Tragedia di Euripide, scritta nel 413 a.C. Elettra è stata data in moglie
ad un povero contadino, affinché da lei nascano figli forti, capaci di
vendicare la morte di Agamennone. Il marito, uomo delicato e saggio, è
per la sventurata fanciulla, di cui rispetta la purezza, un umile ma caro amico.
Giungono alla loro casa due giovani stranieri: sono Oreste e Pilade, decisi a
punire Egisto e Clitennestra. Il riconoscimento tra il fratello e la sorella
è seguito da un concitato progetto di vendetta e di morte. I due adulteri
debbono perire: l'uno sarà ucciso durante una sacra cerimonia, l'altra
verrà attirata, con un pretesto, in casa di Elettra e inesorabilmente
trucidata. Tuttavia la vendetta dà loro rimorso e dolore: la visione
della madre imbrattata di sangue e agonizzante li ossessiona. La tragedia si
conclude con l'apparizione dei Dioscuri, che annunziano ad Oreste il
sopraggiungere delle Furie vendicatrici, e con le nuove nozze di Elettra con
Pilade. Euripide tratta il mito con uno spirito polemico e rivoluzionario, ben
lontano dalla religiosità di Eschilo o da quel senso di accorata
contemplazione del dolore umano che traspira da una quasi contemporanea
E. di Sofocle.