(dal greco
drama: azione). Termine risalente ad Aristotele, indicante in
origine qualsiasi opera letteraria le cui vicende, anziché essere
raccontate e commentate dall'autore (come nella narrativa e nell'epica), sono
svolte solo attraverso i dialoghi e i conflitti dei personaggi. In particolare,
composizione teatrale caratterizzata da un intreccio doloroso. ● Teatro -
Nato dalla fusione della commedia con la tragedia (la forma seria del teatro
aristocratico e feudale) il
d. si distingue da quest'ultima per alcuni
elementi esteriori ed anche per alcune caratteristiche intrinseche. Tra i primi:
il
d. non è necessariamente in versi, non racconta storie di dei o
di eroi, non si conclude obbligatoriamente con la catastrofe (e con la catarsi),
ma può essere in prosa, presenta personaggi rintracciabili nella vita
quotidiana, svolge vicende che possono far parte dell'esperienza di ognuno,
può sfociare in conclusioni amare o liete e comunque non sempre tragiche.
Tra le seconde: la sorte dei protagonisti non è decisa in partenza da un
decreto del fato o da una passione indomabile, ma determinata dal contesto nel
quale essi agiscono; inoltre è assai più esplicito l'intento di
educare lo spettatore, traendo dalle vicende una morale. Gli antecedenti di
questo genere furono le cosiddette
domestic tragedies elisabettiane:
Arden of Feversham (1592),
Una donna uccisa con la bontà, Una
tragedia nello Yorkshire; suo prototipo appare il
d. Il mercante di
Londra (1731) di G. Lillo, che incontrò in Inghilterra un notevole
successo. Fu comunque in Francia che si affermò in età
illuministica il vero
d. moderno, derivato dalla
comédie
larmoyante, volta a suscitare la trepida partecipazione degli spettatori
alle patetiche vicende dei protagonisti. Spetta a D. Diderot il merito di aver
esposto la teoria del nuovo genere nelle
Tre conversazioni su "Il figlio
naturale" (1757) e nel
Discorso sulla poesia drammatica (1758). Dai
propositi, d'orientamento realistico, di Diderot trassero ispirazione numerosi
autori francesi, da Voltaire (
La scozzese, 1760), a Mercier (
Il
carretto dell'acetaio, 1774) che nel
Nuovo saggio sull'arte
drammatica (1773) diede una definitiva consacrazione al termine
d. In
Germania i primi capolavori drammatici furono firmati da Lessing:
Minna di
Barnhelm (1763),
Emilia Galotti (1772). Il
d. dominò il
teatro europeo dell'Ottocento fino a Ibsen e Strindberg; poi col nuovo secolo e
il superamento dei vecchi generi, è iniziata la storia, completamente
diversa, del teatro moderno. ║
D. pastorale: genere teatrale,
affermatosi negli ultimi decenni del Quattrocento, che si rifà
all'idillio, alla bucolica e all'egloga e trasforma il dialogo in vera e propria
struttura drammatica. Esso è tuttavia condizionato dalle corti, che
esigono dal poeta un teatro raffinato, pieno di fasto e di garbo. Il
d.
pastorale viene così a fondere il sentimento tragico a quello comico, con
il lieto fine di rigore, per non turbare la serenità del gioco festivo,
in cui abitualmente questo genere veniva rappresentato. Dalla favola pastorale
il teatro riprende gli stessi personaggi: ninfe, satiri, pastori e cacciatori.
L'esempio primo di questo genere si ha nella
Favola di Orfeo di
Poliziano, rappresentata nel 1480. Fino alla metà del Seicento il genere
continua ad avere fortuna e tra le opere più significative sono da
ricordare il
Tirsi di Baldassarre Castiglioni (1506), l'
Egle di G.
B. Giraldi Cinzio (1545), l'
Aminta di T. Tasso (1590), mentre
l'
Endimione di A. Guidi (1692) segna la fine di una formula ormai priva
d'interesse, che egualmente si era andata spegnendo in Spagna e in Inghilterra,
dove aveva trovato, specie in Garcilaso de la Verga, Juan de Encina ed E.
Spencer, i migliori cultori. ║
D. satiresco: uno dei tre grandi
generi del teatro classico greco; ha in sé i caratteri della tragedia e
della commedia e assunse preciso carattere proprio per la dinamica grottesca su
temi tragici. Nel
d. satiresco il vecchio Sileno guida il coro dei satiri
- esseri dai particolari animaleschi - osceni crapuloni, allegri, la cui azione
fa da controcampo all'intervento del protagonista: Odisseo, contrapposto al
leggendario Ciclope, nell'omonimo
d. satiresco di Euripide, l'unico testo
pervenutoci completo, o i tradizionali eroi della tragedia greca, rappresentati
in dimensioni grottesche, dove comico e tragico si fondono in una parlata
popolare, sboccata e cruda, ricca di vis comica. Al genere, che ebbe in Pratina
(secc. VI-V a.C.) il suo perfezionatore, si dedicarono anche Eschilo e Sofocle
con opere di cui restano frammenti. ║
D. liturgico: azione
drammatica religiosa cantata su testo latino (talvolta misto a volgare). Il
testo è sempre la parafrasi dialogata di un episodio evangelico; la sua
rappresentazione che in origine aveva spesso maggiore affinità con un
rituale processionale più che con uno svolgimento teatrale vero e
proprio, si svolge in chiesa. Il periodo di maggior fioritura del
d.
liturgico si ebbe nel XII sec., ma le origini risalgono alla fine del IX sec.;
lo sviluppo si protrasse fino al XIV sec. è probabile che l'origine del
d. liturgico vada ricondotta alla fioritura dei tropi in epoca
carolingia: si ritiene anzi che un primo breve ed embrionale esempio di
d. liturgico possa essere stato il dialogo, interpolato al testo della
Messa di Pasqua, tra l'angelo e le pie donne che trovano scoperchiato il
sepolcro di Cristo. Il
d. liturgico è legato alla solenne
celebrazione di una festa: la Pasqua, il Natale, la resurrezione di Lazzaro, la
conversione di Paolo. Non rientra quindi in senso stretto nella categoria di
Planctus, lamento della Vergine sul corpo di Cristo, genere affine ma
legato al Venerdì santo e avente carattere doloroso. ║
D.
musicale: nel Seicento, e anche in seguito, fu talvolta sinonimo di
melodramma o di opera seria. Ma un significato più preciso fu assunto dal
termine dopo la teorizzazione wagneriana dei concetti di opera e di dramma.
L'opera è quella caratterizzata dalla distinzione (consueta al tempo di
Wagner) tra recitativi e arie, duetti, concertati; dalla presenza insomma di
pezzi chiusi in cui le ragioni del testo dovevano adeguarsi a quelle della
musica e in un certo senso subirle. Il rapporto si invertì nel
d.
musicale teorizzato da Wagner, in cui spettava al testo condizionare la forma
musicale, liberata dalle esigenze del "pezzo chiuso". Dopo Wagner molti
compositori evitarono nel loro teatro musicale le forme chiuse dell'opera
(Strauss, Debussy, Verdi nel
Falstaff e numerosi altri), senza che i loro
lavori potessero tuttavia qualificarsi come
d. in senso wagneriano.