Termine filosofico e teologico usato in opposizione a
monismo, per
designare quelle teorie che spiegano la realtà mediante due principi
antitetici. Pertanto, dualistiche sono quelle dottrine religiose che ammettono
un principio del bene e un principio del male, coesistenti ed eterni. Le
religioni spiritualmente più elevate sono in genere fondamentalmente
monistiche, ma è connaturata anche in esse una difficoltà ad un
monismo totale, che rivela una tendenza dualistica. Infatti mentre si fondano
sulla dipendenza di ogni cosa da un'entità divina che tutto pervade, si
trovano a dover ammettere, proprio per affermare la trascendenza di questa
entità, un'altra realtà inferiore, anzi antitetica alla potenza
divina, che spieghi il male, l'errore, il dubbio. Si ha quindi un frequente
oscillare delle concezioni religiose trascendenti tra monismo e
d. In
generale il
d. è legato alla trascendenza e partecipa dei problemi
e delle difficoltà di questa. Il
d. fra Dio e il mondo sembra
essere necessario per assicurare la trascendenza del divino; nello stesso tempo,
un
d. radicale annullerebbe ogni relazione tra Dio e il mondo e finirebbe
col porre il mondo e il male come potenza antagonista al divino (Dio e il
diavolo). In particolare, il
d. sembra derivare dalla stessa posizione
del problema etico e sembra necessariamente portare alla svalutazione del nostro
mondo, considerato come mondo del male. Talvolta il mondo inferiore viene
identificato col sensibile e contrapposto al razionale. In altri casi il mondo
sensibile e razionale viene contrapposto a un mondo intuito o misticamente
intravisto. La critica al
d. trovò già espressione nella
critica di Aristotele al
d. platonico tra il mondo delle idee puramente
intellegibili e la materia bruta. Il
d. di Platone, tra la realtà
delle idee e l'irrealtà del mondo del divenire, si svolge però
fondamentalmente in funzione etico-pedagogica. Già nella filosofia greca
sembra affermarsi un atteggiamento caratteristico: a un sistema di tipo
etico-religioso e perciò tendenzialmente dualistico e pessimistico, si
reagisce con una tendenza monistica che ha sempre carattere ottimistico, in
quanto afferma l'unità di tutta la realtà e quindi la preminenza
del bene. Infatti, per quanto ogni posizione etico-religiosa sembri portare
inevitabilmente a una metafisica dualistica, per l'opposizione di bene e di
male, questo
d. comporta un avvilimento delle nostre forze, innalzando il
male a principio metafisico e rendendo pertanto impossibile una vittoria
razionale del bene, da cui la necessità di far si che ogni
d.
tenda a risolversi in monismo. Così, al
d. platonico segue
l'esigenza monistica espressa nei suoi ultimi anni dallo stesso Platone e ancor
più da Aristotele. Cosl, al
d. cartesiano di
res cogitans e
res extensa, segue la tenderiza monistica di Spinoza e al
d.
kantiana segue il panlogismo hegeliano. ● St. - Col termine
d. o
monarchia dualistica viene indicato il sistema politico che dal 1867 al
1918 regolò i rapporti tra l'Austria e l'Ungheria. In seguito
all'accentuazione delle pressioni nazionalistiche da parte dei diversi popoli
dell'Impero austro-ungarico, sia il
Reichstat di Vienna che la Dieta
ungherese cercarono di dare alle loro difficoltà politiche una soluzione
federale. Nel 1867, il conflitto fra Tedeschi e Magiari venne risolto con
l'istituzione della Monarchia dualistica. Si trattava di un complicato accordo,
in virtù del quale Francesco Giuseppe diventava, contemporaneamente,
imperatore d'Austria e re d'Ungheria. I due territori, tra loro divisi dal fiume
Leytha, un affluente del Danubio, godevano di una completa uguaglianza. Il
primo, con popolazione prevalentemente tedesca, aveva per capitale Vienna; il
secondo, prevalentemente magiaro, aveva per capitale Pest. I due governi, e le
rispettive amministrazioni gestivano separatamente tutti gli affari interni;
mentre la monarchia, che li rappresentava, nella difesa e nella politica
finanziaria, costituiva, in pratica, un terzo governo. In entrambi i regni, le
istanze nazionali avanzate da Cechi, Polacchi, Slovacchi, Croati, Serbi e Romeni
venivano respinte, per mantenere l'egemonia tedesca e magiara. Questo elaborato
compromesso costituiva un ingegnoso tentativo per reprimere i principi
dell'unificazione e dell'indipendenza nazionale che erano già prevalsi in
Italia e in Germania. Si trattava, insomma, di un surrogato del nazionalismo e
non di una sua sublimazione (e consacrava la divisione politica e la disunione
nazionale). Dal punto di vista dell'imperialismo asburgico, si trattava di un
capolavoro di politica conciliativa, destinato a perpetuare l'Impero
austro-ungarico come potenza autonoma, a rimandare all'infinito le speranze
separatistiche e indipendentistiche dei popoli soggetti e a consolidare
l'egemonia tedesca e magiara sulla duplice monarchia. Si fondava, cioè,
non su un principio di unificazione, ma di spartizione, Comunque, l'ingegnosa
soluzione della Monarchia dualistica riuscì, sia pure con sforzi e
difficoltà sempre maggiori, a rinviare lo smembramento dell'Impero di
mezzo secolo, mentre il dissolversi dell'Impero turco doveva provocare la
maggior parte delle guerre combattute prima del 1914. ● Psicol. - In
psicoanalisi, per
d. degli istinti o
teoria duale degli istinti,
s'intende la teoria freudiana (
dual Instinktlehre), secondo cui gli
istinti si possono classificare in due gruppi che tendono a essere tra loro
antagonistici, e i cui conflitti appaiono responsabili delle nevrosi. Freud,
tuttavia, non fu coerente pienamente nell'individuazione dei due gruppi
d'istinti: sino al 1920, egli li indicò negli
Istinti dell'Io
(
Ichtrieb) e negli
istinti sessuali (
Sexualtrieb),
corrispondenti agli istinti di autoconservazione e di riproduzione biologica.
Nei suoi scritti teorici successivi, tuttavia, i due gruppi d'istinti furono
indicati, rispettivamente, come
istinti di vita e
istinti di
morte. In seguito, molti analisti hanno osservato che, per quanto la nozione
di
conflitto implichi l'esistenza di almeno due pulsioni, non vi sono
ragioni particolari che inducano a preferire una teoria duale degli istinti a
una teoria che implichi il riconoscimento di tre, quattro o anche di molti
istinti.