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El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha). Romanzo di Miguel de
Cervantes Saavedra, pubblicato in due parti, rispettivamente nel 1605 e nel
1615. Come altri capolavori, quello di Cervantes dovette nascere quasi per caso,
dalla decantazione di ricordi letterari, in particolare della novellistica
italiana del Cinquecento e dei romanzi di cavalleria e di ricordi familiari e
personali, legati a un periodo della difficile esistenza dell'autore: quello
trascorso nel piccolo villaggio di Esquivias, nella "mancha di Toledo". Qui,
accanto a poche centinaia di poveri contadini laboriosi, dediti soprattutto alla
viticultura, viveva un numero esorbitante di
hidalgos, nobilucci di
campagna spiantati e fannulloni, per i quali il non far nulla era un obbligo
morale, imposto dalla necessità di non essere scambiati per "cristiani
nuovi", ossia discendenti di Ebrei o di Mori, ma fierissimi dei loro blasoni. A
far decantare codesti precisi ricordi e riferimenti contribuirono naturalmente
le circostanze della vita dell'autore, un "reduce" della gloriosa impresa di
Lepanto e dalla schiavitù ad Algeri, costretto al mestiere forse
più disprezzato di tutti in quella Spagna: l'esattore di gabelle, alle
dipendenze di avidi e disonesti appaltatori. Proprio per causa di uno di questi
l'innocente Cervantes finì in prigione, a Siviglia, nel 1597. Il
D., come attesta nel prologo lo stesso autore, nacque in prigione sotto
forma di racconto breve, per sfogo e passatempo di un "cuore melanconico e
abbattuto". Forse Cervantes non lo seppe mai, ma Don Chisciotte era in primo
luogo lui stesso, un cinquantenne che sperava assurdamente di far trionfare la
giustizia in un mondo di farisei e di pubblicani e ne ricavava, fatalmente,
batoste a non finire; l'uomo di un mondo arcaico e utopistico, alle prese con un
mondo moderno e realisticamente rozzo e brutale dove più vale chi
più ha, indipendentemente dai mezzi che può aver usato per
trionfare. Elegge sua donna del cuore Dulcinea del Toboso e parte in cerca
d'avventure col suo cavallo Ronzinante. Un po' alla volta (lo stacco è
specialmente avvertito nella seconda parte del
D. rispetto alla prima),
il personaggio andò crescendo fra le mani dell'autore. Era dapprima un
pazzoide grottesco che, invasato dalla lettura dei romanzi di cavalleria, andava
in giro scambiando gli osti per castellani e i mulini a vento per giganti, e
finiva regolarmente pesto e malconcio. Ma nel corso del lungo romanzo e anche
per effetto delle imitazioni e falsificazioni che la sua stessa fortuna
suscitò (il famoso "falso" dell'ignoto Avellaneda), la psicologia del
personaggio si fa sempre più complessa e profonda. L'autore dissente
apertamente da lui e infatti lo fa morire pentito e rinsavito, con scandalo
degli interpreti romantici che non hanno perdonato a Cervantes questo
tradimento; ma spesso si trincera dietro a lui per far sì che un pazzo
dia lezioni di saggezza e di umanità ai presunti savi. Spesso gioca coi
diversi punti di vista (quello di Don Chisciotte, quello di Sancio, quello
dell'autore, quello del presunto autore Cide Hamete Benengeli, reminiscenza
dell'arcivescovo Turpino ariostesco, quello degli altri personaggi, ecc.),
consapevole ormai dell'immensa complessità del reale e delle conseguenze
paradossalmente contraddittorie di molte azioni umane. Moderno nella sua
paradossale ambiguità, Don Chisciotte è quindi un personaggio
molto più complicato e polivalente non solo del fantoccio dei primi
capitoli, ma anche di quel sublime cavaliere dell'ideale che videro in lui i
romantici (fino a Unamuno che ne "riscrisse la vita" accusando Cervantes di non
averlo capito): un personaggio "umoristico" nel senso più profondo del
termine ed esemplarmente umano - e di conseguenza di valore perenne -
perché non si riduce a un puro folle "ma incarna le debolezze, le
contraddizioni, gli impeti e gli errori della maggior parte degli uomini". Per
questo - creatura di poesia e di verità -
D. è immortale.
Il capolavoro di Cervantes, nella sua storia principale e nelle novelle che vi
sono inserite, ha avuto una certa posterità anche in teatro, in Spagna
(con due copioni di Guillen de Castro) e in Inghilterra con Gardenio, attribuita
in un'edizione del 1653 a Shakespeare e a Fletcher. Nel teatro in musica si
ricordano l'opera
Don Chisciotte (1980) di J. Massenet, il poema
sinfonico
Don Quixote di R. Strauss e il musical
Man of la Mancha
(1965) di M. Leigh, filmato nel 1972 da A. Hiller con P. O'Toole. Sullo schermo
Don Chisciotte era stato precedentemente interpretato tra gli altri da F. I.
Saljapin (1934, regia di G. W. Pabst) e da N. Cerkasov (1957, regia di G.
Konincev). Alla figura di Don Chisciotte è ispirato anche un balletto con
la coreografia di M. Petipa (1860, musica di Minkus), tuttora in repertorio. Il
nome del protagonista dell'opera di Cervantes è entrato nel linguaggio
comune per indicare in senso figurato una persona ingenua o spavalda che si
batte per ideali assurdi e irraggiungibili.