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Besy). Romanzo di F.
Dostoevskij (1870-72), ispirato a un avvenimento
reale: il processo al rivoluzionario Nečaev, accusato della morte di un
compagno ostile ai suoi metodi. Dostoevskij narra la vicenda di un gruppo
terrorista di nichilisti che ritiene, in nome del proprio credo
rivoluzionario, di poter ignorare nell'azione politica
il confine fra bene e male. L'autore, come già in
Delitto e
Castigo, si propone con quest'opera la sconfessione dell'ateismo e di
qualsiasi etica rivoluzionaria, indipendentemente dai suoi contenuti, quando
essa consideri irrilevante il rispetto della vita di qualunque uomo. I
D.
esprimono dunque una critica serrata nei confronti sia del mondo
liberal-borghese che, dai propri salotti, gioca col fuoco delle rivoluzioni e
dei complotti, sia delle realtà anarchiche, nichiliste e socialiste,
prive di fede, di etica e di genuino amore per l'uomo. Un gruppo di
rivoluzionari ("indemoniati" in quanto hanno smarrito la nozione del bene e del
male) compie una serie di azioni terroristiche sotto la guida di Pëtr
Verchovenskij. Il vero ispiratore dei delitti è però Nikolaj
Stavogrin, altra figura demoniaca, che perverte con il suo malsano nichilismo
ogni purezza di intenti. Per sventare la possibile delazione da parte di un ex
membro del gruppo, Šatov, convertitosi alla fede ortodossa, ne viene decisa
l'uccisione. Uno dei congiurati, Kirillov, offre di assumersi la
responsabilità del delitto suicidandosi e lasciando una lettera di
autoaccusa. La ragione del gesto sta, però, nel desiderio di quest'uomo
di verificare l'esattezza del proprio ateismo e di negare in modo radicale
l'esistenza di Dio, salvo comprendere nel momento estremo la natura divina del
sacrificio di Cristo, morto per amore degli altri e non per se stesso. Speculare
e opposto il suicidio di Stavrogin, superuomo nel male, spinto
all'autoannientamento dalla crudeltà e dalla noia esistenziale.