Chim. - Fenomeno per cui, in particolari condizioni, una molecola di un composto
chimico si suddivide in due o più parti, che sono dette
ioni o
radicali o sono esse stesse delle molecole. Nel caso che i prodotti della
d. siano ioni, cioè atomi o gruppi di atomi elettricamente
carichi, si parla di
d. eterolitica o
ionica o
elettrolitica. Se i prodotti della
d. sono dei
radicali,
cioè dei gruppi di atomi elettricamente neutri, ma a cariche elettroniche
non compensate (cioè con orbitali molecolari contenenti un solo
elettrone), si parla di
d. omolitica o
radicalica. Nel caso in cui
i prodotti di
d. siano delle molecole si parla semplicemente di
d.
o
d. molecolare. La
d. può avvenire per diverse cause,
quali la presenza di un solvente, un riscaldamento, ecc.; essa avviene di solito
in fase liquida o in fase gassosa. è opportuno fare una trattazione
separata per i vari tipi di
d. ║
D. molecolare: avviene
abitualmente allo stato gassoso e sono noti moltissimi esempi. Se del cloruro di
ammonio solido viene riscaldato in un tubo chiuso e il gas che si sviluppa viene
analizzato, si può osservare che esso è composto da una miscela
equimolecolare di ammoniaca NH
3 e di acido cloridrico HCl. Il
riscaldamento ha pertanto prodotto la reazione di
d:
NH
4 Cl → NH
3 + HCl
D'altra
parte questa reazione è l'opposto di quella di formazione del cloruro di
ammonio a partire da ammoniaca ed acido cloridrico, che è in relazione di
associazione o
sintesi. Come è noto, almeno dal punto di
vista teorico è possibile realizzare la reazione inversa di qualsiasi
reazione chimica, e quindi tutte le reazioni inverse di associazione sono delle
d. Ad es. l'acqua H
2O si può ottenere con la reazione
di sintesi dagli elementi:
O
2 + 2H
2 →
2H
2O
e anch'essa, riscaldata a temperatura abbastanza
alta, dà una reazione di
d. molecolare che è l'opposto di
quella di sintesi ora scritta. Per queste reazioni come per tutte le altre, vale
la legge dell'azione di massa, che enunciamo qui nella forma più
semplice, per reazioni di
d. Sia data la reazione di
d.:
aA → bB + cC
ove A, B e C sono delle molecole,
atomi o radicali ed
a, b e
c sono i coefficienti stechiometrici
(interi) della reazione. Si può dimostrare che all'equilibrio
(cioè quando il sistema, lasciato per un tempo infinito nelle stesse
condizioni di temperatura, pressione, ecc. non muta più in composizione)
vale la relazione:

avendo indicato con [A], [B] e [C] le concentrazioni di
queste
tre specie chimiche nel sistema. La K è detta
costante
di equilibrio del sistema considerato; essa è funzione della
temperatura e della pressione del sistema. è evidente che in qualsiasi
reazione di
d. dovrà permanere una certa quantità, anche
molto piccola, di sostanza (nel nostro caso A) indissociata, altrimenti il
valore di K sarebbe infinito. Nello stesso tempo si può fare lo stesso
discorso per la reazione opposta a quella scritta, la quale avrà una sola
costante di equilibrio K'=1/K, traendone la conclusione che qualsiasi sostanza
in qualsiasi condizione è presente in parte dissociata secondo ognuna
delle possibili reazioni. Tutto questo sul piano teorico; su quello pratico
invece si verificano moltissimi casi in cui il valore della costante di
d. è talmente alto che virtualmente non esiste più sostanza
indissociata o che essa è talmente bassa che virtualmente la sostanza non
è affatto dissociata, dato che è regola comune affermare che una
sostanza è presente solo quando esiste in un quantitativo tale da poter
essere in qualche modo rilevabile sperimentalmente. Un limite abbastanza
arbitrario che si può porre per dire che una sostanza è presente,
è quando ne sono presenti circa 1.000.000 di atomi o quantità
grosso modo equivalente in molecole. L'espressione della costante di equilibrio
sopra trovata si può modificare nel modo seguente. Si pensi ad una parte
del sistema che contenga una mole di A e si pensi per semplificare i calcoli che
i coefficienti stechiometrici della reazione siano tutti unitari. All'equilibrio
sia
x (< 1) la frazione molare di A che è reagita; allora si
sono formate
x moli di B, altrettante di C e restano 1-
x moli di
A. Esprimendo le concentrazioni come frazioni molari, la relazione già
vista diventa:

Noto
il valore di K, tabulato in funzione della temperatura e pressione, ecc. per
molti sistemi, oppure ricavabile in modo abbastanza semplice dai valori delle
energie libere delle specie che intervengono nella reazione, si può
calcolare il valore di
x, che prende il nome di
grado di d. di A
nelle condizioni del sistema, ed è compreso fra lo zero e l'unità.
La
d. come quasi tutte le reazioni chimiche, avviene con scambio di
calore con l'esterno del sistema. In certi casi questo può cedere
energia, in altri ne può assorbire. Si è citato prima il caso del
cloruro di ammonio: esso si dissocia assorbendo calore dall'esterno, come pure
l'acqua scaldata a temperatura elevata in fase gassosa. Altri composti con
comportamento analogo sono ad es. gli idrocarburi. Citiamo alcune reazioni di
grande interesse industriale: l'etilbenzene che si dissocia in idrogeno e
stirene, gli ioduri di molti metalli (titanio, afnio, zirconio, ecc.) che si
dissociano in metallo e iodio, e così via. Non mancano però gli
esempi di sostanze che si dissociano fornendo calore all'esterno, con una
reazione
esotermica: il caso più clamoroso è quello di
esplosivi quali il fulminato di mercurio, certi acetiluri, il trinitrotoluolo,
la nitroglicerina, ecc. La
d. di molecole è anche detta in certi
testi
d. gassosa, perché avviene prevalentemente in sistemi allo
stato gassoso; questa dizione però è impropria. ║
D.
omolitica: in certe condizioni di lavoro è possibile ottenere la
decomposizione di una molecola in due o più parti elettricamente neutre,
ma dotate di particolari proprietà, che sono dette
radicali.
Questi atomi o raggruppamenti di atomi sono caratterizzati dall'avere degli
elettroni spaiati, cioè non disposti a coppie a formare legami chimici,
che conferiscono loro una grande attività. Pertanto i radicali hanno in
generale una vita estremamente breve, tanto che è difficile metterli in
evidenza. La
d. omolitica è però molto importante, dato che
moltissime reazioni, soprattutto in fase gas a temperatura elevata, avvengono
per via radicalica. Esempio tipico di queste reazioni sono tutte le combustioni
di gas. Si consideri ad es. una molecola di metano CH
4, nella quale
sono presenti solo dei legami C―H, cioè fra carbonio e idrogeno.
Questi legami hanno carattere covalente e il doppietto di elettroni che il
carbonio e un atomo di idrogeno hanno in comune si può pensare derivato
dalla "messa in comune" di un elettrone del carbonio e di uno dell'idrogeno. La
d. omolitica è il processo opposto alla formazione del legame
covalente: questo si rompe e i due elettroni che formano il doppietto in comune
restano uno al carbonio e uno all'idrogeno. Avremo quindi la reazione seguente:

nella quale con un trattino sono
indicati due elettroni accoppiati e con un punto è rappresentato ogni
elettrone spaiato. Questa reazione si scrive più semplicemente
così:

Una reazione di questo tipo
è quasi sempre endotermica, cioè avviene con assorbimento di
energia da parte del sistema. Questa energia si chiama
energia di d.
(omolitica) del composto, o meglio del legame considerato; essa è diversa
da un legame all'altro (cioè ad es. da un C―H ad un C―Cl) e
anche per uno stesso legame in diverse molecole (ad es. un C―H ha una
diversa energia passando dal metano all'etano, al propano, ecc.). Quando una
molecola si trova nelle condizioni di dar luogo ad una
d., omolitica o
no, il legame che si rompe preferenzialmente è sempre quello che richiede
la minor quantità di energia, cioè quello cui compete la
più bassa energia di
d. Questo permette di prevedere l'andamento
di certe reazioni radicaliche sulla base delle energie di
d. Come si ha
la
d. omolitica, così si ha sempre, come detto prima, anche la
reazione inversa, cioè di sintesi fra radicali. Questo tipo di reazione
è abbastanza comune ad es. fra le polimerizzazioni. Riportiamo come
esempio le energie di
d. del legame C―H per alcuni composti; questa
energia è indicata come la variazione di entalpia (ΔH) del sistema,
data in kcal/mole. Ricordiamo che un ΔH positivo significa una reazione
endotermica, cioè che avviene se si fornisce energia al sistema.

Si è utilizzata la
simbologia già sopra impiegata, mettendo in rilievo nella formula del
composto il legame considerato. L'ultimo esempio riguarda la seconda
d.
del metano, cioè la rottura di un ulteriore legame C―H ad una
molecola di metano nella quale se ne è già spezzato uno e che
quindi è divenuta il radicale
.CH
3. Da questa
tabellina si possono trarre alcune conclusioni. L'energia di rottura dei legami
C―H diminuisce passando dal metano all'etano, al propano, ecc. Dato che le
reazioni di ossidazione avvengono per via radicalica, il metano sarà meno
facilmente ossidabile dei suoi omologhi superiori, cosa che si verifica infatti
sperimentalmente (il metano si ossida bene solo oltre i 500°C mentre il
propano si può ossidare a 350°C). Prendendo poi l'aldeide acetica
CH
3CHO, osserviamo che il legame C―H dell'idrogeno mobile
(legato al carbonio carbossilico) ha una energia di circa 85 kcal/mole, mentre
un legame C―H dell'altro atomo di carbonio ha un'energia di
circa 93 kcal/mole. Se si sottopone quindi ad ossidazione l'aldeide acetica, si
avrà rottura del primo legame piuttosto che del secondo, e quindi si
otterrà acido acetico, come si verifica in pratica. Un altro paragone si
può fare fra il benzene e il cumene, cioè l'isopropilbenzene:

La differenza dell'energia di
d. fra i legami C―H indicati esplicitamente nelle due formule (104
kcal/mole per il benzene contro le 74 del cumene) fa sì che sia possibile
l'ossidazione del cumene in corrispondenza di questo legame, senza toccare il
resto della molecola, mentre non è possibile lo stesso per il benzene.
Consegue che la produzione di fenolo non è fatta nei processi più
diffusi per ossidazione diretta del benzene ma trasformandolo in cumene ed
ossidando poi questo. I valori indicati per le energie di
d. sono da
intendere come orientativi: trattandosi di ΔH si ha infatti una forte
influenza delle condizioni operative (temperatura e pressione, se allo stato
vapore). Si può quindi, con una certa approssimazione, indicare le
energie di
d. per i singoli legami, indipendentemente dalla molecola in
cui si trova tale legame. Resta inteso che possono avere degli scostamenti dai
valori indicati, e che questi sono in generale tanto più rilevanti quanto
più semplice è la molecola in cui si trova il legame. La tabella
seguente riporta le energie di
d. di alcuni legami covalenti, in
kcal/mole, per sostanze allo stato vapore.
Legame
|
Energia
|
H―H
|
103
|
O═O
|
117
|
―O―O―
|
30÷50
|
Cl―Cl
|
57
|
Br―Br
|
46
|
I―I
|
36
|
H―Cl
|
103
|
C―Cl
|
67
|
H―Br
|
87
|
C―Br
|
53
|
C―C
|
56
|
C═C
|
95
|
C C
|
124
|
C―H
|
87
|
HO―H
|
116
|
OC═O
|
127
|
H―NH2
|
103
|
H2C═CH2
|
125
|
HC CH
|
166
|
H3C―CH3
|
83
|
H3C―OH
|
90
|
In base a questi dati, tabulati in grande numero sui testi
specializzati, è possibile calcolare l'andamento di reazioni che
avvengono tramite radicale. Il ΔH delle reazioni di questo tipo si
può infatti ottenere come differenza fra l'energia liberata da tutti i
legami che si creano nella reazione e quella assorbita da tutti i legami che si
distruggono nella reazione. Questi calcoli permettono di stabilire in via
teorica se una certa reazione può o meno avvenire in certe condizioni e
quale è il rendimento massimo di conversione che si può ottenere.
Questi calcoli, accoppiati ai dati cinetici (che sono però sempre meno
precisi di questi) permettono di eseguire il progetto degli impianti chimici,
destinati a realizzare determinate reazioni attraverso le quali si ottengono da
certe sostanze delle altre sostanze più utili. A proposito della
d. omolitica occorre ricordare che i dati sono anche forzatamente poco
precisi per il fatto che i radicali hanno quasi sempre una vita brevissima e
scompaiono quindi rapidamente, rendendo difficili le misure che sono già
complesse perché vanno sicuramente effettuate o per vie indirette o per
vie strumentali (dallo spettro di assorbimento o di emissione dei radicali, che
è diverso da quello delle molecole). ║
D. elettrolitica:
è detta anche
d. ionica o
eterolitica, in quanto i prodotti
della
d. delle molecole sono degli ioni, cioè atomi o gruppi di
atomi elettricamente carichi. Dato che le molecole sono elettricamente neutre si
dovranno originare nella
d. degli ioni carichi positivamente (cationi) e
carichi negativamente (anioni); questo giustifica il nome di eterolitica dato a
questa
d. La
d. elettrolitica avviene solo quando la sostanza che
si dissocia è posta in presenza di un'altra sostanza opportuna
(generalmente liquida), detta
solvente; essa è tanto maggiore
quanto più il solvente ha la proprietà di
solvatare
(V. SOLVATAZIONE) gli ioni che si formano,
ostacolandone la ricombinazione. Il comportamento elettrolitico di una sostanza
non dipende quindi solo dalla sua natura, ma anche in grandissima misura dal
solvente utilizzato. è abitudine corrente distinguere le sostanze in due
gruppi, secondo il tipo di legame chimico che in esse prevale. Le sostanze
aventi
legami ionici sono quelle che, poste in presenza di un solvente
avente un'elevata costante dielettrica, danno facilmente
d.
elettrolitica. Le sostanze aventi legami a carattere prevalentemente
covalente sono in generale ben poco solubili nei solventi di questo tipo
e comunque anche la parte che viene sciolta non si dissocia apprezzabilmente.
Esistono poi naturalmente i casi intermedi, come pure i casi di molecole che
contengono sia legami di tipo covalente sia ionico. Consideriamo due esempi: il
cloruro sodico NaCl e il metano CH
4. Nel cloruro sodico il legame fra
Na e Cl è essenzialmente ionico: nello stesso cristallo di NaCl non si
trovano molecole di questo composto ma ioni Na
+ alternati
regolarmente a ioni Cl
- in modo da conferire neutralità
all'insieme. Quando un cristallo di questo tipo è posto in un solvente ad
elevata costante dielettrica, cioè in un solvente
polare, sotto
gli urti delle molecole di solvente il cristallo si sfalda a livello atomico, e
nella soluzione che si forma si trovano quasi solamente ioni sodio e ioni cloro
e non molecole di NaCl. Questa
d. si potrà scrivere nel seguente
modo:
NaCl → Na
+ + Cl
-in
realtà questo modo abbreviato rende poco evidente il fenomeno che
avviene. Gli ioni infatti non sono liberi, ma legati a molecole di solvente che
costituiscono attorno ad essi una specie di atmosfera, detta
atmosfera di
solvatazione. Nel caso che il solvente sia acqua, si usa allora parlare di
ioni acquosi, e la
d. sopra scritta si può riscrivere più
esattamente nel seguente modo:
NaCl
(sol) →
Na
+(aq) + Cl
-(aq)In
questo modo appare come il cloruro sodico, allo stato solido si scioglie dando
origine a ioni
idratati o
acquosi. Nel caso del metano
CH
4 si ha invece che anche la piccola quantità che si scioglie
in acqua non si dissocia apprezzabilmente; esso si scioglie invece bene in altri
solventi (ad es. idrocarburi) non polari e quindi senza
d. elettrolitica.
Anche in questo caso si può ragionare in termini di energia di reazione,
ovvero ΔH di reazione, che è poi uguale all'energia di
d. Si
pensi ad es. di realizzare le due seguenti reazioni di
d.,
rispettivamente per l'acqua e per il metano:
H
2O →
H
+ + OH
-; ΔH = 13,5 kcal/mole;
CH
4 → CH
+3 + H
-;
ΔH = 333 kcal/mole
a fianco delle quali sono indicati i
ΔH di reazione. In entrambi i casi si tratta di una
d. ionica
relativa ad un solo legame (O―H nel primo caso e C―H nel secondo);
le energie di gioco sono talmente diverse (13,5 contro 333 kcal/mole) che si
può a priori affermare che la prima è una reazione facile mentre
la seconda è praticamente impossibile. Se poi si fa un confronto con le
energie di
d. omolitica troviamo per questi legami delle energie di 116 e
101 kcal/mole rispettivamente. è quindi evidente che fornendo energia
all'acqua, questa tenderà a dissociarsi secondo una
d.
eterolitica, mentre fornendone al metano questo tenderà a dissociarsi
secondo una
d. omolitica, cioè sempre secondo la via più
facile, in omaggio al principio di Le Chatelier. Consideriamo ancora un esempio.
Si abbia del nitrato di potassio KNO
3. La sua formula di struttura
è la seguente:

cioè
con un legame ionico fra il potassio e un ossigeno e con tre legami covalenti
(di cui due doppi) fra azoto e ossigeni. Questo sale allo stato solido dà
origine a cristalli ionici, costituiti da atomi di potassio carichi (cioè
ioni K
+) alternati a gruppi NO
3- secondo un
reticolo regolare. In soluzione acquosa avviene la reazione di
d.:
KNO
3(sol) → K
+(aq)
+NO
-3(aq) cioè si ha
d.
elettrolitica relativamente al legame ionico, mentre gli altri restano
indissociati. In molti casi in una molecola si hanno più legami ionici,
che possono dissociarsi tutti quanti. Si consideri una molecola di acido
solforico H
2SO
4 che ha formula di struttura:

Come si vede i valori possono
essere molto diversi da una sostanza all'altra; quando si hanno più
d. successive però si ha sempre che la costante della seconda
d. è minore di quella della prima di circa 5 ordini di grandezza;
lo stesso vale per ogni altra
d. successiva. Lo studio delle costanti di
d. elettrolitica permette di stabilire una scala di forza degli acidi e
delle basi. Un acido (o una base) è tanto più forte quanto
maggiore è la sua costante di
d. in soluzione acquosa. Così
l'acido solforico è considerato molto forte mentre il solfidrico è
ritenuto molto debole. I sali sono in generale degli elettroliti forti,
cioè molto dissociati, almeno per quanto riguarda la parte che passa in
soluzione. Una stessa sostanza può avere una
d. acida o una
d. basica, sempre elettrolitica. Ad es. l'idrato di alluminio Al
(OH)
3 può dissociarsi nei seguenti modi:
Al(OH)
3 → OH
- +
+Al(OH)
2Al(OH)
3 →
H
+ +
-OAl(OH)
2Nel primo caso si
tratta di una
d. basica (perché ha dato uno ione OH
-),
nel secondo di una
d. acida (perché ha dato origine a uno ione
H
+). Mentre le sostanze che subiscono
d. elettrolitica si
dicono genericamente
elettroliti, questo tipo di sostanze sono dette
elettroliti anfoteri. Anche per la
d. elettrolitica vale quanto
detto prima a proposito della legge di azione di massa e la definizione del
grado di
d. ║
D. elettrolitica dell'acqua: l'acqua si
dissocia elettroliticamente dando origine ad H
+ e OH
-, ma
è un elettrolita molto debole. La costante di
d.:

è molto bassa; vale
infatti 1,8 · 10
-16 a 24°C. Dato che in un litro di acqua
vi sono 1.000/18 = 55,5 moli di acqua e che solo una minima parte di essa
è dissociata (cioè la concentrazione dell'acqua indissociata
è praticamente unitaria), possiamo semplificare l'espressione della
costante nel seguente modo:
K' =
[H
+]∙[OH
-] =
1∙10
-14sempre a 24°C. Questa costante K'
è detta
prodotto ionico dell'acqua sempre nelle stesse condizioni.
Se si definisce
neutra l'acqua pura distillata, nella quale gli ioni H
sono in numero uguale agli OH
- (dato che essi si formano in numero
uguale nella
d.), si ha che:
[H
+] =
[OH
-] = 10
-7Si definisce poi il pH e il pOH di
una soluzione nel seguente modo:


Per quanto detto si ha che la
neutralità corrisponde a 24°C ad un valore di pH = pOH = 7. Si dice
acida una soluzione per la quale la concentrazione di idrogenioni
è maggiore che nell'acqua pura (e quindi pH < 7 e pOH > 7, dato che
pH + pOH = 14) e
basica una soluzione in cui la concentrazione di ioni
ossidrili OH
- è maggiore che nell'acqua pura (cioè pH
> 7 e pOH < 7). è ovvio che un acido generando nella sua
d.
degli H
+ renderà la soluzione acida mentre l'opposto
succederà per una base, che libera degli ioni OH
-. La
neutralità è a pH = 7 a 24°C; a temperatura superiore la
neutralità si ha a pH minori in quanto la K', prodotto ionico dell'acqua,
aumenta al crescere della temperatura di circa l'8% per ogni °C. La
definizione del pH e del pOH è molto importante in quanto permette con
una misura semplicissima di conoscere la concentrazione di ioni H
+ e
OH
- nella soluzione e quindi il grado di
d. di un acido o di
una base; inoltre l'andamento di tutte le reazioni che avvengono in soluzioni
acquose è in generale fortemente influenzato dal pH della soluzione
stessa. La
d. ionica si può verificare anche in condizioni diverse
da quelle sopra citate. La
d. dell'acqua ne è già un
esempio: essa avviene in un solvente che è la stessa sostanza che si
dissocia. Così è possibile, anche se difficile, elettrolizzare
acqua pura, come molte altre sostanze liquide allo stato puro. Anche certi
solidi, ad es. gli alogenuri di argento, possono essere parzialmente ionizzati e
quindi sottoposti ad elettrolisi allo stato solido. Nello stesso modo una
sostanza può essere sciolta in un'altra sostanza solida e dissociarsi in
essa ionicamente. Questi fatti, fino a qualche decennio fa erano considerati
importanti solo teoricamente ma oggi rivestono anche notevole importanza
pratica. In certi casi (ad esempio pile allo stato solido) sono volutamente
prodotti; in altri casi essi costituiscono fenomeni parassiti (ad esempio
migrazioni ioniche nei semiconduttori) che devono essere il più possibile
contenuti con mezzi opportuni. Infine si può avere una
d.
elettrolitica anche allo stato gassoso, ma essa riveste per ora scarsa
importanza pratica. Non la si deve però confondere con la ionizzazione in
fase gassosa, nella quale un atomo (o gruppo di atomi) perde uno o più
elettroni trasformandosi in ione.