Composto (naturale o sintetico) avente come caratteristica principale un
fortissimo allungamento elastico, cioè la possibilità di
allungarsi sotto stiro fino ad una lunghezza pari anche ad alcune volte quella
originaria e di tornare alla lunghezza primitiva, o quasi, al cessare dello
stiro. I diversi prodotti di questa classe, quasi tutti organici, hanno
proprietà molto differenti l'uno dall'altro in vista dei vari usi ai
quali sono destinati. ║
Caratteristiche principali di un e.:
costruendo il diagramma sforzo (σ) deformazione (ξ) di un
e.,
si vede che esso differisce nettamente da quello di un materiale metallico (o
materiale a comportamento elastico simile) per la forma della curva. Infatti si
nota un bassissimo modulo elastico, un campo di proporzionalità (campo di
modulo elastico costante) quasi nullo. Si ha poi un fortissimo allungamento
sotto uno sforzo molto limitato e infine un brusco aumento dello sforzo appena
prima della rottura che avviene ad un allungamento generalmente superiore al
500%. Ai fini dell'impiego più comune degli
e. (o gomme)
interessano però maggiormente i cicli di isteresi che si ottengono sotto
carichi alternati e che danno un'indicazione del comportamento dinamico del
materiale. Così una gomma usata per la fabbricazione di pneumatici deve
avere un ciclo di isteresi molto stretto, in quanto tutto il lavoro
corrispondente all'area del ciclo andrà dissipato in calore, causando una
perdita non voluta ed un eccessivo riscaldamento del pneumatico. Se si considera
invece una gomma impiegata in un ammortizzatore di urti (come quelli delle
carrozze ferroviarie o i rostri dei paraurti delle automobili) le
caratteristiche desiderate sono esattamente opposte: il ciclo deve essere il
più grande possibile in modo da trasformare in calore la massima parte
dell'energia cinetica della massa urtante. Si vede quindi che le caratteristiche
elastiche dei vari
e. possono essere quanto mai varie. Da un punto di
vista strettamente strutturistico un
e., per potersi allungare molto
sotto uno sforzo limitato, deve essere costituito da catene polimeriche che allo
stato di riposo non siano parallelizzate. Se lo fossero infatti si avrebbe il
comportamento elastico dei materiali tipo metalli e
fibre tessili
(V.). Pertanto si può dire in generale che
un buon
e. è un polimero le cui catene allo stato di riposo non
sono parallelizzate ma costituiscono un groviglio disordinato: in particolare
non può quindi essere cristallino. Pertanto alle temperature d'impiego un
e. dovrà o essere amorfo o cristallizzare molto difficilmente. Ad
esempio la gomma naturale, che ha un punto di fusione a 20 ÷ 30°C
circa, è però un buon
e. perché cristallizza molto
difficilmente. Affinché la rottura avvenga con un carico abbastanza
elevato si deve però avere un prodotto avente catene ordinate o almeno
regolari se non addirittura cristalline. Pertanto un polimero, affinché
si irrigidisca sotto sforzo prima di rompersi, deve passare in queste
condizioni. Esso deve quindi essere costituito da catene che possano essere
facilmente parallelizzate dall'applicazione di uno sforzo; meglio ancora se esso
cristallizza sotto sforzo e ritorna amorfo al cessare dello sforzo stesso.
Questo può accadere se il polimero è costituito da catene regolari
ma aggrovigliate, come appunto la gomma naturale: un campione di questa sotto
stiro diventa opaco (in quanto cristallizza) e riprende il suo colore al cessare
dello sforzo (in quanto torna amorfo). La strutturistica spiega anche come
questo avvenga. La
gomma naturale è essenzialmente un
poliisoprene, cioè un polimero stereoregolare. Allo stato di riposo
però le sue catene tendono ad aggrovigliarsi in quanto nella
macromolecola esiste la possibilità di rotazione attorno a certi legami
carbonio-carbonio, e precisamente attorno a quelli adiacenti ai doppi legami.
Data la bassa energia necessaria per compiere queste rotazioni, esse avvengono
normalmente alla temperatura ambiente (e anche un po' minore): la somma di tutte
queste rotazioni fa sí che il polimero assuma una configurazione
aggrovigliata ma che possa essere disteso, ed ordinato fino a cristallizzare
sottosforzo. Se per contro si considera un polietilene lineare si vede che le
catene sono molto regolari (donde una facile cristallizzazione) e che le
rotazioni attorno ai legami C―C sono più difficili: il polietilene
non è pertanto un
e. Se però nella sua catena s'introducono
dei "disturbi" come ad esempio dei gruppi metilici ―CH
3
laterali (copolimerizzando con l'etilene del propilene) si hanno delle catene
aventi maggiore mobilità e minor ordine: si ottiene quindi un
e.,
anzi tutta una serie secondo le diverse percentuali di propilene che
s'introducono. Gli
e. di questo tipo, detti
copolimeri
C
2―C
3 o gomme etilene-propilene, sono stati prodotti
per via sintetica ed hanno ormai importanza industriale; l'idea base della loro
invenzione è stata proprio quella sopra detta. Va notato che queste gomme
non presentano nella loro molecola delle insaturazioni, a differenza di quella
naturale: sono quindi dette anche
gomme sature. C'è un'altra
caratteristica degli
e. che bisogna tener presente e precisamente gli
scorrimenti viscosi, i quali producendo lo scorrimento di una delle catene
polimeriche le une sulle altre e quindi irreversibilmente, producono delle
deformazioni permanenti anelastiche. La resistenza del materiale a questi
scorrimenti è data dalle forze d'interazione fra le catene, cioè
interazioni dipolo-dipolo o forze di Van der Waals, che però sono
limitate proprio per natura disordinata delle catene dell'
e. Occorre
quindi impedire lo scorrimento relativo delle macromolecole con un mezzo
opportuno, ad esempio salandole in certi punti con un "ponte" che collega due
catene; questa operazione si fa comunemente e prende il nome di
vulcanizzazione. Dopo questo processo l'
e. si presenta in
definitiva, allo stato di riposo, come una massa di catene polimeriche
aggrovigliate, con dei ponti di collegamento fra le varie catene; sotto tiro le
catene si parallelizzano mentre i ponti ne impediscono lo scorrimento viscoso
relativo. La vulcanizzazione si fa in vari modi secondo le diverse gomme: nel
caso dei polimeri contenenti insaturazioni si opera addizionando dello zolfo e
scaldandolo. Lo zolfo reagisce con i doppi legami provocandone l'apertura: si
stabilisce pertanto un legame fra due catene per mezzo di ponti zolfo del
tipo―S―S―...―S―. Naturalmente solo una piccola
parte dei doppi legami è impegnata in quest'operazione. Nel caso delle
gomme sature non è possibile vulcanizzare in questo modo; si ricorre
generalmente all'artificio d'introdurre appositamente delle insaturazioni nella
catena copolimerizzando piccole percentuali di una diolefina. Per la
gomma
butile si copolimerizza dell'isoprene mentre per i copolimeri
C
2―C
3 s'introduce ad esempio un po' di
cicloottandiene (ottenuto dimerizzando il butadiene). Dato l'alto costo di
questo prodotto, ne sono stati proposti molti altri, onde i copolimeri
C
2―C
3 sono spesso detti
gomme ETP
(etilene-propilene-terzo monomero) anche se il terzo monomero è solo una
piccola percentuale. Si sono anche proposti diversi metodi di vulcanizzazione
per le gomme sature: i più interessanti si basano sull'impiego di
diperossidi i quali danno luogo a diradicali (radicali con due punti attivi) i
quali si attaccano a due molecole polimeriche spostando da ognuna un idrogeno e
formando il ponte voluto. L'inconveniente di questo metodo è l'alto costo
dei diperossidi, oltre al fatto che la tecnologia della vulcanizzazione con lo
zolfo è ormai universalmente impiegata e il passaggio a questa
richiederebbe nuovi impianti. Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche
e chimico-fisiche che si usa determinare sulle gomme, riportiamo solo le
principali: a)
Carico di rottura: si determina la forza necessaria per
rompere una certa area di sezione (iniziale). Il carico di rottura (indicato con
σ
R o con C.R.) è il rapporto fra il carico e l'area
detti: si esprime in kg/cm
2 o gr/mm
2. b)
Modulo di
elasticità: rappresenta lo sforzo (in kg/cm
2 o altra
unità), cioè il carico per unità di superficie iniziale,
necessario per ottenere un certo allungamento (ad esempio 300%) prefissato.
è ancora il rapporto fra sforzo e deformazione come per i metalli e
materiali simili; si può ricavare dal diagramma
sforzo-deformazione ma varia con lo sforzo applicato in quasi tutto il
campo. c)
Allungamento: è la deformazione lineare sopportata da un
campione prima di rompersi (allungamento a rottura) oppure sotto un dato sforzo
(allungamento elastico). Si dà in percento sulla lunghezza iniziale; un
allungamento del 300% a rottura significa che il provino si rompe
allorché è diventato di una lunghezza pari a quattro volte quella
iniziale. d)
Resa elastica o
resilienza: è il rapporto fra
l'energia che un campione rimette sotto forma elastica nel suo ritorno elastico
(alle dimensioni primitive o quasi) e quella che gli è stata comunicata
deformandolo. Il resto dell'energia è trasformato in calore. Essa deve
essere alta quando si richiede una grande elasticità (ad esempio per
pneumatici) e bassa in altri casi (ad esempio per ammortizzatori). Viene
misurata dalla misura della risalita di un pendolo apposito lasciato cadere da
un'altezza fissata a battere su un campione normalizzato e si dà in
percentuale. e)
Resistenza all'abrasione: è molto importante per
alcune applicazioni, ad esempio per il battistrada dei pneumatici. Viene
misurata osservando la diminuzione di spessore di un campione di gomma che
appoggia su un tamburo (ruotante ad una certa velocità) pressato con una
forza nota. Le condizioni della prova sono standardizzate, in modo che basta
dare il numero di giri del tamburo corrispondenti ad una diminuzione di spessori
di una certa entità (ad es. un cm o un pollice) per dare un dato
significativo. f)
Resistenza al taglio o
alla lacerazione: si
dà in kg/mm di spessore dell'
e., e si misura con una prova a
trazione su un provino standardizzato nel quale è praticato un leggero
taglio (in direzione normale alla forza di trazione) che funziona da invito alla
rottura g)
Deformazione permanente o
residua: si misura come
allungamento che permane dopo il ritorno elastico al seguito di una prova di
trazione che ha allungato il provino di una data quantità (ad esempio del
300%) per un certo tempo (ad esempio 24 ore). Il tempo va sempre indicato in
quanto gli
e. presentano molto sovente un vistoso fenomeno di
creep (continuo allungamento sotto un certo carico al passare del tempo).
h)
Resistenza alla fatica: si può dare in vari modi, ma è
difficile ottenere dei dati significativi come quelli per i materiali metallici
(V. FATICA). In generale si fanno delle prove
comparative con altri
e. aventi comportamento pratico noto. i)
Permeabilità ai gas: è particolarmente importante per le
gomme destinate ad es. alla fabbricazione di camere d'aria. Spesso vengono usati
a basso peso atomico (idrogeno od olio) che sono i più difficili da
contenere. I risultati vengono dati come cm
3 di gas passato
attraverso un campione di superficie unitaria in un certo tempo e con una certa
pressione di gas. l)
Resistenza all'invecchiamento: è una
caratteristica molto importante in quanto tutti gli
e. tendono a
degradare rapidamente (cioè ad alterarsi chimicamente, perdendo le loro
caratteristiche) all'aria e alla luce solare. A questo scopo essi vengono
addizionati sempre di opportune
cariche (V.
GOMMA). Generalmente si sottopongono le gomme a prove d'invecchiamento
accelerato, riproducendo ambienti aventi delle condizioni di attacco (luce,
temperatura, umidità, ecc.) più drastiche di quelle che
l'
e. dovrebbe sopportare in realtà. Fra queste prove si può
porre anche la resistenza all'
ozono, presente in piccolissime
quantità nell'aria, che è molto dannoso alla maggior parte delle
gomme in quanto attacca le insaturazioni. m)
Prove varie: sono
numerosissime; le più importanti sono quelle di resistenza alla
temperatura, di combustibilità, di resistenza ai solventi, ecc. ║
Classificazione degli e.: è invalso l'uso di distinguerli in
naturali e
sintetici. I primi sono prodotti naturali, più o
meno profondamente modificati. Gli altri sono invece dei prodotti polimerici
artificiali, ottenuti polimerizzando dei monomeri a partire da numerose materie
prime, la prima fra le quali è il petrolio. L'unico tra gli
e.
naturali che abbia importanza pratica è il
caucciù dal
quale deriva la
gomma naturale. Sarebbe più proprio chiamare
caucciù il prodotto grezzo e gomma naturale il prodotto vulcanizzato, ma
i due termini sono spesso usati indifferentemente. Il caucciù è
una sostanza idrocarburica non satura che si trova nel lattice di numerose
piante tropicali appartenenti alla famiglia delle Cuforbiacee, delle Moracee,
ecc. Il latice è una secrezione che esce dai tronchi di questi alberi
allorché si incide la corteccia. Esso è costituito da un'emulsione
di caucciù (30 ÷ 40%) in acqua (55 ÷ 60%) stabilizzata da
proteine (5% circa). La quantità di lattice che si ottiene da una pianta
è di 5 ÷ 7 g per giorno; la produttività di una piantagione
è al massimo di 2.000 kg circa di caucciù per ettaro all'anno. Il
lattice più pregiato è quello che si ricava dalla
Hevea
brasiliensis, una pianta originaria del bacino delle Amazzoni, che fornisce
oggi pressoché tutta la gomma naturale prodotta. Dal lattice il
caucciù viene ricavato per coagulazione mediante addizione di acido
acetico o formico oppure per riscaldamento a fuoco libero. ● St. - La
storia della gomma naturale è alquanto singolare e merita almeno un breve
cenno. Si narra che Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio alla volta delle
Indie (1493-96) abbia assistito nell'Isola di Haiti ad un gioco nel quale veniva
impiegata una rozza palla di gomma; sembra dimostrato però che a
quell'epoca non esistevano nell'isola di Haiti piante che producessero lattice
di caucciù. La prima notizia certa sull'impiego della gomma si ha nel
1521, allorché gli Spagnoli sbarcati in Messico la videro usata per
alcuni oggetti. Nel XVIII sec. si hanno molte testimonianze sul fatto che gli
indigeni del Rio delle Amazzoni conoscessero da tempo la gomma, impiegata per
fabbricare molti manufatti fra i quali stoffe e stivali impermeabili. Il primo
uso per così dire industriale della gomma fu proprio quello banale di
cancellare le scritture a matita: sembra che risalga al 1770. La vera e propria
industria nacque nei primi decenni del XIX sec. in Inghilterra e si estese
rapidamente all'estero, soprattutto negli Stati Uniti d'America. Uno dei primi
usi industriali fu l'impermeabilizzazione della stoffa per farne impermeabili.
L'inventore di questo processo, che dava in realtà dei risultati alquanto
scarsi, fu l'inglese Mac Kintosh; nel mondo anglosassone gli impermeabili
vengono infatti detti ancor oggi
mackintosh. Un altro pioniere
dell'industria della gomma, contemporaneo del precedente, fu T. Hancock
inventore - sembra ormai accertato - del primo copertone. Le industrie fondate
da questi due precursori si fusero ed iniziarono verso il 1840 la produzione di
copertoni per veicoli i quali ad onor del vero erano di foggia alquanto strana
in quanto la gomma non era posta sul cerchione, ma come strato elastico fra due
cerchioni. Se essa veniva a contatto diretto col pavimento stradale si usurava
in tempo brevissimo, dato che aveva pochissima resistenza all'abrasione. Nel
1845 fu concesso il brevetto per una nuova specie di pneumatico, che non fu
però prodotto industrialmente. L'industria legata alla gomma in questo
periodo non era florida, dato che la quantità dei prodotti era molto
scadente e dipendeva moltissimo dal trattamento che la gomma aveva subito dopo
la coagulazione. Eccetto l'impermeabilizzazione, le altre caratteristiche erano
molto precarie. Solo con il processo di vulcanizzazione scoperto da Goodyear, un
americano del Massachusetts, nel 1839 la gomma diventò un materiale
importantissimo. Goodyear fece la sua scoperta casualmente, scaldando nella
stufa della gomma (25 parti) con dello zolfo (5 parti) e del bianco di piombo (7
parti) o biacca (che è un carbonato idrato di piombo usato da molto tempo
come pigmento bianco per vernici). Per un caso fortunato Goodyear scaldò
la miscela proprio alla temperatura (abbastanza critica) necessaria per avere
una buona vulcanizzazione, ed ottenne un prodotto dalle caratteristiche
infinitamente migliori di quelle della gomma da cui era partito. In
realtà sia l'addizione di zolfo sia quella di bianco di piombo sia il
riscaldamento erano già stati usati per migliorare le caratteristiche
della gomma; ma mai contemporaneamente. Goodyear si associò con un
commerciante e fondò quella che oggi è una delle più grandi
industrie del mondo. Con il migliorare delle caratteristiche della gomma ne
aumentarono rapidamente i consumi, e quindi la ricerca delle zone in cui le
piante di
Hevea, o albero della gomma, crescevano selvatiche. Il loro
sfruttamento spesso poco razionale portò alla distruzione di intere
piantagioni; s'iniziò allora la coltivazione razionale dell'
Hevea
in piantagioni del Sudamerica. Di qui le piante furono portate nel Congo e
quindi a Ceylon e nella Malesia. Quest'ultima regione presentava delle
condizioni climatiche particolarmente favorevoli e le piantagioni si diffusero
molto rapidamente conferendo all'Inghilterra un vero monopolio sul
caucciù. Le coltivazioni più razionali della Malesia, iniziate nel
primo decennio di questo secolo, portarono a un tracollo dei prezzi; la maggior
parte delle piantagioni americane ed africane dovettero essere abbandonate
perché non erano più competitive. Le Nazioni che tentarono di
opporsi al monopolio inglese furono soprattutto l'Olanda e gli Stati Uniti, i
quali, ad opera delle industrie automobilistiche che erano forti consumatrici di
gomma, crearono delle nuove piantagioni soprattutto in Brasile. L'importanza di
una materia prima come la gomma rende ragione di tutta la lunga serie di azioni,
non sempre incruente, condotte per assicurarsi le regioni del globo che ne erano
produttori effettivi o potenziali. Parallelamente gli studi dei chimici resero
nota la struttura (almeno approssimata) della gomma naturale e furono quindi
fatti i primi tentativi di produrla per via sintetica o di produrne un
surrogato. La gomma naturale chimicamente è un polimero ben definito, e
precisamente un
poliisoprene 1,4 cis. Esso può essere ottenuto
anche per via sintetica polimerizzando l'isoprene:

al polimero
1,4 cis che può rappresentarsi
nel seguente modo:

Non
è quindi difficile da ottenere per via sintetica, ma gli sforzi diretti
in questa via sono stati coronati da successo solo in questi ultimi anni, con
l'invenzione dei catalizzatori per la
polimerizzazione stereospecifica,
che permette di polimerizzare l'isoprene agganciando i monomeri testa-coda con
il tattismo (disposizione dei gruppi ―CH
3) voluto. Oggi si
produce già il caucciù sintetico, a partire dall'isoprene,
preparato a sua volta dagli isobutileni presenti nelle frazioni C
5
dei
gas di cracking per la produzione di benzine. Molti impianti sono in
costruzione in tutto il mondo; infatti, benché siano prodotte molte gomme
sintetiche, quella naturale (o il caucciù sintetico) opportunamente
trattato è l'
e. migliore per la fabbricazione di pneumatici. Oggi
però spesso il pneumatico è costituito di due parti fabbricate con
e. diversi: la fiancata è costruita con gomma naturale o
caucciù sintetico (per avere un'ottima resa elastica) mentre il
battistrada è costruito con altri
e. sintetici (che presentano una
maggior resistenza all'abrasione). Analoghe al caucciù come costituzione
sono la
guttaperca e la
balata, pure ricavate dal latice di certe
piante esotiche. Queste due sostanze non sono
e. ma
plastomeri:
sono solidi a temperatura ambiente (e poco elastici); se scaldati a circa
70°C diventano plastici e mantengono la loro forma quando raffreddati.
è stato accertato che anche essi sono polimeri dell'isoprene, sempre in
1,4 ma
trans. Si vede di qui l'importanza della struttura molecolare nel
determinare le proprietà elastometriche di un polimero. ║
E.
sintetici: sono molto numerosi; ad alcuni di essi si è già
fatto cenno. Le gomme sintetiche più importanti sono le seguenti: a)
gomme SB o SBR o buna-S o gomme fredde; b) poliisoprene
1,4 cis; c)
polibutadiene
1,4 cis; d) gomme cloropreniche o neopreniche; e) gomma
butile; f) copolimeri C
2―C
3 ed EPT; g) gomme NB o
tipo buna -N; h) gomme siliconiche, ureteniche ed altre. Esaminiamo brevemente
questi tipi. a)
Gomme SB: il loro nome deriva dal fatto che sono dei
copolimeri stirene-butadiene;
SBR è l'abbreviazione dell'inglese
Styrene-Butadiene-Rubber (gomma stirene-butadiene). Altri nomi in uso
sono:
GR-S, gomme tipo S, europrene, FR-S, ecc.; alcuni di questi sono
marchi di fabbrica. Il nome
buna deriva dalle iniziali di
butadiene e
natrium (cioè sodio) e fu creato in Germania
per le prime gomme sintetiche ottenute, appunto, polimerizzando il butadiene con
del sodio come catalizzatore. La buna -S fu prodotta per la prima volta in
Germania (dove il problema della gomma era già stato sentito durante la
prima guerra mondiale, per le difficoltà che questa nazione incontrava
nei suoi approvvigionamenti) ed era un copolimero al 25% di stirola; oggi tale
percentuale si aggira sul 29%. La produzione divenne industriale nell'immediato
anteguerra (verso il 1935). Il nome di gomma fredda dovrebbe essere riservato a
quelle particolari gomme SB prodotte per polimerizzazione a bassa temperatura
(0°C o anche meno, fino a -30°C). Le gomme SB, pur non avendo
caratteristiche meccaniche eccellenti, sono prodotte a partire da materie prime
molto economiche e facilmente disponibili su tutti i mercati, onde sono
generalmente poco costose. Attualmente sono le gomme sintetiche prodotte in
maggiore quantità e si prevede che questa situazione durerà ancora
per alcuni anni. Presentano una grandissima resistenza all'abrasione onde il
loro impiego più comune è per la costruzione di battistrada di
pneumatici. Nella seguente tabella sono riportate (in via indicativa) le
proprietà di una gomma SB al variare della percentuale di stirene; sono
indicati la resa elastica (R.E.), il modulo al 300%, il carico di rottura a
trazione (C.R.) e l'allungamento a rottura.
Stirene (%)
|
R.E.%
|
Modulo kg/cm2
|
C.R. kg/cm2
|
Allungamento
|
25
|
52
|
75
|
204
|
614
|
15
|
54
|
79
|
200
|
562
|
10
|
58
|
72
|
147
|
488
|
0
|
60
|
99
|
112
|
316
|
Come si vede, diminuendo la quantità di stirene la resa
elastica aumenta, ma diminuisce sia il carico di rottura sia l'allungamento a
rottura. Per la preparazione della gomma SB si opera di solito in emulsione
acquosa, aggiungendo ai due monomeri diverse sostanze, fra le quali un
emulsionante per aumentare la velocità di reazione. La ricetta è
la seguente (le percentuali delle seguenti parti sono riferite al numero totale
di monomeri, posto uguale a 100):
|
parti %
|
butadiene monomero
|
71
|
stirene monomero
|
29
|
dodecilmercaptano
|
0,5
|
persolfato di potassio
|
0,23
|
emulsionante
|
4,3
|
acqua
|
180
|
Dopo la polimerizzazione la reazione deve essere bloccata a evitare
che questa - la diversa reattività dei due monomeri - prosegua producendo
dei polimeri di composizione troppo diversa da quella voluta. Generalmente la
reazione viene bloccata quando la conversione si aggira sul 70-80%. Per
l'arresto s'impiega una soluzione di tipo:
idrochinone
|
0,008
|
solfito di sodio
|
0,008
|
acqua
|
1,6 ÷ 3,2
|
La reazione è radicalica ed è iniziata da un
sistema
redox costituito dal persolfato potassico e il dodecilmercaptano;
quest'ultimo ha anche la funzione di controllare il peso molecolare del
polimero. b)
Poliisoprene: come si è detto si deve avere
polimerizzazione in
1,4 cis affinché il polimero sia un buon
e. Benché prodotto fin dal 1935, solo recentemente è
divenuto industrialmente importante. Come catalizzatori si usano preparati a
base di litio tipo litiolchili o alluminioalchili e tetracloruro di titanio; si
opera generalmente in solventi idrocarburici (aromatici o alifatici). Al termine
della polimerizzazione il catalizzatore viene distrutto con alcool. I pesi
molecolari desiderati vanno da 300.000 a qualche milione. Il poliisoprene
1,4-cis mostra caratteristiche sostanzialmente identiche alla gomma naturale
(salvo differenze, volute, dovute ad un diverso peso molecolare) e come questa
si vulcanizza e si lavora. Il rapido sviluppo di questa gomma è legato ai
nuovi processi di produzione dell'isoprene a partire dai prodotti di
cracking ed in particolare dagli
isoamilei (olefine a 5 atomi di
carbonio) per deidrogenazione. c)
Polibutadiene: anche in questo caso si
deve avere una polimerizzazione in
1,4 cis affinché il prodotto
sia un buon
e. I catalizzatori necessari per questa polimerizzazione sono
stati scoperti negli USA nel 1956 e l'anno dopo in Italia ad opera del professor
Giulio Natta; quello italiano è migliore in quanto la
stereospecificità arriva al 98% mentre nell'altro caso non supera il 95%.
Si usa generalmente un composto (cloruro, acetilacetonato, ecc.) di cobalto
insieme con alluminio-dialchil-monocloruro, che di solito è un dietile.
Il polibutadiene 1,4-cis ha proprietà molto simili alla gomma naturale;
è l'unica gomma sintetica che possa sostituire questa nella preparazione
di grossi pneumatici data la elevata resa elastica che possiede. Ha però
una bassa resistenza all'abrasione, onde non è adatto alla fabbricazione
di battistrada. Può essere lavorato come la gomma naturale, con piccole
modifiche del processo (ad es. si vulcanizza con meno zolfo). Si usa molto
spesso in mescola con la gomma naturale in rapporto da 1:1 a 9:1. d)
Gomme
cloropreniche o
neopreniche: sono anche dette GR-M; il tipo
più noto è il
neoprene, fabbricato dalla Du Pont de
Nemours. Questo, prodotto per la prima volta nel 1931, è costituito da un
polimero del 2-clorobutadiene o
cloroprene, che ha formula:

La polimerizzazione
viene condotta in emulsione a temperatura poco superiore a quella ambiente;
l'attacco è prevalentemente in
1,4 trans ma in parte anche in 1,2
-trans. Il polimero ottenuto si può rappresentare così:

Questo materiale
dimostra una grandissima resistenza alla luce, insostituibile in quelle
applicazioni in cui tale resistenza è essenziale, come per cavi
elettrici, tubi, guanti, ecc. Esso, a differenza della gomma naturale, è
vulcanizzato con litargirio ed ossido di zinco (o altri ossidi metallici); per
il resto la sua lavorazione è simile a quella del caucciù. Si
fanno anche molti polimeri a base di cloroprene copolimerizzato con piccole
quantità di altri monomeri (ad es. acrilonitrile) per avere gomme che
presentano caratteristiche particolari. e)
Gomma butile. Ne esistono vari
tipi, tutti costituiti da un copolimero dell'
isobutilene con piccole
percentuali (0,5 ÷ 3%) di isoprene; questo monomero serve per introdurre
nel polimero un certo numero di insaturazioni in modo da permetterne la
vulcanizzazione con lo zolfo; l'operazione è però relativamente
lunga. Le caratteristiche più salienti di questa gomma sono la bassissima
permeabilità ai gas (che la fa preferire ad ogni altro
e. per la
fabbricazione di camere d'aria), la resistenza agli acidi e alle basi (onde
è usata come rivestimento anticorrosivo nell'industria chimici). I primi
tipi (che risalgono al 1938) non erano miscibili con altre gomme; oggi se ne
hanno dei tipi bromurati e clorurati covulcanizzabili con altre gomme. f)
Copolimeri C2―C3 ed
EPT. Il
copolimero base - prodotto per la prima volta in Italia nel 1956 coi
catalizzatori stereospecifici del professor Giulio Natta - è preparato
per copolimerizzazione di etilene a base di alluminioalchili ed ossicloruro di
vanadio. Il prodotto presenta una struttura di tipo:

ed è quindi saturo. Per la vulcanizzazione di
queste gomme sature si è già detto sopra. I polimeri EPT sono
basilarmente uguali a questi, ma hanno copolimerizzato piccole percentuali di un
terzo monomero (generalmente isoprene) onde sono vulcanizzabili con zolfo. Le
caratteristiche meccaniche di questi polimeri sono molto buone, come mostra la
seguente tabella (per un polimero vulcanizzato e caricato col 500% di nerofumo
HAF, v. poi):
|
prima
|
dopo
|
Carico di rottura (kg/cm2)
|
310
|
270
|
Allungamento a rottura (%)
|
600
|
530
|
Modulo elastico al 300%
|
80
|
100
|
Durezza (HV)
|
69
|
64
|
Resa elastica a 20°C (%)
|
73
|
72
|
I valori della prima colonna si riferiscono al prodotto a temperatura
ambiente e in condizioni normali; quelli della seconda allo stesso prodotto dopo
un invecchiamento di 70 ore a 150°C e successiva climatizzazione di nuovo a
temperatura ambiente. Come si vede, una caratteristica di questo prodotto
è proprio la grandissima resistenza all'invecchiamento come anche alla
luce, agli ossidanti (compreso l'ozono), alla temperatura e ai solventi. Queste
gomme sono impiegate soprattutto per cavi elettrici, tubi, guarnizioni,
profilati, nastri, trasportatori, ecc. Ne è però prevista
un'estensione ai pneumatici in virtù del loro basso costo. g)
Gomme
NB: sono anche dette
gomme nitriliche o
tipo Buna-N: vi sono
poi vari nomi commerciali quali
butaprene, perbunan, ecc. Sono gomme
nitrilico-butadieniche, ottenute polimerizzando il butadiene con acrilonitrile
in percentuali dal 20 al 50%. Si opera generalmente con catalizzatori radicalici
in emulsione a 5°C circa. Con l'aumentare della percentuale di
acrilonitrile diminuisce proporzionalmente la lavorabilità, ma aumenta la
resistenza all'azione degli idrocarburi sia aromatici sia alifatici ed ai
solventi generici. Questa gomma presenta un'ottima elasticità anche alle
basse temperature; fu preparata nel 1931 per la prima volta (in Germania) ed
usata per la fabbricazione di pneumatici con scarso successo. Oggi è
molto usata per preparare cavi, guarnizioni, tubi, guanti, adesivi, per
impregnare carta e tessuti ecc. Si può mescolare con altre gomme (dato
che si vulcanizza con zolfo e si carica con nerofumo) e con diverse resine
sintetiche. h)
Gomme siliconiche ed altre: è questo uno dei
capitoli più moderni degli
e., che ha visto la produzione di
polimeri dalle qualità specifiche ed eccezionali. è questo anche
il campo che promette il maggior sviluppo, almeno qualitativo. Le
gomme
siliconiche o
Silicone Rubbers sono costituite da polimeri organici a
lunga catena, nelle cui molecole la catena principale è formata da atomi
di silicio alternati ad atomi di ossigeno. Ad esempio per policondensazione di
dimetilsilanolo con dimetildiclorosilano:

si ottiene il
dimetilpolisilossano, che ha una
struttura presentabile così:

ed è un ottimo
e. La caratteristica
principale di queste gomme è la loro stabilità termica, sia alle
alte (anche 300°C) che alle basse temperature (anche -100°C). Inoltre
mostrano una grande resistenza a quasi tutti gli agenti (ozono compreso) e non
sono combustibili. Vengono usate per cavi, guarnizioni, coibentazione, ecc. in
molte industrie (elettrica, elettronica, aeronautica, ecc.) laddove il loro
costo elevato è giustificato dalla loro qualità. Se ne fanno anche
altri tipi più complessi, contenenti gruppi fenilici o vinilici che
impartiscono particolari proprietà. In generale però le
caratteristiche meccaniche sono scarse. Certi tipi si vulcanizzano con
perossidi; certi altri invece con zolfo. Le
gomme poliuretaniche sono
prodotte per policondensazione fra un poliestere e un polieteroglicole oppure di
un diolo ad alto peso molecolare con un diisocianato. I poliesteri più
usati sono gli adipati di semplici glicoli (etilenico, propilenico, butilenico,
ecc.) o altri più complessi. Sono
e. relativamente duri che
possono essere lavorati anche all'utensile: vengono spesso usati per la
fabbricazione di parti di macchine. Se ne possono avere anche tipi espansi (come
per le gomme siliconiche). Le
gomme al polisolfuro, note fin dal 1927,
sono dette anche
Thiokol o
Tiocoli. Questi
e. si preparano
anch'essi per policondensazione: materie di partenza sono un polisolfuro
inorganico (ad esempio di sodio) ed un dialogenuro alchilico (ad esempio
etilico). Per vulcanizzarle si usano ossidi metallici di zinco, piombo,
magnesio, ecc. o perossidi. La loro caratteristica principale è la
resistenza a molti agenti chimici e a quasi tutti i solventi, oltre che agli
agenti atmosferici. Sono usate soprattutto per guarnizioni, rivestimenti, ecc.
laddove il loro costo elevato è giustificato. Si possono anche avere in
forma liquida, induribile dopo colata. Le
gomme fluorurate, di recente
scoperta (1957), sono dei polimeri o copolimeri di prodotti fluorurati quali il
clorotrifluoroetilene ed il fluoruro di vinilidene. Dato l'alto contenuto di
fluoro, sono incombustibili, resistenti al calore (anche fino a 400°C e
più), inattaccabili dalla maggior parte degli ambienti corrosivi. Dato il
loro costo elevato, sono però impiegate solo in condizioni che sarebbero
proibitive per altri
e. Le
gomme acriliche sono dei poliacrilati,
e quindi dei composti saturi, vulcanizzabili solo con composti organici
contenenti due gruppi funzionali, come le diammine. Presentano una buona
stabilità termica (fra -20 e +200°C circa) e a molti agenti
corrosivi. Numerosi altri tipi di
e. sono poi preparati da varie
industrie per scopi specializzati; quelli cui si è fatto cenno
però sono i più importanti quantitativamente. Per i dati sulla
lavorazione degli
e. (V. GOMMA).