(dal greco
dynamis: forza). Fis. - Scienza
che si occupa dello studio del moto dei corpi, ponendolo in relazione con le
circostanze fisiche in cui si svolge. Dato che queste circostanze sono
riducibili essenzialmente a forze o vincoli (i quali a loro volta esplicano la
loro azione tramite forze), il nome dato a questa scienza è appropriato.
In questa concezione la
d. si inquadra nella
meccanica (o
meccanica razionale) come la sua branca più completa. La
meccanica, intesa come descrizione matematica dei fenomeni naturali, si
può dividere infatti in tre branche: la
cinematica, la
statica e la
d. La
cinematica o
geometria del
movimento utilizza i concetti propri della geometria, ai quali associa il
concetto di tempo: ne deriva la possibilità di descrivere completamente
il moto di un punto materiale o di un corpo materiale, purché
assimilabile a un punto geometrico (cioè avente dimensioni nulle). La
statica si interessa dell'equilibrio dei corpi: accanto ai concetti della
geometria introduce quello di forza; da questo nasce la possibilità di
stabilire delle leggi che regolano l'esistenza di un equilibrio fra i corpi. Dai
suoi teoremi derivano tutti i calcoli che sono alla base delle costruzioni
statiche (cioè senza organi importanti in movimento come case, ponti,
strade). La
d. associa ai concetti geometrici sia il concetto di tempo
sia quello di forza: perciò si ha la possibilità di descrivere
completamente il comportamento (sia in moto che in quiete) di un qualsiasi corpo
materiale, senza doverlo schematizzare come puntiforme ma considerandolo con le
sue effettive dimensioni geometriche e la sua massa. La
d. è alla
base di tutti i fenomeni naturali (dalla caduta dei gravi alle correnti marine,
al moto dei corpi celesti e delle particelle subatomiche) e della maggior parte
delle costruzioni umane, dalla ruota all'astronave. Da un punto di vista
didattico è abitudine distinguere la
d. in due parti fondamentali:
la
d. fisica, che è l'insieme delle leggi e dei principi della
d., e il
calcolo del moto, che è l'applicazione di queste
leggi e principi alla descrizione matematica del movimento dei corpi. Spesso si
operano poi altre distinzioni, sempre a scopo didattico; si ha così la
d. del punto materiale, che studia il moto dei punti dotati di una massa
propria, la
d. dei corpi rigidi, che studia il moto dei corpi non
deformabili (ad esempio un proiettile di cannone), la
d. dei sistemi di
corpi rigidi, la
d. dei continui deformabili che studia il moto di corpi
deformabili (liquidi, gas, fumi, aste flessibili), la
d. impulsiva, che
studia le condizioni di moto bruscamente variabili (ad esempio quelle del
proiettile di un cannone all'atto dello sparo) e la
d. relativa che si
occupa della descrizione del moto dei corpi in funzione dell'osservatore del
moto stesso. In seguito, dopo un breve cenno storico, saranno enunciati i
principi fondamentali della
d. relativa; si passerà quindi alla
specializzazione di questi per alcuni casi comuni. ║
Cenni storici:
benché la
d. sia forse, fra le diverse discipline scientifiche,
quella che più intimamente è connessa a tutte le manifestazioni
della natura, il suo sviluppo è relativamente recente. Mentre nel IV sec.
a.C. erano già posti, soprattutto per opera della scuola peripatetica di
Aristotele (384-322 a.C.), i principi della statica poi ripresi dagli studi di
Archimede (288-212 a.C.), che li estese anche ai continui deformabili (liquidi),
e da Erone (150-100 a.C.), che li usò ampiamente nella costruzione delle
sue macchine, i primi studi di
d. si ebbero solo nel tardo Medioevo. Lo
stesso Aristotele si era occupato anche di
d., nei suoi trattati
Del
cielo e
Fisica; tuttavia, le spiegazioni introdotte per i fenomeni
relativi al moto erano talmente imbevute di metafisica da rivelarsi poco
rispondenti alla realtà e ingannevoli per coloro che tentarono di
svilupparle. È possibile comunque trovare la ragione di questo nel fatto
che in quei secoli i problemi erano di natura tale da essere agevolmente risolti
sul piano della sola statica: i meccanismi tipici consistevano in leve, argani,
carrucole per i quali una soluzione puramente statica era soddisfacente, almeno
in prima approssimazione. D'altra parte i problemi di
d., oltre a essere
più rari e meno impellenti (come il lancio di oggetti con catapulte o il
lancio di frecce), presentavano anche una sperimentazione più difficile.
Il primo tentativo di dare una sistemazione più razionale alla
d.
si ebbe con l'enunciazione da parte di Buridano (1300-58) della
teoria
dell'impeto, che fu poi ripresa da Oresme ma si perse nel mare di
discussioni filosofiche e teologiche proprie di quei tempi. Solo con Leonardo da
Vinci (1452-1519) la
d., pur non ricevendo una sistemazione completa, fu
oggetto di seria sperimentazione e di geniali intuizioni. Con Galileo Galilei
(1564-1642) si può dire abbia inizio lo studio moderno della
d.
Egli, prendendo lo spunto dal problema balistico, che molti prima di lui si
erano posti inutilmente, di determinare la gittata dei cannoni, arrivò
alla formulazione di importantissimi concetti; nei suoi
Discorsi e
dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze si trovano la nozione
precisa di accelerazione, la nozione del moto inerziale e la legge d'inerzia
formulata come caso limite, le leggi della caduta dei gravi nel vuoto e della
costanza delle oscillazioni del pendolo semplice e il principio della
composizione dei movimenti. Il grande merito di Galileo consiste però
nell'aver introdotto nella meccanica e in particolare nella
d. la tecnica
delle sperimentazioni avvedute, cioè il cosiddetto
metodo
sperimentale, poi universalmente adottato dalla scienza moderna. La scuola
fondata dal Galilei fu una preziosa fonte di scoperte nel campo della meccanica.
Non deve però essere dimenticato un grande suo contemporaneo, Cartesio
(1596-1650), solitamente ricordato solo come fondatore della geometria analitica
e come filosofo. Partendo dalla sua concezione meccanicistica secondo la quale
tutto il mondo è spiegabile sulla base dei tre concetti di estensione,
figura e movimento, egli giunse indipendentemente da Galilei alla formulazione
del principio d'inerzia e indusse anche il principio della conservazione della
quantità di moto in un sistema isolato. Anche la scuola dei cartesiani
contribuì notevolmente al progresso della
d. Il concetto di forza
centrifuga, essenziale alla comprensione dei moti non lineari, fu introdotta poi
da C. Huygens (1629-95). Il grande balzo in avanti si ebbe però con Isaac
Newton, il vero padre di questa scienza. A lui si deve la sua sistemazione
razionale in una forma ancor oggi valida, sia pure con le correzioni che in
alcuni casi si devono apportare quando si trattano problemi connessi con
velocità paragonabili a quelle della luce, che cadono nel dominio della
teoria della relatività, la grande scoperta del nostro secolo. Lo
sviluppo della
d. che si ebbe a partire da Newton è dovuto in
grande misura anche all'affinamento dei mezzi matematici disponibili: è
di questa epoca la nascita dell'analisi infinitesimale, opera indipendente dello
stesso Newton e di G.W. Leibniz (1646-1716), che costituisce un potente mezzo di
indagine e descrizione matematica dei fenomeni naturali. In effetti il
successivo lavoro, compiuto nel XVIII sec. da eminenti figure quali i fratelli
Bernoulli, Eulero, d'Alembert e Clairaut, consiste in una sistemazione
matematica del complesso di nozioni precedentemente acquisite piuttosto che in
una sperimentazione. Questo lavoro culmina col famoso trattato
Mécanique Analytique scritto nel 1788 da G. Lagrange (1736-1813),
considerato ancor oggi il testo base della meccanica classica. La fine del XVIII
sec. e la prima metà del XIX sec. furono molto fruttuose per la
d.; citiamo solo alcuni nomi come Poisson, Gauss, Poinsot, Cauchy,
Coriolis, Jacobi, Hamilton, Hertz, Kirchhoff e Maxwell, il fondatore della
meccanica statistica. A partire dal 1850 circa iniziò un profondo lavoro
di autocritica da parte dei cultori della meccanica, alla ricerca di una base
generale su cui poggiare questa disciplina. Questo lavoro, iniziato da Mach e
proseguito da Poincaré, trova in Albert Einstein (1879-1955) la punta
più elevata, con la formulazione delle teorie della relatività
(ristretta e generale) con la quale la
d. classica subisce una revisione
che la rende adatta a descrivere con maggior precisione sia l'infinitamente
piccolo (moto delle particelle atomiche e subatomiche) sia l'infinitamente
grande (cioè l'universo). Parallelamente a questo vi fu un altro
imponente lavoro, dovuto a Joukowski, Prandt e von Karman per citare solo i
maggiori, sull'applicazione della meccanica ai fluidi (liquidi e gas). Oggi la
meccanica si può considerare una scienza ancora in evoluzione attraverso
tre principali filoni: la sistemazione razionale e più sintetica delle
leggi già note, mediante l'impiego di geometrie non euclidee e di
calcolatori elettronici, la ricerca di una precisa sistemazione meccanica dei
fenomeni rilevati dalla fisica delle particelle e la ricerca di una teoria
unitaria di base che permetta la comprensione più completa di alcuni di
essi, quale ad esempio l'attrazione gravitazionale. Parallelamente proseguono
gli studi sui materiali (comportamento di fluidi in condizioni supersoniche,
fluidi non newtoniani, elasticità non lineare, ecc.) per giungere a un
loro migliore sfruttamento. È impossibile dare un elenco delle
applicazioni della
d.: tutto quanto oggi viene costruito dall'uomo, da un
motorino elettrico a un missile intercontinentale, è frutto di uno studio
più o meno lungo basato sulle leggi della
d. ║
Principi
fondamentali della meccanica classica o
meccanica newtoniana: nella
presente esposizione si farà necessariamente ricorso al calcolo
vettoriale e alle sue notazioni (V. VETTORE),
essendo questa la forma matematicamente più compatta con cui si possono
esprimere le leggi della
d. Val la pena di richiamare brevemente queste
notazioni. I vettori saranno indicati in grassetto (
V); il modulo di un
vettore sarà indicato in corsivo (
V). La derivata prima di una
grandezza rispetto al tempo sarà indicata, oltre che nel modo solito,
anche con un punto sopra il suo simbolo: ad esempio si scriverà
indifferentemente

.
La derivata seconda rispetto al tempo sarà indicata
anche con due punti sopra il simbolo, ad esempio

.
Per il resto si useranno le notazioni abituali della
matematica e della fisica. Vediamo ora le leggi fondamentali della
d.,
iniziando dal principio di relatività galileiano.
A) Principio di
relatività di Galileo: "le leggi della meccanica desunte
sperimentalmente da un osservatore 0 sono valide anche per un osservatore 0' che
si muova rispetto a 0 di moto rettilineo uniforme". Se si assume quindi come
sistema di riferimento una terna di assi cartesiani
x, y e
z per
l'osservatore 0 e una terna
x', y' e
z' per l'osservatore 0',
avendo cura di scegliere l'asse
x in modo che esso sia parallelo alla
velocità
V di 0' rispetto a 0 (cosa possibile dato che gli
orientamenti delle terne di assi sono arbitrari), fra le sue due terne
intercorrono le seguenti relazioni:
(1)
x' =
x - Vty' =
yz' =
zt' =
t avendo indicato con
t il
tempo che trascorre rispetto all'osservatore 0 e
t' il tempo che
trascorre rispetto a 0' e supponendo che per
t = t' = 0 le due terne
coincidano. La trasformazione (1) ora vista è detta
trasformazione di
Galileo. Il principio di relatività galileiano può esprimersi
più sinteticamente nel seguente modo: "le leggi della meccanica devono
avere carattere invariantivo rispetto alla trasformazione di Galileo". Questa
formulazione è però perfettamente identica alla precedente.
B)
Prima legge di Newton o
legge di inerzia: occorre introdurre il
concetto di
osservatore assoluto, cioè di un osservatore che sia
solidale con la
terna assoluta di riferimento, terna di assi cartesiani
rigidamente collegata con le stelle fisse oppure traslante rispetto ad esse con
un moto rettilineo uniforme. L'osservatore assoluto si avvarrà del
tempo assoluto, ovvero di un tempo proporzionale all'angolo di rotazione
della Terra rispetto alle stelle fisse, mediato su un anno. In pratica per la
maggior parte dei problemi si può considerare assoluto un osservatore
solidale con la Terra e che si avvalga naturalmente del tempo assoluto. La prima
legge, fatte queste premesse, si può enunciare così: "un punto
materiale, sottratto a ogni azione esterna, rispetto a un osservatore assoluto
sta fermo o si muove di moto rettilineo uniforme". Questa legge veniva da Newton
enunciata nel seguente modo: "corpus omne perseverare in statu suo quiescendi
vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur
statum illum mutare". Osserviamo a questo proposito che anche lo stato di un
corpo fermo può essere considerato un moto rettilineo uniforme, avente
velocità nulla. Questa legge fu già enunciata da Galileo, il quale
affermava che una nave, lanciata sul mare con una spinta iniziale, si muoverebbe
"incessabilmente e uniformemente" qualora "le fusser rimossi tutti gli ostacoli
accidentali ed esterni", cioè non vi fosse attrito con l'acqua e l'aria.
In questa formulazione la prima legge appare come un caso limite; in effetti non
è possibile da un punto di vista sperimentale sottrarre un qualsiasi
corpo a ogni forma di azioni esterne; esso sarà come minimo sottoposto
alle forze gravitazionali della Terra o almeno a quelle che permeano tutto
l'Universo. Si deve notare che, se si ammette l'evidenza della prima parte di
questa legge (cioè che un corpo fermo non entra in moto se non per una
causa esterna) la seconda parte è derivabile dal già visto
principio di relatività. Infatti se un corpo è in moto rettilineo
rispetto a un osservatore assoluto 0 con velocità
V0,
sarà fermo rispetto a un altro particolare osservatore (che potrà
pure essere considerato assoluto per quanto prima detto) che si muove rispetto a
0 con una velocità costante
V = V0.
C) Seconda legge
di Newton o
legge fondamentale della d.: l'accelerazione di un punto
materiale è proporzionale alla forza su di esso agente, secondo un
coefficiente di proporzionalità, detto massa, che è una costante
del punto materiale considerato. Se dunque a un corpo inizialmente in quiete o
in moto rettilineo viene applicata una forza
F esso subirà
un'accelerazione
a legata a
F dalla
relazione:
(2)
F =
m·a Dal fatto che la
massa
m del corpo sia uno scalare si deduce che l'accelerazione coincide
sempre con la forza che la genera in direzione e verso, differendone in generale
per il modulo. Questa legge fu enunciata da Newton in questo modo: "mutationem
motus proportionalem esse vi motrici impressae, et fieri secundum lineam rectam
qua vis illa imprimitur". Tale legge era già stata formulata parzialmente
da Galileo, relativamente alla caduta dei gravi; al grande italiano va pure il
merito di avere evidenziato come una
vis impressa, cioè una forza
applicata, avesse effetto non sulla velocità ma solo sulla variazione
delle velocità nel tempo, cioè sulla accelerazione. Nella
formulazione di Newton questa legge era espressa nel seguente modo
analitico:

La
quantità vettoriale
mV, prodotto della massa di un corpo
per la sua velocità, si dice
quantità di moto del corpo.
Dalla relazione (3) tenendo conto che nella meccanica classica
m è
una costante e che la derivata della velocità rispetto al tempo è
per definizione l'accelerazione, si ricava immediatamente la (2). Osserviamo che
dalla seconda legge si può derivare la prima. Infatti basta dire che
F = 0 perché si ricavi, essendo
m ≠ 0 in quanto il
punto è supposto essere materiale (cioè dotato di massa non
nulla), che necessariamente
a = 0 ovvero che
V = costante. Ma
questa è proprio la condizione che definisce un moto rettilineo uniforme.
Sul significato del coefficiente di proporzionalità chiamato
massa
è doveroso fare una precisazione. Consideriamo due corpi materiali
(abbastanza piccoli da essere assimilabili a un punto, cioè a un punto
materiale) aventi masse
m1 e
m2 fra loro
diverse. Assoggettiamoli a due forze fra loro uguali
F: siano
a1 e
a2 rispettivamente le loro
accelerazioni. Per la relazione (2) deve
essere:
F =
m1·
a1F
=
m2·
a2Uguagliando
i secondi membri si deduce
che:
m1·
a1
=
m2·
a2vale
a dire che:

cioè a parità di massa
l'accelerazione di un corpo è inversamente proporzionale alla sua massa.
La massa di un corpo rappresenta quindi un suo
coefficiente di inerzia,
una sua resistenza alle variazioni di velocità.
D) Principio della
composizione delle forze motrici: si tratta di un principio sperimentale,
del tutto analogo a quello della statica secondo il quale l'azione contemporanea
di più forze su un corpo provoca lo stesso effetto di una forza pari alla
somma vettoriale di tutte quelli agenti, secondo il metodo del parallelogrammo;
d'altra parte è noto che ogni sistema di forze può essere ridotto
a una forza detta
risultante e a una coppia. Escludendo per
semplicità il caso in cui si genera anche la coppia, si consideri il caso
che su un corpo agiscano due forze
F1 e
F2;
sia
F la loro somma vettoriale. L'accelerazione che
F provoca sul
corpo, che diremo
a, sarà data dalla seguente espressione,
derivata dalla (2):

avendo indicato con
a1
e
a2 rispettivamente le accelerazioni che avrebbero provocato
F1 e
F2 se agenti separatamente. Si deduce
quindi da questo il
principio della sovrapposizione degli effetti:
l'azione contemporanea di più forze provoca un'accelerazione pari alla
somma delle accelerazioni che provocherebbe ognuna delle forze se agisse
separatamente. Naturalmente la somma deve essere vettoriale. Dato quindi un
sistema di forze, il problema della determinazione dell'accelerazione che esso
imprime a un corpo può essere semplificato se al posto di calcolare le
singole accelerazioni e poi sommarle si effettua la somma (sempre vettoriale)
delle forze e si calcola l'accelerazione provocata dalla risultante.
E) Terza
legge di Newton o
legge dell'azione e reazione: in condizioni di
quiete o di moto le azioni reciproche di due corpi materiali consistono in forze
uguali e opposte, cioè in forze aventi ugual modulo, ugual retta d'azione
e versi opposti. In una forma meno precisa ma più corrente si
potrà dire che
a ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria. Questa legge era da Newton enunciata nel modo seguente: "actioni
contrariam semper et aequalem esse reactionem: sive corporum duorum actiones in
se mutuo semper esse aequales et in partes contrarias dirigi". Questa legge si
trova espressa già chiaramente da Leonardo da Vinci e da Galileo. Va
notato che la sua caratteristica precipua è che le forze di cui tratta
sono dovute alla presenza di corpi, all'interazione fra corpi. Se
F
è la forza che un corpo A esercita su un corpo B, la forza che questo
esercita su A sarà necessariamente
F' tale che
F =
-F'; non si può dire però che le due forze
costituiscono un sistema nullo (cioè che
F + F' = 0)
perché le due forze non sono applicate allo stesso corpo, quindi non sono
sommabili, cioè non vale il principio della sovrapposizione degli
effetti. D'altra parte questo principio è intuitivo e quotidianamente
sperimentato da ognuno. Ad esempio se premiamo con una mano su un tavolo
esercitiamo su questo una forza verso il basso; il tavolo però esercita
sulla nostra mano una uguale forza verso l'alto. Se solleviamo un peso,
esercitiamo una forza verso l'alto su esso, ma questo esercita una forza verso
il basso su di noi. Le fondamenta di una casa esercitano una pressione verso il
basso sul terreno, ma questo esercita sulle fondamenta una uguale pressione
verso l'alto. Riprendiamo l'esempio prima citato dei due corpi: sia
mA la massa di A e
mB la massa di B: siano
poi
aA e
aB rispettivamente le accelerazioni
dei due corpi. Potremo scrivere per quanto detto:
F = - F'
cioè, in base alla
(2):
(6)
mA·aA
+ mB·aB = 0
Dal che si vede che se due corpi
interagiscono sono uguali le forze che si scambiano (sempre eccettuato il
segno); le rispettive accelerazioni, oltre a avere segno opposto, sono anche
diverse in modulo, essendo inversamente proporzionali alle rispettive masse,
come risultava già dalla relazione (4). Un esempio tipico dell'azione e
reazione è il rinculo di un fucile. Alla battuta del percussore si libera
l'energia chimica contenuta nella polvere da sparo, generando una spinta sul
proiettile. Una spinta uguale e contraria viene però esercitata anche sul
fondo della cartuccia, cioè sul fucile. Le due spinte sono uguali e di
segno opposto in base alla terza legge, ma le accelerazioni sono molto diverse,
data la differenza di massa fra il proiettile e il fucile. Un altro possibile
esempio è il motore di un aereo a reazione. Anche qui per effetto della
liberazione di energia chimica si ha espulsione di gas ad alta velocità
(cioè fortemente accelerati nell'ugello di scarico). Anche l'aereo
subisce un'accelerazione, naturalmente di segno opposto. Dato che la massa
dell'aereo è molto più grande di quella dei gas espulsi,
l'accelerazione che l'aereo subisce è molto minore di quella dei gas. A
parità di massa di gas l'accelerazione che l'aereo subisce è
però proporzionale all'accelerazione dei gas di scarico: si capisce
quindi come si cerchi di costruire dei motori fatti in modo da accelerare al
massimo i gas, cioè da espellerli, alla massima velocità. D'altra
parte questa legge è verificabile anche sul piano astronomico. Ad esempio
la Luna ruota attorno alla Terra di moto pressoché circolare, in quanto
l'attrazione terrestre le imprime un'accelerazione per cui il moto della Luna
non è rettilineo uniforme ma circolare. D'altra parte la Luna esercita
un'uguale forza sulla Terra (che provoca ad esempio le maree), il cui effetto
è molto minore data la differenza delle masse in gioco. Il sistema
Terra-Luna in realtà non può essere descritto in modo così
semplice: il calcolo in base alla terza legge mostra che entrambe ruotano
attorno al baricentro del sistema. ║
Concetti fondamentali: in
d. si fa spesso uso di termini che vanno intesi con un significato ben
preciso, diverso da quello comunemente attribuito ad essi. Si è
già detto che cosa si intende per massa e per osservatore assoluto;
vediamo ora alcuni altri concetti di cui si è già fatto talvolta
uso. Per
forza motrice si intende un ente fisico definito dalla relazione
(2). Sembra un giro vizioso, in quanto la stessa relazione è stata
richiamata per definire la massa di un corpo. Ma, dato che la massa gode della
proprietà di essere additiva, la massa può anche essere definita
in un altro modo. Si prenda un corpo qualsiasi e gli si attribuisca
arbitrariamente massa unitaria. Da questo si ricavino poi dei multipli e
sottomultipli. A questo punto la massa di ogni corpo può essere espressa
come rapporto fra essa e la massa assunta come unitaria. Il confronto fra masse
può essere fatto con una
bilancia (si pensi a quella a due piatti)
che è uno strumento che serve per confrontare masse fra loro. Se ci
riferiamo per convenzione a un osservatore assoluto che si trovi sulla Terra
(per convenzione ad esempio a 45° di latitudine e sul livello del mare)
parleremo più facilmente di
peso, cioè della forza di
attrazione che la Terra esercita su un corpo di una certa massa che si trova
sulla sua superficie. Questa forza motrice esercita su ogni corpo
un'accelerazione, detta
accelerazione di gravità diretta verso il
centro della Terra, indicata solitamente con
g e uguale per tutti i
corpi, come dimostrò Galileo. Pertanto la forza peso
p che si
esercita su un corpo di massa
m sarà data
da:
(7)
P = m·g
L'accelerazione di gravità
dipende solo dalla distanza dal centro della Terra; a 45° di latitudine e
sul livello del mare vale 9,81 m/sec. Le forze motrici possono essere di vario
tipo; rispetto al tempo possono essere ad esempio fisse o variabili; lo stesso
dicasi rispetto alla posizione del corpo, alla sua velocità, ecc. Ad
esempio la
forza di gravità, cioè l'attrazione che la Terra
esercita sui corpi, è costante nel tempo e con la velocità, ma
varia con la distanza dei corpi dal centro della Terra. La resistenza che un
corpo incontra nel muoversi in un fluido può essere proporzionale alla
sua velocità (se l'attrito è viscoso) oppure proporzionale al
quadrato della velocità (se l'attrito è turbolento). Per definire
con rigore matematico il comportamento delle forze variabili con la posizione ma
costanti nel tempo e con la velocità è molto pratico introdurre il
concetto di
campo di forze definito come una regione di spazio in ogni
punto del quale esiste una forza (che agisce su un punto materiale che si trovi
in quel punto) ben definita come vettore. Nel caso in cui questa forza dipenda
unicamente dalla posizione e non dal tempo o dalla velocità del punto
materiale si parlerà di campo di
forze posizionali o semplicemente
di campo di
forze semplici. Esso è definibile con la
relazione:
(8)
H =
H(P) avendo indicato con
H(P) la funzione con cui l'ente
H varia a seconda delle
coordinate di un punto generico P. In generale
H non è una forza;
ad esempio può essere un'accelerazione. Se
H è costante in
ogni punto il campo si dice
uniforme. Se
H ha valore (modulo)
costante sulla superficie di una sfera di centro in 0 ed è sempre diretto
normalmente a questa superficie, verso il centro 0 oppure verso l'esterno, si
parla di
campo centrale con centro 0. Un caso tipico di campo centrale
è quello creato attorno a sé da qualsiasi massa: è
confermato da infinite sperimentazioni che due masse (abbastanza piccole da
considerarsi puntiformi, per semplicità di calcolo) si attraggono fra
loro con una forza
F data da:

ove
F è il modulo della
forza,
m1 e
m2 le masse,
d la loro
distanza e
h una costante detta
costante di attrazione universale.
La direzione di questa forza è sempre quella che unisce i due corpi; il
senso è già stato definito, trattandosi di un'attrazione (e non di
una repulsione). Per quanto riguarda la costante di attrazione, le esperienze di
Cavendish poi ripetute da altri studiosi portano ad attribuire ad essa il
valore:
(10)
h =
6,66·10
-8 cm
3/(sec·
g)
La relazione (9) è anche
detta
legge di attrazione universale o semplicemente
legge di
Newton. Sulla base di questa è abbastanza facile esprimere
matematicamente il campo di forza che ogni massa materiale crea attorno a
sé. Si tratta di un campo centrale; la forza esercitata su una massa (ad
esempio unitaria) è in funzione unicamente della distanza della massa dal
centro del campo, che coincide con la posizione della massa generante il campo.
Se quindi un sasso lasciato libero da una certa altezza cade verso la Terra con
una certa accelerazione data dalla relazione:

non può essere considerata
puntiforme. Se si studia invece il moto relativo dei pianeti o della Luna
attorno alla Terra la (9) è perfettamente verificata. La forza di
gravità diminuisce allontanandosi dalla Terra o meglio dal suo centro:
infatti fra il livello del mare e una certa quota sopra di esso (ad esempio
3.000 m) si ha già una differenza sensibile e misurabile anche con
strumenti non sofisticati. In
d. sono importantissimi alcuni concetti
quali quelli di
lavoro, energia e
potenziale; vediamoli
brevemente. Si abbia una forza
F costante, agente su un punto P; per
effetto di questa il punto si sposta dalla posizione P
1 alla
posizione P
2. Questo spostamento potrà essere definito come
vettore spostamento s: esso ha modulo pari alla distanza
P
1P
2, direzione secondo la retta
P
1P
2 ed è orientato nel senso che va da
P
1 a P
2. Secondo una delle notazioni in uso potremo
scrivere l'identità:
(12)
s

(P
2 - P
1)
ove la parentesi indica per
convenzione esattamente il vettore
s. Si dice che la forza sopraddetta
durante lo spostamento del suo punto di applicazione compie un
lavoro
dato dal
prodotto scalare fra forza e spostamento, cioè
simbolicamente si potrà
scrivere:
(13)
L=
F x
s avendo indicato con
L il lavoro. Se lo spostamento è infinitesimo (
ds,
secondo le notazioni dell'analisi infinitesimale) anche il lavoro compiuto dalla
forza sarà infinitesimo (indicato con
dL) e sarà sempre
dato da:
(14)
dL=
F x
ds Uno spostamento del
punto di applicazione di una forza da una posizione all'altra può
avvenire secondo una linea qualsiasi
l; in generale il lavoro compiuto
dalla forza dipenderà dal cammino e si potrà scrivere come la
somma algebrica di infiniti lavori infinitesimi dovuti a spostamenti
infinitesimi, cioè con un integrale del tipo:

ove l'integrale va esteso a tutto il
percorso
l. È facile vedere che la (15) si riduce alla (12) se il
percorso è rettilineo. Nel caso di un campo di
forze posizionali
il lavoro calcolato con la (15) coincide con quello calcolato con la (12) anche
se il percorso non è rettilineo, vale a dire che non dipende dal percorso
ma solo dalle posizioni di partenza e di arrivo. Si può quindi introdurre
una grandezza scalare
U detta
potenziale del campo definito
matematicamente dalla relazione:
(16)
F =
grad
U Più
semplicemente si può dire che
U è una funzione dei punti
del campo tale che per uno spostamento del punto di applicazione della forza
F del campo da un punto P
1 a un punto P
2 il lavoro
è dato da:
L =
U(P
2)
-
U(P
1)
indipendentemente dal
percorso. Come corollario si ha che se i due punti coincidono, cioè se il
percorso
l è chiuso, il lavoro è sempre nullo. Se A e B
sono due punti del campo tali che
U(A) = U(B) si dice che sono
equipotenziali. I luoghi dei punti equipotenziali costituiscono delle
superfici equipotenziali. Nel caso del campo di gravità della
Terra queste superfici sono sferiche e hanno per centro il centro della Terra.
Il concetto di
potenza come quantità di lavoro compiuto
nell'unità di tempo è ben noto. Analiticamente la potenza si
può esprimere in una forma analoga alla (13), cioè con il seguente
prodotto scalare:
(17)
P* =
F x
v ove
P* è la
potenza e
v è la velocità con cui si sposta il punto di
applicazione della forza considerata. Anche la potenza è uno scalare,
positivo o negativo come può essere il lavoro. Non insistiamo sul
concetto di
energia che è di uso diffusissimo. In
d.
è però assai usato specificandolo caso per caso.
Energia
potenziale è la capacità di compiere lavoro, attribuibile a
qualsiasi corpo dotato di massa, per il fatto di trovarsi in un campo di forze
posizionali. L'energia potenziale
V, funzione dei punti del campo,
può essere definita matematicamente nel seguente
modo:
V = -
UEssa è punto per punto uguale
al potenziale cambiato di segno. L'
energia cinetica T di un corpo di
massa
m è la sua capacità di compiere lavoro per il fatto
di trovarsi in moto; essa è data
da:

ove
v
è la velocità del corpo rispetto a un certo osservatore. È
evidente che essa dipende dall'osservatore in quanto dipende dalla
velocità. Si può dimostrare semplicemente che vale la relazione:

cioè: la derivata rispetto al
tempo dell'energia cinetica eguaglia la potenza. Allo stesso modo si può
dire che l'integrale su un certo intervallo di tempo della potenza eguaglia
l'incremento di energia cinetica nello stesso intervallo. Occorre poi introdurre
anche il concetto di
energia totale E come somma di energia cinetica e
potenziale:
(20)
E = T +
V Naturalmente anche
E
dipende dall'osservatore, cioè dal riferimento scelto come zero in quanto
ne dipende la
T. ║
Teoremi di conservazione: sono alcuni
teoremi che sono fondamentali per la risoluzione dei problemi della
d.
Vediamo i principali.
A) Conservazione della massa: si esprime dicendo
che
la massa di ogni corpo è costante nel tempo. Analiticamente si
può esprimere nel seguente modo:

Nel caso di solidi o fluidi che
variano di volume vale sempre questa relazione, mentre si ha variazione di massa
per unità di volume, cioè di
densità. Questo teorema
non vale più nella meccanica relativista.
B) Conservazione del
risultante: come si è prima accennato e come si dimostra in statica,
qualsiasi sistema di forze può essere ridotto per somma di forze a una
forza, detta
risultante R e a un
momento risultante
M. Questo teorema della conservazione afferma che "in un sistema
chiuso isolato (cioè sottratto a qualsiasi azione esterna) il risultante
e il momento risultante di tutte le forze conservano valore nullo", cioè:
(22)
R =
0
M =
0
Che d'altra parte il valore di queste due
entità sia nullo è ovvio per la legge di azione e reazione.
Infatti nel sistema chiuso e isolato esiste solo la possibilità di azioni
reciproche fra i corpi; queste però danno origine a coppie di forze
uguali e contrarie.
C) Conservazione della quantità di moto: si
è già visto che la quantità
mv prodotto della massa
di un corpo per la sua velocità è detta
quantità di
moto; si tratta di una grandezza vettoriale. La quantità di moto di
un sistema di N corpi è uguale alla somma delle quantità di moto
dei singoli corpi, vale a dire che:

ove
Q è la
quantità di moto globale del sistema e la sommatoria è ovviamente
vettoriale. Il teorema della conservazione della quantità di moto afferma
che
in un sistema chiuso isolato la quantità di moto globale del
sistema è costante nel tempo. I sistemi isolati non esistono, ma ci
si può avvicinare con dei casi limite. Ad esempio il sistema solare nel
suo complesso può essere considerato isolato. L'intero Universo è
probabilmente l'unico sistema veramente isolato che si possa concepire. Quando
comunque le forze esterne sono abbastanza piccole rispetto a quelle interne la
relazione
Q = costante che deriva da questo teorema si può
applicare.
D) Costanza della velocità del baricentro: il
baricentro di un sistema è il suo
centro di massa; se si
pensa che tutta la massa di un sistema sia concentrata nel suo baricentro, dal
punto di vista delle azioni esterne sul sistema o delle azioni del sistema
sull'esterno non si hanno differenze. Definito dunque un sistema come posizione
reciproca di tutti i corpi che lo compongono, è possibile, istante per
istante, determinarne il baricentro con metodi puramente geometrici. Si
può quindi trovare anche la velocità
v* con cui questo
baricentro si sposta nel tempo. Questo teorema afferma che
in un sistema
isolato in movimento la velocità del baricentro è costante nel
tempo, cioè:

Confrontando questa relazione con
le considerazioni fatte al punto C) sulla quantità di moto, si vede che i
due teoremi non sono indipendenti. Infatti
la quantità di moto di un
sistema coincide con quella del suo baricentro allorché si pensi
concentrata in essa tutta la massa del sistema. Come corollario di questi
teoremi si può affermare che
il momento della quantità di moto
di un sistema rispetto a un punto fisso è costante nel tempo. Il
momento della quantità di moto di un punto materiale P rispetto a un
punto 0 detto
polo è dato dal prodotto
vettoriale:
(25)
H = (P - 0)
Λ
(
mv)
ove (P - 0)
è un vettore come prima detto - si confronti la (12) - e
mv
è la quantità di moto del punto materiale. Il teorema della
conservazione del momento della quantità di moto dice che la sommatoria
di tutti gli
H per tutti i corpi del sistema è costante nel tempo.
E)
Conservazione dell'energia. Afferma che,
per un sistema chiuso e
isolato l'energia totale si conserva durante il suo moto. Riprendendo la
relazione (20) possiamo affermare che:

Questo teorema vale solo per sistemi
rigidi immersi in campi di forze posizionali e conservative. Può essere
dimostrato a partire dai precedenti teoremi. Questi teoremi si riferiscono
sempre a sistemi chiusi, isolati da forze esterne. ║
Equazioni
cardinali della d.: queste equazioni stabiliscono delle correlazioni fra il
comportamento dei sistemi e le forze esterne che agiscono su di essi. Sono delle
relazioni base per i calcoli meccanici in quanto la maggior parte dei casi
pratici comporta il trattamento di sistemi non isolati. Conviene esaminarli
separatamente.
A) Teorema della quantità di moto: la derivata
rispetto al tempo della quantità di moto di un sistema è uguale al
risultante delle forze esterne agenti sul sistema. Il calcolo della
quantità di moto è fatto con la relazione (23); il risultante non
è quello considerato dalla relazione (22) ma quello delle forze esterne
agenti sul sistema, che diremo
R*. Questo teorema si esprime
quindi così:

Questa relazione costituisce la prima
equazione cardinale della
d.; la sua formulazione risale a Newton.
B)
Teorema del momento della quantità di moto: la quantità di
moto di un punto materiale rispetto a un polo è stata definita con la
(25); quella di un intero sistema (che diremo
H*) è la somma dei
momenti delle quantità di moto dei punti materiali componenti il sistema.
Questo teorema afferma che la derivata rispetto al tempo del momento della
quantità di moto di un sistema eguaglia il momento delle forze esterne
agenti sul sistema, a condizione che tutti i momenti siano valutati rispetto a
uno stesso punto (che è però arbitrario). Analiticamente si
può dire che:

avendo indicato con
M* il
momento globale delle forze agenti sul sistema. L'insieme delle relazioni (27) e
(28) costituisce il
sistema cardinale della d. C) Teorema del moto del
baricentro: si deve a Newton e consente una notevole semplificazione dei
calcoli in molti casi. Afferma che quale che sia la sollecitazione cui è
sottoposto un sistema, il suo baricentro si muove come se fosse sottoposto a
tutte le forze esterne agenti sul sistema e come se possedesse l'intera massa
del sistema. Vale a dire che se si ha un sistema di corpi ognuno dotato di una
sua massa e ognuno sottoposto a forze esterne di qualsiasi genere, si può
determinare il moto del suo baricentro pensando che in esso sia concentrata la
massa dell'intero sistema e che tutte le forze esterne agiscano su esso.
L'accelerazione del baricentro
a* sarà quindi data
da:
(29)
R* =
m*·
a* =
m*·
v*
ove
R*
è quello che compare nella (27) e
m* è la massa globale del
sistema.
D) Teorema della conservazione dell'energia: è già
stato visto; esso può essere usato in combinazione con i teoremi ora
enunciati e spesso viene compreso fra le equazioni cardinali della
d.,
anche se impropriamente. A questo proposito occorre tener presente che l'energia
cinetica non è necessariamente legata a un moto di traslazione: nel caso
di solidi rigidi può anche essere dovuta a un movimento rotatorio del
solido attorno a un asse qualsiasi. Un caso del genere si ha ad esempio nelle
macchine con organi rotanti, quali ingranaggi, volani, ruote, ecc. Per un corpo
materiale avente massa
m, puntiforme, il
momento di inerzia J
rispetto a un asse è dato da:
(30)
J =
m·
r² ove
r è la distanza del corpo dall'asse considerato. Se il corpo non
è puntiforme, potremo pensare di suddividerlo in molte masserelle
mi che si possono considerare puntiformi, ognuno distante
ri dall'asse: il momento d'inerzia globale equivale alla somma
di questi piccoli momenti, cioè:

Naturalmente la (31) passando al limite
si trasforma in un integrale. È da notare che nel trattare i problemi dei
momenti di inerzia non è lecito (salvo casi assai particolari)
considerare la massa del corpo come tutta concentrata nel baricentro. Infatti si
hanno moltissimi casi (ad esempio un volano) in cui l'asse di rotazione passa
per il baricentro onde il momento trovato sarebbe nullo mentre può essere
qualsiasi. La relazione (31) può essere scritta nella
forma:
(32)
J =
m·
R ove
m
è la massa complessiva del corpo e
R è uno scalare detto
raggio giratore del corpo rispetto all'asse considerato. Ad esempio per
una sfera piena omogenea avente densità
d e raggio
x
rispetto a un asse passante per il suo centro il momento di inerzia è
dato da:

ovvero, se
m è la massa della sfera, da:

Per confronto di queste due relazioni si
ricava che il raggio
giratore è pari
a:

Noto il
momento di inerzia di un corpo attorno a un asse, l'energia cinetica di
rotazione
Er del corpo attorno a quell'asse è data
semplicemente da:

ove
ω è
la velocità angolare del moto di rotazione. ║
Meccanica
relativa: tutte le considerazioni finora svolte sono state riferite a una
terna inerziale, cioè a una terna di assi cartesiani ferma o in
moto rettilineo uniforme rispetto a un osservatore assoluto come è stato
sopra definito; il moto descritto rispetto a una terna del genere si dirà
moto assoluto. Consideriamo ora una terna di assi cartesiani (cioè
un osservatore) che sia in moto qualsiasi (e quindi in generale non rettilineo e
non uniforme) rispetto a un osservatore assoluto: avremo una
terna
relativa o
non inerziale e il moto definito rispetto a questa terna
sarà detto
moto relativo. Riferendoci a questa terna non
sarà più valido il principio di relatività di Galileo; di
conseguenza anche le leggi sopra viste, che presuppongono tale principio,
potranno non valere più. Individuiamo con 0 (origine) e con X, Y, Z (assi
cartesiani) la terna inerziale e con 0' (origine) e x, y, z (assi cartesiani) la
terna relativa. Il moto di una terna rispetto all'altra potrà sempre
essere decomposto nella somma di due moti: uno di traslazione di 0' rispetto a
0, con velocità
V0 e uno di rotazione fra le due terne,
individuabile con il vettore velocità angolare
w. Detta
A
l'accelerazione di un punto P qualsiasi rispetto alla terna inerziale e
a
la sua accelerazione rispetto alla terna relativa, vale la relazione:
(33)
A = a + As +
Ac nella
quale
As è detta
accelerazione di
trascinamento e
Ac è detta
accelerazione
complementare o
di Coriolis. La (33) esprime il teorema di Coriolis:
l'accelerazione assoluta (cioè rispetto a una terna assoluta
ovvero inerziale)
è uguale all'accelerazione relativa (cioè
rispetto alla terna non inerziale)
aumentata dell'accelerazione di
trascinamento e dell'accelerazione complementare. Naturalmente si tratta di
una somma vettoriale e quindi anche algebrica. Occorre definire le due
accelerazioni ora introdotte. L'
accelerazione di trascinamento
As è l'accelerazione che avrebbe il punto P considerato
rispetto alla terna 0-XYZ (terna inerziale o assoluta) qualora esso fosse fermo
o in moto rettilineo uniforme rispetto alla terna 0'-xyz mobile, non inerziale).
L'
accelerazione complementare Ac è data
dal seguente prodotto
vettoriale:
(34)
Ac
= w
Λ
v* ove
v*
è la velocità del punto P rispetto alla terna 0'xyz. Se il punto P
è materiale e
m è la sua massa, rispetto alla terna
inerziale vale la (2) ovvero:
(2')
F =
m·A e quindi
F è per definizione l'unica forza che agisce effettivamente sul
punto P. Dalla (33), moltiplicando entrambi i membri per
m e tenendo
conto della (2') otteniamo:
(35)
ma =
F + Fs + Fc
avendo
posto:
(36)
Fs =
-m·As (37)
Fc
= -m·Ac
Pertanto appare che l'accelerazione del corpo P
rispetto alla terna non inerziale non è determinata solo dalla forza
effettiva (cioè esercitata da altri corpi)
F ma anche dalle forze
apparenti
Fs e
Fc dette
rispettivamente
forza di trascinamento e
forza complementare.
Quindi potremo affermare che se la terna considerata non è quella
assoluta, vale ancora la legge fondamentale della
d., cioè la (2),
pur di aggiungere alla forza effettiva anche le forze complementari definite
dalle relazioni (36) e (37). Dalla (35) si può capire perché la
terna mobile 0'-xyz sia stata chiamata non inerziale: infatti anche se
F
è nulla l'accelerazione non si annulla, contrariamente al principio
di inerzia. Un caso particolare e molto facilmente sperimentabile di forze
apparenti è la cosiddetta
forza centrifuga, ben nota a tutti. Ad
esempio si consideri un'automobile che imbocca una curva a una velocità
abbastanza elevata: la tendenza a sbandare cioè a uscire di strada
secondo la tangente alla curva (cioè a sinistra se la strada curva verso
destra e viceversa) non è dovuta ad alcuna forza reale. Infatti sul
veicolo agiscono solo la forza motrice applicata alle ruote (e da queste
trasmessa al terreno) e le forze di attrito, che sono tutte dirette secondo
l'asse longitudinale del veicolo. La forza che tende a far sbandare il veicolo
è invece perpendicolare a questo asse: è una forza apparente che
insorge sul veicolo per il fatto che questo (considerandolo come solidale con
una terna mobile 0'-xyz) non è in moto rettilineo uniforme rispetto alla
terna assoluta. Si tratta tipicamente di una
forza d'inerzia, che tende a
mantenere il veicolo sulla traiettoria rettilinea che aveva prima. Per il
calcolo di questa forza consideriamo un altro esempio. Si abbia un'asta
verticale che ruota attorno al suo asse con velocità angolare
ω. A questa
sia collegata una massa
m che immaginiamo abbastanza piccola e
concentrata nel suo baricentro P. Il collegamento sia effettuato in modo che
l'unico moto relativo ammesso fra asta e massa sia un avvicinamento o
allontanamento secondo la direzione normale all'asse di rotazione. La massa sia
collegata all'asta con una molla avente una costante nota, che parte da P e si
collega all'asta in un punto B tale che PB è un segmento della normale
all'asse di rotazione. La velocità di P, che diremo
V, rispetto a
una terna fissa con l'asse di rotazione dell'asta, è data dal prodotto
vettoriale della velocità angolare
ω per il
vettore (PB), cioè dalla:
(38)
V =
ω
Λ (P - B)
come si dimostra in cinematica.
La velocità può essere derivata rispetto al tempo per ottenere
l'accelerazione. Per fare questo conviene passare ai moduli. Osserviamo dalla
(38) che
V giace in un piano normale all'asse di rotazione ed è
normale anche alla retta che passa per il suo punto di applicazione ed è
normale a tale asse. Passando ai moduli avremo quindi, dato che V e (P-B) sono
normali, che:
(39)
V =
ω
·

avendo indicato
con

il modulo di (P-B). Derivando quindi la
(39), se si suppone che la velocità angolare
ω sia
costante, si ha che l'accelerazione A
s della (33) è
(40)
As =
-ω²
·

e quindi avremo che la forza
apparente di trascinamento è data in modulo
da:
(41)
Fs =
m·ω²·
Per quanto riguarda la direzione e il
verso, il ragionamento fatto usando non i moduli ma i vettori porta a
determinare che questa forza passa per P e B ed è diretta da B a P; di
qui il nome di
centrifuga (diretta dal centro della rotazione alla
periferia). Esempi di calcoli in cui bisogna tener conto di questa forza non
mancano. Ad esempio è noto che le strade, le rotaie ferroviarie, le piste
dei ciclodromi e degli autodromi sono
rialzate in curva nella parte
esterna della curva stessa. Infatti in curva si origina la forza ora vista, che
si compone con la forza peso del veicolo. Per far sì che il risultante di
queste due forze sia perpendicolare al manto stradale l'unica possibilità
è quella di inclinare il manto stesso rispetto all'orizzonte.
Naturalmente l'inclinazione è fissa ed è dimensionata per una
certa velocità del veicolo (ovvero a una certa velocità angolare
con cui questo percorre la curva). Di conseguenza a quella velocità il
guidatore avrà l'impressione di viaggiare su una strada orizzontale
mentre a tutte le altre avrà l'impressione di viaggiare su una strada
inclinata. Un altro esempio comune è il seguente: un ciclista che viaggi
a una velocità anche non elevata non può curvare senza spostare il
peso dalla parte verso la quale vuole curvare: questo perché la forza
centrifuga ora vista lo farebbe cadere. ║
D. relativistica: tutto
quanto è stato prima detto fa parte della meccanica classica (o
d.
classica) basata su alcuni postulati, principalmente: 1) La distanza fra due
punti è invariante, sia che la consideri un osservatore collegato con la
terna fissa 0-XYZ che un osservatore collegato con la terna mobile 0'-xyz. 2) Il
tempo che trascorre fra un certo evento e un altro è lo stesso sia che lo
misuri un osservatore collegato con la terna 0-XYZ che un osservatore collegato
con la terna 0'-xyz. Questi postulati appaiono più che ovvi, tanto
è vero che fino al nostro secolo non furono oggetto di dubbi. Da essi
discendono due considerazioni immediate:
a) si suppone che la geometria
euclidea sia atta a descrivere le leggi della meccanica;
b) si suppone
che la velocità della luce sia infinita. Infatti i due osservatori in
questo caso possono percepire due eventi (ad esempio per mezzo di onde
elettromagnetiche) nello stesso istante. L'esperienza conferma che questo
è ragionevolmente vero nella maggior parte dei casi. La velocità
della luce però è finita e misurata: nel vuoto è di circa
300.000 km/sec; nell'aria è di poco inferiore. Ne risulta che se un corpo
è in moto rispetto a una sorgente luminosa con una velocità v e se
diciamo
V* la velocità della luce relativa a un osservatore
0 fermo rispetto alla sorgente luminosa, per un osservatore 0' solidale col
corpo in moto la velocità della luce dovrebbe essere data dalla somma
vettoriale delle due velocità, cioè
da:
(42)
V' = V* +
v Ora, rispetto al Sole la Terra
è in moto con una velocità
v che non è trascurabile,
cioè tale che la differenza tra
V' e
V* è misurabile
con gli strumenti disponibili. Il moto di un punto della Terra rispetto al Sole
è di avvicinamento o di allontanamento secondo le stagioni e l'ora del
giorno. Con un famoso esperimento, Michelson tentò di misurare la
velocità
V' della luce emessa dal Sole rispetto a un osservatore
solidale con un punto della Terra, e quindi il moto rispetto alla sorgente
luminosa; il risultato di queste misure fu
che:
(43)
V' =
V* sempre, indipendentemente dal
moto della Terra. Si conclude quindi che
la velocità di propagazione
della luce è invariante rispetto all'osservatore, cioè che non
vale il principio della composizione delle velocità. Questo va contro le
leggi della
d. tradizionale; non sono infatti più valide le leggi
formulate da questa se non in prima approssimazione, quando le velocità
in gioco sono trascurabili rispetto a quella della luce. Conviene a questo punto
non considerare più delle terne di assi ma delle
quaterne di
riferimento, comprendendo anche il tempo dell'osservatore legato alla terna.
Se T è il tempo dell'osservatore fisso 0 e t quello dell'osservatore
mobile 0', avremo le due quaterne 0 - XYZT fissa e 0' - xyzt mobile. È
evidente che nel passaggio da una quaterna all'altra deve essere valida la
relazione (43) sopra vista. A questo punto si pone il problema di ricercare
delle correlazioni fra le due terne, analoghe alle trasformazioni di Galileo
sintetizzate nel sistema (1) ma valide con le ipotesi fatte sopra. Se diciamo
c la velocità della luce (che si propaga in linea retta in
direzione radiale rispetto alla sorgente luminosa considerata puntiforme),
possiamo trovare una correlazione ipotizzando una sorgente avente nel sistema 0
- XYZT delle coordinate X', Y' e Z'. Sia questa sorgente solidale con 0. La luce
emanata all'istante T da questa sorgente si trova al tempo T' distribuita su una
sfera avente centro nel punto di coordinate X', Y', Z' e raggio
c(T -
T'). Dalla geometria si sa che l'equazione della sfera in oggetto soddisfa la
relazione:
(44)
(X - X')² + (Y - Y')²
+ (Z - Z')²
- c(T - T')² = 0
Un'identica relazione si può
scrivere se si considera una sorgente solidale con l'osservatore 0', vale a dire
che:
(45)
(x - x')² + (y - y')² + (z -
z')² -
c(t - t')² = 0
Supponiamo che il moto di 0'
rispetto a 0 sia una traslazione rettilinea uniforme con velocità
V nella direzione dell'asse X. Le trasformazioni fra le coordinate,
analoghe al sistema (1) sono date da:
(46)
x = X
-
Vt
y = Y
z = Z
t =
T
se si fa l'ipotesi che al tempo T = t = 0
il punto 0' coincida con 0. Uguagliando la (44) alla (45) e tenendo conto delle
si ha che se X' = Y' = Z' = 0 (cioè la sorgente coincide con 0) e T'
= 0, vale la relazione:
(47)
X² - x² =
c² T² -
c²
t²
Questa relazione
contiene già la nostra tesi, ma si può semplificare. Infatti essa
può essere interpretata come una trasformazione di coordinate fra due
coppie di assi cartesiani, X e
cT (prima coppia) ed x e
ct
(seconda coppia) complanari, aventi in comune l'origine e formanti fra loro un
angolo |α|.
Se si pone per comodità di
calcolo
(48)
α
=
i
θ
ove
con
i si è indicata l'unità immaginaria (cioè la
radice quadrata di -1) si trova che
V vale il prodotto della tangente
iperbolica (abbreviata Th) di θ moltiplicata per
c, cioè:
(49)
V =
c·Th
θ
Ovvero,
se diciamo
b il rapporto
V/c avremo che
b è uguale
alla tangente iperbolica di θ. Osserviamo quindi
che
b ha un preciso significato fisico (rapporto fra la velocità
relativa di 0 e 0' e la velocità della luce) e quindi lo ha anche
θ. Dalla trigonometria è noto che la (47)
può essere sviluppata in funzione di Chθ e
di Shθ (coseno e seno iperbolico di
θ) e quindi in funzione di
Thθ che è uguale a
b. Da queste
trasformazioni si può quindi ricavare che:

È evidente che ripetendo il
ragionamento per gli altri assi oltre all'asse X si ottengono formule identiche,
col solo cambiamento delle lettere, pur di usare la velocità di 0'
rispetto a 0 proiettata sull'asse considerato. Le relazioni (50) costituiscono
le cosiddette
trasformazioni di Lorentz, di enorme importanza. Nel caso
considerato (movimento di 0' rispetto a 0 lungo l'asse X) vanno completate con
la y = Y e z = Z della (46): negli altri casi le (50) saranno scritte per tutti
gli assi. È da notare che nelle (50) si ha la trasformazione del tempo
passando da un sistema di riferimento a un altro in moto rispetto al primo. Ne
consegue che
se due eventi sono contemporanei per un osservatore 0 non lo
sono rispetto a un osservatore 0' in moto rispetto a 0, se i due eventi non
avvengono nello stesso luogo. Sempre dalle (50) conseguono importanti
considerazioni, quali le seguenti: 1)
Contrazione delle lunghezze. Si
può dimostrare analiticamente che se
L è la lunghezza di un
segmento valutata da 0 in una qualsiasi scala di misura e
l è la
lunghezza dello stesso segmento valutata da 0' nella stessa scala, non si ha
L =
l bensì:

con la condizione che il segmento stia
sull'asse X. Si assiste quindi a una contrazione delle lunghezze rispetto
all'osservatore mobile, relativamente alla direzione del moto; nelle direzioni
trasversali la contrazione non avviene. Si noti che si tratta effettivamente di
una contrazione in quanto la radice è minore dell'unità. 2)
Dilatazione dei tempi. Si può ancora dimostrare che se due eventi
avvengono in due tempi diversi in uno stesso luogo rispetto a 0 (ad esempio
sempre alla stessa coordinata X = X* sull'asse X) e
ΔT è
l'intervallo di tempo che trascorre fra essi, misurato da 0, mentre
Δt è
lo stesso intervallo di tempo misurato da 0', i due intervalli non coincidono ma
si ha che:

cioè
l'intervallo
Δt è
maggiore di
ΔT. Si
assiste quindi a una dilatazione della durata che intercorre fra due qualsiasi
eventi se l'osservatore è mobile. Osserviamo che nel caso particolare in
cui la velocità
V con cui si muove 0' rispetto a 0 è
talmente bassa da non essere significativa rispetto a
c (cioè tale
che la velocità della luce può essere considerata infinita
rispetto ad essa), dalle (50) e derivate si ritrovano tutte le leggi della
meccanica classica. Questo succede nella stragrande maggioranza dei casi. Le
(50) costituiscono la base di tutta la
teoria della relatività di
Albert Einstein. Da esse si può ricavare la spiegazione teorica di quanto
trovò Michelson sperimentalmente, cioè che la composizione di una
velocità inferiore a quella della luce con la velocità della luce
dà come somma la velocità della luce. Osserviamo ancora che,
valendo le (50), cioè le
trasformazioni di Lorentz nella
d.
relativistica si può affermare che
le leggi fisiche sono invarianti
rispetto alle trasformazioni di Lorentz (Einstein). Inoltre si può
vedere che nelle (50) appare nel legame fra i tempi anche la coordinata X oltre
che la velocità
V attraverso
b. Consegue quindi che le tre
coordinate geometriche non potranno più essere trattate separatamente
dalla
coordinata tempo ma ci si dovrà necessariamente riferire a
quaterne spazio-temporali per descrivere qualsiasi fenomeno fisico.
Bisogna dunque contemplare uno
spazio a quattro dimensioni, più
propriamente definito come
spazio-tempo o
cronotopo. Le leggi di
questo cronotopo sono però tali da non essere descrivibili secondo la
geometria euclidea, perché è diversa la metrica (si noti che anche
nella geometria analitica euclidea sono possibili spazi a quattro e anche
più dimensioni). Il cronotopo è invece descrivibile secondo una
particolare geometria non euclidea, dovuta a Riemann. 3)
Non costanza della
massa. La massa non è costante nel passaggio da un sistema di
riferimento inerziale a uno non inerziale, cioè dall'osservatore 0
all'osservatore 0' in moto rispetto a 0 con velocità
v. Detta
m0 la massa di un certo corpo rispetto all'osservatore 0, come
è stata definita dalla (2), rispetto all'osservatore 0' lo stesso corpo
presenterà una massa
m* diversa da
m0. Si
può dimostrare che fra queste due grandezze intercorre il seguente
rapporto:

Vale a dire
che
la massa che un corpo presenta aumenta all'aumentare della sua
velocità. Se però la velocità è nulla, si
ripresenta la relazione
m* =
m0 della meccanica
classica. In qualche caso è possibile calcolare la variazione della massa
al variare della velocità. In relazione alle velocità comuni
è del tutto trascurabile: la variazione è dell'ordine di
1/1.000.000 per una velocità di circa 400.000 m/sec. Le particelle
atomiche (elettroni, protoni, ecc.), che spesso hanno un moto con
velocità prossime a quella della luce, la
m* può essere
superiore a
m0 anche di molte volte tanto che, nella
costruzione di acceleratori di particelle di una certa dimensione, l'aumento
della massa deve essere necessariamente considerato per ottenere macchine
funzionanti. Dalla (53) discende un'importante considerazione: dato che ogni
massa aumenta all'aumentare della velocità, aumenterà anche la
forza necessaria ad imprimere una data accelerazione. Infatti la (2) è
sempre valida, purché si consideri non la massa
m0 ma
la
massa relativistica m*. Dato che la massa tende all'infinito al
tendere di
v a
c, come è facile vedere dalla (53), anche la
forza necessaria per imprimere una piccolissima accelerazione diventa infinita
se il corpo cui va applicata viaggia alla velocità della luce.
Teoricamente (e quindi a maggior ragione praticamente) non è possibile
imprimere un'accelerazione fino alla velocità della luce ad un corpo
materiale che sia dotato di una massa non nulla, e tanto meno a velocità
superiori. La teoria della relatività è in grado di fornire la
dimostrazione che non sussiste una reale distinzione fra energia e massa:
ogni forma di energia può essere trasformata in massa e viceversa.
Ogni massa relativistica
m possiede un'energia intrinseca
E data
dalla relazione:
(54)
E =
m·c² (ove
c
è al solito la velocità della luce) che è sovente assunta
per indicare in sintesi la teoria della relatività. In effetti essa ha
ricevuto notevolissime verifiche sperimentali. Ad esempio la fissione nucleare
è in grado di liberare enormi quantità di energia consumando
piccolissime quantità di materia: ogni grammo di questa possiede infatti
un'energia intrinseca
E pari a circa 10
14 joule, vale a
dire l'equivalente di oltre 20 milioni di chili di nafta. ● Chim. -
Settore della chimica che studia i processi e le trasformazioni sia dal punto di
vista termodinamico e cinetico sia dal punto di vista dei meccanismi delle
reazioni. ● Econ. - Analisi dei fenomeni economici in relazione alle
variabili da cui dipendono. I fenomeni economici sono sempre in movimento,
spostandosi da una posizione ad un'altra di equilibrio, e tendono a svilupparsi
secondo tendenze secolari pur presentando anche moti stagionali e ciclici. La
d. economica si occupa di entrambe le dimensioni. ● Psicol. -
D.
di gruppo: studio dei comportamenti e delle reazioni degli individui
considerati non nella loro singolarità ma all'interno di gruppi,
variamente formati e finalizzati, che si strutturano spontaneamente mediante la
divisione e l'assegnazione di ruoli. ║ Fig. - Sviluppo di un'azione,
svolgimento di un fatto; energia, stimolo all'azione.