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Diffusione.

(dal latino diffusio). Il diffondere, il diffondersi, divulgazione, propagazione. ● Fis. - Fenomeno di trasferimento di materia da una regione all'altra dello spazio per effetto di una differenza di concentrazione di specie chimiche oppure di altre variabili chimico-fisiche quali la temperatura, le differenze di potenziale, ecc. Si deve però porre attenzione a non confondere la d. con il trasporto puramente meccanico di materia, quale ad esempio il pompaggio di un liquido da un serbatoio a un altro attraverso una tubazione. La d. implica sempre lo spostamento di molecole di alcune specie chimiche entro altre specie chimiche, ed è indipendente dal fatto che il sistema considerato sia in moto o non lo sia. Ad esempio, considerando ancora il caso citato del pompaggio da un serbatoio all'altro, si immagini che il liquido corroda le pareti della tubazione: gli atomi che costituiscono la tubazione passeranno in piccola parte nel liquido (eventualmente in forma di ioni) per un fenomeno di d. che avviene sia che il liquido sia in movimento sia che questo sia fermo, anche se in misura diversa. Per estensione il termine d. è stato usato anche per indicare altri fenomeni fisici che presentano analogie con il trasporto di materia: si parla quindi di d. del suono, delle onde elettromagnetiche, delle radiazioni. In questa sede si tratterà esclusivamente della d. nel senso proprio del termine, rimandando per le estensioni ad altri campi. La d. è un fenomeno importantissimo, che interessa sia l'industria chimica che quella metallurgica. In generale, si può inoltre affermare che i fenomeni di d. sono alla base di tutti i fenomeni vitali e anche di molti fenomeni che avvengono nel mondo inorganico: basti pensare ad esempio che i grandi cicli inorganici (carbonio, azoto, ossigeno, ecc.) comprendono tutti degli importanti stadi basati sulla d. La d., come si è detto, comporta sempre un trasferimento di materia, generalmente su scala molecolare, entro un certo corpo, sia esso solido, liquido, gassoso o allo stato di plasma. Nella maggior parte dei casi avviene spontaneamente (anche se in modo controllato da altri fattori esterni, ad esempio la temperatura), per effetto di una differenza di concentrazione di una o più specie chimiche. La d. tende a ridistribuire la specie nello spazio, in modo da uniformarne la concentrazione nelle diverse zone, o, in termini più rigorosi, da uniformarne il potenziale chimico (che spesso è proporzionale alla concentrazione) in tutto lo spazio. In questo senso si può affermare che la d. ha come effetto un aumento della sua entropia. Si pensi, per esempio, alla miscelazione di due liquidi quali acqua e alcool etilico; si parte da due parti distinte, nelle quali si hanno solo molecole di una specie. Le possibili configurazioni spaziali delle molecole in questa nuova fase sono evidentemente in numero molto maggiore della somma delle possibili configurazioni nelle due fasi di partenza e quindi la configurazione di arrivo è più disordinata. Questo fatto è ancora più evidente se si pensa alla dissoluzione di un granello di cloruro sodico (sale da cucina) in una certa massa d'acqua: gli atomi di cloro e sodio (in forma di ioni) disposti, originariamente, in modo ordinato nel reticolo cristallino del sale, si trovano, in seguito, dispersi disordinatamente in tutta la soluzione. In alcuni casi la d. può essere osservata anche a occhio nudo. Si prenda un bicchiere molto stretto e alto, pieno di un liquido trasparente, ad esempio acqua, e si ponga sul suo fondo un granello di un colorante, ad esempio blu, che si sciolga lentamente nell'acqua. Si osserverà che nel tempo, prima inizia a colorarsi l'acqua attorno al granello, poi la colorazione si sposterà pian piano verso l'alto. La zona di interfaccia fra il liquido colorato e quello trasparente non sarà mai una linea netta bensì una zona sfumata. Dopo un tempo abbastanza lungo tutta l'acqua del bicchiere sarà colorata uniformemente. Un esempio come questo implica due diversi tipi di d. Le molecole del colorante passano dalla fase solida (granello di colorante) a quella liquida, secondo il fenomeno che è di solito chiamato dissoluzione; successivamente esse migrano in questa finché si sono sparse in modo uniforme in tutto lo spazio loro concesso, cioè in tutta la fase liquida (d. nella fase liquida). La tendenza delle molecole a migrare dalle zone più colorate a quelle meno intensamente colorate è dovuta proprio alla differenza di concentrazione delle molecole di colorante nelle due zone (da cui deriva anche la differenza di concentrazione). Da un esperimento come questo si può ricavare la legge che regola la d. in senso generale. La concentrazione di molecole in uno strato abbastanza sottile d'acqua a un certo livello può essere ricavata da misure colorimetriche o densitometriche (misura dell'intensità della colorazione o dell'assorbimento di luce da parte della soluzione). Si immagini che il bicchiere usato per l'esperimento sia un cilindro tanto alto da poter trascurare le differenze di concentrazione su un ideale piano orizzontale rispetto a quelle verticali e che il granello sia sufficientemente piccolo da essere considerato puntiforme. Si assuma un sistema di coordinate tali per cui sia x l'asse (verticale) del cilindro. Si considerino due sezioni del cilindro, cioè due piccoli strati di liquido sufficientemente sottili, posti a due diversi livelli, aventi coordinate rispettivamente x1 ed x2, e si determinino in questi le concentrazioni del colorante, che diremo rispettivamente C1 e C2. Se la sezione indicata con 1 è più in alto di quella indicata con 2 avremo che C1 è minore di C2 (pensando di operare prima che la colorazione sia diventata uniforme). Diciamo N il numero di moli di colorante che in un certo intervallo di tempo Δt passano dalla sezione 2 alla sezione 1; si ricava sperimentalmente che:

N= - D . (C1 - C2) . Δt/(x1 – x2)

purché Δt sia abbastanza breve da non comportare grandi variazioni nelle differenze di concentrazioni. È però più comodo nei calcoli far riferimento al flusso di materia attraverso una certa sezione, intesa come il numero di moli di sostanza (in questo caso colorante) che l'attraversano nell'unità di tempo. Per una condizione generica avremo che il flusso di materia Jì di una generica specie i in una direzione generica x sarà dato dalla seguente formula:

Dielettr21.png

avendo indicato con Ci la concentrazione della specie i. Questa formula permette di dare un significato alla costante D (o Di) prima introdotta: si tratta della diffusività della specie considerata (specie diffondente) e dipende sia dalla specie in causa, sia dal mezzo in cui avviene la d., sia da altri fattori fisici quali temperatura, pressione, ecc. Se il flusso di materia è misurato, ad esempio, in moli/(cm2 . sec), le concentrazioni in moli/cm3 e le lunghezze in cm, la diffusività (o coefficiente di d., come viene talvolta detta) avrà dimensioni di un'area divisa per un tempo, cioè di cm2/sec. Si noti che nella formula generica riportata è stata introdotta la derivata parziale della concentrazione della specie diffondente nella direzione in cui si considera la d. (direzione x). Più genericamente si può esprimere la d. in una qualsiasi direzione come effetto del gradiente di concentrazione in quella direzione. Si ha quindi la formula:

Ji = - Di grad Ci

Rispetto alla precedente scrittura non si ha nulla di diverso se non una maggiore compattezza e una maggiore agilità dal punto di vista matematico. Questa formula esprime analiticamente la legge di Fick, che questo studioso enunciò nel 1885: "la quantità di una specie diffondente attraverso un piano ideale, secondo una direzione normale al piano stesso, è proporzionale direttamente al gradiente della concentrazione della specie considerata sul piano, cambiato di segno". Il segno meno che compare indica che la d. di una specie avviene sempre nella direzione in cui la concentrazione (più esattamente ci si dovrebbe riferire al potenziale chimico) è minore. ║ Classificazione: una delle classi più seguite per i fenomeni di d. è quella che opera una distinzione basata sul tipo di fasi presenti e sul modo in cui queste fasi vengono a contatto. La distinzione si può articolare in tre tipi: 1) contatto diretto di due fasi immiscibili, con trasferimento di materia per d. da una fase all'altra; 2) contatto fra due fasi miscibili, attraverso la quale avviene il trasferimento di materia per d.; 3) contatto diretto di due fasi miscibili; la d. porta a un'unica fase che a lungo andare diventa omogenea. Questi casi vanno considerati separatamente. Non daremo qui per brevità una trattazione degli stessi, né su basi matematiche, né su basi sperimentali. Ci si limiterà quindi all'esposizione dei principali casi in cui queste operazioni intervengono in qualche fenomeno naturale o nell'industria chimica. 1) Contatto diretto tra le fasi immiscibili: dato che le fasi possono essere solide, liquide o gassose (trascuriamo lo stato di plasma) sono pensabili sei combinazioni (gas-gas, gas-liquido, gas-solido, liquido-liquido, liquido-solido e solido-solido). a) Contatto gas-gas: visto che i gas sono tutti completamente miscibili fra loro, non è possibile realizzare questo caso. b) Contatto gas-liquido: caso frequentissimo negli impianti chimici, dato che sta alla base di molte operazioni fondamentali. Queste sono: distillazione, evaporazione, umidificazione e deumidificazione, condensazione, assorbimento di gas, stripping di gas (operazione inversa dell'assorbimento). In natura ricordiamo: l'aerazione e l'ossigenazione delle acque, la fissazione e l'ossigenazione delle acque, la fissazione di azoto juvenile e azoto combinato presente nell'atmosfera che cade sulla terra con l'acqua piovana, l'evaporazione dell'acqua ecc. c) Contatto gas-solido: alla base delle operazioni chimiche di condensazione gas-solido, sublimazione, essiccamento di solidi, assorbimento e deassorbimento. Interviene in molte operazioni metallurgiche, quali la disossidazione, la nitrurazione, il drogaggio dei semiconduttori, la preparazione del coke, ecc. d) Contatto liquido-liquido: negli impianti chimici è sfruttata per l'estrazione con solvente, uno dei metodi di frazionamento di miscele. e) Contatto liquido-solido: nell'industria chimica si ha la cristallizzazione e la dissoluzione, oltre alla lisciviazione e all'assorbimento di liquidi su solidi. Nel campo metallurgico fenomeni di questo genere si hanno in molti casi comuni, quando si ha presenza di una fase solida con una liquida senza miscibilità o a miscibilità limitata. f) Contatto solido-solido: caso più raro, dato che la d. allo stato solido è in generale molto lenta. Si hanno degli esempi in metallurgia, dato che le temperature relativamente elevate favoriscono notevolmente questi fenomeni. Ad esempio la cementazione con polvere di carbone o con altri composti solidi implica una d. di atomi di carbonio nel metallo da cementare che, pur essendo a temperatura elevata, è allo stato solido. Molti fenomeni di precipitazione di carburi e di indurimento per precipitazione implicano migrazione di atomi all'interno della matrice metallica, da una regione a un'altra: a rigore infatti i cristalli e i bordi dei grani cristallini potrebbero essere considerate due diverse fasi, dato che presentano strutture notevolmente diverse. Leghe formate per d. mutua fra due strati di metalli diversi, facilitata eventualmente da un riscaldamento, sono abbastanza comuni. Così alcuni tipi di cuscinetti pregiati comportano la deposizione di strati successivi, ad esempio di piombo e di indio, e poi la trasformazione di questi in lega. 2) Contatto fra le fasi miscibili per mezzo di una membrana semipermeabile: una membrana di questo tipo ha la funzione di impedire la miscelazione completa delle due fasi, pur essendo permeabile ad almeno una delle presenti. Sono possibili solo contatti fra fasi aventi lo stesso stato di aggregazione e quindi si avranno i tre casi gas-gas, liquido-liquido e solido-solido. Il caso del contatto gas-gas attraverso una membrana è un metodo di frazionamento di miscele gassose abbastanza in uso. Esso si basa sul fatto che la velocità di d. di una miscela gassosa attraverso una membrana porosa è differente per le diverse specie (legge di Graham). La d. gassosa attraverso membrane è stato il primo metodo impiegato estesamente per il frazionamento della miscela naturale degli isotopi dell'uranio allo scopo di produrre uranio arricchito per pile e bombe atomiche. L'uranio metallico veniva gassificato trasformandolo nel suo esafluoruro UF6 sul quale veniva poi operata la separazione per d. in molti stadi in cascata fra loro. Il contatto liquido-liquido attraverso una membrana gassosa è realizzato nell'operazione di dialisi; se la migrazione delle specie per d. è provocata o favorita dalla presenza di un campo elettrico si parla di elettrodialisi. In questo tipo di operazione si ha sempre un effetto osmotico dovuto alle differenze di concentrazioni. A membrane semipermeabili di tipo molto particolare, in grado di permettere selettivamente la d. di certe specie e di bloccarne altre, sono assimilabili le pareti delle cellule viventi, sia animali che vegetali. Il loro meccanismo di operazione è assai complesso e questo tipo di d. non è descrivibile con la semplice legge di Fick. Ad esempio, nell'assorbimento dei nitrati da parte delle radici di piante si ha passaggio di questi dal suolo (umido) all'interno delle radici nonostante che qui sia presente una concentrazione di nitrati maggiore anche di 1.000 volte di quella presente nel terreno. Il contatto solido-solido attraverso membrane non è mai realizzato. 3) Contatto diretto fra le fasi miscibili: se due fasi fra loro miscibili sono portate a contatto in modo che restino sostanzialmente in quiete, cioè evitando rimescolamenti, la d. opera in un tempo più o meno lungo (teoricamente infinito) una omogeneizzazione completa del sistema: al posto delle due fasi se ne ritrova una sola, miscela delle due. In presenza di influenze esterne (gradienti termici, campi elettrici o magnetici, ecc.) è possibile che il risultato sia una miscela non omogenea; questo risultato si può ottenere anche con gas di diverso peso molecolare, ponendoli in una centrifuga rotante ad altissima velocità: le specie più pesanti tendono ad addensarsi il più lontano possibile dall'asse di rotazione. Nel caso di gradiente termico si può avere il fenomeno della d. termica. La d. nei liquidi e nei gas presenta aspetti notevolmente diversi da quelli della d. nei solidi; è quindi bene distinguere questi due casi. ║ D. nei gas e nei liquidi: i meccanismi con cui questa d. può avvenire sono diversi e spesso concomitanti. In queste fasi infatti è possibile sia una d. per effetto di un movimento a livello molecolare, in mezzo a un fluido relativamente immobile, delle specie diffondenti, sia un movimento delle stesse per effetto di vortici presenti nel liquido alla scala subumana, cioè non rilevabili se non con opportune strumentazioni. Oltre a questo sono poi possibili i moti vorticosi di rimescolamento, con relativa convezione delle specie diffondenti, alla scala macroscopica, cioè visibili ad occhio. Occorre ricordare che il moto dei fluidi può essere di due tipi: laminare e turbolento. In un fluido in moto laminare o viscoso si possono individuare delle linee di corrente calme, fra loro pressoché parallele, secondo le quali il fluido scorre come tanti fili addossati, che non si mescolano fra loro; anche se essi hanno diversa velocità scorrono l'uno sull'altro con un attrito che provoca solo il trasferimento da uno all'altro di quantità di moto (rallentamento di quelli più veloci ed accelerazione di quelli più lenti) ma non di materia (cioè le molecole presenti in un filo non passano nell'altro se non per spostamenti di tipo moti browniani). Se in un flusso di liquido (o di gas) in moto laminare si introduce un sottile filo colorato, si può vedere che questo permane su una lunga distanza e che si disperde solo lentamente, come se il fluido non fosse in moto. Il moto turbolento si ha nei fluidi quando sono realizzate particolari condizioni, caratterizzate da un valore elevato del numero di Reynolds. In un tale moto è ancora possibile individuare delle linee di flusso ma il vettore velocità di una massa di fluido sufficientemente piccolo non è più diretto secondo la linea di flusso (corrispondente grosso modo al moto su scala macroscopica) della massa ma varia nel tempo sia in modulo che in direzione e verso. Si hanno quindi dei piccoli vortici che provocano un rimescolamento dei fili del fluido; da uno all'altro di questi non si ha più un trasferimento di sola quantità di moto per attrito ma anche un vero e proprio trasferimento di materia alla scala subumana. Al contrario, il trasferimento di materia è anche la causa di trasferimento di quantità di moto, più dell'attrito viscoso. Se in un flusso di fluido in moto vorticoso si introduce un filo colorato, si vede che questo si disperde quasi immediatamente in numerosi rivoli e ben presto è completamente miscelato con il resto del liquido, tanto da non essere più individuabile. ║ D. molecolare: è il principale tipo di d. che si ha nei liquidi (o gas) in quiete o in moto laminare. Il flusso di materia della specie diffondente deve quindi avvenire su scala molecolare; il meccanismo di tale fenomeno viene spiegato in base alla teoria cinetica dei gas ed alla sua estensione ai liquidi. È noto che in un gas le molecole sono in moto con velocità dipendente dalla temperatura ma sempre molto elevata; questo moto avviene sempre in linea retta finché non si hanno collisioni fra molecole. Il parametro che si dà per caratterizzare questo moto è il libero cammino medio, cioè il tratto che una molecola percorre in media fra due urti successivi; a pressione e temperatura ambiente, per un gas non molto pesante come l'aria il libero cammino medio è dell'ordine di 10-5 cm. Dato che l'urto fra due molecole è pressoché elastico, dopo l'urto ogni molecola continua a muoversi di moto rettilineo uniforme, ma con velocità diversa in valore e direzione da quella che aveva in precedenza. Consegue che gli spostamenti, nonostante la velocità delle molecole, saranno relativamente lenti alla scala macroscopica perché il cammino che la molecola compie realmente è molto maggiore di quello apparente, dato che si muove a zig-zag. Come effetto di questo incessante movimento delle molecole, detto agitazione termica, si ha rimescolamento delle molecole e quindi anche la d. a livello molecolare. È facile una dimostrazione intuitiva di questo. Consideriamo un certo punto della massa gassosa, che diremo P, nel cui intorno la specie generica (diffondente) i ha una concentrazione Ci. Consideriamo una certa direzione, ad esempio quella che da P va verso un altro punto P' nel cui intorno la concentrazione sia Ci* che immaginiamo minore di Ci. Il numero di molecole che si spostano da P in direzione P' è proporzionale al numero di molecole presenti in P, quindi sarà proporzionale a Ci. Ripetendo il ragionamento per P' avremo che il numero di molecole, che da questo punto si spostano verso P' è proporzionale a Ci*, che è minore di Ci. Consegue dunque che, almeno relativamente alla specie i, il numero di molecole che si spostano nella direzione P → P' è maggiore di quello che si sposta nella direzione inversa P' → P. La somma dei due flussi contrastanti darà un flusso netto di molecole di i nella direzione P → P' e quindi una d. della specie i nella direzione P → P' (cioè verso le concentrazioni minori) per effetto dell'agitazione termica. Questo vale tanto per un fluido fermo che per un fluido in moto viscoso. La d. molecolare in un gas è sovente caratterizzata da un altro fenomeno, la controdiffusione equimolecolare. Si immagini di avere un sistema costituito da due soli gas, che diremo A e B. Sia B la specie che diffonde nella direzione P → P' e si faccia l'ipotesi che il sistema sia isobaro, il che implica uguale densità di molecole nello spazio che esso occupa. Da ciò consegue anche che se CA e CB sono le concentrazioni di A e B, in ogni punto deve essere verificata la condizione:

CA + CB = costante

Se B diffonde da P a P' significa che la concentrazione di B è maggiore in P che non in P'. Per la relazione ora scritta si deve però avere che la concentrazione di A sarà maggiore in P' che non in P. Di conseguenza anche A diffonderà, ma da P' verso P; per mantenere costante la pressione nel sistema si dovrà anche avere che il numero di molecole di A che diffonde da P' a P è uguale al numero di molecole di B che diffonde da P a P'. Questo fatto spiega perché questa controdiffusione sia detta equimolecolare. D'altra parte in assenza della d. di A, in direzione opposta a quella di B, si avrebbe in P' un aumento del numero di molecole presenti per unità di volume e quindi un aumento della pressione, contrariamente all'ipotesi che il sistema sia isobaro. Naturalmente queste considerazioni valgono solo con le ipotesi fatte per la d. molecolare. La controdiffusione molecolare può anche non essere presente: si parla allora di d. semplice. Questo caso si verifica solo se si ha distruzione o scomparsa della specie diffondente. Ad esempio, sia il punto P prima detto all'interno di una massa gassosa e il punto P' all'interfaccia fra questa e un liquido che assorbe istantaneamente tutte le molecole di B che giungono in P'. In questo caso è facile dimostrare che non solo non si ha controdiffusione di A, ma che si ha un movimento di tutta la massa gassosa (alla scala macroscopica) nella direzione da P a P'. È da notare che anche in presenza di moto turbolento di fluidi si ha sempre una zona in moto laminare. In prossimità delle pareti su cui il fluido scorre si ha sempre uno strato, detto strato limite, nel quale la velocità del fluido è molto minore di quella macroscopica; al limite, in uno spessore molto sottile prossimo alla parete, la velocità è addirittura nulla. Lo strato limite è presente sia nel moto viscoso che nel moto turbolento; in questo secondo caso è però sempre molto sottile. Il coefficiente di d., o diffusività dei gas, è molto influenzato da temperatura e pressione, aumentando all'aumentare della prima e diminuendo all'aumentare della seconda (in quanto aumenta la densità delle molecole e quindi diminuisce il loro cammino libero medio). Inoltre, esso dipende anche dalla composizione della miscela, cioè non solo dalla specie diffondente ma anche dal mezzo in cui avviene la d. e dalla concentrazione della specie diffondente stessa. In prima approssimazione però si può assumerlo come indipendente dalle concentrazioni. Diamo qui una tabella nella quale sono riportati i coefficienti di d. di alcuni gas in altri gas (mezzo gassoso) in funzione della temperatura. La pressione considerata è sempre un'atmosfera; la diffusività è espressa in cm2/sec.

Gas diffondente Mezzo gassoso Temperatura (°C)
Diffusività
CO2
N2O
0
0,096
CO2
CO
0
0,139
CO2
N2
0
0,144


15
0,158


25
0,165
Ar
O2
20
0,200
H2
CH4
25
0,726

Come si vede si tratta di valori compresi approssimativamente fra 0,1 e 1 cm2/sec. Questi dati sono sperimentali. Sulla base di considerazioni teoriche è possibile anche predire con una certa approssimazione la diffusività di un gas in un altro. Se i due gas si possono considerare ideali si può utilizzare la seguente formula:

Dielettr22.png

nella quale: D = diffusività in cm2/sec, T = temperatura assoluta (in °K), M = peso molecolare del gas, p = pressione (in atm), s = diametro molecolare (in cm). Applicata ai gas reali questa formula dà risultati grossolani, come è intuitivo; ad esempio, in base a questa, la diffusività di un gas non dovrebbe dipendere dalla natura del gas in cui la d. avviene. Nel caso dei gas reali si utilizzano altre formule più complesse, aventi derivazione teorica, con introduzione di coefficienti correttivi sperimentali. Il caso dei liquidi presenta forti analogie con quello dei gas, onde ci limiteremo a mettere in evidenza solo le discrepanze. Anzitutto si deve ricordare che nei liquidi la densità è molto maggiore, onde le molecole sono molto più impaccate. Di conseguenza il libero cammino medio è molto minore, inferiore addirittura alle dimensioni molecolari, per cui più che a un moto rettilineo uniforme si può pensare a un'oscillazione attorno alla posizione ideale di riposo. Sono tuttavia possibili scambi di posizioni fra molecole e quindi anche spostamenti rilevanti per successivi scambi. Inoltre esistono delle interazioni fra le molecole che rendono difficili gli scambi. Secondo questo modello i valori di diffusività che si dovrebbero avere sono estremamente bassi. Secondo le teorie più moderne all'interno dei liquidi esistono numerosi posti vacanti, cioè vuoti della dimensione, grosso modo pari a quella di una molecola; questi permettono facili scambi di posizione e quindi aumentano la possibilità di d. Da una trattazione teorica si giunge alla seguente formula per la diffusività:

D = T·A·e-K/RT

nella quale T è la temperatura assoluta (in °K), R è la costante dei gas, e la base dei logaritmi naturali e K e A sono due costanti che vanno ricavate sperimentalmente. Questa formula può essere impiegata come prima approssimazione; generalmente si ricorre però a dati sperimentali e si usa la formula per estrapolarli ad esempio in funzione della temperatura. Si deve notare che, mentre di solito nei gas la diffusività di un gas A in un gas B è uguale a quella di B in A, nei liquidi è più frequente il caso opposto (cioè la diffusività di un liquido A in un liquido B è diversa da quella di B in A) ovvero si ha una dipendenza sensibile della diffusività dalla composizione. Le diffusività dei liquidi sono dell'ordine di 10-5 cm2/sec, e sono quindi pari grosso modo alla 100.000 parte di quelle dei gas. Riportiamo qui alcuni valori di diffusività di liquidi per alcune coppie comuni. I valori della tabella sono da moltiplicare per 105; oltre al componente liquido che diffonde (A) e a quello in cui avviene la d. (B), è riportata anche la temperatura di prova e la frazione molare (xA) del componente che diffonde. La frazione molare di un componente in una miscela liquida è data dal rapporto fra le moli di tale componente e le moli di un'unità di volume.

VALORI DI DIFFUSIVITÀ DI ALCUNI LIQUIDI
A UNA DETERMINATA TEMPERATURA DI PROVA
Liquido diffondente (A)
Mezzo liquido
(B)
Temperatura
(°C)
Frazione molare
(XA)
Diffusività (-105)
Etanolo





Acqua



Cloro-benzene










Acido cloridrico
Acqua





n-butanolo



Bromo-benzene










Acqua
25





30



10




40





0

10
0,05
0,275
0,5
0,70
0,95

0,13
0,36
0,524

0,033
0,264
0,51
0,76
0,965
0,033
0,264
0,51
0,76
0,965

0,036
0,167
0,045
0,167
1,13
0,41
0,90
1,40
2,20

1,24
0,56
0,267

1,00
1,07
1,15
1,23
1,30
1,58
1,69
1,80
1,90
2,00

1,8
2,7
2,5
3,3

Nel caso di elettroliti forti occorre notare che nei solventi ionizzanti come l'acqua si ha dissociazione in ioni e che le velocità di d. che si rilevano sono quelle degli ioni, i quali si muovono sempre più velocemente delle molecole indissociate. ║ D. turbolenta o vorticosa: si ha nei fluidi (liquidi o gas) in moto turbolento. In questo caso la d. è controllata essenzialmente dal veloce mescolamento dei filetti fluidi presentato dal moto: questi trasportano la specie diffondente da un punto all'altro del fluido. Dato che il moto dei vortici è molto veloce, la diffusività sarà molto maggiore che nel caso di una d. molecolare (che è pure presente, ma soverchiata da quella turbolenta). Naturalmente in questo caso non vale più la legge di Fick come prima è stata enunciata; si introduce però una descrizione matematica analoga con una diffusività turbolenta D'i della specie i in modo che si può ancora scrivere:

J'i = - D'i grad Ci

per esprimere il flusso di materia turbolento. Naturalmente la diffusività in questo moto differisce da quella sopra vista e le formule prima proposte non sono più valide. Il problema della descrizione del moto è infatti di per sé estremamente complesso; il calcolo della diffusività turbolenta diviene quindi quasi impossibile e ci si deve basare essenzialmente su dati sperimentali. Si è però già accennato che in prossimità delle pareti su cui un fluido scorre esiste sempre uno strato (limite viscoso), attraverso il quale la d. è forzatamente molecolare. Da un punto di vista pratico quello che più interessa è il calcolo dello scambio di materia fra due fluidi a contatto o fra un fluido e un solido. Questo scambio avviene per effetto di una differenza di concentrazione, vincendo delle resistenze, poste in serie, e in particolare la d. attraverso un primo mezzo, turbolento o no, la d. attraverso uno strato limite (sempre viscoso) e attraverso un secondo mezzo (turbolento o viscoso). In generale il processo è controllato dalla d. attraverso lo strato limite e quindi da una fase di d. molecolare. Questo fatto si può mettere in evidenza considerando lo scambio di massa fra fasi diverse. ║ Coefficienti di scambio di massa: si immagini che nelle pareti di un tubo, rivestite di acido benzoico, scorra un liquido, ad esempio acqua. L'acido benzoico è solubile in acqua, sia pure alquanto lentamente. Note le condizioni operative, si vuole calcolare quanto acido passa nell'acqua, ovvero la concentrazione dell'acido nel liquido uscente. Un altro tipico esempio è questo: si abbia un assorbitore del tipo a pareti bagnate e si voglia calcolare, note le condizioni operative, quale sia la concentrazione di una specie gassosa, solubile nel liquido, all'uscita dall'assorbitore. Entrambi i casi rappresentano la schematizzazione operata da alcuni studiosi (citiamo Sherwood, Gilliland, Linton, ecc.) di importanti problemi di dimensionamento di impianti chimici. Il flusso di materia si può esprimere in questo caso nel seguente modo:

J = k (C1 - C2)

ove k è il coefficiente di trasferimento di massa o di scambio di massa e C1 e C2 sono due concentrazioni della specie trasferita, scelte opportunamente. Questa formula generica può essere applicata in tutti i casi, se sia possibile determinare il coefficiente k. Consideriamo il caso della torre di assorbimento a pareti bagnate; il gas sia aria con un certo tenore di anidride carbonica (gas assorbito) e il liquido sia acqua. Consideriamo una zona in cui avviene il passaggio di materia (anidride carbonica) dal gas al liquido. Si può pensare che appena una molecola di CO2 giunge a contatto con il liquido essa è immediatamente assorbita in questo. Le concentrazioni di CO2 saranno C1 all'interno del gas, lontano dalla parete, C1p nel gas alla parete di separazione gas-liquido, C2p nel liquido alla parete e C2 nel liquido lontano da questa. Per trasferirsi dalla massa gassosa a quella liquida la CO2 deve trasferirsi prima in questa fino alla parete e poi deve trasferirsi all'interno del liquido dalla parete alla massa. Si hanno quindi due scambi successivi, regolati dalle leggi:

J = kg (C1C1p) (nel gas)
J = ki (C2C2p) (nel liquido)

avendo indicato con kg e k1 i coefficienti di scambio di massa nel gas e nel liquido, rispettivamente, che sono fra loro diversi. Questi coefficienti sono però difficili da usare: anche le formule ora scritte presentano lo stesso difetto in quanto C1p e C2p non sono misurabili semplicemente ma richiedono l'estrapolazione di misure molto accurate. Si preferisce quindi usare una formula del tipo:

J= K (C1 - C2)

nella quale K è il coefficiente di scambio globale di materia, e può essere correlato ai precedenti con la formula:

Dielettr23.png

La determinazione di K è essenzialmente sperimentale. Il lavoro di diversi sperimentatori ha però permesso di stabilire una formula empirica per prevedere questo coefficiente nei casi in cui manchino dati sperimentali. Questa relazione, valida per situazioni come quelle citate (flusso di acqua in un tubo con pareti rivestite di acido benzoico, flusso di gas in una torre a pareti bagnate) è la seguente:

Dielettr24.png

In questa: d = diametro del tubo in cui avviene il flusso, D = diffusività, Re = numero di Reynolds, Sc = numero di Schmidt; questi ultimi sono due numeri caratteristici. ║ D. termica: si designa con questo nome un fenomeno di d., presente sia nei liquidi che nei gas, previsto teoricamente e verificato sperimentalmente, legato a un flusso di calore. Questo fenomeno fu scoperto nel 1856 da Ludwig e dimostrato più chiaramente da Soret nel 1879, per cui è noto anche sotto il nome di effetto Soret. Esso può essere evidenziato abbastanza facilmente nei casi di certe soluzioni. Si consideri una massa liquida posta in un recipiente: sul fondo di questo si ponga una piastra termostata ad una temperatura T1; sulla superficie superiore del liquido si ponga una seconda piastra analoga, termostata a una temperatura T2 maggiore di T1, in modo da evitare fenomeni convettivi. In tal modo, dopo un certo tempo il liquido a contatto con la piastra inferiore si troverà pure a temperatura T1 e quello a contatto con quella superiore sarà a temperatura T2, mentre nella massa liquida si avrà un gradiente di temperatura stabile. Se il liquido è puro, questo gradiente provoca solo un flusso di calore. Se, invece, si tratta di una soluzione, il flusso di calore è accompagnato anche da un flusso di materia per cui la soluzione (inizialmente omogenea) presenta dopo un certo tempo una maggior concentrazione di soluto presso la piastra superiore o presso quella inferiore, secondo il tipo di solvente e di soluto e anche in funzione della concentrazione di soluto. Questo fenomeno non ha trovato finora una soddisfacente spiegazione teorica; è però oggetto di molti studi sia per le possibili applicazioni pratiche (separazione di miscele isotopiche, ecc.) sia per il fatto che la sua spiegazione costituirebbe un notevole passo avanti nella comprensione della struttura dei liquidi. ║ D. nei solidi: la d., cioè il trasferimento di materia per effetto di spostamenti di specie chimiche, avviene anche nei solidi, sia pure molto più lentamente che nei liquidi o nei gas. In questo caso si usa distinguere l'autodiffusione, cioè la d. di una specie in un mezzo costituito dalla stessa specie diffondente e l'interdiffusione, cioè la d. di una specie in un mezzo costituito da specie diverse. Ad esempio, l'autodiffusione si ha in tutti i metalli a temperature abbastanza elevate: un certo atomo di un metallo puro che si trova in un istante in un certo punto può trovarsi dopo un certo tempo in un altro punto. L'interdiffusione si può avere ad esempio in questo caso: si pongano a contatto due pezzi di metallo, uno di indio ed uno di piombo e si scaldino a temperatura inferiore a quella di fusione. Dopo un certo tempo se si separano e analizzano i due pezzi si può vedere che nell'indio si ha un po' di piombo e viceversa. Mentre il rilievo dell'interdiffusione è abbastanza semplice, in quanto può essere fatto anche solo con analisi chimiche, l'autodiffusione può essere evidenziata solo con mezzi più complessi, quali l'analisi a mezzo di traccianti radioattivi. Ad esempio, si può evidenziare lo spostamento di atomi all'interno di un filo di molibdeno irradiando una piccola parte di questo (e generando quindi in esso degli isotopi radioattivi) e poi osservando come la radioattività si propaghi anche fuori dalla zona irradiata. Il problema della d. nei solidi è di grande importanza pratica, soprattutto in metallurgia, ma è alquanto complesso per l'intervento di molti fenomeni. In un monocristallo perfetto, cioè privo di vacanze e dislocazioni, la d. non avrebbe luogo al di sotto del punto di fusione. In un solido reale, anche monocristallino, si hanno sempre delle vacanze (cioè dei posti reticolari vuoti) e delle dislocazioni che rendono possibile lo spostamento di atomi nel reticolo cristallino da un posto all'altro, anche su scala macroscopica, per effetto di successivi spostamenti alla scala atomica. Questo effetto in alcuni casi può essere esaltato con interventi esterni. Ad esempio, l'applicazione di un campo elettrico a un cristallo di cloruro di argento provoca già a 500 °C una notevole migrazione di ioni argento e di ioni cloro in direzioni opposte. All'interno di un monocristallo la d. avviene con meccanismo e quindi con leggi abbastanza simili a quelle dei liquidi. Si parla in questo caso di d. non sensibile alla struttura. Nei materiali policristallini si ha invece un forte influsso del bordo del grano e quindi si ha quasi sempre una d. sensibile alla struttura. Molti elementi aventi un piccolo raggio atomico possono collocarsi nel reticolo cristallino in posizione interstiziale. In questo caso la migrazione può avvenire con spostamento da una posizione interstiziale all'altra, ed è più veloce che negli altri casi. In condizioni simili si trova ad esempio il carbonio negli acciai, l'azoto, il boro, ecc. Le diffusività D nei solidi sono molto diverse secondo i casi e vanno dall'ordine di 10-7 all'ordine di 10-30 cm2/sec per temperature non inferiori a quella ambiente. L'influenza della temperatura è fortissima: la diffusività D si raddoppia per ogni aumento di questa di circa 10 °C essendo legata alla temperatura dalla seguente legge esponenziale:

D = D0 . e-E/RT

nella quale T è la temperatura assoluta, R la costante dei gas, E un'energia di attivazione e D0 una costante avente le dimensioni di una diffusività. Con questa legge si possono estrapolare in funzione della temperatura i dati di diffusività ricavati sperimentalmente, con buoni risultati. Diamo qui in una tabella alcune diffusività di elementi in mezzi solidi, in funzione delle temperature: le diffusività sono in cm/sec.

DIFFUSIVITÀ DI ALCUNI ELEMENTI IN MEZZI SOLIDI
IN FUNZIONE DELLE TEMPERATURE
Elemento diffondente
Mezzo solido
Temperatura
(°C)
Diffusività
(cm2/sec)
Elio
.
Idrogeno
.
Bismuto
Mercurio
Cadmio
Antimonio
Alluminio
Silice
.
Nichel
.
Piombo
Piombo
Rame
Argento
Rame
20
500
85
165
20
20
20
20
20
3 · 10-10
1,5 · 10-8
1,16 · 10–8
10,5 · 10-8
1,1 · 10-16
2,5 · 10-15
2,7 · 10-15
3,5 · 10-21
1,3 · 10-30

Questi valori sperimentali sono di grande interesse in metallurgia in quanto controllano i fenomeni di cristallizzazione, tempra, cementazione, nitrurazione, precipitazione di carburi, indurimento per precipitazione, e così via. ║ D. attraverso membrane: in molti casi è necessario conoscere quale può essere il flusso di massa attraverso una membrana solida, sotto l'effetto di una differenza di concentrazione o di pressione di una specie. Un esempio tipico è costituito dalla gomma (camera d'aria e copertone) di un'automobile o altro automezzo. È noto che una gomma è sempre gonfiata a una pressione relativa (cioè rispetto alla pressione esterna considerata come livello zero) che va da 0,5 a 7 atmosfere, i valori più bassi essendo usati su macchine operatrici quali trattori agricoli e i più elevati, ad esempio, sulle ruote dei carrelli di aerei. È intuitivo che in questo caso si ha una tendenza dell'aria contenuta nel pneumatico a fuoriuscire, ovvero il pneumatico tende a sgonfiarsi. Lo stesso fenomeno si può verificare nel caso di palloni aerostatici, condotte di gas in pressione e così via. Un altro caso degno di considerazione è il seguente: i film di materia plastica usati per coprire serre devono essere dotati di una certa permeabilità all'ossigeno e al vapore acqueo, onde evitare eccessiva condensazione di umidità e scarsa ossigenazione dell'interno. In tutti questi casi ed in molti altri ancora è necessario conoscere quanto può essere la d. attraverso queste pareti solide, che di solito sono indicate come membrane. Più che di diffusività si parla però di permeabilità, indicata col simbolo P. La permeabilità attraverso una membrana è definita dalla seguente formula:

Dielettr25.png

nella quale: V = volume di gas che attraversa la membrana per unità di tempo e di area, ridotto in condizioni standard (per esempio 0 °C e 1 atmosfera), dp/dz = gradiente di pressione nel senso considerato per la d. Naturalmente la permeabilità è diversa da una specie all'altra; la formula sopra menzionata deve essere applicata tante volte quante sono le specie in questione, mettendo volta per volta il gradiente della pressione parziale della specie considerata. Anche in questo caso i dati di diffusività su cui ci si può basare sono essenzialmente sperimentali. Riportiamo qui i valori di diffusività (alla quale la permeabilità è legata da una facile relazione) per alcuni gas attraverso membrane di gomma vulcanizzata, a 25 °C.

Specie
diffondente
Diffusività (cm2/sec)
Idrogeno
0,85·10-5
Ossigeno
0,21·10-5
Azoto
0,15·10-5
Anidride carbonica
0,11·10-5

Si deve tener presente che, anche in questo caso, la diffusività aumenta fortemente con la temperatura. Per esempio, la diffusività dell'azoto attraverso una membrana è 0,019·10-5 cm2/sec a 27 °C e sale a 0,450·10-5 cm2/sec a 84 °C. ║ D. in solidi porosi: si immagini un solido poroso, quale un muro di cemento, un certo terreno o un granello di catalizzatore di un impianto chimico. In questo caso è evidente che le condizioni ricordate per la d. nei solidi non sono più valide. D'altra parte questo problema è molto importante soprattutto nell'industria chimica, dove i catalizzatori porosi sono assai diffusi. In questa applicazione le specie chimiche reagenti devono penetrare all'interno del catalizzatore, reagire e uscirne; in generale, rispetto ai tempi di reazione, i tempi di d. sono molto più lunghi, onde il problema si riduce essenzialmente a un caso di d. Fino ad oggi il calcolo degli impianti chimici si è sempre basato su dati sperimentali; non mancano tuttavia le impostazioni teoriche, che conducono a problemi di notevole complessità matematica la cui soluzione, a mezzo di calcolatori elettronici, porta sovente a risultati in buon accordo con i dati sperimentali.