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Divorzio.

Scioglimento legale del matrimonio. A differenza della separazione, che non permette di risposarsi, il divorzio consente a ciascuno dei due coniugi di poter contrarre un nuovo matrimonio. È ammesso ormai da pressoché tutti gli ordinamenti giuridici. In conseguenza dei mutamenti sociali avvenuti negli ultimi decenni, la percentuale dei d., soprattutto nei Paesi altamente industrializzati, è in costante aumento. Tra i fattori che hanno contribuito a tale aumento rientra infatti la moderna organizzazione del lavoro e la conseguente crisi dell'istituto familiare, unitamente all'emancipazione femminile, alla maggiore istruzione e al lavoro fuori casa della donna, che le consente di poter condurre una vita economicamente indipendente e quindi di poter più facilmente troncare una relazione matrimoniale insoddisfacente. Altri fattori vanno ricercati nell'immaturità psico-fisica dei coniugi, nella mancanza di un'adeguata educazione sessuale e nella conseguente mancanza di affiatamento fisico e psichico. La percentuale più alta di divorzi si ha nei primi anni di matrimonio per cause che variano da paese a paese. ● St. - L'istituto del d. è altrettanto antico quanto quello del matrimonio. Lo ritroviamo infatti in pressoché tutte le civiltà primitive e in tutte le legislazioni dell'antichità. È presente nell'Antico Testamento; nelle prime leggi della Grecia antica e faceva parte dell'ordinamento romano. Questo, anzi, considerava il matrimonio come rapporto determinato da un accordo continuo, per cui il venir meno di tale accordo, in qualsiasi momento, ne determinava automaticamente la cessazione. Sottoposto a qualche regolamento restrittivo sotto Augusto, ricevette però le prime sostanziali limitazioni solo nel 331 sotto Costantino e nel 439 sotto Teodosio II. Comunque, fu ammesso sino alla fine dell'Impero e non solo per colpa di uno dei coniugi, ma anche per mutuo consenso. La Chiesa lo tollerò anche nell'alto Medioevo, per quanto nel 789, sotto Carlo Magno, fosse stato accolto nella legislazione il principio religioso dell'indissolubilità del matrimonio. Nei secoli seguenti andò tuttavia sempre più riducendosi, sostituito dalla separazione e dall'annullamento, almeno in Italia, regolato dal Concilio di Trento, che sancì l'esclusiva competenza della Chiesa in materia di matrimonio. In epoca moderna, il d. fu introdotto in Francia nel 1791 dai legislatori della Rivoluzione e nel 1803 fu meglio disciplinato dal Codice civile napoleonico che lo ammise, oltre che per colpa di uno dei coniugi, anche per mutuo consenso. Pertanto, tra il 1795 e il 1815, durante la dominazione napoleonica, in conseguenza dell'estensione della legislazione civile francese, il d. fu ammesso per qualche anno anche nei vari Stati italiani, nei quali però non incontrò né il favore dei giuristi, molti dei quali anzi lo avversarono duramente, né quello dell'opinione pubblica, impreparata ad accogliere il nuovo istituto, generalmente considerato immorale, scandaloso e sacrilego. Basti ricordare che nelle province napoletane, in cui il d. rimase in vigore per oltre sei anni e mezzo, si registrarono soltanto tre casi di d., due a Napoli e uno in provincia. Quanto alle altre regioni, non si hanno notizie di sentenze di d. pronunciate in quegli anni; anche se probabilmente non mancarono, furono certo molto rare. Dopo la caduta di Napoleone, si ebbe dovunque l'abolizione del d. e in tutti gli Stati italiani il matrimonio ridiventò un atto religioso, disciplinato non dalle norme della legislazione civile, ma da quelle del diritto canonico e, quindi, di esclusiva competenza dei tribunali ecclesiastici. Questa situazione durò sino al 1865, quando lo Stato italiano unitario, con la promulgazione di un nuovo Codice civile, affermò il proprio diritto di regolare con proprie leggi la formazione della famiglia. Tuttavia, la legislazione civile non si sottrasse completamente all'influenza del diritto canonico e della tradizione cattolica italiana. Così il principio dell'indissolubilità, adottato dalla Chiesa dopo il Concilio di Trento, fu accolto dalla legislazione italiana: "Il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi" (art. 148). Già allora, tuttavia, cominciava lentamente a maturare anche in Italia una coscienza divorzista e non solo fra i giuristi, ma nella stessa opinione pubblica più avanzata che guardava agli altri paesi europei, in particolare all'Inghilterra dove il d., ammesso sin dal Cinquecento, ma in pratica riservato a una ristretta élite, era diventato nel 1875 accessibile a tutti i cittadini. In quegli anni il d. fu adottato da vari paesi, compresa la Russia zarista (1850) e la Francia (1884), dove era stato abolito nel 1816 dalla Restaurazione. Se non si tiene conto del progetto presentato al parlamento piemontese nel 1852 dall'onorevole Boncompagni, la prima proposta di legge per il d. in Italia fu quella presentata nel 1873 alla camera dei deputati dall'onorevole Salvatore Morelli, che non giunse però alla discussione per l'anticipata chiusura della sessione parlamentare. Lo stesso progetto, che non aveva mancato di sollevare aspre polemiche e una dura presa di posizione della Chiesa a salvaguardia dell'integrità della famiglia cristiana, fu ripresentato nel 1880, ma ancora una volta non poté essere discusso per la sopravvenuta morte del suo presentatore. Seguì nel febbraio dell'anno successivo un nuovo progetto da parte dell'onorevole Tommaso Villa, quindi nell'aprile del 1883 il disegno Zanardelli che ammetteva il d. dopo cinque anni dall'avvenuta separazione, attesa ridotta a soli tre anni qualora dal matrimonio non fossero nati figli. Nel 1882 fu presentato un nuovo progetto Villa, cui seguì nel dicembre del 1901 la proposta degli onorevoli Berenini e Borciani che costituiva senz'altro il progetto più organico presentato sino allora. Esso prevedeva il d. in caso di condanna alla reclusione superiore ai dieci anni, di interdizione per infermità mentale, di separazione personale, trascorsi tre anni, o cinque se vi erano figli, inoltre all'articolo nove stabiliva che con lo scioglimento del matrimonio cessavano "gli impedimenti al riconoscimento e alla legittimazione dei figli naturali". Nel novembre 1902 fu presentato un nuovo progetto da parte del presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, che all'articolo 3 prevedeva addirittura che il d. potesse essere pronunciato dopo un anno dalla sentenza di separazione, se dal matrimonio non erano nati figli, o dopo tre anni, qualora vi fossero figli. Infine, nel febbraio 1914, fu presentata la proposta Comandini e, nel febbraio 1920, quando il d. era ormai stato introdotto in pressoché tutta Europa e anche l'opinione pubblica italiana, uscita dalla guerra, sembrava pronta ad accogliere il nuovo istituto, fu presentato il progetto Lazzari-Marangoni, che prevedeva una formula molto più ampia rispetto a tutti i progetti precedenti, e più di ogni altro provocò la mobilitazione di congregazioni, confraternite e associazioni religiose varie, soprattutto femminili, impegnate nella raccolta di firme da inviare al parlamento e al governo. Ma anche quest'ultima proposta, sebbene accolta favorevolmente dalla maggioranza della camera, non poté giungere alla votazione per l'anticipata chiusura della sessione parlamentare nella primavera del 1921. Accantonato dopo l'avvento del fascismo, il problema dell'indissolubilità del matrimonio ricevette una sistemazione imprevista nel 1929 in seguito al Concordato (V.), che restituì alla Chiesa il potere legislativo e il potere giudiziario che le erano stati tolti dal Codice civile del 1865. Lo Stato italiano ritornava a riconoscere effetti civili al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, rinunciando alla propria giurisdizione nelle cause sulla validità del matrimonio. Con la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, il problema del d. ridivenne attuale e la sua soluzione apparve a molti imminente. La questione dell'indissolubilità del matrimonio venne portata all'Assemblea Costituente che respinse, sia pure di stretta misura, la proposta che chiedeva di affermare esplicitamente nella Costituzione repubblicana il principio dell'indissolubilità. Il Concordato riuscì però a sopravvivere alla caduta del fascismo, per cui il matrimonio concordatario rimase in vigore e la sua indissolubilità venne indirettamente riaffermata dall'articolo 7 della Costituzione. Per di più, i divorzisti dovettero prendere atto, oltre che dell'opposizione democristiana, anche di non poter contare sull'appoggio incondizionato della sinistra comunista. Impegnati, infatti, su un diverso fronte politico, i comunisti consideravano in quegli anni il d. una battaglia di retroguardia, per la quale non si sentivano di impegnare le masse popolari. Scarsa fu pertanto la risonanza della proposta di legge, estremamente cauta (piccolo d.), presentata dal socialista Luigi Renato Sansone nell'ottobre 1954. Decaduta per la fine della legislatura, la proposta venne ripresentata (giugno 1958), leggermente ritoccata, al senato dallo stesso Sansone e da Giuliana Nenni, ma anche questa volta decadde prima di poter giungere alla discussione. Il disegno di legge si componeva di otto articoli e prevedeva cinque casi, tutti di estrema gravità per la concessione del d.: condanna a dieci anni o più di reclusione; tentato uxoricidio; abbandono del tetto coniugale o separazione per un periodo ininterrotto non inferiore ai quindici anni; malattia mentale inguaribile o degenza in ospedale psichiatrico da non meno di cinque anni; conseguimento all'estero del d. da parte di uno dei due coniugi, in quanto cittadino straniero. Il problema del d. cominciò ad assumere particolare risonanza intorno al 1965, in seguito alla presentazione da parte del deputato socialista Loris Fortuna di un progetto che veniva a integrare, ampliandolo, il precedente progetto Sansone; ma soprattutto, in seguito all'estendersi di un movimento di pubblica opinione, sfociato nella costituzione della Lega per il d. (1965), forte di circa un milione di aderenti. Il progetto veniva pertanto a collocarsi in una situazione che trovava larga parte dell'opinione pubblica costituita non solo dai circa cinque milioni di "fuorilegge del matrimonio", oltre che preparata ad accogliere un istituto previsto ormai dalla stragrande maggioranza degli istituti giuridici, anche decisa a premere affinché i partiti laici ne accelerassero l'iter parlamentare. Pertanto, nonostante le gerarchie ecclesiastiche continuassero a pronunciarsi contro l'introduzione del d., anche se in forma limitata, a suo favore cominciarono a registrarsi consensi da parte dei settori più avanzati del mondo cattolico, per esempio, quello dei gruppi facenti capo al cardinale Lercaro, secondo cui, data la situazione e il moltiplicarsi dei casi di disgregazione familiare, il d. doveva considerarsi ormai come "il minor male". Ma, anche il primo progetto Fortuna come quelli che l'avevano preceduto, decadde per la fine della legislatura. Ripresentato nella primavera del 1968, cioè all'inizio della nuova legislatura, e successivamente unificatosi col progetto del liberale Baslini e con le proposte di parlamentari di altri gruppi, riuscì a superare il lungo iter parlamentare, giungendo ad una votazione favorevole alla camera (contrari i parlamentari DC e di estrema destra) il 28 novembre 1969. Modificato dal senato nella seduta del 9 ottobre 1970, il progetto Fortuna-Baslini, nel suo testo definitivo è entrato a far parte dell'ordinamento italiano, per la prima volta dopo l'Unità nazionale, con la legge 1 dicembre 1970 n. 898. Lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del Codice civile e la cessazione degli effetti del matrimonio celebrato con rito religioso, sono pronunciati dal giudice, su richiesta di uno dei due coniugi, quando accerta che la comunione spirituale e materiale tra gli stessi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste in modo tassativo dalla legge, e cioè: 1) quando dopo la celebrazione di matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza: a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto e per i delitti di violenza carnale, di atti di libidine, di ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma, a fine di libidine o di matrimonio commessi in danno di un discendente o figlio adottivo: ovvero per induzione o costrizione del coniuge o di un figlio anche adottivo alla prostituzione, nonché per sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione di un discendente o di un figlio adottivo; c) a qualsiasi pena per omicidio volontario in danno di un discendente o figlio adottivo ovvero per tentato omicidio in danno del coniuge o di un discendente o figlio adottivo; d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di lesione personale (quando ricorra la circostanza aggravante dell'indebolimento permanente di un senso o di un organo), di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di circonvenzione di persone incapaci; delitti commessi in danno del coniuge o di un figlio anche adottivo. Per tutte le suddette ipotesi la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa. 2) Nei casi in cui: a) l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) quando il giudice accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto iniziata, quest'ultima, anteriormente alla data di entrata in vigore della legge sul d. da almeno due anni. In tutti i casi predetti, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono protrarsi ininterrottamente da almeno tre anni dal tempo dell'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale: nella separazione di fatto i tre anni decorrono dalla cessazione effettiva della convivenza; c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del numero 1) si è concluso con sentenza di non procedere per estinzione di reato, quando il giudice ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo; e) l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo matrimonio; f) il matrimonio non è stato consumato. La domanda per ottenere il d. si propone con ricorso al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza, oppure, nel caso di irreperibilità o di residenza all'estero, al tribunale del luogo di residenza del ricorrente. Fissato con decreto il giorno della comparizione dei coniugi, il presidente del tribunale li deve sentire prima separatamente e poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti, se lo ritiene opportuno, i figli minori, dà i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questo. Il tribunale con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero accertata la sussistenza di uno dei casi di scioglimento previsti dalla legge, pronunzia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere all'annotazione della sentenza. La moglie riconquista il cognome che aveva prima del matrimonio. La sentenza è impugnabile dalle parti e dal pubblico ministero ma limitatamente, per quest'ultimo, agli interessi patrimoniali dei figli minori. Con la stessa sentenza il tribunale dispone inoltre l'obbligo per uno dei coniugi della corresponsione periodica di un assegno a favore dell'altro (ma l'obbligo cessa se il coniuge al quale deve essere corrisposto passa a nuove nozze); decide a quale dei coniugi i figli debbano essere affidati sotto la vigilanza del giudice tutelare. Per effetto dello scioglimento o della cessazione degli effetti del matrimonio, i figli adulterini possono essere riconosciuti anche dal genitore che, al tempo del concepimento, era unito in matrimonio. Dopo lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, se il tribunale non ha disposto altrimenti, ciascun genitore al quale sono stati affidati i figli ne amministra i beni con l'obbligo tutelare e ne ha l'usufrutto fino a quando non passi a nuove nozze. L'altro genitore conserva il diritto di vigilare e il dovere di collaborare all'educazione e all'istruzione dei figli. Egli inoltre, se ritiene pregiudizievoli per il figlio i provvedimenti presi dall'esercente la patria potestà, può ricorrere al giudice tutelare prospettando i provvedimenti che considera adeguati. Il giudice, sentito il figlio che ha compiuto il 14 °anno di età, dichiara quale dei provvedimenti è adeguato all'interesse del figlio. Dopo l'introduzione nell'ordinamento italiano della legge sul d., una lega antidivorzista, raccogliendo un numero sufficiente di firme, riuscì senza successo a portare l'elettorato italiano ad un referendum per l'abrogazione della legge Fortuna-Baslini. Nel maggio 1974, i risultati del referendum confermarono la volontà degli Italiani di mantenere in vita la legge sul d. Questa subì una modifica attraverso la legge n. 436 del 1° agosto 1978, che tutela l'ex coniuge che si trova in situazione economica più debole, garantendo, nel caso di sopravvenuta morte dell'ex coniuge (già tenuto a versare un assegno) l'attribuzione totale o parziale, della pensione di reversibilità dell'ex coniuge. Ulteriori disposizioni sono recate dalla legge n. 74/1987, che prevede la possibilità per l'ex coniuge, se non si risposa, di percepire una percentuale sulla liquidazione dell'altro coniuge e di avere il diritto alla pensione di reversibilità. Il diritto alla pensione o altro assegno si estingue se il coniuge beneficiario si risposa o non si trova nelle condizioni di bisogno economico.