Disprezzo per disprezzo.

Cartina dell'Italia

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Disprezzo per disprezzo.

(El desdén con el desdén). Commedia in versi di Agustín Moreto y Cabaña, scritta nel 1652. La trama, piuttosto convenzionale e priva di spunti originali, è incentrata sulle vicende di Diana, la bella figlia del conte di Barcellona, corteggiata contemporaneamente dal conte d'Urgel, dal conte di Foix e dal principe di Béarn. L'opera è però arricchita da un dialogo vivace e da una raffinata rappresentazione dell'ambiente nobile e cortigiano, oltre che da una sottile analisi psicologica condotta sui personaggi. La commedia, molto imitata al suo tempo, ispirò Molière per la Principessa d'Elide e Pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin. Commediografo e attore francese. Nato in una famiglia della piccola borghesia, entrò nel Pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin. Commediografo e attore francese. Nato in una famiglia della piccola borghesia, entrò nel Collegio di Clermont, retto dai Gesuiti, dove compì studi di retorica e di latino. Attratto dal teatro, si legò alla famiglia Béjart (composta dagli attori ambulanti Madeleine, Geneviève e Joseph) e fondò la compagnia comica "L'Illustre Théâtre", assumendo il nome d'arte di Molière. Dopo i primi insuccessi parigini, M. decise di continuare la sua attività in provincia: dal 1645 peregrinò per le città del Sud della Francia e a Lione entrò in contatto con le compagnie italiane della commedia dell'arte. Rappresentò con successo Lo sventato, adattamento in 5 atti in versi dell'Inavvertito di N. Barbieri e Il dispetto amoroso, ispirato all'Interesse di N. Secchi. Questi anni furono importanti per la sua formazione; poco portato alla recitazione, ebbe maggiore fortuna come autore. Tornato a Parigi nel 1658, ottenuta la protezione del duca d'Orléans, si insediò nella sala del Petit-Bourbon e poi, nel 1662, per concessione del re, nella sala Richelieu, che da allora si chiamò sala del Palais-Royal. Nel 1658 recitò Nicomède di Corneille alla presenza del sovrano; si salvò dall'insuccesso aggiungendo al programma un suo divertissement in un atto, Il dottore amoroso. Trionfarono nel 1659 Le preziose ridicole, commedia in un unico atto che ironizza sugli eccessi del preziosismo. Seguirono Sganarello o il cornuto immaginario (1660) e la commedia eroica Don Garcia di Navarra o il principe geloso (1661). Dopo La scuola dei mariti (1661) e Gli importuni (1661), M. trionfò con La scuola delle mogli (1662), commedia satirica che prende di mira l'educazione tradizionale delle giovani e che, nonostante l'intelligente protezione di Luigi XIV, suscitò violente polemiche alle quali M. replicò con La critica della scuola delle mogli e con L'improvvisazione di Versailles, entrambi del 1663. Il primo è un atto unico che rappresenta la discussione sulla commedia oggetto di critiche. Nel secondo M., ricorrendo all'espediente del teatro nel teatro, mette in scena la sua compagnia durante una prova, affidandole l'esposizione della sua teoria riguardo all'arte drammatica e al ruolo dell'attore: abolizione dell'enfasi dalla recitazione ma spontaneità e verità con l'obiettivo di divertire. Per le feste regali del 1664 compose due commedie-balletto, ovvero Il matrimonio per forza e La principessa di Elide con musiche di G.B. Lulli. Nello stesso anno M. rappresentò la commedia Tartufo, satira pungente dell'ipocrisia imperante che, a causa delle violente reazioni di disappunto che suscitò, non poté più essere messa in scena fino al 1669, quando apparve modificata rispetto all'originale. Dopo il Don Giovanni o il convito di pietra (1665), fece rappresentare una nuova commedia di carattere, Il misantropo (1666), in cui la memorabile figura di Alceste, isolato dal mondo a causa della propria intransigenza morale, si colloca al limite del tragico in quanto è consapevole del suo modo di essere. Tra le altre opere di M., tutte cariche di quella acuta ironia che l'autore seppe applicare agli avvenimenti e ai protagonisti della quotidianità elevandoli al rango di eventi e personaggi-tipo, ricordiamo: Il medico per forza (1666), Anfitrione (1667), Georges Dandin e L'Avaro (1668) che riprende il tema dell'Aulularia plautina, Il borghese gentiluomo (1670), bonaria presa in giro delle manie nobiliari di un borghese arricchito, Le furberie di Scapino (1671), ricca di divertenti trovate, infine Le donne saccenti (1672). Morì sulla scena mentre rappresentava Il malato immaginario (1673), incentrato sulla figura dell'ipocondriaco Argan (Parigi 1622-1673)., retto dai Gesuiti, dove compì studi di retorica e di latino. Attratto dal teatro, si legò alla famiglia Béjart (composta dagli attori ambulanti Madeleine, Geneviève e Joseph) e fondò la compagnia comica "L'Illustre Théâtre", assumendo il nome d'arte di Molière. Dopo i primi insuccessi parigini, M. decise di continuare la sua attività in provincia: dal 1645 peregrinò per le città del Sud della Francia e a Lione entrò in contatto con le compagnie italiane della commedia dell'arte. Rappresentò con successo Lo sventato, adattamento in 5 atti in versi dell'Inavvertito di N. Barbieri e Il dispetto amoroso, ispirato all'Interesse di N. Secchi. Questi anni furono importanti per la sua formazione; poco portato alla recitazione, ebbe maggiore fortuna come autore. Tornato a Parigi nel 1658, ottenuta la protezione del duca d'Orléans, si insediò nella sala del Petit-Bourbon e poi, nel 1662, per concessione del re, nella sala Richelieu, che da allora si chiamò sala del Palais-Royal. Nel 1658 recitò Nicomède di Corneille alla presenza del sovrano; si salvò dall'insuccesso aggiungendo al programma un suo divertissement in un atto, Il dottore amoroso. Trionfarono nel 1659 Le preziose ridicole, commedia in un unico atto che ironizza sugli eccessi del preziosismo. Seguirono Sganarello o il cornuto immaginario (1660) e la commedia eroica Don Garcia di Navarra o il principe geloso (1661). Dopo La scuola dei mariti (1661) e Gli importuni (1661), M. trionfò con La scuola delle mogli (1662), commedia satirica che prende di mira l'educazione tradizionale delle giovani e che, nonostante l'intelligente protezione di Luigi XIV, suscitò violente polemiche alle quali M. replicò con La critica della scuola delle mogli e con L'improvvisazione di Versailles, entrambi del 1663. Il primo è un atto unico che rappresenta la discussione sulla commedia oggetto di critiche. Nel secondo M., ricorrendo all'espediente del teatro nel teatro, mette in scena la sua compagnia durante una prova, affidandole l'esposizione della sua teoria riguardo all'arte drammatica e al ruolo dell'attore: abolizione dell'enfasi dalla recitazione ma spontaneità e verità con l'obiettivo di divertire. Per le feste regali del 1664 compose due commedie-balletto, ovvero Il matrimonio per forza e La principessa di Elide con musiche di G.B. Lulli. Nello stesso anno M. rappresentò la commedia Tartufo, satira pungente dell'ipocrisia imperante che, a causa delle violente reazioni di disappunto che suscitò, non poté più essere messa in scena fino al 1669, quando apparve modificata rispetto all'originale. Dopo il Don Giovanni o il convito di pietra (1665), fece rappresentare una nuova commedia di carattere, Il misantropo (1666), in cui la memorabile figura di Alceste, isolato dal mondo a causa della propria intransigenza morale, si colloca al limite del tragico in quanto è consapevole del suo modo di essere. Tra le altre opere di M., tutte cariche di quella acuta ironia che l'autore seppe applicare agli avvenimenti e ai protagonisti della quotidianità elevandoli al rango di eventi e personaggi-tipo, ricordiamo: Il medico per forza (1666), Anfitrione (1667), Georges Dandin e L'Avaro (1668) che riprende il tema dell'Aulularia plautina, Il borghese gentiluomo (1670), bonaria presa in giro delle manie nobiliari di un borghese arricchito, Le furberie di Scapino (1671), ricca di divertenti trovate, infine Le donne saccenti (1672). Morì sulla scena mentre rappresentava Il malato immaginario (1673), incentrato sulla figura dell'ipocondriaco Argan (Parigi 1622-1673). per La Principessa filosofa.

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Disprezzo.

Mancanza di stima, considerazione e attenzione nei confronti di qualcosa o di qualcuno.

Commedia.

(dal greco: komoidía). Componimento drammatico, in prosa o in versi, di contenuto satirico o morale. Secondo Aristotele la c. ebbe origine dal corifeo dei canti fallici che, inserendo nel coro elementi di parlato, avrebbe originato in questo modo le prime forme di dialogo. Successivamente la c. greca si arricchì di altri elementi quali le maschere, il prologo, gli intrecci, ecc. L'elemento drammatico venne conferito alla c. da un'antica forma di teatro popolare diffusa dovunque nelle regioni greche. Un successivo impulso allo sviluppo della c. si ebbe con l'introduzione di alcuni elementi tecnici forniti dalla tragedia. Nel 488 l'arconte concesse alla c. il coro, iscrivendola con questo atto nel programma delle feste urbane tenute in onore del dio Dionisio. I primi esponenti della c. attica antica furono Chionide e Magnete, attivi attorno al 480 a.C. Successivamente raggiunse grande fama l'ateniese Cratino che, da vecchio, rivaleggiò con Aristofane, il maggiore rappresentante della poesia comica greca. Oltre a questi si ricordano anche i nomi di Eupoli, Frinico e Platone detto il Comico. Le c. attiche antiche erano strutturate secondo uno schema che prevedeva un prologo, nel quale venivano esposti gli antefatti, la parodos, cioè l'ingresso del coro e l'agòn, nel quale il protagonista si batteva per il successo dei suoi progetti. Tutte queste parti erano spesso intervallate da canti del coro. Dopo la caduta della democrazia ateniese in conseguenza della guerra del Peloponneso (404 a.C.) la c. dovette trasformare il suo primitivo carattere di satira politica e adattarsi al nuovo ordine delle cose. Scompare il coro e gli argomenti vengono tratti dalla vita comune. Questo tipo di c., detta "di mezzo", durò circa un cinquantennio (dal 380 al 330 a.C.). I suoi autori più significativi, esponenti di una cultura e di una società più raffinata e più colta, furono Antifane. Eubolo e Timocle. La c. nuova, fiorita successivamente al 330, ebbe come caratteristiche la passione per l'intreccio e per l'elemento amoroso. I suoi autori più significativi, esponenti di una società più colta e più raffinata, furono Difilo, Apollodoro, Posidippo, Filemone e Menandro, senza dubbio il più significativo. In seguito la poesia comica greca attraversò un periodo di decadenza definitiva durante il quale si venne trasformando in un nuovo genere letterario, il mimo. ║ C. latina. Ebbe origine nei fescennino, nelle satire e nelle atellane, cioè in quei primitivi componimenti poetici grossolani e osceni, con i quali i contadini italici solevano festeggiare determinate solennità. Durante queste feste venivano recitate rozze rappresentazioni che dovevano servire a propiziarsi le divinità. Questo primitivo genere di rappresentazione venne in seguito soppiantato da forme più evolute nelle quali il dialogo assumeva un'importanza rilevante e la danza veniva fatta corrispondere al canto e al suono. Questa nuova forma rappresentativa venne detta "satura" e, presso i Romani, durò per oltre un secolo, fino a quando non venne sostituita dalla c. palliata, introdotta a Roma da Livio Andronico. Gli argomenti e le scene di queste rappresentazioni erano di derivazione greca. Altro autore di palliate fu Nevio, del quale restano i titoli di trenta c. e alcuni frammenti. La palliata decadde progressivamente con il venir meno dei modelli greci dai quali traeva ispirazione. Venne in seguito sostituita dalla c. togata, così chiamata perché in essa i personaggi vestivano la toga romana in luogo del pallio greco. Questo genere di c. portava sulla scena usi, costumi e personaggi romani o italici e si distingueva dalla palliata per la maggiore semplicità di struttura e per Il carattere più popolaresco. Fra i maggiori autori di c. togate ricordiamo Titinio, T. Quinzio Atta e L. Afranio. In periodo medioevale la c., intesa come forma di rappresentazione autonoma, venne abbandonata in favore del dramma sacro e delle rappresentazioni comiche (farse). Il nome di c. venne dato a componimenti che, per la minore gravità della materia trattata, si distinguevano dagli altri generi di composizione. Nel XII e XIII sec. venne dato il nome di c. elegiache o epiche ad alcuni componimenti in lingua latina che trattavano argomenti di carattere classicheggiante ed erano spesso tratti dalle c. del periodo romano o greco. Un rifiorire della c. si ebbe nel periodo umanistico, con la riscoperta di numerose commedie di Plauto (1429) e di Terenzio (1432), che determinarono la dissoluzione della c. latina medioevale. Tra gli autori di questo periodo ricordiamo P.P. Vergerio, Leon Battista Alberti e Ugolino Pisani. Ai soggetti tradizionali tratti dalle c. classiche si aggiungevano gli spunti offerti dalle novelle del Boccaccio, dalla narrativa romanza e dai casi dell'esistenza quotidiana. Lo schema rispettava solitamente l'unità di luogo e di tempo, meno quella d'azione. L'introduzione sistematica del "volgare" si ebbe dopo la prima rappresentazione della Mandragola del Machiavelli, avvenuta a Roma nel 1520. Tra i lavori di questo periodo possiamo ricordare le c. di Ludovico Ariosto, la Calandria di B. Dovizi, I due felici rivali di Jacopo Nardi e le cinque c. di Pietro Aretino. Successivamente, gli spunti tratti dalla classicità vengono progressivamente abbandonati in favore di un realismo rappresentativo del quale la c. Il Candelaio di Giordano Bruno rappresenta l'esempio più evidente e più riuscito. La rottura con la tradizione precedente venne portata avanti con forza anche da Angelo Beolco detto il Ruzzante che, attraverso l'uso del dialetto padovano e la scelta di argomenti di carattere popolaresco, si distinse come l'autore che più di ogni altro ebbe la capacità di superare i confini della c. tradizionale e di porre le basi per un autentico rinnovamento del genere. Con lo sviluppo della c. dell'arte, avvenuto a partire dalla seconda metà del XVI sec., la c. si pose decisamente come reazione antiaccademica al di fuori di ogni schema letterario predeterminato. Lungo tutto il XVII sec. la c. letteraria attraversò un periodo di decadenza dal quale si staccarono solamente autori come Francesco Mariani, Carlo Tiberi e G. B. Andreini. La tendenza di questo periodo verificò una netta prevalenza della prosa e una divisione in tre atti piuttosto che in cinque. Venne abbandonato il prologo e scomparvero progressivamente alcune delle figure più sfruttate in precedenza, quali il Pedante e il Capitano. La c. si aprì, tra il XVII sec. e il XVIII, all'influenza spagnola e francese, con particolare riferimento all'opera di Molière, cui si rifece direttamente il senese Girolamo Gigli. La c. ritrovò una sua vitalità con Carlo Goldoni che, prendendo atto dell'ormai avvenuta decadenza della c. dell'arte, seppe far rifluire gli elementi positivi che in questa si potevano ancora rintracciare, in opere nelle quali è possibile cogliere lo spirito del suo tempo e il rinnovamento della forma artistica della c. La difesa della c. dell'arte venne portata avanti dal principale antagonista del Goldoni, Carlo Gozzi, che nelle sue Fiabe mise in scena un mondo popolaresco nel quale le maschere della c. dell'arte avevano la parte principale. La scuola goldoniana trovò numerosi imitatori, tra i quali ricordiamo Francesco Albergati e Giovanni de Gamerra, nei cui lavori prevalse la passione per i "colpi di scena" e per il sensazionalismo rappresentativo. Agli inizi del XIX sec., la c. italiana era dominata dall'influenza goldoniana e da quella del teatro comico francese. Tuttavia la produzione italiana fu estremamente povera di spunti originali e le note più significative vanno rintracciate nel melodramma. Si sviluppò tuttavia una vasta attività delle compagnie che lavoravano principalmente su c. estere, specificamente francesi. Gli autori italiani più significativi di questo periodo sono Riccardo di Castelvecchio, Vincenzo Martini e, per quanto riguarda la produzione comica, Paolo Ferrari. L'avvento del naturalismo e del verismo e il maggiore respiro europeo della cultura italiana degli ultimi anni del XIX sec., non permettono di seguire con linearità gli sviluppi del teatro comico nazionale. I momenti più significativi si ebbero comunque con l'opera di Luigi Pirandello con il quale viene decisamente superato l'impianto della c. tradizionale. Altri autori degni di nota sono Giannino Antona Traversi (Carità mondana, 1906; I martiri del lavoro, 1908), Roberto Bracco, Dario Niccodemi e Gioacchino Forzano. Tra la prima e la seconda guerra mondiale proseguì la tradizione del teatro borghese, nel quale si vennero tuttavia inserendo, sull'esempio di Pirandello, elementi grotteschi e satirici. Le opere più significative della produzione pirandelliana furono: Pensaci, Giacomino! (1916), Liolà (1916), Il berretto a sonagli (1917), Cosi è (se vi pare) (1917), Sei personaggi in cerca d'autore (1921), Enrico IV (1922). Autori più tradizionali e più vicini al gusto del pubblico furono Gherardo Gherardi, Guglielmo Zorzi, Cesare Giulio Viola, Sergio Pugliese. Nel secondo dopoguerra la c. di ambientazione popolare con struttura comica, ha trovato nel nostro paese la miglior espressione artistica nelle opere di genere dialettale e ambientazione napoletana di Eduardo De Filippo.

"La commedia greca" di Raffaele Cantarella

Le vicende della commedia greca sono più complesse di quelle della tragedia. Esse possono così riassumersi brevemente, nei loro momenti principali: I. Commedia dorica siceliota II. Commedia attica antica III. Commedia attica nuova. I - Mentre la tragedia è una creazione della civiltà attica, anzi ateniese, del grande secolo di Pericle (V a.C.), la commedia appare per la prima volta nella Sicilia ellenizzata, dove un grande poeta (Epicarmo, nato circa il 530 a.C. e quindi contemporaneo di Eschilo) diede forma e dignità letterarie alle primitive farse popolaresche, molto diffuse nel mondo dorico (sia della Grecia propria, sia della Sicilia). Purtroppo, di Epicarmo rimangono soltanto pochi e brevi frammenti, dai quali si può vedere quanto segue: egli scriveva nel dialetto dorico della sua patria (Siracusa); componeva brevi drammi (300-400 versi), nei quali, oltre a scene della vita quotidiana, trattava anche la parodia epica e filosofica; essi erano privi di coro, e quindi con scarsi elementi di musica e di danza. II - La commedia attica antica si sviluppò in Atene, dove, pur conoscendo la commedia siceliota, assunse forma originale, soprattutto per l'elemento lirico-musicale, costituito da un coro di 24 persone che traeva origine da forme liriche popolari proprie della religiosità agreste (canti fallici, celebranti nel simbolo dell'organo sessuale maschile la potenza riproduttrice della natura). Nel regime democratico di Atene la commedia godette della più ampia e illimitata libertà di parola: onde poté mettere in caricatura (spesso ferocemente) anche i personaggi più importanti della vita politica e culturale: Pericle, Cleone, Socrate, Euripide. E perciò rimase un fatto esclusivo di quel momento della civiltà ateniese, che non si è mai più ripetuto nella storia. La data ufficiale di nascita della commedia è il 486 a.C.; ma soltanto verso la metà del secolo essa raggiunse la perfezione per opera del geniale Cratino, che, con Eupoli e Aristofane, forma la grande triade comica. Anche di Cratino e di Eupoli, purtroppo, abbiamo soltanto alcuni titoli e parecchi frammenti; Aristofane è l'unico del quale ci siano state conservate ben undici commedie intere, oltre ai titoli e ai frammenti di un'altra trentina. Egli rappresenta per noi la parabola più alta della commedia attica antica: che, con le sue ultime opere e con la sua morte (circa a. 385 a.C.) conclude la propria parabola. III - Dopo un periodo di transizione (chiamato di solito «commedia di mezzo»), che non presenta caratteri originali e nemmeno grandi poeti, (dei quali, comunque, rimangono soltanto titoli e frammenti), si sviluppa in Atene la commedia nuova, che culmina nell'attività del suo maggior poeta, Menandro, dal 320 al 290 circa a.C.; altri notevoli poeti di questo periodo furono Difilo e Filemone. Questa commedia è un fatto letterario nuovo, profondamente diverso dalla commedia antica sia nelle forme sia nello spirito. Nelle forme, essa perde l'elemento corale, cioè la parte lirico-musicale, sostituita da intermezzi di musica e di danza (senza parole) che segnano lo stacco fra i vari episodi e quindi preparano quella che sarà la normale partizione in cinque atti della commedia romana. E poiché le parti corali erano proprio quelle nelle quali il poeta della commedia antica trattava più polemicamente i problemi e gli aspetti della vita della città (la pace e la guerra; la vecchia e la nuova educazione; la filosofia sofistica; la poesia euripidea e la nuova musica, considerate come cause della decadenza della città; la nuova demagogia, la concezione della politica, la cattiva distribuzione delle ricchezze) in tal modo la commedia viene a perdere gli interessi attuali che più ne ispiravano ii carattere polemico e satirico: che d'altronde non poteva trovare libera espressione nel nuovo regime politico (non più dpiù democratico) instaurato dopo l'avvento della potenza macedonica. Per tutte queste ragioni, la commedia si volge ora all'osservazione psicologica, alla rappresentazione di caratteri tipici (il giovane ricco e scapestrato, il padre rigido e avaro, la cortigiana, il servo astuto e intrigante, la sposa casta e fedele, il soldato spaccone), attraverso una serie di vicende quasi obbligatorie (rapimenti e stupri di fanciulle; bambini abbandonati che finiscono col ritrovare i genitori; fratelli e sorelle che si ritrovano dopo molte peripezie; coppie di sposi divisi da un equivoco e che poi si riconciliano), e tutte a lieto fine. Su questa evoluzione molto ha influito la tragedia euripidea, soprattutto dell'ultima maniera, nella quale il poeta predilige il dramma psicologico e di intreccio. Fra i poeti della commedia nuova, l'unico del quale possiamo dare un giudizio è Menandro, poiché degli altri non rimangono che titoli e frammenti.

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Moreto y Cabaña, Agustín.

Commediografo spagnolo. Autore di commedie religiose, storiche e psicologiche, è annoverato tra i seguaci di Calderón. Tra le sue opere citiamo: Il prode giustiziere, Disprezzo per disprezzo, L'elegante Don Diego, Il potere dell'amicizia (Madrid 1618 - Toledo 1669).

Trama.

Ind. tess. - Il complesso di fili che forma la parte trasversale del tessuto. La t. si intreccia con l'ordito durante la tessitura, mediante il passaggio delle navette contenenti le spole. ║ Fig. - Intrigo, macchinazione, maneggio, complotto, azione rivolta in modo coperto a un fine, o a recare danno a qualcuno: riuscì a sventare la t. ordita contro di lui dagli avversari.

║ Fig. - Intreccio, concatenazione delle vicende più importanti di un'opera narrativa, teatrale, di un film: leggeva sul giornale le t. dei film trasmessi in televisione. - Sport - Insieme coordinato delle azioni d'attacco di una squadra di calcio o di altre discipline: irrobustendo il centrocampo riuscì a ostacolare le t. della squadra avversaria.

- Bot. - Massa fondamentale di alcuni funghi, detta generalmente carne. ║ T. delle lamelle: t. che forma la massa centrale delle lamelle e fornisce, in seguito alla diversa disposizione delle ife, caratteri distintivi utilizzabili per la classificazione. - Istol. - Termine generico con cui si indica una fine struttura nella compagine di un organo: t. vascolare.

Conte.

(dal latino comes: compagno). Titolo di nobiltà. Segue nella gerarchia araldica quello di marchese e precede quello di visconte. La corona è un cerchio d'oro con gemme e 16 perle su altrettante punte, di cui 9 visibili. L'elmo è colore argento con bordi d'oro, posto di profilo per un terzo. ● St. - In epoca romana, il titolo di c. era attribuito a coloro che avevano il compito di coadiuvare i magistrati preposti alle province. Durante il principato di Augusto, ai membri appartenenti alla cerchia imperiale (comites Caesaris) venne data particolare rilevanza: essi seguivano l'imperatore nei suoi spostamenti, davano pareri e consigli, talvolta svolgevano compiti di natura più specifica. Sotto Costantino (IV sec.), a tali funzionari vennero attribuiti anche ruoli precisi nell'amministrazione dello Stato. Si trattava quindi di un termine piuttosto generico, indicante funzionari pubblici con cariche assai differenti e di diversa importanza. Il titolo di c. venne conservato dai Barbari alla caduta dell'Impero e assunse importanza particolare presso alcune popolazioni, quali i Franchi. Il c. aveva il compito di accompagnare il re in battaglia e di assisterlo nella funzione di governo. Durante il Regno di Carlo Magno, in seguito alla feudalizzazione delle cariche, il territorio venne diviso in contee e il c. divenne vassallo del re, legato al sovrano dal giuramento di fedeltà. Così nel IX sec. il nome contea significò non soltanto l'ufficio del c., ma il territorio stesso sul quale egli aveva giurisdizione con particolari privilegi; il c. restava giudice supremo e tutore dell'ordine, esattore delle imposte, capo della milizia. Tra i secc. IX e X la carica divenne vitalizia ed ereditaria (capitolare di Kiersy, emanato nell'877 da Carlo il Calvo), ma la diffusione del sistema feudale e il conseguente moltiplicarsi dei signori feudali indebolirono il potere politico del singolo c. Infine, l'affermarsi dei Comuni e l'estensione della loro giurisdizione sui territori di pertinenza del c. resero progressivamente nominale tale carica, che venne assorbita in ambito comunale; solo pochi (per esempio i c. di Savoia e di Lomello) riuscirono a conservare le loro prerogative e i loro antichi poteri. Una sorta di restaurazione della gerarchia feudale si verificò in Italia nell'epoca dei Principati, quando i nuovi signori (Visconti, Este, Gonzaga, ecc.), a loro volta incorporati nell'orbita imperiale, cominciarono a nominare c. Già dal Settecento, comunque, quasi ovunque il titolo di c. aveva perso qualsiasi significato politico. Soppresso durante la Rivoluzione francese e riabilitato durante la Restaurazione, esso fu definitivamente abolito dalla Costituzione repubblicana nel 1948, come qualsiasi altro titolo nobiliare. ║ C. palatino: dal IX sec., alla corte dei Franchi ad Aquisgrana e dei Franchi e Longobardi a Pavia, l'alto funzionario con compiti di giudice in vece del re o dell'imperatore. I Comites sacri palatii svolgevano le medesime funzioni alle corti dell'imperatore romano-germanico. Il C. palatino era in Germania uno dei sette grandi principi elettori dell'imperatore, dei quali assunsero particolare peso politico i c. di Sassonia, Baviera, Lorena e Svevia.

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Foix, Gastone di.

Gastone di Foix.

Nome di alcuni conti di Foix e visconti di Béarn. Il più importante fu Gastone III, detto Febo, che si distinse nella guerra tra Francia e Inghilterra. Nel corso del conflitto, preoccupato di difendere il proprio Stato, passò da un campo all'altro, sempre in lotta con il conte d'Armagnac che fece prigioniero nel 1362. Dal 1377 al 1380 fu governatore della Linguadoca. Alla morte lasciò tutti i suoi possedimenti alla corona di Francia. Autore di alcune Orazioni e di un pregevole trattato sulla caccia, accolse nella fastosa corte di Orthez letterati ed artisti (1331-1391).

Béarn.

Regione storica della Francia sud-occidentale, che costituisce per due terzi il dipartimento dei Pyrénées-Atlantiques. È limitata a Sud dai Pirenei e a Ovest dai Paesi Baschi francesi. - Geogr. - Presenta due aree fisiche differenti. La parte meridionale, costituita dai Pirenei, è montuosa e caratterizzata da clima rigido; quella centrale e settentrionale, collinosa, ha clima mite. - Econ. - L'economia si basa prevalentemente sull'agricoltura, praticata lungo i fondovalle, dove si alternano il frumento, il granoturco, i foraggi, la vite. Sviluppato è l'allevamento (bovino, delle oche e, nelle zone più elevate, ovino). Risorsa fondamentale è lo sfruttamento dei depositi di gas naturale presso Lacq. Fiorente il turismo. - St. - Conquistato da Crasso nel 56 a.C., il B. venne compreso nella regione dell'Aquitania romana; fu devastato in seguito dai Vandali, dai Visigoti e dai Saraceni. Fin dal X sec. si costituì in Viscontea ereditaria sotto la famiglia de Gabarret. Nel 1290 venne unito alla Contea di Foix; fu questo un periodo di splendore durante il quale venne riorganizzata l'amministrazione e furono convocati per la prima volta gli Stati del B. Nel 1482, gli Stati designarono come marito di Caterina, unica erede dei domini del B., della Navarra e della Contea di Foix, Giovanni d'Albert, alla cui famiglia passò il titolo. Nel 1620 Luigi XIII unì il B. alla corona, concedendogli un Parlamento con sede a Pau. Il B. conservò tuttavia, fino alla Rivoluzione francese, la qualità e i diritti di uno Stato.

Molière.

Pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin. Commediografo e attore francese. Nato in una famiglia della piccola borghesia, entrò nel Collegio di Clermont, retto dai Gesuiti, dove compì studi di retorica e di latino. Attratto dal teatro, si legò alla famiglia Béjart (composta dagli attori ambulanti Madeleine, Geneviève e Joseph) e fondò la compagnia comica "L'Illustre Théâtre", assumendo il nome d'arte di Molière. Dopo i primi insuccessi parigini, M. decise di continuare la sua attività in provincia: dal 1645 peregrinò per le città del Sud della Francia e a Lione entrò in contatto con le compagnie italiane della commedia dell'arte. Rappresentò con successo Lo sventato, adattamento in 5 atti in versi dell'Inavvertito di N. Barbieri e Il dispetto amoroso, ispirato all'Interesse di N. Secchi. Questi anni furono importanti per la sua formazione; poco portato alla recitazione, ebbe maggiore fortuna come autore. Tornato a Parigi nel 1658, ottenuta la protezione del duca d'Orléans, si insediò nella sala del Petit-Bourbon e poi, nel 1662, per concessione del re, nella sala Richelieu, che da allora si chiamò sala del Palais-Royal. Nel 1658 recitò Nicomède di Corneille alla presenza del sovrano; si salvò dall'insuccesso aggiungendo al programma un suo divertissement in un atto, Il dottore amoroso. Trionfarono nel 1659 Le preziose ridicole, commedia in un unico atto che ironizza sugli eccessi del preziosismo. Seguirono Sganarello o il cornuto immaginario (1660) e la commedia eroica Don Garcia di Navarra o il principe geloso (1661). Dopo La scuola dei mariti (1661) e Gli importuni (1661), M. trionfò con La scuola delle mogli (1662), commedia satirica che prende di mira l'educazione tradizionale delle giovani e che, nonostante l'intelligente protezione di Luigi XIV, suscitò violente polemiche alle quali M. replicò con La critica della scuola delle mogli e con L'improvvisazione di Versailles, entrambi del 1663. Il primo è un atto unico che rappresenta la discussione sulla commedia oggetto di critiche. Nel secondo M., ricorrendo all'espediente del teatro nel teatro, mette in scena la sua compagnia durante una prova, affidandole l'esposizione della sua teoria riguardo all'arte drammatica e al ruolo dell'attore: abolizione dell'enfasi dalla recitazione ma spontaneità e verità con l'obiettivo di divertire. Per le feste regali del 1664 compose due commedie-balletto, ovvero Il matrimonio per forza e La principessa di Elide con musiche di G.B. Lulli. Nello stesso anno M. rappresentò la commedia Tartufo, satira pungente dell'ipocrisia imperante che, a causa delle violente reazioni di disappunto che suscitò, non poté più essere messa in scena fino al 1669, quando apparve modificata rispetto all'originale. Dopo il Don Giovanni o il convito di pietra (1665), fece rappresentare una nuova commedia di carattere, Il misantropo (1666), in cui la memorabile figura di Alceste, isolato dal mondo a causa della propria intransigenza morale, si colloca al limite del tragico in quanto è consapevole del suo modo di essere. Tra le altre opere di M., tutte cariche di quella acuta ironia che l'autore seppe applicare agli avvenimenti e ai protagonisti della quotidianità elevandoli al rango di eventi e personaggi-tipo, ricordiamo: Il medico per forza (1666), Anfitrione (1667), Georges Dandin e L'Avaro (1668) che riprende il tema dell'Aulularia plautina, Il borghese gentiluomo (1670), bonaria presa in giro delle manie nobiliari di un borghese arricchito, Le furberie di Scapino (1671), ricca di divertenti trovate, infine Le donne saccenti (1672). Morì sulla scena mentre rappresentava Il malato immaginario (1673), incentrato sulla figura dell'ipocondriaco Argan (Parigi 1622-1673).

Pseudònimo.

Di opera pubblicata o nota sotto un nome diverso da quello del suo vero autore. ║ Falso nome, in particolare quello con cui uno scrittore firma le sue opere o i suoi scritti. • Dir. - Lo p., quando abbia assunto la stessa importanza del nome, è tutelato allo stesso modo di questo, cioè mediante azione giudiziaria in caso di usurpazione o di contestazione da parte di altri.

Sinonimi

commediografo

(s.m.), autore, drammaturgo.

Attore.

Chi agisce di fronte al pubblico, sostenendo una parte in uno spettacolo, in teatro, al cinema, in televisione, alla radio. ║ Fig. - Chi prende parte attiva a una vicenda della vita reale. • Dir. - Colui che prende l'iniziativa del processo, in contrapposizione al convenuto. • Teat. - Tra le genti primitive, l'a. interpretava prevalentemente anche un ruolo magico e religioso, spesso di punto di contatto tra la comunità e la divinità. In questo ambito nacque anche la maschera, e più in generale il travestimento. Nell'antica Grecia, l'azione drammatica era affidata al coro che cantava le gesta della divinità, rendendovi omaggio. Si ritiene che sia stato Tespi d'Icaria a staccare per primo dal coro un a. protagonista; a Eschilo si deve l'introduzione di un secondo a. e a Sofocle di un terzo. Il numero di tre rimase costante per molto tempo e gli a. spesso recitavano più di una parte all'interno della stessa rappresentazione. La donna era rigorosamente esclusa, e lo rimase per moltissimo tempo, tanto che gli a. maschi interpretavano normalmente anche le parti femminili. Mentre in Grecia l'a. godeva di ampia stima e veniva pagato dallo Stato, nell'antica Roma esso era trattato con un certo disprezzo e non era certamente un cittadino romano, bensì schiavo o liberto. La Chiesa inizialmente condannò la professione di a., rivalutandola, o quanto meno tollerandola, quando, in epoca medievale, la rappresentazione teatrale assunse un carattere religioso. Quando, in seguito, la rappresentazione teatrale a carattere religioso ebbe fine, l'a. diventò un interprete profano, un professionista che veniva pagato per le sue prestazioni. Le prime compagnie di a. professionisti si costituirono in Italia verso la metà del Cinquecento, conservando un carattere familiare, poiché tale professione veniva generalmente tramandata di padre in figlio. L'a. però occupò sempre, rispetto alla società, una posizione di inferiorità, poiché veniva relegato al rango di pubblico peccatore. Anche la Chiesa continuò a essere severissima nei suoi confronti, considerandolo alla stregua di concubini, usurai, maghi e stregoni. In Inghilterra, per circa vent'anni (1640-1660), fu vietata ogni attività teatrale, in quanto fomentatrice di cattivi costumi. Soltanto dopo la Rivoluzione francese, l'a. poté godere diritto di piena cittadinanza e uguaglianza di diritti civili. Anche l'Inghilterra seguì quest'esempio, pur mantenendo nei suoi confronti un atteggiamento di diffidenza. A questa emancipazione dell'a. segue quella della donna, che viene ammessa sulle scene. Oggi l'a. appartiene a una categoria ben precisa e organizzata e gode di una grande considerazione. L'a. professionista proviene generalmente dalle Accademie d'arte drammatica, aventi indirizzi e metodi di recitazione a volte molto diversi l'uno dall'altro. I due indirizzi più famosi sono quelli delle scuole di Stanislavskij e di Brecht. ║ A. cinematografico: in principio non aveva alcuna distinzione da quello teatrale. Soltanto in seguito si è richiesto all'a. di cinema un tipo di recitazione particolare, specifica del mezzo cui era destinato, in base a determinate qualità, come per esempio la fotogenia e l'espressività. L'a. cinematografico è più controllato, poiché ogni suo gesto deve essere subordinato ai mezzi meccanici di ripresa, all'inquadratura, alle luci, ecc. Deve avere inoltre doti di maggiore improvvisazione e nello stesso tempo saper riprendere al punto giusto le espressioni mimiche interrotte in una determinata scena, dato che il film viene ripreso secondo un piano prestabilito che non ha un ordine di scene normale. Infatti si usa in genere girare insieme le scene riprese in esterni, le quali possono essere al principio o alla fine del film, ovvero disseminate in esso, in modo da utilizzare con maggiore risparmio il tempo; lo stesso avviene per quelle ambientate in interni, cioè nelle ricostruzioni fatte nei teatri di posa. Più o meno analoghe sono le prestazioni dell'a. televisivo che in genere proviene dal teatro. ║ A. radiofonico: deve possedere delle qualità particolari richieste dal mezzo esclusivamente uditivo: l'assenza della visione scenica richiede una recitazione esclusivamente basata su una dizione molto accurata. L'invisibilità della voce radiofonica deve suggerire i significati, gli atteggiamenti che si suppone avrebbe nell'esecuzione scenica. Le inflessioni della recitazione possono dare del personaggio la psicologia, gli stati d'animo, una realtà umana, una presenza viva tale che l'integrazione fantastica dell'ascoltatore diventi perfetta. ║ A. giovane: ruolo del teatro drammatico italiano la cui denominazione risale all'800 e che richiedeva particolari doti di finezza, eleganza nei modi e nel portamento.

Borghesìa.

Classe sociale, espressione economica e politica del sistema capitalistico. All'interno di tale classe sussiste una stratificazione piuttosto complessa di tipo piramidale. Alla sommità si trovano infatti coloro che detengono la proprietà dei mezzi di produzione e alla base la massa dei piccoli commercianti e impiegati di grado inferiore. A grandi linee si tende a distinguere un'alta b., e una piccola b. La storiografia moderna indica spesso come b. anche le classi medie dell'antichità greca e romana e la classe dei cavalieri dell'età medioevale. È però solo con la nascita e l'ascesa del capitalismo che si è venuta formando la classe propriamente borghese, anche se il termine burgenses, per designare gli abitanti del borgo, in contrapposizione a quelli del contado, cominciò a essere usato in Fiandra già nella seconda metà dell'XI sec. Infatti le classi, nel senso moderno del termine, sono venute costituendosi in seguito a quel complesso di fenomeni che generalmente vanno sotto il nome di "rivoluzione industriale". Si venne così distinguendo una classe dei latifondisti, sorta dalla trasformazione del vecchio ordinamento feudale; una classe borghese, composta dai commercianti e dai maestri artigiani divenuti capitalisti; una classe proletaria, formata da quei piccoli proprietari contadini che erano stati costretti a lasciare la terra e a trasferirsi in città in seguito alla formazione di latifondi, dagli ex artigiani divenuti subalterni e dai garzoni operai, che costituirono il primo esercito dei salariati delle manifatture. È a partire dal XIII sec., che si cominciò lentamente a demolire la struttura delle istituzioni feudali e a sviluppare le linee fondamentali di quella che sarebbe poi divenuta la struttura economica capitalistica. Tale struttura è già chiaramente individuabile alla fine del XV sec. nella presenza di grosse imprese commerciali, nella speculazione sui titoli, nell'alta finanza, ecc. Si ebbe così l'ascesa della b. commerciale, finanziaria e industriale che avrebbe modificato radicalmente la struttura della società europea. Nella propria ascesa, il capitalismo si trovò tuttavia costretto a dover operare entro la vecchia intelaiatura sociale ancora dominata dalle classi feudali, così che la b. in ascesa, nonostante la costruzione dei grandi Stati nazionali, fu costretta a rimanere ancora per alcuni secoli sottomessa alle vecchie gerarchie feudali. Ne risultò una struttura politica non corrispondente a quella sociale ed economica. Essa tendeva infatti soprattutto a sfruttare la classe borghese, mentre la classe dei proprietari terrieri aristocratici rimaneva il cardine del sistema sociale e politico. Tuttavia, in tutti i Paesi europei, i governi, per quanto di struttura non borghese, appoggiavano e proteggevano gli interessi della classe imprenditoriale. Si dovette attendere fino alla rivoluzione francese per assistere al trionfo dapprima in Francia e poi in tutta Europa della b. La società francese prerivoluzionaria, assai più di quella inglese, era un tessuto di privilegi che rendeva particolarmente evidenti e irritanti le divisioni di classe. Il clero possedeva ancora circa un quinto di tutto il territorio francese, godendo di un'enorme rendita e di privilegi di ogni genere. La nobiltà godeva di privilegi analoghi e poiché l'agricoltura francese non offriva le possibilità di sviluppo capitalistico, di cui godeva invece quella inglese, le rendite feudali della nobiltà costituivano un'emorragia di capitale che non offriva nessuna contropartita economica o politica. Perciò, tanto il clero quanto la nobiltà apparivano alla b. classi parassitarie, protette da privilegi sociali e da esenzioni fiscali di ogni genere. A differenza di quella inglese che non aveva mancato di investire capitali nell'agricoltura, la classe media francese era una tipica b. urbana. Essa possedeva quasi tutto il capitale liquido e costituiva il principale creditore della corona che versava in disperate condizioni finanziarie. Le spese di governo aumentavano continuamente e quelle belliche non potevano essere sostenute con le fonti abituali di reddito, e ciò finì col rendere la situazione insostenibile. Uno dei risultati socialmente più importanti della Rivoluzione francese fu la creazione in Francia di oltre cinque milioni di contadini-proprietari, politicamente inerti, che identificavano i loro interessi con quelli della b. In opposizione a queste due classi, si sviluppò, per la prima volta in Europa, un movimento operaio proletario che avrebbe poi fatto propria la dottrina marxista della lotta di classe. In Inghilterra, invece, la frattura tra le classi sociali ed economiche non coincise mai perfettamente con le divisioni dei partiti politici e, anche nella sua fase iniziale, il liberalismo inglese, per quanto le sue dottrine economiche rappresentassero chiaramente gli interessi della b. industriale, fu sempre, almeno nelle intenzioni, la dottrina del "bene comune", riferita all'intera società. Questa caratteristica si accentuò negli stadi successivi di sviluppo quando vi fu uno sforzo considerevole per trasformare l'ideologia degli interessi borghesi in una filosofia il cui ideale era la protezione e la conservazione di tutte le classi, compresa quella lavoratrice. Ma a cominciare dal decennio 1880-90 sia in Inghilterra che negli altri Paesi europei, il liberalismo politico andò rapidamente perdendo la sua presa sugli elettori, mentre cominciarono ad affermarsi le forze ostili al laissez-faire borghese. Questo periodo vide infatti, in quasi tutti i Paesi europei, lo sviluppo e l'ascesa di gruppi e partiti radicali borghesi e soprattutto dei partiti marxisti. Secondo Marx, caratteristica di ogni società non costituita su basi di uguaglianza economica è la divisione in classi che si contendono il predominio sui mezzi e sulle risorse economiche. Il trionfo della b. ha profondamente rivoluzionato la politica, l'economia e la società, ma ha anche semplificato ed esasperato la lotta di classe, così che nel seno del sistema borghese capitalistico viene a determinarsi dialetticamente la situazione di antitesi che porterà al suo crollo e al suo superamento: si manifestano contraddizioni, crisi e squilibri tali che l'ordinamento esistente finirà col non essere più in grado di assicurare esistenza e convenienza ai membri della società. Ciò in quanto è venuta sviluppandosi una nuova classe sociale, il proletariato, in condizione di oppressione e di sfruttamento. La situazione, in dialettico sviluppo, viene posta così di fronte all'alternativa di precipitare nel caos o di provocare, attraverso una rivoluzione sociale, l'avvento di un nuovo ordinamento a base collettiva, che attui la società senza classi e senza oppressione economica. A condurre questa rivoluzione è il proletariato, in quanto impegnato contemporaneamente nell'attuazione della propria emancipazione sociale, politica e umana e nella liberazione dell'intera società per sottrarla al circolo vizioso degli antagonismi di classe. Secondo Marx, la democrazia borghese viene quindi a porsi in contraddizione con se stessa, dato che le classi la cui subordinazione sociale essa deve perpetuare, ossia proletariato, contadini, piccoli borghesi, sono messe nella condizione, mediante il suffragio universale, di usufruire di una certa forza politica, così da costringere il dominio politico della b. entro condizioni democratiche che facilitano la vittoria delle classi subalterne e mettono in discussione le basi stesse della società borghese. Tra gli studiosi che, sulla scia di Marx, hanno approfondito il problema della contrapposizione di classe tra b. e proletariato figura G. Lukàs, secondo cui b. e proletariato sono le uniche classi pure della società borghese, dato che solo esse poggiano esclusivamente "sullo sviluppo del moderno processo di produzione e solo a partire dalle loro condizioni di esistenza è in generale pensabile un piano per l'organizzazione dell'intera società". Al contrario, il comportamento delle altre classi (piccolo-borghesi, contadini) è oscillante e infecondo per lo sviluppo, infatti tali classi non cercano in genere di promuovere lo sviluppo capitalistico in modo da spingerlo oltre se stesso, ma di farlo retrocedere o almeno di impedire che esso si dispieghi in tutta la sua pienezza.

Gesuita.

Termine con cui vengono designati gli appartenenti alla Compagnia di Gesù. Il fine della Compagnia, fondata da Sant'Ignazio di Loyola, è duplice: cercare la propria salvezza attraverso la ricerca della salvezza del prossimo. Le basi per la fondazione della compagnia vennero gettate nel 1534 quando Sant'Ignazio, assieme ad altri sei compagni, pronunciò il voto di castità e di povertà. L'Ordine venne approvato ufficialmente da Paolo III nel 1540 e nel 1541 Ignazio ne venne eletto Procuratore Generale. Le prime attività dei g. consistettero in opere di carità, esercizi spirituali e di catechismo. Rappresentanti dell'Ordine, presero in seguito parte al Concilio di Trento. Successivamente Sant'Ignazio pose mano alla fondazione delle prime missioni stabili. Nel 1547 venne fondato il Collegio di Messina, nel 1551 quello di Roma e nel 1552 il Collegio Germanico. Nel 1556, al momento della morte di Sant'Ignazio, la Compagnia si era gradatamente sviluppata sino a contare più di mille membri, dei quali molti operavano nelle più lontane regioni del mondo. Dal 1558 al 1565 fu Procuratore Generale dell'Ordine padre Diego Laìnez che continuò e sviluppò l'opera del suo predecessore. A lui succedette, dal 1565 al 1572 San Francesco Borgia e dal 1572 al 1580 la Compagnia venne retta dal padre Everardo Mercuriano. A lui succedette, dal 1581 al 1615, padre Claudio Acquaviva che portò ai massimi livelli la potenza e lo splendore dell'Ordine. Venne potenziata l'attività delle Missioni estere, furono incrementati gli studi sacri e i centri di ricerca teologica. Si distinsero in questo periodo pensatori come i padri Toledo, Suàrez, Molina e Roberto Bellarmino. Nei secoli immediatamente successivi la potenza dei g. crebbe ulteriormente fino ad esercitare un'influenza determinante sulle case regnanti della maggior parte dei Paesi cattolici. Particolare attenzione venne posta nelle attività pedagogiche. Migliaia di giovani si formarono nelle scuole rette dai g., che influenzarono in questo modo la crescita delle classi dirigenti di tutti i Paesi nei quali erano presenti in maniera organizzata. L'opposizione delle Chiese nazionali e della Chiesa gallicana sviluppò successivamente il processo che, in un lungo periodo di tempo, avrebbe portato al crollo della potenza dell'Ordine. Nel 1759 il Portogallo espelleva i g. dal regno. La Francia imitava il Portogallo nel 1764 mentre la Spagna espelleva la Compagnia dal proprio territorio nel 1767. La Compagnia venne quindi soppressa da Clemente XIV nel 1773 con il breve Dominus ac Redemptor. L'unico paese cattolico in cui i g. poterono continuare ad esistere fu la Russia. Nel 1814 la bolla Sollicitudo Omnium Ecclesiarum ristabiliva l'esistenza dei g. malgrado le forti opposizioni che si sollevarono nei confronti di questo provvedimento. In breve tempo le attività dell'Ordine si svilupparono nuovamente. Si allargarono ancora le Congregazioni Mariane mentre gli studi teologici ripresero nuovo vigore in primo luogo attraverso l'opera di studiosi quali i padri Sordi e Taparelli. Gli intellettuali appartenenti all'Ordine si distinsero anche negli studi storici e nel movimento di rinascita del tomismo. La Compagnia si mosse attivamente anche nelle attività di difesa della Chiesa mediante una serie di attività di tipo nuovo, quali la fondazione di centri-studio e di riviste. Prima di queste riviste fu "La Civiltà Cattolica", fondata a Napoli nel 1750. Particolare impulso ebbe altresì l'attività missionaria che oggi conta più di settemila missionari attivi in ogni parte del mondo. Il complesso dell'ordine, conta più di 35.000 religiosi. La Compagnia è formata da tre ordini di religiosi: i Professi che, oltre ai voti di povertà, castità ed ubbidienza, hanno prestato un altro voto speciale di fedeltà ed ubbidienza al papa. Vengono poi i Coadiutori Speciali che hanno prestato i tre voti consueti e i Coadiutori Temporali Formati. La formazione dei sacerdoti avviene attraverso due anni di noviziato, tre anni di studi filosofici, quattro anni di studi teologici ed un terzo anno di noviziato al termine del periodo di studio. Il Generale dell'Ordine viene eletto dalla Congregazione dei padri provinciali che eleggono anche i suoi assistenti. La massima autorità della Compagnia risiede comunque nella Congregazione generale, i cui componenti vengono scelti dal Preposito Generale.

Preziosismo.

Atteggiamento, ricerca di un'eleganza affettata e preziosa, opposta a spontaneità e naturalezza. • Lett. - Il complesso di elementi retorico-stilistici di ricercatezza, esempi di virtuosismo e manierismo: prosa ricca di p. ║ Con accezione più specifica, fenomeno letterario, culturale e di costume sviluppatosi in Francia durante la seconda metà del XVII sec., come forma tipica di ciò che è definito, per il resto d'Europa, come Secentismo. La préciosité fu, nell'ambiente parigino, il corrispettivo delle agudezas di Góngora o dei concetti di Marino. Il P. nacque nei salons parigini, il più celebre dei quali fu l'Hotel de Rambouillet, animato da M.me de Rambouillet, in cui prese forma una littérature de divertissement (ripresa con successo dal salotto di M.me de Scudéry), praticata dagli artisti alla moda come un gioco di società e di cui la Ghirlanda di Giulia (raccolta di composizioni poetiche dedicata alla figlia della Rambouillet) è uno dei frutti tipici. Il P. si proponeva di raggiungere traguardi di grande raffinatezza, attraverso la ricerca di ciò che era piccolo, inusuale, sorprendente. Le perifrasi, le metafore erano utilizzate per aggirare parole o espressioni considerate sconvenienti o anche solo poco eleganti; all'elevazione del linguaggio, tuttavia, doveva corrispondere quella dello spirito, il distacco da tutto ciò che fosse provinciale, borghese, rozzo. L'aspirazione a ideali e valori nobili si concretava, soprattutto, nella valorizzazione della donna e dello spirito femminile, tanto che il p., per certi versi, è stato considerato anche una sorta di movimento prefemminista. Tuttavia le dame précieuses divennero presto oggetto di satira (Le preziose ridicole di Molière). Tra il 1660 e il 1661, A. Baudeau de Somaize pubblicò il Grande Dizionario dei preziosismi, che riportava il lessico e le espressioni più diffuse e caratteristiche dei salotti letterari. Intorno al 1680, tutta l'influenza e il favore di cui aveva goduto questo fatto di costume poterono considerarsi esauriti.

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