(o
Alessandrino). Teologo ed esegeta
alessandrino. Cieco fin dall'infanzia, riuscì comunque ad acquisire un
tale grado di erudizione da esser chiamato da Sant'Atanasio alla direzione del
Didascaleion (V.), di cui fu l'ultimo maestro.
Suoi dicepoli furono Girolamo, Gregorio Nazanzieno e Rufino. La sua produzione
letteraria, ingente ma per noi quasi interamente persa, si sviluppò
soprattutto nel campo dell'esegesi e della dottrina. Tra le opere rimaste
è il trattato, nella traduzione latina di S. Girolamo,
De Spiritu
Sancto e il libello
Contra manichaeos. L'attribuzione a lui del
De
Trinitate, in tre libri, è attualmente messa in dubbio, mentre sono
suoi due libri del trattato
Contra Eunomium di S. Basilio, essendo stati
riconosciuti in essi i due scritti didimei
De dogmatibus e
Contra
arianos. Il pensiero di
D., relativamente alle questioni più
profondamente dibattute del tempo, quella trinitaria e quella cristologica, era
sinceramente aderente all'ortodossia del Concilio di Nicea che aveva affermato
la distinzione delle tre persone divine e la duplice natura, umana e divina, di
Gesù Cristo. Un fortunato ritrovamento papiraceo del 1941 in Egitto, ha
portato alla luce alcune opere esegetiche di
D.: si tratta dei commenti
ad alcuni passi del
Genesi, di
Giobbe e dell'
Ecclesiaste,
ad alcuni
Salmi e ad alcuni libri del Nuovo Testamento. Il suo modello
nell'esegesi, di tipo allegorico, fu Origene, da cui dipese anche da un punto di
vista teologico, aderendo alla dottrina origeniana della preesistenza delle
anime e dell'apocatastasi, successivamente condannata dal concilio di
Costantinopoli del 553 (Alessandria d'Egitto 313 circa - 398).