(o
diàtriba) (dal greco
diatribé: impiego del tempo). Disputa concitata. ║
Nell'antichità classica il termine indicava una dissertazione, una
conversazione di argomento filosofico tenuta fuori dalle scuole e rivolta ad
uditori non specialistici. Tale pratica ebbe inizio con Socrate, la cui ricerca
in campo morale acuiva il bisogno della diffusione presso un pubblico di non
esperti e della ricerca condotta in comune mediante una pratica dianoetica e
maieutica. Il motivo intellettualistico della
d. fu ripreso in parte
anche da Platone e Aristotele, benché in forme assi più elitarie.
Fu con Diogene, i cinici e gli stoici che la
d. sviluppò la
propria natura "democratica", assumendo comunque un taglio più letterario
e meno improvvisato, e caratterizzandosi per i toni taglienti, satirici e
polemici. Come genere letterario la
d. è legata ai nomi di Bione
di Boristene e Telete, entrambi attivi nel III sec. a.C. In ambito latino la
d. fu utilizzata episodicamente da Cicerone, per esempio nei
Paradoxa, ma ebbe particolare rilievo nelle satire di Orazio, Persio e
Giovenale. Tuttavia andò perdendo il proprio carattere arguto e popolare
per rientrare con Seneca in ambito più strettamente filosofico; con
Arriano, Luciano e poi con gli apologeti cristiani si ridusse a genere
erudito.