Dir. rom. - Manifestazione concreta dello
ius edicendi, cioè il
diritto di fare comunicazioni al popolo, conferito a ogni magistrato. Per lo
più il magistrato nel prendere possesso della sua carica promulgava un
e. nel quale fissava quelle che sarebbero state le norme generali della
sua condotta nel disbrigo degli affari attinenti alla carica. In origine
l'efficacia dell'
e. durava finché durava in carica il magistrato
che lo aveva formulato; ma a poco a poco divenne
traslaticio, cioè
aveva vigore anche sotto i magistrati successivi, a meno che non fosse stato
esplicitamente abrogato. Il pretore, prendendo possesso del suo ufficio annuale,
fissava in un
e. le norme procedurali a cui si sarebbe attenuto nella
concessione delle
actiones. Stabilizzandosi il diritto e la procedura,
queste norme divennero fisse, e venivano integralmente ripetute di anno in anno
nei vari
e. pretorii. Sotto l'imperatore Adriano fu formulato quell'
e.
perpetuo, che costituì il fondamento della procedura e del diritto
civile. Anche l'imperatore si valse dello
ius edicendi, e gli
e.
del principe ebbero valore di decreto sovrano. Fra questi ultimi: l'
e. di
Augusto ai Cirenei, l'
e. di Claudio e quello di Nerone in materia di
diritto penale, l'
e. di Caracalla sulla cittadinanza romana, l'
e.
di Diocleziano sui prezzi, l'
e. di Costantino (noto anche come
e.
di Milano) con cui si riconosceva la libertà del culto anche ai Cristiani
(313). Nell'età barbarica prese nome di
e. una raccolta organica
di leggi, promulgata da un principe, almeno nominalmente soggetto all'Impero
(l'
e. di Teodorico, l'
e. di Rotari). Più tardi il termine
fu usato ufficialmente nel senso di decreto promanante dal sovrano (l'
e.
di Nantes di Enrico IV, con cui si concedeva la libertà religiosa ai
protestanti, e l'
e. di Fontainebleau di Luigi XIV, che revocava
l'
e. di Nantes).