L'atto e l'effetto di emigrare: spostamento di popolazione da un territorio ad
un altro con riferimento a quello di partenza (se ci si riferisce a quello di
arrivo, si parla di immigrazione). ● Econ. -
E. dei capitali:
fenomeno economico relativo ai movimenti o trasferimenti di capitali da un paese
all'altro a scopo speculativo, per trovare temporaneo rifugio contro
provvedimenti di politica finanziaria. Oggi questi movimenti sono facilitati,
nell'ambito dei rapporti economici internazionali, dallo sviluppo dei mezzi di
comunicazione e dalla ricchezza mobiliare. Sul mercato finanziario si parla di
capitali vaganti o moneta calda (
hot money), causa di gravi squilibri nel
sistema monetario internazionale. ║
E. internazionale (o estera e
con l'estero): i territori (di partenza o di arrivo) appartengono a unità
statali diverse. ║
E. interna: i territori appartengono a una
stessa unità statale. ║
E. volontaria (o libera o
spontanea): lo spostamento è deciso liberamente dall'individuo. ║
E. coatta o forzata: è imposta d'autorità come nelle
deportazioni e nella tratta degli schiavi. ║
E. organizzata: pur
deciso liberamente, lo spostamento è regolato e controllato dalle
autorità statali. ║
E.
permanente: lo spostamento
è definitivo e implica il trasferimento della residenza. ║
E.
temporanea: lo spostamento è temporaneo. ║
E.
stagionale: avviene con periodicità annuale. L'entità
dell'
e. si può misurare rapportando il numero degli emigrati da un
dato territorio in un determinato periodo alla popolazione media di quel
territorio (tasso o quoziente di
e. o tasso migratorio). Se al numeratore
del rapporto si pone la differenza fra emigrati e immigrati, si ottiene il
tasso di e. netta. L'
e. può essere determinata da motivi
politici (è il caso, per esempio, degli emigrati dalla Germania orientale
a quella occidentale), o religiosi (per esempio Mori ed Ebrei emigrati dalla
Spagna e dal Portogallo ai tempi dell'Inquisizione), o razziali, o da un insieme
di questi motivi (il caso degli Ebrei che dalle diverse parti del mondo si
dirigono verso lo stato di Israele). Il motivo che però determina la
maggior parte delle
e. è quello economico e consiste nel
desiderio, da parte di chi decide di trasferirsi altrove, di migliorare le
proprie condizioni di vita. La causa di fondo è costituita da uno
squilibrio demografico-economico tra il luogo di origine e il luogo di
destinazione. Quando lo sviluppo economico di una determinata zona non è
sufficiente ad assorbire le forze di lavoro della collettività che vi
dimora a fornire alla collettività stessa mezzi di sussistenza
sufficienti, in detta zona si determina un'accentuata pressione demografica, la
quale provoca un deflusso di popolazione; quest'ultimo tende ad equilibrare le
condizioni di vita, attenuando lo squilibrio (e quindi la pressione) attraverso
una riduzione quantitativa della popolazione. Movimenti migratori si sono avuti
anche nel passato più remoto; emigranti erano per esempio i Fenici e i
Greci che costituivano e popolavano colonie sulle coste del Mediterraneo;
emigranti erano i Barbari che invasero l'Occidente durante l'Alto Medioevo;
emigranti erano i pionieri che andavano a sfruttare le colonie americane dopo le
grandi scoperte geografiche. Le prime grandi
e. sistematiche si ebbero
però solo nel XIX sec., determinate dalla rivoluzione sia industriale sia
demografica. La Rivoluzione industriale portò a trascurare l'agricoltura,
così che gran parte della manodopera addetta alla terra, attratta da
nuove possibilità di lavoro, si riversò nelle città, spesso
peraltro non riuscendo a trovare un'occupazione stabile, o per effetto della
stessa meccanizzazione, o a causa delle frequenti crisi di sovrapproduzione che
si determinavano. Manodopera disoccupata e popolazione affamata furono d'altra
parte il prodotto di grandi crisi agricole (è il caso degli Irlandesi
emigrati negli Stati Uniti alla metà del XIX sec. per i disastrosi
raccolti di patate). Fu però soprattutto l'eccezionale espansione della
popolazione dovuta all'incremento della natalità e alla contrazione della
mortalità, che determinò l'
e. in massa dal continente
europeo. Il flusso fu alimentato dai Paesi dell'Europa nord-occidentale fin
verso la fine del XIX sec., allorquando, per la diminuita pressione demografica
e il consolidato sviluppo economico, si ridusse notevolmente. Furono allora i
Paesi dell'Europa sud-orientale, all'inizio del processo di industrializzazione
e ad alta pressione demografica, a dare impulso all'esodo. Maggior polo di
attrazione dell'
e. europea furono inizialmente gli Stati Uniti, seguiti
poi dal Canada, dall'America Latina, dall'Australia, territori ricchi di terra
coltivabile e di risorse minerarie, ma poveri di manodopera. Dal 1850 alla
vigilia della prima guerra mondiale si calcola siano emigrati dall'Europa
più di 40 milioni di individui, oltre la metà dei quali diretta
negli Stati Uniti. Il periodo di massimo deflusso è stato il decennio
1901-10 con una media annua di emigranti dall'Europa nord-occidentale pari a 350
mila e dall'Europa sud-orientale pari quasi a 1 milione. In totale, nel secolo
1850-1950 l'Europa ha visto emigrare verso altri continenti circa 55 milioni di
individui, non meno di 30 milioni dei quali definitivamente. Dalla Gran Bretagna
e dall'Irlanda ne sono emigrati più di 20 milioni, dall'Italia oltre 10
milioni, dalla Germania 5 milioni e altrettanti dai territori dell'ex Impero
austro-ungarico. Dopo la prima guerra mondiale, in ogni caso, il deflusso di
popolazione dal continente europeo subì un notevole rallentamento sia per
la politica restrittiva dei Paesi di immigrazione (Stati Uniti con le leggi del
1917 e 1921, Canada con la legge del 1931), timorosi che il continuo afflusso di
manodopera danneggiasse i lavoratori nazionali, sia per le meno attraenti
condizioni economiche di questi Paesi, dovute alle frequenti e disastrose crisi
(a seguito a quella del 1929-33, l'Austria per esempio vide quasi annullarsi la
propria immigrazione), sia per le politiche limitatrici dell'
e. attuate
dai Paesi d'origine (Italia e Germania). In effetti nel decennio 1921-30 la
media annuale degli espatri dall'Europa per altri continenti scese a 277.000 per
i Paesi dell'Europa nord-occidentale e a 360.000 per quelli dell'Europa
sud-orientale. L'Italia, il cui territorio è scarso di risorse naturali e
solo nelle regioni settentrionali presenta un certo grado di sviluppo economico,
è stata fra gli Stati che in maggior misura hanno contribuito ad
alimentare il flusso emigratorio intercontinentale. Altrettanto intensa è
stata l'
e. italiana verso gli altri Paesi europei. Dal 1876, anno in cui
ebbero inizio le prime rilevazioni ufficiali del movimento migratorio verso
l'estero, al 1970, sono espatriati oltre 26 milioni di Italiani, di cui non meno
di 5 milioni definitivamente. Il deflusso ha avuto una tendenza costantemente
crescente fino alla prima guerra mondiale: il tasso di
e. pari al 3,9 per
mille negli anni 1876-80, raggiunse il 19,1 per mille nel quinquennio 1906-10.
Nel periodo 1896-1900 espatriarono in media oltre 210.000 persone all'anno, ma
nei primi 13 anni di questo secolo la media degli espatri superò le
600.000 unità. Fu questo il periodo del cosiddetto "grande esodo"
(espatriarono in totale oltre 8 milioni di persone). L'
e. fu regolata e
assistita dal Commissariato generale dell'Emigrazione (istituito nel 1901). In
questi stessi anni la corrente transoceanica prese il sopravvento su quella
continentale (fino ad allora dominante), la prima alimentata in prevalenza da
emigranti provenienti dalle regioni meridionali e la seconda da emigranti
provenienti dalle regioni settentrionali. La proporzione dei meridionali sul
totale degli emigranti transoceanici, pari al 22% nel 1876, raggiunse infatti il
70% nel 1913: dalla Calabria, Abruzzi, Molise e Basilicata espatriò verso
altri continenti oltre il 30% degli abitanti. Al Nord la regione di massimo
deflusso era il Veneto, che offriva, tra l'altro, manodopera stagionale agli
imperi centrali (Austria soprattutto). La prima guerra mondiale arrestò
progressivamente il deflusso migratorio così che il tasso di
e.
scese al 6% nel periodo 1916-20. Dopo il conflitto e fino al 1927 la media
annuale degli espatri risalì a 320.000 unità, ma l'andamento del
periodo fu discendente per la crisi che negli anni 1920-21 colpì la
maggior parte dei Paesi di immigrazione e per la chiusura quasi totale delle
frontiere ai nostri emigranti. Dal 1927 alla seconda guerra mondiale l'
e.
si ridusse ulteriormente, sia a causa dei motivi sopra ricordati a proposito
dell'
e. europea in generale, sia a causa della legge limitatrice degli
espatri posta in essere dal Governo italiano nel 1927. Dal 1928 al 1942
espatriarono poco più di 1,3 milioni di persone così che la media
annua fu inferiore alle 90.000 unità. La maggior parte degli emigranti
proveniva dalle regioni settentrionali e 2/3 di essi erano diretti verso i Paesi
europei. I rimpatri arrivarono a costituire oltre il 70% degli espatri. Dopo la
seconda guerra mondiale l'
e. riprese con nuovo vigore e nuove
caratteristiche. Dal 1946 al 1970 sono espatriati quasi 7 milioni di Italiani
provenienti prevalentemente dalle regioni del Centro e del Sud. Il tasso di
e. pari al 5,3 per mille fino al 1955, è salito a circa il 6,6 per
mille dal 1956 al 1965 per poi scendere al 4 per mille dal 1966 al 1970. La
corrente continentale ha continuato a prevalere su quella transoceanica fino a
pesare per il 74% nel quinquennio 1966-70. In conformità alla prevalente
direzione continentale si è accentuato il carattere temporaneo del flusso
emigratorio (l'
e. transoceanica infatti è per natura permanente):
la percentuale dei rimpatri, pari solo al 33% negli anni 1946-51 (45%
dall'Europa e 19% dai Paesi d'oltreoceano), ha superato il 70% negli anni
1960-70 (78% dall'Europa e 31% dai Paesi transoceanici). La Svizzera ha
assorbito da sola, in questo dopoguerra, quasi la metà degli emigranti
verso i Paesi europei: l'altra metà si è diretta verso i paesi
della CEE, Germania soprattutto. Fra i Paesi d'oltreoceano, USA, Canada,
Venezuela e Australia sono state le mete preferite dagli emigranti italiani.
L'art. 35 della Costituzione afferma che la Repubblica riconosce la
libertà di
e. salvo gli obblighi stabiliti dalle leggi
nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero. Da ricordare
inoltre il Testo Unico del 13.11.1919, n. 2.205, sull'
e. e la tutela
degli emigranti, e i numerosi accordi bilaterali stipulati dal Governo italiano
con molti stati (per esempio l'accordo con l'Australia sull'
e., approvato
con Decreto presidenziale il 9.12.1979, n. 1.430). La legge 8.5.1985, n. 205,
istituiva presso gli uffici consolari principali dei comitati di
e.
formati su base elettiva. Tali comitati hanno il compito di promuovere la vita
sociale e culturale degli emigranti.