Chim. - Processo mediante il quale si opera la
separazione di sostanze diverse, dotate di peso molecolare molto differente,
presenti in una soluzione, di solito acquosa. Il processo di
d.,
sperimentato per la prima volta da T. Graham nel 1861, opera la separazione su
particolari membrane (membrane dializzatrici) che hanno la caratteristica di
presentare dei pori di dimensioni tali per cui una delle sostanze in soluzione
può passare attraverso essi mentre l'altra ne è impedita per le
sue dimensioni molecolari. In generale anche il solvente può attraversare
la membrana. Queste particolari membrane non vanno confuse con le membrane
semipermeabili, usate per altri scopi, che sono permeabili al solvente ma non ai
soluti. La prima applicazione della
d. è stata la separazione
delle sostanze cristallizzabili (ad esempio sali), contenute in una soluzione,
da un colloide presente nella stessa soluzione. In questo caso il dispositivo
impiegato può essere molto semplice. Si immagini di avere una soluzione
di acido silicico e cloruro sodico, generata secondo la seguente
reazione:
Na
2SiO
3 + 2
HCl → 2 NaCl +
H
2SiO
3Il cloruro
sodico è una sostanza cristallizzabile, mentre l'acido silicico è
un colloide; si voglia separare quest'ultimo. La soluzione contenente l'acido ed
il cloruro sodico si pone in un vaso, il cui fondo è costituito da una
membrana dializzatrice (ad esempio carta pergamenata o cellophane), e questo poi
si pone a contatto nella parte inferiore con un recipiente che contiene acqua
corrente. Date le dimensioni dei pori, l'acido silicico, che è un
colloide, non potrà attraversare la membrana, mentre non sarà
invece trattenuto il cloruro sodico NaCl, o meglio gli ioni Na
+ e
Cl
- di cui esso si compone nella soluzione, essendo pressoché
completamente dissociato. Dato che tenderà a stabilirsi un equilibrio di
concentrazione di Na
+ e di Cl
- a cavallo della membrana,
ioni sodio e cloro usciranno dal vaso e passeranno nell'acqua esterna, in cui la
concentrazione di questi due ioni andrà aumentando. Se però
l'acqua esterna è continuamente ricambiata e all'atto dell'alimentazione
non contiene ioni cloro o sodio, la concentrazione di cloruro sodico nel vaso a
fondo poroso può essere portata a bassi livelli fin che si vuole
(teoricamente fino a zero) senza peraltro perdere acido silicico. Alla fine
dell'operazione avremo quindi realizzato la separazione del colloide (rimasto
nel vaso) dalle sostanze cristallizzabili, che sono passate tutte nell'acqua
esterna. Questo metodo può quindi essere adottato per la separazione di
molte sostanze di grande interesse biologico (ormoni, proteine, enzimi) dalle
sostanze cristallizzabili con le quali si trovano in soluzione; tali sostanze
biologiche sono infatti presenti molto spesso allo stato colloidale nelle
soluzioni. Il metodo della
d. può però anche essere
utilizzato per la preparazione di due diverse sostanze cristallizzabili,
purché presentino dimensioni molecolari abbastanza diverse. È da
notare che parlando di dimensioni molecolari non ci si deve riferire alle
dimensioni della molecola e dello ione in assoluto, ma alle dimensioni di
ingombro effettive che essi presentano nella soluzione, tenendo quindi conto
dell'atmosfera di idratazione che circonda molecole e ioni. Infatti è
possibile che due ioni, aventi in assoluto lo stesso volume, abbiano in
soluzione dimensioni molto diverse in quanto uno di essi coordina molte
più molecole di solvente dell'altro. Una tipica apparecchiatura di
d. è costituita da una serie di setti di membrane dializzatrici,
formanti una serie di camere che sono fra loro alternativamente poste in
parallelo. In una serie di queste camere si manda la soluzione da dializzare,
nell'altra serie di camere (che sono alternate una ad una alle precedenti) si
manda solvente puro. Dalla prima si ricava la cosiddetta soluzione dializzata,
che contiene solo una parte delle specie molecolari o ioniche che conteneva in
partenza; dalla seconda serie di camere si ricava invece solvente che contiene
gli ioni sottratti alla soluzione dializzata. Nel caso di soluzioni diluite, non
si ha sensibile passaggio di solvente attraverso la membrana dializzatrice, in
quanto esso si trova pressoché allo stesso potenziale termodinamico in
entrambe i settori. Se invece la soluzione da dializzare è alquanto
concentrata e molti ioni migrano da questa al solvente fresco, si ha una
contemporanea migrazione di una parte di solvente in direzione opposta
(cioè dalla zona del solvente fresco alla soluzione da dializzare) per il
fenomeno della controdiffusione, ben noto in base alla teoria del trasporto di
massa. Dal punto di vista teorico la
d. si configura infatti come un
processo di trasporto di massa e in particolare di diffusione; si tratta
però di una diffusione un po' particolare in quanto la resistenza che il
mezzo offre agli spostamenti dei vari ioni è molto diverso da un tipo di
ione all'altro. Infatti, mentre per gli ioni che sono molto più piccoli
del diametro dei pori della membrana questa rappresenta solo un aumento limitato
della resistenza al moto, per gli ioni che sono più grandi del diametro
dei pori della membrana questa si configura come una resistenza infinita al loro
moto. Considerata comunque la
d. come una diffusione, vale la
legge di
Fick per i trasporti di massa. Questa può esprimersi nel seguente
modo, per un apparato di dializzazione che operi in
controcorrente:
W = K ·A ·
ΔC
1nella
quale i simboli hanno il seguente valore: W = massa uscita dal liquido
dializzato, in g/min; K = coefficiente globale di scambio per la
d., in
cm
3/min ovvero (g/min)/(cm²·g/cm
3); A =
superficie di scambio, cioè superficie della membrana, in cm²;
ΔC
1
= media logaritmica del gradiente di concentrazione sulla membrana. Questa si
esprime nel seguente modo:

essendo
ΔC
1
e
ΔC
2
le differenze di concentrazione (nelle specie trasferite) fra soluzione da
dializzare e soluto usato per la
d., rispettivamente all'inizio e alla
fine dell'operazione. Esprimendo le concentrazioni in g/cm
3, anche
ΔC
1
viene ad essere espresso nella stessa unità di misura. Il fattore 2, 3
che compare nella formula deriva dal passaggio dai logaritmi naturali ai
logaritmi decimali (abbreviato con
log). In base a questa semplice
formula è possibile calcolare l'andamento dell'operazione di
d. e
in particolare la superficie di membrana necessaria per realizzare una certa
operazione; alla superficie detta è infatti legato direttamente il costo
dell'impianto. Per conoscere la produttività dell'impianto è
necessario conoscere anche alcuni dati cinetici, cioè la velocità
di diffusione delle specie considerate attraverso il solvente e la membrana,
dato che deve essere noto il coefficiente globale di scambio K; il più
delle volte questo viene però determinato sperimentalmente. Gli impianti
impiegati industrialmente hanno sempre dimensioni relativamente grandi, con
estese superfici di scambio. Come esempio pratico si consideri il recupero della
soda caustica effettuato nell'industria del raion viscosa. In questa
fabbricazione è disponibile una corrente di filtrazione delle
alcali-cellulose che contiene dal 15 al 20% di soda caustica NaOH e piccole
quantità di emicellulosa; la soda caustica può essere recuperata
per
d. ed utilizzata per altri scopi. In questi casi un impianto tipico
avrà una superficie di scambio di 80÷100 m² e potrà
dializzare 160÷180 l/ora di soluzione concentrata (15÷20% di NaOH)
estraendone circa il 90% della NaOH, che si otterrà in uscita come una
soluzione all'8÷9% praticamente priva di emicellulosa. Maggiori
produttività si possono ottenere ponendo più dializzatori in
serie, operando fra essi una controcorrente sia del liquido da dializzare che
del solvente. Oltre al caso citato di recupero della soda caustica
nell'industria del raion viscosa e alle applicazioni in campo medico, biologico
e farmaceutico (separazione di sostanze organiche o naturali o sintetiche) la
d. trova anche altre applicazioni. Citiamo ancora due casi
industrialmente molto interessanti: la raffinazione dello zucchero di
barbabietola e degli zuccheri dalla destrina. Una
d. molto più
efficace è la cosiddetta elettrodialisi. ║
Elettrodialisi:
processo di separazione di sostanze ionizzate in soluzione (o comunque caricate
elettricamente nella soluzione) per mezzo di una diffusione attraverso setti
porosi, essendo detta diffusione ottenuta soprattutto per effetto di un
potenziale elettrico. Sostanzialmente l'elettrodialisi non è altro che
una
d. nella quale la diffusione delle specie attraverso le membrane
porose non è più originata solo da una differenza di
concentrazione, ma da un potenziale elettrico la cui azione può essere
concorde o discorde con quella dovuta alle concentrazioni. Il grande vantaggio
dell'elettrodialisi sta appunto nell'uso di un artificio esterno (il potenziale
elettrico applicato) per favorire il trasporto. Questo infatti risulta in tutti
i casi più veloce; inoltre, mentre nella
d. semplice non era mai
possibile ottenere nel dializzato una concentrazione di specie minore di quella
presente dall'altra parte della membrana (in quanto era proprio la differenza di
concentrazione l'unica forza che faceva passare le particelle attraverso la
membrana), questo è possibile nell'elettrodialisi. Al limite è
possibile ottenere una concentrazione molto bassa in una certa specie o in tutte
le specie ioniche presenti nel liquido da dializzare. Una cella di
d.
è realizzata con un recipiente diviso in due parti da una membrana
dializzante; in ognuno dei due scomparti è posto un elettrodo piano. I
due elettrodi sono affacciati fra loro e mantenuti a due potenziali diversi;
quello a potenziale più alto (elettrodo positivo) sarà detto
anodo e l'altro
catodo secondo la terminologia presa a prestito
dall'elettrochimica. Se nei due scomparti si pone una stessa soluzione, per
esempio di cloruro sodico, si ha una migrazione degli ioni Na
+ verso
il catodo e degli ioni Cl
- verso l'anodo. Dopo poco tempo quindi
avremo una maggior concentrazione di Na
+ nello scomparto catodico
rispetto all'anodico; viceversa per gli ioni Cl
-. Questo però
porta a caricare elettrostaticamente le soluzioni nei due scomparti (si
addensano infatti cariche positive in uno e negative nell'altro). Si può
vedere teoricamente che in queste condizioni la
d. non può
procedere in quanto il campo elettrostatico che si creerebbe sarebbe molto
elevato. La
d. può invece procedere se esiste qualche meccanismo
per cui gli ioni si possono scaricare sugli elettrodi, generando specie non
cariche. In queste condizioni però non si realizza solo una
d. ma
anche un'elettrolisi. Esistono sistemi di questo tipo, proposti per certe
applicazioni che non costituiranno però la vera elettrodialisi. Questa
ovvia all'inconveniente dell'addensamento di cariche utilizzando membrane
conduttrici (che riducono anche di molto le tensioni necessarie per il
funzionamento della cella di elettrodialisi) e adottando molte celle in serie,
nelle quali non vi sono elettrodi eccetto che nella prima (che ha ad esempio il
catodo) e nell'ultima (che ha ad esempio l'anodo). In questa disposizione, se i
setti sono alternativamente permeabili agli ioni positivi e agli ioni negativi,
si realizza in tutte le celle intermedie l'elettrodialisi senza elettrolisi;
questa è presente solo sugli elettrodi. Si consideri il caso
dell'elettrodialisi di una soluzione acquosa di cloruro sodico, per produrre
acqua a concentrazione quasi nulla in NaCl. Potremo realizzare una cella
contenente molti scomparti posti in serie, una zona della quale potrà
essere schematizzata nel seguente modo:
1
2 3
A.....//NaCl +
H
2O / NaCl + H
2O / NaCl +
H
2O//....C
In questo schema A
rappresenta l'anodo (separato dall'elemento considerato da altri elementi
analoghi, indicati con puntini), C indica analogamente il catodo, il simbolo //
indica una membrana permeabile solo ai cationi (cioè Na
+) e /
una membrana permeabile solo agli anioni (cioè Cl
-). Essendo
l'anodo A positivo, per effetto del campo elettrico gli ioni Cl
-
passeranno dallo scomparto indicato con 2 allo scomparto indicato con 1 (mentre
non potranno passare dal 3 al 2 perché ostacolati dalla membrana).
Essendo C negativo, gli ioni Na
+ passeranno dallo scomparto 2 al 3.
Consegue che col procedere della
d. lo scomparto 2 si impoverisce sia di
Na
+ che di Cl
-, cioè tende a diventare acqua pura,
mentre gli scomparti 1 e 3 si arricchiscono in NaCl. Infatti vi sarà uno
scomparto a sinistra dell'1 che immetterà Na
+ in questo ed uno
scomparto a destra di 3 che immetterà in esso dei Cl
- e
così via. In questo modo si può realizzare una purificazione della
soluzione contenuta in 2, cioè una sua desalinazione, a spese delle
soluzioni presenti in 1 e 3 che diventeranno più saline. Così
l'elettrodialisi permette la produzione di acqua dolce a partire da acqua
salata. È possibile per esempio partire da acqua di mare a concentrazione
salina del 3,5% circa e produrre acqua a concentrazione salina maggiore e acqua
praticamente senza sali. Questo metodo di desalinazione delle acque di mare
sembra oggi uno dei più promettenti. Negli impianti, per ora sperimentali
o su piccola scala, realizzati si è avuto un consumo di energia elettrica
che si aggira sui 3÷4 kWh per m
3 di acqua desalinizzata
prodotta. Questo valore è ancora lontano dagli 0,7÷0,8 kWh per
m
3 necessari teoricamente, secondo le leggi della termodinamica, ma
pone già il processo di elettrodialisi su un piano competitivo con tutti
gli altri proposti. L'elettrodialisi si è andata affermando in alcuni
campi solo ultimamente, grazie alla produzione su scala quasi industriale di
membrane dializzatrici permeabili ai soli anioni o ai soli cationi e
conduttrici. Queste membrane sono costituite da resine scambiatrici di ioni,
anioniche o cationiche, distese in film sottili, eventualmente con un supporto
per irrigidirle. Il tipo più comunemente usato è a base di
polistirene reticolato con divinilbenzene per renderlo insolubile. Questo
polimero base viene trasformato in resina permeabile ai soli cationi mediante
sulfonazione, cioè un'operazione di trattamento con acido solforico che
inserisce dei gruppi –SO
3H sugli anelli benzenici (circa uno
per anello). Lo stesso polimero base può essere reso permeabile ai soli
anioni inserendo nella molecola dei gruppi ammonici quaternari. Le tecnologie di
trasformazione di questi polimeri sono del tutto analoghe a quelle usate per la
fabbricazione di resine scambiatrici di ioni. Oggi le membrane convenzionali per
elettrodialisi, costituite da carta pergamenata o cellophane, rappresentano solo
il 20% del consumo globale di membrane. Si è prima accennato al fatto che
l'elettrodialisi si accompagna in molti casi ad una vera e propria elettrolisi
della soluzione in cui si opera: tale fenomeno può essere appositamente
causato in alcuni impianti. Citiamo due casi che sono stati proposti per
l'impiego su scala industriale. Il primo è la produzione di soda caustica
in soluzione direttamente da acqua di mare o da salamoie concentrate di NaCl. Il
processo sfrutta una cella di elettrodialisi a due scomparti. In quello anodico
è mantenuto un flusso di soluzione; sull'anodo si ha deposizione di
cloro, che si sviluppa gassoso nello scomparto anodico e può essere
recuperato. Nello scomparto catodico è mantenuto un flusso parallelo al
precedente; si invia acqua e all'uscita si recupera una soluzione di NaOH.
Infatti, utilizzando una membrana permeabile ai soli cationi (e quindi allo
Na
+ ma non al Cl
-), si ha migrazione di Na
+
dallo scomparto anodico a quello catodico; qui giunti gli Na
+
reagiscono al catodo con acqua dando NaOH e H
+ che si scaricano sul
catodo generando a loro volta dell'idrogeno H
2 che si libera come gas
e può pure essere recuperato. La reazione globale può essere
scritta nel seguente modo:
NaCl +
H
2O → NaOH + ½Cl
2 +
½H
2ed è
complessivamente uguale a quella che si realizza negli impianti di produzione
del cloro e della soda caustica da cloruro sodico. Questo processo è
preferibile sia per la semplicità dell'impianto sia per il fatto che si
produce soda molto pura, che non ha bisogno di essere ulteriormente raffinata.
Attualmente questi impianti sono confinati a livello di sperimentazione in
quanto non si è ancora in grado di produrre membrane dializzatrici che
resistano all'attacco prolungato di una soluzione satura di cloro. Il secondo
esempio, concettualmente del tutto simile al primo, è la produzione
diretta di metalli a partire da soluzioni di sali che contengono degli anioni
(ad esempio cloro) che sono aggressivi nei confronti del metallo depositato.
Eccetto questi casi, l'elettrolisi che avviene in prossimità degli
elettrodi è indesiderata; si cerca quindi di evitarla con gli artifici
detti, prima di tutto l'uso di molte celle di
d. poste in serie. Oltre a
quelle citate, molte altre applicazioni sono state proposte per
l'elettrodialisi. Ad esempio, le reazioni di doppio scambio, cioè del
tipo:
AC + BD → AD +
BC
ove A e B sono cationi e C e D sono
anioni, si possono realizzare in continuo con una cella di elettrodialisi del
tipo usato per la desalinazione dell'acqua. Anche qui basta mandare una
soluzione di AC nel 1°, 3°, 5°, ecc. scomparto ed una soluzione
di BD nel 2°, 4°, 6°, ecc. scomparto e giocare poi sulla
permeabilità delle membrane. Su questo principio è basato un
impianto, proposto per l'uso su scala industriale, che realizza la produzione di
NaOH in soluzione a partire da soluzioni di cloruro sodico (acqua di mare) e di
idrato di calcio. La reazione complessiva è la seguente (non tenendo
conto di quanto succede agli
elettrodi):
Ca(OH)
2 + 2 NaCl
→ CaCl
2 + 2 NaOH
Fra gli
altri impieghi dell'elettrodialisi citiamo ancora il frazionamento delle miscele
saline, per la separazione dei cationi o degli anioni presenti in una soluzione.
● Med. - Una delle applicazioni più importanti del metodo
dell'elettrodialisi è il cosiddetto rene artificiale: è un
dializzatore costruito per l'eliminazione di certe sostanze dal sangue umano. Il
sangue viene estratto da una vena, passato attraverso il dializzatore e
rimandato poi nella stessa vena opportunamente purificato; il nome di rene
artificiale deriva dal fatto che esso svolge effettivamente la funzione del rene
e che viene usato in caso di insufficienze gravi dell'apparato
renale.