(dall'inglese
to dope: drogare). Impiego in campo sportivo di sostanze
chimiche e di altri mezzi destinati a migliorare artificiosamente e in contrasto
con l'etica sportiva, la prestazione fisica e l'efficienza agonistica
dell'atleta. Dal punto di vista pratico le finalità del
d. sono
essenzialmente due: combattere la fatica e aumentare le capacità basali
dell'atleta. Entro certi limiti è possibile prevenire e neutralizzare la
fatica specie per quanto concerne i suoi riflessi psicologici (riduzione della
combattività e dello spirito agonistico, ridotta coordinazione psichica e
motoria, ecc.). L'uso di agenti defatiganti è più frequente
nell'ambito di alcune discipline sportive, quali ciclismo, canottaggio, atletica
leggera e nuoto, nelle specialità di fondo, tuffi, paracadutismo,
motociclismo, automobilismo, ecc. Pugili, saltatori, lanciatori e sollevatori di
peso ricorrono invece più spesso a mezzi capaci di aumentare le
capacità atletiche basali, attraverso un migliore trofismo delle masse
muscolari o la stimolazione dei processi metabolici collegati con la produzione
di energia. Una classificazione degli agenti farmacologici più largamente
adoperati nel
d. comprende le seguenti categorie di sostanze: A)
metaboliti a elevato contenuto energetico o con funzioni bioregolatrici, quali
il glucosio-I-fosfato, la fosfocreatina, complessi di amminoacidi, sali minerali
aggiunti alla dieta, le vitamine B
1 e B
2 i coenzimi UTP,
UDPG e l'adenosintrifosfato. B) La dieta alcalinizzante a base di frutta, con
l'addizione di carbonato sodico e di altri sali basici. Tale dieta deriva dal
fatto che la fatica provoca il progressivo accumulo di cataboliti acidi e in
particolare di acido lattico nei tessuti e nel sangue: l'acidosi esalta a sua
volta i sintomi dell'esaurimento organico e riduce l'efficienza delle risposte
muscolari. La dieta alcalinizzante ritarda, pertanto, entro certi limiti tali
modificazioni, neutralizzando i cataboliti acidi. C) Ormoni: comprendono i
derivati sintetici degli androgeni, che favoriscono lo sviluppo delle masse
muscolari; gli estrogeni utilizzati dalle atlete per spostare la data delle
mestruazioni; i corticosteroidi e la corticotropina, che aumentano la resistenza
dell'organismo allo stress, esercitando nel contempo azione antiflogistica e
antinfiammatoria; la tiroxina, che aumenta il metabolismo basale e le
ossidazioni organiche; l'insulina, che favorisce l'utilizzazione cellulare dei
carboidrati, l'adrenalina e i suoi derivati, che mobilitano i materiali
energetici di riserva dai depositi tessutali. D) Sostanze che aumentano la
capacità del sistema cardiocircolatorio e del respiro: comprendono
cardiostimolanti (canfora, caffeina, xantine, sparteina), vasodilatatori, come
l'acido nicotinico e i nitriti che aumentano l'apporto del sangue e di ossigeno
ai muscoli e al miocardio, gli stimolanti del respiro (lobelina, micoren,
canfora, remeflin, cardiazolo). E) Sostanze psicostimolanti, come l'anfetamina e
i composti anfetamino-simili: per la loro azione eccitante e antidepressiva
riducono i riflessi psicologici della fatica, attenuando le sensazioni
premonitrici che la precedono. Aumentano inoltre con meccanismo adrenergico la
respirazione cellulare e il metabolismo del tessuto muscolare. L'uso
dell'anfetamina innalza per breve tempo la soglia di affaticamento, ma determina
in un periodo successivo un inusuale senso di spossatezza fisica e psichica, per
cui in caso di ulteriori competizioni sportive, l'atleta è indotto a far
nuovamente uso di psicostimolanti. Attualmente gli anfetaminici costituiscono la
sola categoria di sostanze
d. per le quali è standardizzato un
procedimento di controllo (controllo
antidoping) attuato mediante
gascromatografi e altre attrezzature mobili durante la gara o al termine di
essa. Questo fatto ha contribuito a ridurre l'impiego di anfetamine in quasi
tutte le discipline sportive; per contro si ritiene in aumento l'abuso di altre
sostanze
d. la cui presenza non viene di norma ricercata.