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Egualitarismo.

(o egalitarismo o ugualitarismo). Concezione politico-sociale alla quale s'ispirano coloro che, oltre all'eguaglianza di diritto, propugnano un'eguaglianza di fatto, basata su una giusta ripartizione dei beni. Per quanto le origini dell'e., inteso nel suo significato più generale, risalgano al primo pensiero greco, come dottrina politica e sociale l'e. si è affermata solo negli ultimi due secoli, parallelamente allo sviluppo dei movimenti politico-sociali di tendenza più radicale che propugnano una eguale remunerazione del lavoro, l'esclusione dall'eredità, il collettivismo e la socializzazione dei mezzi di produzione. La concezione greca dello Stato si basava sul principio fondamentale dell'armonia, dell'equilibrio e della partecipazione di tutti alla vita pubblica. Questo principio affondava le proprie radici nella filosofia greca che, sin dalle sue origini, considerava l'armonia, o proporzione, come un principio basilare. Nella fase più antica del pensiero greco, l'idea fondamentale di armonia e proporzionalità fu applicata indifferentemente come principio etico e come principio fisico, concepita indifferentemente come una proprietà della natura e come una proprietà razionale umana. Dalla filosofia naturale, in cui si determinò inizialmente, il principio si estese poi al pensiero etico e politico, raggiungendo il massimo sviluppo in Platone e Aristotele. Quest'ultimo, nel Politico, afferma che il compito dello Stato è quello di realizzare la massima giustizia possibile e che per giustizia deve intendersi una specie di eguaglianza. Egli dimostra che la ricchezza non dà diritto assoluto al potere, dato che lo Stato non è una società commerciale. D'altra parte, egli nega però che la proprietà non abbia diritti e non condivide il "comunismo" di Platone. Per quanto Aristotele fondasse il concetto di cittadinanza sul principio di eguaglianza, nel senso di una relazione tra eguali, fedeli a un governo avente autorità legale, egli ammetteva che questa eguaglianza potesse essere rivendicata solo da un complesso di cittadini scelti. Assai più vasto è il concetto di eguaglianza come si presenta nella dottrina cristiana. La nuova concezione supponeva infatti l'eguaglianza di tutti gli uomini, anche dello schiavo, dello straniero, del barbaro, trascurando le diversità d'intelligenza, educazione, ricchezza. Sulla base dei principi cristiani, i dottori della Scolastica medioevale elaborarono dottrine della libertà e dell'eguaglianza naturale degli uomini, affermata, però, non come un diritto naturale, ma solo come un ideale morale. Ai principi di eguaglianza si richiamarono anche molte sette religiose del Medioevo e di epoche successive, che non mancarono di avere ripercussioni sul piano politico. Si ricordano, in particolare, i movimenti inglese e tedesco ispirati alla dottrina di J. Wycliffe e J. Huss, nonché il movimento dei Livellatori, sviluppatosi in Inghilterra nel XVII sec. In seguito, anche le dottrine ispirate all'e. furono influenzate dal generale processo di laicizzazione e, nel XVIII sec., l'e. suggerì le critiche alla disuguaglianza di ricchezza da parte di scrittori come Helvetius, in opposizione alla tesi giusnaturalistica sul diritto naturale della proprietà, fondata principalmente sulle argomentazioni del Locke. All'e. si richiamarono le dottrine socialiste e comuniste dei secc. XVIII-XIX, e il concetto di eguaglianza giuridica e politica fu accolto da tutti i movimenti ideologici e politici che si rifacevano ai principi di libertà e di democrazia. Il principio di maggioranza e, pertanto, l'idea di democrazia, rappresenta infatti una sintesi delle idee di libertà e di eguaglianza. Tuttavia, mentre i movimenti politici democratico-liberali limitano la propria affermazione di eguaglianza a quella politico-giuridica, formale, i movimenti democratico-socialisti si riferiscono a un'eguaglianza sostanziale, da realizzarsi oltre che sul piano politico, su quello economico e sociale. Le prime decise affermazioni di eguaglianza si ebbero durante la Rivoluzione francese e F. Babeuf ne fu il massimo assertore. Indignato dal fatto che la Rivoluzione, anziché abolire l'ineguaglianza e la miseria, si era limitata a sostituire al dominio della nobiltà quello di una borghesia arricchita dalle speculazioni, Babeuf aveva organizzato la congiura degli Eguali con l'intento di fondare una nuova Repubblica che realizzasse un'eguaglianza non soltanto politica e giuridica, ma soprattutto sociale. Questo compito doveva essere affrontato dall'azione rivoluzionaria del popolo lavoratore, ossia da una rivoluzione sociale che, distruggendo la società borghese, sostituisse ad essa una società comunista. Schiacciato sul suo nascere dal fallimento della congiura degli Eguali, il movimento proletario non si ridestò sino alle Rivoluzioni del 1830 e del 1848, mentre andava sviluppandosi l'opera degli utopisti moderati, in particolare di Saint-Simon e Fourier che non si proponevano come Babeuf di distruggere ogni ineguaglianza sociale ed economica, né di difendere gli specifici interessi di classe del proletariato, ma soltanto di migliorare la società borghese, attraverso un'organizzazione più razionale della produzione.