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Elastòmero.

Composto (naturale o sintetico) avente come caratteristica principale un fortissimo allungamento elastico, cioè la possibilità di allungarsi sotto stiro fino ad una lunghezza pari anche ad alcune volte quella originaria e di tornare alla lunghezza primitiva, o quasi, al cessare dello stiro. I diversi prodotti di questa classe, quasi tutti organici, hanno proprietà molto differenti l'uno dall'altro in vista dei vari usi ai quali sono destinati. ║ Caratteristiche principali di un e.: costruendo il diagramma sforzo (σ) deformazione (ξ) di un e., si vede che esso differisce nettamente da quello di un materiale metallico (o materiale a comportamento elastico simile) per la forma della curva. Infatti si nota un bassissimo modulo elastico, un campo di proporzionalità (campo di modulo elastico costante) quasi nullo. Si ha poi un fortissimo allungamento sotto uno sforzo molto limitato e infine un brusco aumento dello sforzo appena prima della rottura che avviene ad un allungamento generalmente superiore al 500%. Ai fini dell'impiego più comune degli e. (o gomme) interessano però maggiormente i cicli di isteresi che si ottengono sotto carichi alternati e che danno un'indicazione del comportamento dinamico del materiale. Così una gomma usata per la fabbricazione di pneumatici deve avere un ciclo di isteresi molto stretto, in quanto tutto il lavoro corrispondente all'area del ciclo andrà dissipato in calore, causando una perdita non voluta ed un eccessivo riscaldamento del pneumatico. Se si considera invece una gomma impiegata in un ammortizzatore di urti (come quelli delle carrozze ferroviarie o i rostri dei paraurti delle automobili) le caratteristiche desiderate sono esattamente opposte: il ciclo deve essere il più grande possibile in modo da trasformare in calore la massima parte dell'energia cinetica della massa urtante. Si vede quindi che le caratteristiche elastiche dei vari e. possono essere quanto mai varie. Da un punto di vista strettamente strutturistico un e., per potersi allungare molto sotto uno sforzo limitato, deve essere costituito da catene polimeriche che allo stato di riposo non siano parallelizzate. Se lo fossero infatti si avrebbe il comportamento elastico dei materiali tipo metalli e fibre tessili (V.). Pertanto si può dire in generale che un buon e. è un polimero le cui catene allo stato di riposo non sono parallelizzate ma costituiscono un groviglio disordinato: in particolare non può quindi essere cristallino. Pertanto alle temperature d'impiego un e. dovrà o essere amorfo o cristallizzare molto difficilmente. Ad esempio la gomma naturale, che ha un punto di fusione a 20 ÷ 30°C circa, è però un buon e. perché cristallizza molto difficilmente. Affinché la rottura avvenga con un carico abbastanza elevato si deve però avere un prodotto avente catene ordinate o almeno regolari se non addirittura cristalline. Pertanto un polimero, affinché si irrigidisca sotto sforzo prima di rompersi, deve passare in queste condizioni. Esso deve quindi essere costituito da catene che possano essere facilmente parallelizzate dall'applicazione di uno sforzo; meglio ancora se esso cristallizza sotto sforzo e ritorna amorfo al cessare dello sforzo stesso. Questo può accadere se il polimero è costituito da catene regolari ma aggrovigliate, come appunto la gomma naturale: un campione di questa sotto stiro diventa opaco (in quanto cristallizza) e riprende il suo colore al cessare dello sforzo (in quanto torna amorfo). La strutturistica spiega anche come questo avvenga. La gomma naturale è essenzialmente un poliisoprene, cioè un polimero stereoregolare. Allo stato di riposo però le sue catene tendono ad aggrovigliarsi in quanto nella macromolecola esiste la possibilità di rotazione attorno a certi legami carbonio-carbonio, e precisamente attorno a quelli adiacenti ai doppi legami. Data la bassa energia necessaria per compiere queste rotazioni, esse avvengono normalmente alla temperatura ambiente (e anche un po' minore): la somma di tutte queste rotazioni fa sí che il polimero assuma una configurazione aggrovigliata ma che possa essere disteso, ed ordinato fino a cristallizzare sottosforzo. Se per contro si considera un polietilene lineare si vede che le catene sono molto regolari (donde una facile cristallizzazione) e che le rotazioni attorno ai legami C―C sono più difficili: il polietilene non è pertanto un e. Se però nella sua catena s'introducono dei "disturbi" come ad esempio dei gruppi metilici ―CH3 laterali (copolimerizzando con l'etilene del propilene) si hanno delle catene aventi maggiore mobilità e minor ordine: si ottiene quindi un e., anzi tutta una serie secondo le diverse percentuali di propilene che s'introducono. Gli e. di questo tipo, detti copolimeri C2―C3 o gomme etilene-propilene, sono stati prodotti per via sintetica ed hanno ormai importanza industriale; l'idea base della loro invenzione è stata proprio quella sopra detta. Va notato che queste gomme non presentano nella loro molecola delle insaturazioni, a differenza di quella naturale: sono quindi dette anche gomme sature. C'è un'altra caratteristica degli e. che bisogna tener presente e precisamente gli scorrimenti viscosi, i quali producendo lo scorrimento di una delle catene polimeriche le une sulle altre e quindi irreversibilmente, producono delle deformazioni permanenti anelastiche. La resistenza del materiale a questi scorrimenti è data dalle forze d'interazione fra le catene, cioè interazioni dipolo-dipolo o forze di Van der Waals, che però sono limitate proprio per natura disordinata delle catene dell'e. Occorre quindi impedire lo scorrimento relativo delle macromolecole con un mezzo opportuno, ad esempio salandole in certi punti con un "ponte" che collega due catene; questa operazione si fa comunemente e prende il nome di vulcanizzazione. Dopo questo processo l'e. si presenta in definitiva, allo stato di riposo, come una massa di catene polimeriche aggrovigliate, con dei ponti di collegamento fra le varie catene; sotto tiro le catene si parallelizzano mentre i ponti ne impediscono lo scorrimento viscoso relativo. La vulcanizzazione si fa in vari modi secondo le diverse gomme: nel caso dei polimeri contenenti insaturazioni si opera addizionando dello zolfo e scaldandolo. Lo zolfo reagisce con i doppi legami provocandone l'apertura: si stabilisce pertanto un legame fra due catene per mezzo di ponti zolfo del tipo―S―S―...―S―. Naturalmente solo una piccola parte dei doppi legami è impegnata in quest'operazione. Nel caso delle gomme sature non è possibile vulcanizzare in questo modo; si ricorre generalmente all'artificio d'introdurre appositamente delle insaturazioni nella catena copolimerizzando piccole percentuali di una diolefina. Per la gomma butile si copolimerizza dell'isoprene mentre per i copolimeri C2―C3 s'introduce ad esempio un po' di cicloottandiene (ottenuto dimerizzando il butadiene). Dato l'alto costo di questo prodotto, ne sono stati proposti molti altri, onde i copolimeri C2―C3 sono spesso detti gomme ETP (etilene-propilene-terzo monomero) anche se il terzo monomero è solo una piccola percentuale. Si sono anche proposti diversi metodi di vulcanizzazione per le gomme sature: i più interessanti si basano sull'impiego di diperossidi i quali danno luogo a diradicali (radicali con due punti attivi) i quali si attaccano a due molecole polimeriche spostando da ognuna un idrogeno e formando il ponte voluto. L'inconveniente di questo metodo è l'alto costo dei diperossidi, oltre al fatto che la tecnologia della vulcanizzazione con lo zolfo è ormai universalmente impiegata e il passaggio a questa richiederebbe nuovi impianti. Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche e chimico-fisiche che si usa determinare sulle gomme, riportiamo solo le principali: a) Carico di rottura: si determina la forza necessaria per rompere una certa area di sezione (iniziale). Il carico di rottura (indicato con σR o con C.R.) è il rapporto fra il carico e l'area detti: si esprime in kg/cm2 o gr/mm2. b) Modulo di elasticità: rappresenta lo sforzo (in kg/cm2 o altra unità), cioè il carico per unità di superficie iniziale, necessario per ottenere un certo allungamento (ad esempio 300%) prefissato. è ancora il rapporto fra sforzo e deformazione come per i metalli e materiali simili; si può ricavare dal diagramma sforzo-deformazione ma varia con lo sforzo applicato in quasi tutto il campo. c) Allungamento: è la deformazione lineare sopportata da un campione prima di rompersi (allungamento a rottura) oppure sotto un dato sforzo (allungamento elastico). Si dà in percento sulla lunghezza iniziale; un allungamento del 300% a rottura significa che il provino si rompe allorché è diventato di una lunghezza pari a quattro volte quella iniziale. d) Resa elastica o resilienza: è il rapporto fra l'energia che un campione rimette sotto forma elastica nel suo ritorno elastico (alle dimensioni primitive o quasi) e quella che gli è stata comunicata deformandolo. Il resto dell'energia è trasformato in calore. Essa deve essere alta quando si richiede una grande elasticità (ad esempio per pneumatici) e bassa in altri casi (ad esempio per ammortizzatori). Viene misurata dalla misura della risalita di un pendolo apposito lasciato cadere da un'altezza fissata a battere su un campione normalizzato e si dà in percentuale. e) Resistenza all'abrasione: è molto importante per alcune applicazioni, ad esempio per il battistrada dei pneumatici. Viene misurata osservando la diminuzione di spessore di un campione di gomma che appoggia su un tamburo (ruotante ad una certa velocità) pressato con una forza nota. Le condizioni della prova sono standardizzate, in modo che basta dare il numero di giri del tamburo corrispondenti ad una diminuzione di spessori di una certa entità (ad es. un cm o un pollice) per dare un dato significativo. f) Resistenza al taglio o alla lacerazione: si dà in kg/mm di spessore dell'e., e si misura con una prova a trazione su un provino standardizzato nel quale è praticato un leggero taglio (in direzione normale alla forza di trazione) che funziona da invito alla rottura g) Deformazione permanente o residua: si misura come allungamento che permane dopo il ritorno elastico al seguito di una prova di trazione che ha allungato il provino di una data quantità (ad esempio del 300%) per un certo tempo (ad esempio 24 ore). Il tempo va sempre indicato in quanto gli e. presentano molto sovente un vistoso fenomeno di creep (continuo allungamento sotto un certo carico al passare del tempo). h) Resistenza alla fatica: si può dare in vari modi, ma è difficile ottenere dei dati significativi come quelli per i materiali metallici (V. FATICA). In generale si fanno delle prove comparative con altri e. aventi comportamento pratico noto. i) Permeabilità ai gas: è particolarmente importante per le gomme destinate ad es. alla fabbricazione di camere d'aria. Spesso vengono usati a basso peso atomico (idrogeno od olio) che sono i più difficili da contenere. I risultati vengono dati come cm3 di gas passato attraverso un campione di superficie unitaria in un certo tempo e con una certa pressione di gas. l) Resistenza all'invecchiamento: è una caratteristica molto importante in quanto tutti gli e. tendono a degradare rapidamente (cioè ad alterarsi chimicamente, perdendo le loro caratteristiche) all'aria e alla luce solare. A questo scopo essi vengono addizionati sempre di opportune cariche (V. GOMMA). Generalmente si sottopongono le gomme a prove d'invecchiamento accelerato, riproducendo ambienti aventi delle condizioni di attacco (luce, temperatura, umidità, ecc.) più drastiche di quelle che l'e. dovrebbe sopportare in realtà. Fra queste prove si può porre anche la resistenza all'ozono, presente in piccolissime quantità nell'aria, che è molto dannoso alla maggior parte delle gomme in quanto attacca le insaturazioni. m) Prove varie: sono numerosissime; le più importanti sono quelle di resistenza alla temperatura, di combustibilità, di resistenza ai solventi, ecc. ║ Classificazione degli e.: è invalso l'uso di distinguerli in naturali e sintetici. I primi sono prodotti naturali, più o meno profondamente modificati. Gli altri sono invece dei prodotti polimerici artificiali, ottenuti polimerizzando dei monomeri a partire da numerose materie prime, la prima fra le quali è il petrolio. L'unico tra gli e. naturali che abbia importanza pratica è il caucciù dal quale deriva la gomma naturale. Sarebbe più proprio chiamare caucciù il prodotto grezzo e gomma naturale il prodotto vulcanizzato, ma i due termini sono spesso usati indifferentemente. Il caucciù è una sostanza idrocarburica non satura che si trova nel lattice di numerose piante tropicali appartenenti alla famiglia delle Cuforbiacee, delle Moracee, ecc. Il latice è una secrezione che esce dai tronchi di questi alberi allorché si incide la corteccia. Esso è costituito da un'emulsione di caucciù (30 ÷ 40%) in acqua (55 ÷ 60%) stabilizzata da proteine (5% circa). La quantità di lattice che si ottiene da una pianta è di 5 ÷ 7 g per giorno; la produttività di una piantagione è al massimo di 2.000 kg circa di caucciù per ettaro all'anno. Il lattice più pregiato è quello che si ricava dalla Hevea brasiliensis, una pianta originaria del bacino delle Amazzoni, che fornisce oggi pressoché tutta la gomma naturale prodotta. Dal lattice il caucciù viene ricavato per coagulazione mediante addizione di acido acetico o formico oppure per riscaldamento a fuoco libero. ● St. - La storia della gomma naturale è alquanto singolare e merita almeno un breve cenno. Si narra che Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio alla volta delle Indie (1493-96) abbia assistito nell'Isola di Haiti ad un gioco nel quale veniva impiegata una rozza palla di gomma; sembra dimostrato però che a quell'epoca non esistevano nell'isola di Haiti piante che producessero lattice di caucciù. La prima notizia certa sull'impiego della gomma si ha nel 1521, allorché gli Spagnoli sbarcati in Messico la videro usata per alcuni oggetti. Nel XVIII sec. si hanno molte testimonianze sul fatto che gli indigeni del Rio delle Amazzoni conoscessero da tempo la gomma, impiegata per fabbricare molti manufatti fra i quali stoffe e stivali impermeabili. Il primo uso per così dire industriale della gomma fu proprio quello banale di cancellare le scritture a matita: sembra che risalga al 1770. La vera e propria industria nacque nei primi decenni del XIX sec. in Inghilterra e si estese rapidamente all'estero, soprattutto negli Stati Uniti d'America. Uno dei primi usi industriali fu l'impermeabilizzazione della stoffa per farne impermeabili. L'inventore di questo processo, che dava in realtà dei risultati alquanto scarsi, fu l'inglese Mac Kintosh; nel mondo anglosassone gli impermeabili vengono infatti detti ancor oggi mackintosh. Un altro pioniere dell'industria della gomma, contemporaneo del precedente, fu T. Hancock inventore - sembra ormai accertato - del primo copertone. Le industrie fondate da questi due precursori si fusero ed iniziarono verso il 1840 la produzione di copertoni per veicoli i quali ad onor del vero erano di foggia alquanto strana in quanto la gomma non era posta sul cerchione, ma come strato elastico fra due cerchioni. Se essa veniva a contatto diretto col pavimento stradale si usurava in tempo brevissimo, dato che aveva pochissima resistenza all'abrasione. Nel 1845 fu concesso il brevetto per una nuova specie di pneumatico, che non fu però prodotto industrialmente. L'industria legata alla gomma in questo periodo non era florida, dato che la quantità dei prodotti era molto scadente e dipendeva moltissimo dal trattamento che la gomma aveva subito dopo la coagulazione. Eccetto l'impermeabilizzazione, le altre caratteristiche erano molto precarie. Solo con il processo di vulcanizzazione scoperto da Goodyear, un americano del Massachusetts, nel 1839 la gomma diventò un materiale importantissimo. Goodyear fece la sua scoperta casualmente, scaldando nella stufa della gomma (25 parti) con dello zolfo (5 parti) e del bianco di piombo (7 parti) o biacca (che è un carbonato idrato di piombo usato da molto tempo come pigmento bianco per vernici). Per un caso fortunato Goodyear scaldò la miscela proprio alla temperatura (abbastanza critica) necessaria per avere una buona vulcanizzazione, ed ottenne un prodotto dalle caratteristiche infinitamente migliori di quelle della gomma da cui era partito. In realtà sia l'addizione di zolfo sia quella di bianco di piombo sia il riscaldamento erano già stati usati per migliorare le caratteristiche della gomma; ma mai contemporaneamente. Goodyear si associò con un commerciante e fondò quella che oggi è una delle più grandi industrie del mondo. Con il migliorare delle caratteristiche della gomma ne aumentarono rapidamente i consumi, e quindi la ricerca delle zone in cui le piante di Hevea, o albero della gomma, crescevano selvatiche. Il loro sfruttamento spesso poco razionale portò alla distruzione di intere piantagioni; s'iniziò allora la coltivazione razionale dell'Hevea in piantagioni del Sudamerica. Di qui le piante furono portate nel Congo e quindi a Ceylon e nella Malesia. Quest'ultima regione presentava delle condizioni climatiche particolarmente favorevoli e le piantagioni si diffusero molto rapidamente conferendo all'Inghilterra un vero monopolio sul caucciù. Le coltivazioni più razionali della Malesia, iniziate nel primo decennio di questo secolo, portarono a un tracollo dei prezzi; la maggior parte delle piantagioni americane ed africane dovettero essere abbandonate perché non erano più competitive. Le Nazioni che tentarono di opporsi al monopolio inglese furono soprattutto l'Olanda e gli Stati Uniti, i quali, ad opera delle industrie automobilistiche che erano forti consumatrici di gomma, crearono delle nuove piantagioni soprattutto in Brasile. L'importanza di una materia prima come la gomma rende ragione di tutta la lunga serie di azioni, non sempre incruente, condotte per assicurarsi le regioni del globo che ne erano produttori effettivi o potenziali. Parallelamente gli studi dei chimici resero nota la struttura (almeno approssimata) della gomma naturale e furono quindi fatti i primi tentativi di produrla per via sintetica o di produrne un surrogato. La gomma naturale chimicamente è un polimero ben definito, e precisamente un poliisoprene 1,4 cis. Esso può essere ottenuto anche per via sintetica polimerizzando l'isoprene:

Einsiede00.png


al polimero 1,4 cis che può rappresentarsi nel seguente modo:

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Non è quindi difficile da ottenere per via sintetica, ma gli sforzi diretti in questa via sono stati coronati da successo solo in questi ultimi anni, con l'invenzione dei catalizzatori per la polimerizzazione stereospecifica, che permette di polimerizzare l'isoprene agganciando i monomeri testa-coda con il tattismo (disposizione dei gruppi ―CH3) voluto. Oggi si produce già il caucciù sintetico, a partire dall'isoprene, preparato a sua volta dagli isobutileni presenti nelle frazioni C5 dei gas di cracking per la produzione di benzine. Molti impianti sono in costruzione in tutto il mondo; infatti, benché siano prodotte molte gomme sintetiche, quella naturale (o il caucciù sintetico) opportunamente trattato è l'e. migliore per la fabbricazione di pneumatici. Oggi però spesso il pneumatico è costituito di due parti fabbricate con e. diversi: la fiancata è costruita con gomma naturale o caucciù sintetico (per avere un'ottima resa elastica) mentre il battistrada è costruito con altri e. sintetici (che presentano una maggior resistenza all'abrasione). Analoghe al caucciù come costituzione sono la guttaperca e la balata, pure ricavate dal latice di certe piante esotiche. Queste due sostanze non sono e. ma plastomeri: sono solidi a temperatura ambiente (e poco elastici); se scaldati a circa 70°C diventano plastici e mantengono la loro forma quando raffreddati. è stato accertato che anche essi sono polimeri dell'isoprene, sempre in 1,4 ma trans. Si vede di qui l'importanza della struttura molecolare nel determinare le proprietà elastometriche di un polimero. ║ E. sintetici: sono molto numerosi; ad alcuni di essi si è già fatto cenno. Le gomme sintetiche più importanti sono le seguenti: a) gomme SB o SBR o buna-S o gomme fredde; b) poliisoprene 1,4 cis; c) polibutadiene 1,4 cis; d) gomme cloropreniche o neopreniche; e) gomma butile; f) copolimeri C2―C3 ed EPT; g) gomme NB o tipo buna -N; h) gomme siliconiche, ureteniche ed altre. Esaminiamo brevemente questi tipi. a) Gomme SB: il loro nome deriva dal fatto che sono dei copolimeri stirene-butadiene; SBR è l'abbreviazione dell'inglese Styrene-Butadiene-Rubber (gomma stirene-butadiene). Altri nomi in uso sono: GR-S, gomme tipo S, europrene, FR-S, ecc.; alcuni di questi sono marchi di fabbrica. Il nome buna deriva dalle iniziali di butadiene e natrium (cioè sodio) e fu creato in Germania per le prime gomme sintetiche ottenute, appunto, polimerizzando il butadiene con del sodio come catalizzatore. La buna -S fu prodotta per la prima volta in Germania (dove il problema della gomma era già stato sentito durante la prima guerra mondiale, per le difficoltà che questa nazione incontrava nei suoi approvvigionamenti) ed era un copolimero al 25% di stirola; oggi tale percentuale si aggira sul 29%. La produzione divenne industriale nell'immediato anteguerra (verso il 1935). Il nome di gomma fredda dovrebbe essere riservato a quelle particolari gomme SB prodotte per polimerizzazione a bassa temperatura (0°C o anche meno, fino a -30°C). Le gomme SB, pur non avendo caratteristiche meccaniche eccellenti, sono prodotte a partire da materie prime molto economiche e facilmente disponibili su tutti i mercati, onde sono generalmente poco costose. Attualmente sono le gomme sintetiche prodotte in maggiore quantità e si prevede che questa situazione durerà ancora per alcuni anni. Presentano una grandissima resistenza all'abrasione onde il loro impiego più comune è per la costruzione di battistrada di pneumatici. Nella seguente tabella sono riportate (in via indicativa) le proprietà di una gomma SB al variare della percentuale di stirene; sono indicati la resa elastica (R.E.), il modulo al 300%, il carico di rottura a trazione (C.R.) e l'allungamento a rottura.

Stirene (%)
R.E.%
Modulo kg/cm2
C.R. kg/cm2
Allungamento
25
52
75
204
614
15
54
79
200
562
10
58
72
147
488
0
60
99
112
316

Come si vede, diminuendo la quantità di stirene la resa elastica aumenta, ma diminuisce sia il carico di rottura sia l'allungamento a rottura. Per la preparazione della gomma SB si opera di solito in emulsione acquosa, aggiungendo ai due monomeri diverse sostanze, fra le quali un emulsionante per aumentare la velocità di reazione. La ricetta è la seguente (le percentuali delle seguenti parti sono riferite al numero totale di monomeri, posto uguale a 100):


parti %
butadiene monomero
71
stirene monomero
29
dodecilmercaptano
0,5
persolfato di potassio
0,23
emulsionante
4,3
acqua
180

Dopo la polimerizzazione la reazione deve essere bloccata a evitare che questa - la diversa reattività dei due monomeri - prosegua producendo dei polimeri di composizione troppo diversa da quella voluta. Generalmente la reazione viene bloccata quando la conversione si aggira sul 70-80%. Per l'arresto s'impiega una soluzione di tipo:

idrochinone
0,008
solfito di sodio
0,008
acqua
1,6 ÷ 3,2

La reazione è radicalica ed è iniziata da un sistema redox costituito dal persolfato potassico e il dodecilmercaptano; quest'ultimo ha anche la funzione di controllare il peso molecolare del polimero. b) Poliisoprene: come si è detto si deve avere polimerizzazione in 1,4 cis affinché il polimero sia un buon e. Benché prodotto fin dal 1935, solo recentemente è divenuto industrialmente importante. Come catalizzatori si usano preparati a base di litio tipo litiolchili o alluminioalchili e tetracloruro di titanio; si opera generalmente in solventi idrocarburici (aromatici o alifatici). Al termine della polimerizzazione il catalizzatore viene distrutto con alcool. I pesi molecolari desiderati vanno da 300.000 a qualche milione. Il poliisoprene 1,4-cis mostra caratteristiche sostanzialmente identiche alla gomma naturale (salvo differenze, volute, dovute ad un diverso peso molecolare) e come questa si vulcanizza e si lavora. Il rapido sviluppo di questa gomma è legato ai nuovi processi di produzione dell'isoprene a partire dai prodotti di cracking ed in particolare dagli isoamilei (olefine a 5 atomi di carbonio) per deidrogenazione. c) Polibutadiene: anche in questo caso si deve avere una polimerizzazione in 1,4 cis affinché il prodotto sia un buon e. I catalizzatori necessari per questa polimerizzazione sono stati scoperti negli USA nel 1956 e l'anno dopo in Italia ad opera del professor Giulio Natta; quello italiano è migliore in quanto la stereospecificità arriva al 98% mentre nell'altro caso non supera il 95%. Si usa generalmente un composto (cloruro, acetilacetonato, ecc.) di cobalto insieme con alluminio-dialchil-monocloruro, che di solito è un dietile. Il polibutadiene 1,4-cis ha proprietà molto simili alla gomma naturale; è l'unica gomma sintetica che possa sostituire questa nella preparazione di grossi pneumatici data la elevata resa elastica che possiede. Ha però una bassa resistenza all'abrasione, onde non è adatto alla fabbricazione di battistrada. Può essere lavorato come la gomma naturale, con piccole modifiche del processo (ad es. si vulcanizza con meno zolfo). Si usa molto spesso in mescola con la gomma naturale in rapporto da 1:1 a 9:1. d) Gomme cloropreniche o neopreniche: sono anche dette GR-M; il tipo più noto è il neoprene, fabbricato dalla Du Pont de Nemours. Questo, prodotto per la prima volta nel 1931, è costituito da un polimero del 2-clorobutadiene o cloroprene, che ha formula:

Einsiede02.png


La polimerizzazione viene condotta in emulsione a temperatura poco superiore a quella ambiente; l'attacco è prevalentemente in 1,4 trans ma in parte anche in 1,2 -trans. Il polimero ottenuto si può rappresentare così:

Einsiede03.png


Questo materiale dimostra una grandissima resistenza alla luce, insostituibile in quelle applicazioni in cui tale resistenza è essenziale, come per cavi elettrici, tubi, guanti, ecc. Esso, a differenza della gomma naturale, è vulcanizzato con litargirio ed ossido di zinco (o altri ossidi metallici); per il resto la sua lavorazione è simile a quella del caucciù. Si fanno anche molti polimeri a base di cloroprene copolimerizzato con piccole quantità di altri monomeri (ad es. acrilonitrile) per avere gomme che presentano caratteristiche particolari. e) Gomma butile. Ne esistono vari tipi, tutti costituiti da un copolimero dell'isobutilene con piccole percentuali (0,5 ÷ 3%) di isoprene; questo monomero serve per introdurre nel polimero un certo numero di insaturazioni in modo da permetterne la vulcanizzazione con lo zolfo; l'operazione è però relativamente lunga. Le caratteristiche più salienti di questa gomma sono la bassissima permeabilità ai gas (che la fa preferire ad ogni altro e. per la fabbricazione di camere d'aria), la resistenza agli acidi e alle basi (onde è usata come rivestimento anticorrosivo nell'industria chimici). I primi tipi (che risalgono al 1938) non erano miscibili con altre gomme; oggi se ne hanno dei tipi bromurati e clorurati covulcanizzabili con altre gomme. f) Copolimeri C2―C3 ed EPT. Il copolimero base - prodotto per la prima volta in Italia nel 1956 coi catalizzatori stereospecifici del professor Giulio Natta - è preparato per copolimerizzazione di etilene a base di alluminioalchili ed ossicloruro di vanadio. Il prodotto presenta una struttura di tipo:

Einsiede04.png


ed è quindi saturo. Per la vulcanizzazione di queste gomme sature si è già detto sopra. I polimeri EPT sono basilarmente uguali a questi, ma hanno copolimerizzato piccole percentuali di un terzo monomero (generalmente isoprene) onde sono vulcanizzabili con zolfo. Le caratteristiche meccaniche di questi polimeri sono molto buone, come mostra la seguente tabella (per un polimero vulcanizzato e caricato col 500% di nerofumo HAF, v. poi):


prima
dopo
Carico di rottura (kg/cm2)
310
270
Allungamento a rottura (%)
600
530
Modulo elastico al 300%
80
100
Durezza (HV)
69
64
Resa elastica a 20°C (%)
73
72

I valori della prima colonna si riferiscono al prodotto a temperatura ambiente e in condizioni normali; quelli della seconda allo stesso prodotto dopo un invecchiamento di 70 ore a 150°C e successiva climatizzazione di nuovo a temperatura ambiente. Come si vede, una caratteristica di questo prodotto è proprio la grandissima resistenza all'invecchiamento come anche alla luce, agli ossidanti (compreso l'ozono), alla temperatura e ai solventi. Queste gomme sono impiegate soprattutto per cavi elettrici, tubi, guarnizioni, profilati, nastri, trasportatori, ecc. Ne è però prevista un'estensione ai pneumatici in virtù del loro basso costo. g) Gomme NB: sono anche dette gomme nitriliche o tipo Buna-N: vi sono poi vari nomi commerciali quali butaprene, perbunan, ecc. Sono gomme nitrilico-butadieniche, ottenute polimerizzando il butadiene con acrilonitrile in percentuali dal 20 al 50%. Si opera generalmente con catalizzatori radicalici in emulsione a 5°C circa. Con l'aumentare della percentuale di acrilonitrile diminuisce proporzionalmente la lavorabilità, ma aumenta la resistenza all'azione degli idrocarburi sia aromatici sia alifatici ed ai solventi generici. Questa gomma presenta un'ottima elasticità anche alle basse temperature; fu preparata nel 1931 per la prima volta (in Germania) ed usata per la fabbricazione di pneumatici con scarso successo. Oggi è molto usata per preparare cavi, guarnizioni, tubi, guanti, adesivi, per impregnare carta e tessuti ecc. Si può mescolare con altre gomme (dato che si vulcanizza con zolfo e si carica con nerofumo) e con diverse resine sintetiche. h) Gomme siliconiche ed altre: è questo uno dei capitoli più moderni degli e., che ha visto la produzione di polimeri dalle qualità specifiche ed eccezionali. è questo anche il campo che promette il maggior sviluppo, almeno qualitativo. Le gomme siliconiche o Silicone Rubbers sono costituite da polimeri organici a lunga catena, nelle cui molecole la catena principale è formata da atomi di silicio alternati ad atomi di ossigeno. Ad esempio per policondensazione di dimetilsilanolo con dimetildiclorosilano:

Einsiede05.png


si ottiene il dimetilpolisilossano, che ha una struttura presentabile così:

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ed è un ottimo e. La caratteristica principale di queste gomme è la loro stabilità termica, sia alle alte (anche 300°C) che alle basse temperature (anche -100°C). Inoltre mostrano una grande resistenza a quasi tutti gli agenti (ozono compreso) e non sono combustibili. Vengono usate per cavi, guarnizioni, coibentazione, ecc. in molte industrie (elettrica, elettronica, aeronautica, ecc.) laddove il loro costo elevato è giustificato dalla loro qualità. Se ne fanno anche altri tipi più complessi, contenenti gruppi fenilici o vinilici che impartiscono particolari proprietà. In generale però le caratteristiche meccaniche sono scarse. Certi tipi si vulcanizzano con perossidi; certi altri invece con zolfo. Le gomme poliuretaniche sono prodotte per policondensazione fra un poliestere e un polieteroglicole oppure di un diolo ad alto peso molecolare con un diisocianato. I poliesteri più usati sono gli adipati di semplici glicoli (etilenico, propilenico, butilenico, ecc.) o altri più complessi. Sono e. relativamente duri che possono essere lavorati anche all'utensile: vengono spesso usati per la fabbricazione di parti di macchine. Se ne possono avere anche tipi espansi (come per le gomme siliconiche). Le gomme al polisolfuro, note fin dal 1927, sono dette anche Thiokol o Tiocoli. Questi e. si preparano anch'essi per policondensazione: materie di partenza sono un polisolfuro inorganico (ad esempio di sodio) ed un dialogenuro alchilico (ad esempio etilico). Per vulcanizzarle si usano ossidi metallici di zinco, piombo, magnesio, ecc. o perossidi. La loro caratteristica principale è la resistenza a molti agenti chimici e a quasi tutti i solventi, oltre che agli agenti atmosferici. Sono usate soprattutto per guarnizioni, rivestimenti, ecc. laddove il loro costo elevato è giustificato. Si possono anche avere in forma liquida, induribile dopo colata. Le gomme fluorurate, di recente scoperta (1957), sono dei polimeri o copolimeri di prodotti fluorurati quali il clorotrifluoroetilene ed il fluoruro di vinilidene. Dato l'alto contenuto di fluoro, sono incombustibili, resistenti al calore (anche fino a 400°C e più), inattaccabili dalla maggior parte degli ambienti corrosivi. Dato il loro costo elevato, sono però impiegate solo in condizioni che sarebbero proibitive per altri e. Le gomme acriliche sono dei poliacrilati, e quindi dei composti saturi, vulcanizzabili solo con composti organici contenenti due gruppi funzionali, come le diammine. Presentano una buona stabilità termica (fra -20 e +200°C circa) e a molti agenti corrosivi. Numerosi altri tipi di e. sono poi preparati da varie industrie per scopi specializzati; quelli cui si è fatto cenno però sono i più importanti quantitativamente. Per i dati sulla lavorazione degli e. (V. GOMMA).