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Donizetti, Gaetano.

Compositore italiano. Di umili origini, dal 1806 poté frequentare a Bergamo le "Lezioni caritatevoli di musica" dirette da Simone Mayr, che apprezzò assai il giovane allievo e curò personalmente per nove anni la sua istruzione in clavicembalo e composizione. Nel 1815 D. passò sotto la guida di padre Mattei al Liceo musicale di Bologna; qui, pur proseguendo febbrilmente negli studi (dedicati soprattutto al contrappunto), fece anche i primi tentativi di composizione, scrivendo tra l'altro tre operine, improntate ai modelli del Classicismo viennese. Nella primavera del 1817 D. tornò a Bergamo; in poco più di un anno scrisse 8 quartetti, ma ormai il ventenne musicista era attratto unicamente dal teatro. Nel novembre del 1818 Venezia ospitò la "prima" assoluta dell'Enrico di Borgogna. Il successo si fece tuttavia attendere ancora per qualche tempo: nel 1821 il pubblico romano accolse trionfalmente Zoraide di Granata. Realizzata per merito di Rossini l'unità musicale d'Italia, il settentrionale D. ebbe successo soprattutto al Sud; Roma, Napoli e Palermo erano tutte per lui, mentre il siciliano Bellini trionfava al Nord. Nel 1822 furono rappresentate a Napoli l'opera semiseria La zingara e la farsa La lettera anonima; ottennero strepitosi successi, ma nello stesso anno la Scala accolse piuttosto freddamente l'opera semiseria Chiara e Serafina. Si trattò di una parziale battuta d'arresto: il compositore bergamasco seppe ritrovare accenti personali nelle opere scritte in quel periodo per i teatri partenopei, e il successo tornò puntualmente. Musicista ormai acclamatissimo (ma la sua incostanza suggerì ai detrattori l'appellativo di "dozzinetti"), D. sposò la ricca figlia di un borghese romano, Virginia Vasselli, e incontrò il librettista ideale: Felice Romani. Dalla fortunata collaborazione nacque nel 1830 l'Anna Bolena, tragedia di passioni a fosche tinte che entusiasmò il pubblico scaligero, cui fecero seguito Fausta (Napoli 1832), Elisir d'amore, che rimane il capolavoro donizettiano (Milano 1832), Parisina (Firenze 1833), Maria Stuarda (1834), Marin Faliero (1835) e, su libretto di S. Cammarano, Lucia di Lammermoor (Napoli 1835). Nominato professore di composizione al conservatorio di Napoli (1834), invitato da Rossini a comporre un'opera per Parigi, D. era all'apice della popolarità quando una serie di lutti turbò la sua serenità, rendendogli assai penoso il lavoro: rimase orfano e vedovo, e morirono i due figli che aveva avuto da Virginia (il terzo era nato morto). D. meditò seriamente di ritirarsi dall'attività compositiva; pose con ardore la propria candidatura alla direzione del conservatorio di Napoli, ma gli venne preferito il Mercadante. Fece un viaggio a Parigi, ove incontrò Rossini, suo fervido sostenitore. La figlia del reggimento (1840) e Favorita (1841) entusiasmarono il pubblico francese, Linda di Chamounix trionfò nel 1842 a Vienna, dove l'anno seguente fu applaudita la Maria di Rohan. Sempre nel 1843 furono rappresentate a Parigi il Don Pasquale (fu uno dei più grandi trionfi della carriera di D.) e il grand-opéra Don Sebastien, su libretto di Scribe. Ma già da tempo il fisico del musicista era minato da un male che, dopo una serie di attacchi, lo ridusse alla paralisi; nel 1846 fu internato in una casa di salute di Ivry; l'anno successivo, quando era ormai in stato di completa incoscienza, fu trasportato a Bergamo, dove morì. D. fu autore fecondissimo, e non solo in campo teatrale. Oltre a più di 70 opere, la sua produzione comprende infatti 19 quartetti per archi e altra musica cameristica, 28 cantate con accompagnamento orchestrale e di pianoforte, numerose composizioni vocali religiose (fa spicco la Messa da requiem in re minore, composta nel 1835 in memoria di Bellini), più di 250 liriche per una e più voci e pianoforte. Tra le maggiori opere non citate, ricordiamo Emilia di Liverpool (1824), Gabriella di Vergy (1826), Le convenienze e inconvenienze teatrali (1827), Il giovedì grasso (1828), Ugo conte di Parigi (1832), Torquato Tasso (1833), Il campanello (1836), L'assedio di Calais (1836), Pia de' Tolomei (1837). Musicista tecnicamente dotatissimo, attivo al limite della morbosità, D. fu una personalità inquieta, di stampo prettamente romantico. Affermò ripetutamente che le sue cose migliori erano quelle scritte di getto; al contrario, quelle lungamente meditate rivelavano a suo parere molte lacune. Uomo di esemplare bontà, si adoperò incondizionatamente a favore dei più giovani colleghi, ma Bellini e Verdi non seppero contraccambiare con pari generosità. Ottimo artigiano, D. non venne mai meno a una dignità compositiva che in effetti si riscontra anche nelle sue opere meno riuscite, dove la pagina è pur sempre sorretta da un mestiere musicale e teatrale che applica formule di effetto sperimentato. Insieme con Bellini, D. rappresenta nell'opera italiana il momento di superamento del rossinismo: Don Pasquale e soprattutto L'elisir costituiscono la definitiva trasformazione dell'opera buffa, in nome anche di un riscatto del personaggio comico (Bergamo 1797-1848).
Gaetano Donizetti in un ritratto di G. Induno