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Diàlogo.

Discorso, colloquio fra due o più persone. ║ Per estens. - Colloquio o scambio di idee fra due gruppi o fazioni opposte. ║ Parte di un'opera scenica, narrativa o di un film in cui siano introdotti a parlare due o più personaggi. ║ Opera letteraria interamente redatta in forma dialogica. ● Lett. - Il d., in quanto genere letterario, è una forma espressiva legata a culture prevalentemente orali, in cui anche la versione scritta della comunicazione orale nulla toglie alla preminenza di quest'ultima. In particolare, il d. è forma caratteristica di culture cittadine, anzi espressione peculiare di queste, e qualitativamente opposta al tipo del "monologo-racconto" frutto invece di culture contadino-pastorali, a socialità poco gerarchizzata e differenziata. Nella Grecia antica la struttura sociale della pólis, con le sue istituzioni comunitarie e partecipative - l'agorá e l'ekklesía - e le occasioni private di ritrovo, favorì l'affermarsi del genere dialogico. Dapprima fu parte dell'épos, benché solo come elemento mimetico e non autonomo all'interno della narrazione, in seguito assunse importanza centrale nella genesi del dramma attico fino a raggiungere, in età classica, la pienezza nella tragedia e nella commedia. La forma prosastica del d. nacque invece con Platone (V. DIALOGHI) che si ispirò da una parte alla pratica reale delle conversazioni socratiche, dall'altra alle rappresentazioni dei mimi, come quelli di Sofrone di Siracusa (V. MIMO). Grazie alla forma dialogica Platone riuscì a presentare drammaticamente il processo di conquista della verità, attraverso l'esposizione e il superamento di diverse opinioni. Ripreso da Aristotele, i cui d. erano però più simili a trattati veri e propri, il d. conobbe un momento di splendore grazie a Luciano (V. LUCIANO DI SAMOSATA, DIALOGHI DEGLI DEI E DIALOGHI DEI MORTI), pur assumendo caratteristiche non tanto filosofico-letterarie quanto satiriche. Nella letteratura latina il d., sempre vitale in ambito drammatico, fu utilizzato nelle sue forme filosofiche da Cicerone benché egli, più che la felicità mimetica delle prime opere platoniche, mutuasse la struttura dialogica appena accennata delle ultime, sottolineando la figura di un interlocutore guida che esprimeva diffusamente le proprie opinioni mentre gli altri personaggi restavano nell'ombra. Anche Seneca e Tacito (V. DIALOGO DE ORATORIBUS) scrissero d., pur essendo in essi del tutto assente l'elemento drammatico. La letteratura cristiana assunse il d. come mezzo efficace di apologetica o di chiarificazione dottrinale: famosissimi i d. di San Girolamo e di Sant'Agostino. La tradizione dialogica non andò persa durante il Medioevo: del tipo filosofico si valse, per esempio, Severino Boezio; al d. satirico o di origine popolare e trovadorica appartenevano invece le disputationes e i contrasti, come quelli di Cielo d'Alcamo, Ciacco d'Anguillaia o Bonvesin da la Riva. I d. dell'Umanesimo e del Rinascimento, ebbero i loro modelli in quelli di Petrarca: il Secretum e il De remediis utriusque fortunae. Durante il Rinascimento si scrissero d. in latino (Bracciolini, Valla, Picolomini, Bruni), ma di gran lunga più interessante fu la produzione in volgare. In forma di d., che per sua natura appariva quanto di più lontano da un atteggiamento dogmatico e proprio invece di una dimensione dialettica della cultura e della conoscenza, Alberti scrisse della famiglia, Castiglione dell'uomo di corte, Bembo di questioni liguistiche, Machiavelli dell'arte della guerra, Tasso di letteratura e di estetica, Bruno di filosofia, ecc. Il tipo lucianeo, rivisse invece nei d. dell'Aretino e di Berni. Nel '600 il d. ebbe minor fortuna, se si escludono i due grandi d. scientifici di Galileo, mentre il pensiero illuminista, e poi quello romantico, lo riportarono in auge. Scrissero d. Verri, Gasparo Gozzi, Parini e, fra i romantici, Manzoni, con intenti didattici e dottrinali. Di altra natura fu invece la concezione dei bellissimi d. delle Operette Morali di Leopardi. L'ultimo esempio letterario di valore di questa forma espressiva, desueta ormai dalla seconda metà dell'Ottocento, possono essere considerati i Dialoghi con Leucò di Pavese. ● Mus. - Brano musicale corale che riproduce nel testo la conversazione fra due o più interlocutori. Di origine italiana, si sviluppò tuttavia anche in Francia e in Germania. Particolarmente diffuso nel Cinquecento e nel primo Seicento, soprattutto nei madrigali, nei mottetti e negli oratori, il d. ebbe le sue origini nelle tendenze dialogiche che la monodica medioevale aveva già trasfuso nei generi polifonici. Il d. può essere realizzato mediante voci singole (a personaggi), mediante gruppi di uno stesso coro (cameristico) o mediante più corali (policorale). Anche la musica strumentale può presentare composizioni con caratteristiche dialogiche: ad esempio le sonate a tre o i doppi concerti.