelband, E. Rickert, W. Schuppe, H. Cohen, P. Natorp, E. Cassirer); Neoidealismo o Neohegelismo (J. Royce, P. Martinetti, G. Gentile, B. Croce); il Personalismo (E. Mounier); Neorealismo (W. Schuppe, O. Kulpe, N. Hartmann); Fenomenologismo (E. Husserl); Esistenzialismo (M. Heidegger, K. Jaspers, J.P. Sartre). Tra le correnti di pensiero che si sono sviluppate negli ultimi decenni figura poi anche il Neopositivismo o Positivismo logico, che si propone come analisi della scienza.

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Epicuro.

Filosofo greco. Fu discepolo del platonico Panfilo e successivamente del democriteo Nausifane e verso il 310 a.C. costituì una propria scuola a Mitilene da dove passò a Lampsaco e nel 306 ad Atene, scegliendo il giardino di una villa (da qui il nome di "filosofi del giardino"). La sua scuola vantò ben presto numerosi seguaci ed ebbe grande diffusione in tutto il mondo greco-romano. E. richiama l'uomo alla sua realtà concreta, al suo bisogno, al suo piacere. La sua esaltazione del piacere corrisponde a una ricerca della felicità come salute dell'anima, come pace interiore e liberazione dalle paure e dai timori irrazionali. Il piacere è inteso come assenza di dolore e di turbamento. "I dolori, se sono cronici, non possono essere molto forti, dato che continuano a vivere e, in un'infermità inguaribile come la cecità, l'anima prova pur sempre qualche godimento; se invece sono intensi, non possono durare a lungo oppure la morte non tarderà a liberarcene". Della sua vastissima produzione, costituita da oltre trecento titoli, raccolti in trentasette libri, rimangono frammenti di soli nove titoli, tra cui frammenti del De Natura, conservati nei papiri di Ercolano, una raccolta di Massime e una di Sentenze; tre lettere a Erodoto, Meneceo e Pitocle. Preziosi particolari della filosofia epicurea ci sono giunti attraverso le opere e i frammenti di alcuni continuatori della scuola, in particolare di Filodemo di Gadara (I sec. a.C.) e di Diogene di Enoanda del III sec. d.C. (Samo 341-270 a.C.).

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Dottrina.

Insegnamento o apprendimento di nozioni relative al sapere in genere o a una determinata disciplina.

║ Complesso di cognizioni apprese con lo studio e coordinate organicamente fra loro.

║ Serie organica di principi che costituiscono la base di una scienza, di una filosofia, di una religione, ecc.

- Rel.

- Compagnia della D. Cristiana: fondata da M. de Sadis Cusani nel 1560, era destinata a promuovere l'insegnamento del catechismo cattolico.

- Dir.

- Elaborazione scientifica del diritto: la d. è la giurisprudenza; talora in senso soggettivo per indicare gli scrittori che si sono occupati di un determinato istituto. La d., pur avendo notevole valore per l'interpretazione delle norme giuridiche e per l'evoluzione degli istituti giuridici, non costituisce una fonte del diritto.

║ Enunciazione formale, da parte di un uomo di Stato responsabile delle direttive alle quali la politica estera del suo Paese si atterrà in avvenire relativamente a un determinato settore delle relazioni internazionali. Tali d. non hanno valore giuridico.

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Vita.

Condizione propria degli organismi viventi, intesa come il complesso di fenomeni bio-chimici che determinano l'attività di tali esseri (da quelli unicellulari ai sistemi complessi) dalla nascita alla morte.

║ Nel linguaggio comune, esistenza, periodo temporale compreso tra la nascita e la morte di un individuo; il tempo in cui si vive. Il termine è spesso usato in locuzioni in contrapposizione a morte: essere tra la v. e la morte.

║ Per traslato, la v. dopo la morte: è passato a miglior v.

║ Forza, istinto, impulso a vivere; con valore affine a vitalità, identifica l'atteggiamento psicologico di una persona che si distingue per vivacità, intraprendenza e operosità: un uomo, una donna piena di vita.

║ Forza vitale, energia universale che anima ogni essere: l'acqua è fonte di v.

║ Per traslato, l'elemento che rappresenta l'interesse primario, lo scopo fondamentale di un'esistenza: la musica era la sua v.

║ Per traslato, ciò che consente la sopravvivenza, che risponde alle necessità materiali primarie: si guadagnava la v. con umili incarichi.

║ Sezione del corpo che si trova sopra i fianchi, all'altezza della cintura.

║ Per estens.

- La parte degli abiti corrispondente alla v.: questo vestito ha la v. troppo bassa.

A v.: detto di cose o incarichi che durano per tutta l'esistenza: fu nominato senatore a v.

In v. mia, sua, ecc.: locuzione spesso usata enfaticamente per indicare l'intero tempo vissuto da una persona: non le ha mai detto una parola gentile in tutta la sua v.!

V. pubblica / privata: locuzioni indicanti i diversi e opposti ambiti di attività di una persona che esercita cariche politiche e amministrative: è ugualmente riservato nella v. pubblica come in quella privata.

Su con la v.: espressione di senso figurato che invita a raddrizzare il busto, la cui curvatura è segno di tristezza e scoraggiamento, e dunque sprona a non avvilirsi: non prendertela, su con la v.!

- Stat.

- Speranza media di v.: in ambito demografico e di statistica delle popolazioni, si intende per v. media o speranza media di v. il numero medio di anni che si calcola che un individuo di una determinata popolazione, in equilibrio demografico, possa aspettarsi di vivere. Tale cifra è il risultato della valutazione di appositi indici di sopravvivenza e mortalità riferiti a quella popolazione. Analogamente, la v. media residua rappresenta il numero di anni che un individuo di una certa età può attendersi di vivere, a fronte di una determinata v. media.

- Biol.

- Una definizione univoca ed esauriente della v. da un punto di vista scientifico è obiettivo ancora non raggiunto, in quanto molte proposte si sono dimostrate incomplete (a partire da quella meccanicistica di Lavoisier: "la v. è una funzione chimica"). In termini generici, si può affermare che la v. è un complesso di attività e di funzioni comuni a tutti gli organismi viventi, pur se molto differenti l'uno dall'altro (dagli unicellulari ai corpi più complessi). In riferimento ai viventi è possibile individuare alcune caratteristiche comuni che, indirettamente, possono aiutare ad elaborare una definizione della v. in quanto tale. Gli esseri viventi: sono generati da altri esseri viventi; si autoriproducono, mantenendo una morfologia praticamente costante; hanno come propria unità di base la cellula; sono dotati di morfogenesi autonoma, cioè sono in grado di sostenere la crescita della propria struttura in autonomia, ricavando le sostanze chimiche a ciò necessarie dall'ambiente circostante (metabolismo); sono sistemi aperti, cioè in costante rapporto con l'ambiente, da cui ricevono stimoli e a cui reagiscono; non sono perenni ma soggetti a un ciclo vitale, durante il quale la riproduzione è il momento a cui si connette la continuazione della specie e insieme la varianza evolutiva attraverso le generazioni (V. anche EVOLUZIONISMO). ║ Sostanze chimiche necessarie alla v.: su 90 elementi chimici naturali presenti nella crosta terrestre e nell'atmosfera, solo 24 sono necessari alla vita organica. I quattro elementi di gran lunga più rappresentati nella biosfera sono l'ossigeno, l'idrogeno, il carbonio e l'azoto. Questi ultimi non sono affatto abbondanti nella crosta terrestre, dove sono invece presenti in altissima percentuale alluminio, silicio e ferro, ma, al contrario, sono rilevati nell'acqua di mare insieme a tutti gli elementi chimici presenti negli organismi viventi; non a caso si ritiene che la v. sulla Terra abbia avuto origine dal mare. I quattro elementi chimici citati hanno rivestito un ruolo tanto importante nell'origine dei sistemi viventi in quanto sono dotati di una serie di qualità che si sono dimostrate essenziali allo sviluppo di organismi (capacità di formare legami covalenti tra loro e con altri elementi, realizzando una grande varietà di composti; solubilità in acqua e liposolubilità dei composti; ecc.). Con l'aggiunta di fosforo e zolfo essi sono i componenti delle principali molecole della v.: amminoacidi, carboidrati, acidi grassi, nucleotidi. Ciascuna di queste molecole può a sua volta combinarsi a formare polimeri (cioè macromolecole che ripetono più volte la molecola base) quali le proteine, gli acidi nucleici, il glicogeno, ecc. ║ Le origini della v.: la domanda sulle origini della v. riguarda il modo in cui un sistema fisico complesso assunse le caratteristiche cellulari, di un'entità cioè in grado di accrescersi e riprodursi. Gli scienziati (A.I. Oparin, J.B.S. Haldane, J.D. Bernal, M. Calvin), osservando che tutte le forme viventi sono accomunate dalla presenza delle medesime macromolecole, hanno ipotizzato che, a partire da composti inorganici, si sia verificata la sintesi di prebiotica di macromolecole. Ciò avvenne, con ogni probabilità, a livello dell'atmosfera che, per effetto del raffreddarsi della crosta terrestre, doveva essere assai ricca di vari composti. Ossigeno, azoto, idrogeno e carbonio sottoposti ai flussi di energia derivata dalle radiazioni ultraviolette del sole e alle scariche elettriche che percorrevano l'atmosfera determinarono la sintesi di biomolecole (prebionti) che man mano si accumularono in mare. L'accumulo nell'oceano di alte percentuali di reagenti inorganici e biomelocole costituì un ambiente particolare che gli scienziati hanno battezzato "brodo primordiale". In esso agirono ulteriori elementi catalizzatori delle reazioni che portarono alla sintesi di proteine funzionali e soprattutto degli acidi nucleici, su cui poggia tutto il sistema di corretta trasmissione e riproduzione delle funzioni vitali. Secondo studi condotti negli anni Sessanta del XX secolo, l'acido ribonucleico (RNA) fu la prima macromolecola, da cui grazie all'intervento di particolari enzimi diffusi in natura, si originò l'acido desossiribonucleico (DNA). Inoltre, l'RNA ha dimostrato di avere capacità catalitiche e di polimerizzazione. Anche se non tutti i passaggi successivi sono chiari, sembra deporre a favore della primogenitura dell'RNA il fatto che ogni organismo vivente, dai virus ai più complessi, è accomunato dalla presenza di un codice genetico. Se il processo di sintesi delle prime molecole è ancora assai indefinito agli occhi degli studiosi, lo studio dei primi organismi cellulari poggia su basi più certe, anche grazie al contributo delle paleontologia e dei reperti fossili. I più antichi risalgono a 3,5 miliardi di anni fa: sono stati rinvenuti in sedimenti precambriani del Sudafrica e sono visibili solo al microscopio elettronico e in qualche caso a quello ottico. Si trattava di batteri ancora incapaci di attività fotosintetica. Dalle ricerche in argomento sono state individuate tre differenti, autonome e contemporanee linee di organismi cellulari: gli archeobatteri, gli eubatteri e gli eucarioti. Intorno ai 3 miliardi di anni fa erano attivi i primi esseri capaci di fotosintesi (autotrofi): essi diedero inizio alla produzione di ossigeno, collaborando alla costituzione di un'atmosfera che, intorno ai 2 miliardi di anni fa, grazie all'altissima percentuale di ossigeno divenne capace di ospitare i primi organismi eterotrofi. ║ Gli organismi viventi sono di norma divisi nei due regni animale e vegetale. Il criterio seguito oggi per operare tale distinzione è quello inerente al metabolismo: gli animali sono organismi eterotrofi che si sostentano mediante l'introduzione nel proprio corpo di sostanze nutritive prese dall'ambiente esterno. I vegetali sono organismi autotrofi, in grado di trasformare sostanze inorganiche di partenza (acqua, sali, anidride carbonica) in sostanze nutritive.

- Fis.

- V. media: con riferimento a un sistema microscopico assegnato, valore medio dell'intervallo di tempo che intercorre tra l'inizio dell'osservazione e l'istante in cui ha luogo il decadimento. Tutti gli oggetti microscopici (atomi, nuclei, particelle elementari) possono compiere spontaneamente transizioni o decadimenti verso stati caratterizzati da energia minore, accompagnati da emissione di energia sotto forma di fotoni, nei decadimenti di particelle in stati inizialmente eccitati, elettroni o particelle alfa, nei decadimenti radioattivi dei nuclei, altre particelle, nei decadimenti delle particelle elementari. Si osserva sperimentalmente che se all'istante iniziale t = 0 sono presenti N0 sistemi microscopici nello stato iniziale, dopo un intervallo di tempo t decade una frazione pari a 1 - exp(-t/τ), dove τ è, appunto, la v. media dello stato (legge esponenziale del decadimento); in un intervallo di tempo dt molto piccolo rispetto alla v. media, pertanto, la probabilità di decadimento è costante e pari a dt/τ, dato che risulta dt/τ = -dN/N, essendo -dN il numero dei decadimenti nell'intervallo di tempo dt e -dN/N la frequenza dei decadimenti. La v. media è soggetta alla legge di dilatazione relativistica del tempo, e va considerata, pertanto, nel sistema di riferimento di quiete dell'oggetto microscopico in esame: se questo si muove con velocità v rispetto all'osservatore, la sua v. media risulterà pari a τ/(1 - v2/c2)1/2, essendo c la velocità della luce nel vuoto. La natura probabilistica del concetto di v. media deriva direttamente dalla meccanica quantistica, in particolare dal principio di indeterminazione di Heisenberg: non è possibile, infatti, determinare quando una particella subirà un decadimento, ma solo calcolarne la probabilità di decadimento. La misurazione della v. media, caratteristica per ogni sistema microscopico instabile, fornisce indicazioni dirette sulle interazioni che causano il decadimento.

- Dir. can.

- V. in comune: convivenza in una stessa casa di membri del clero secolare (il clero regolare, che si organizza in proprie case e conventi la pratica per sua stessa natura).

- Filos.

- V. attiva e v. contemplativa: secondo la distinzione aristotelica, la prima indica l'attività teoretica, definita come il culmine ideale cui l'uomo può aspirare, la seconda le attività pratiche, manuali e non, definite come necessarie ma inferiori. Attraverso il filtro della religiosità medioevale, la vita contemplativa assunse una notazione prettamente sacra e intesa come orientamento dello spirito che si prepara alla v. ultraterrena. Solo in età moderna si ebbe una radicale rivalutazione della dimensione pratica a fronte di quella teoretica.

Filosofia della v. (Lebensphilopsophie): orientamento filosofico attivo tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX. Ebbe le sue radici in talune tematiche proprie del Romanticismo, riprendendo in parte le distinte lezioni di Schopenhauer (volontà di v. come forza che eccede la ragione) e di Nietzsche (v. come crescita e mutamento, in opposizione ad ogni sapienza che pretenda di stabilire certezze in una dimensione di staticità). Vari esponenti di questa corrente di pensiero (J. Ortega, O. Splenger) hanno individuato nella perdita di vitalità (cioè di movimento, rinnovamento) della civiltà e del pensiero occidentale la causa della crisi: la conservazione delle certezze acquisite durante fasi precedenti della storia del pensiero avrebbe comportato la perdita di contatto con la v. attuale. A partire da tale convinzione si pervenne talvolta a porre un'antinomia tra v. e ragione.

- Econ.

- Costo della v.: somma di denaro che si calcola come occorrente al mantenimento di una persona (o di un nucleo familiare), relativamente ai generi di prima necessità o di comune consumo e ai servizi essenziali, durante un periodo di tempo standard. Tale somma è variabile al variare del costo di beni e servizi che fungono da indici (si parla anche di paniere per indicare il complesso di beni e servizi che vengono considerati come indicatori del costo della v.).

- Mar.

- A v.: espressione di avvertimento che viene rivolta a chi si trovi in una posizione o in un luogo dove, a causa di una manovra in corso, può essere esposto a pericoli. Invito a spostarsi: a v. sul ponte!

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