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Dewey, John.

Filosofo e pedagogista statunitense. Docente alla Columbia University di New York, è considerato il maggiore filosofo americano e uno dei maggiori pedagogisti contemporanei. Formatosi all'università del Vermont e alla John Hopkins University di Baltimora, fu allievo di Morris, del cui influsso risentì profondamente. Professore universitario, viaggiò in Cina, Giappone, Unione Sovietica. Dopo aver lasciato l'insegnamento universitario, si dedicò alla politica nel tentativo di organizzare un terzo partito, di tendenza progressista. La sua filosofia, fortemente influenzata dall'hegelismo oltre che dal behaviourismo, ha vari punti di contatto con quella di W. James. Tuttavia, allontanatosi dall'hegelismo, D. elaborò un indirizzo di pensiero originale e autonomo al quale lui stesso diede il nome di "strumentalismo". Nel tentativo di giungere a una conciliazione tra pragmatismo e illuminismo, D. arrivò a una ridefinizione del termine e della concezione tradizionali di esperienza. Al contrario di quanto sembra risultare nelle teorie dell'empirismo classico, la realtà non è semplice ed evidente, ma instabile, incerta e in molti casi incomprensibile. L'esperienza si configura quindi come chiarificazione; il pensiero, per quanto strumentalizzato, conserva una propria autonomia che giustifica la ricerca disinteressata, unica garanzia di una possibile comprensione della realtà. Nel rifiuto della posizione idealistica, che fa del pensiero il creatore della realtà, e della posizione empiristica, che considera l'intelletto dell'uomo un semplice rispecchiamento di una realtà già data, D. affermò il formarsi parallelo di realtà e pensiero. L'atteggiamento della ricerca è quindi fondamentale nel pensiero di D. e si configura come unica possibilità di trasformare una realtà da indefinita e incerta a perfettamente chiara nei suoi elementi costitutivi e nelle sue relazioni. Al di là di ogni semplificazione teoretica dell'empirismo anglosassone, e ben oltre il concetto di pura coscienza, quale la vorrebbe l'idealismo, o di contenuto oggettivo particolare, secondo lo schema positivistico, l'esperienza come metodo di ricerca sostituisce alla passività della contemplazione l'esperimento. La logica non è scienza astratta del pensiero, ma un metodo che consente di passare da un oggetto conosciuto a uno che non lo è ancora, giacché la ragione non è un'attività contemplativa, ma una forza attiva per trasformare la natura e porla al servizio dell'uomo. Solo un rapporto di integrazione tra mezzi e fini della ricerca può garantirne il corretto procedimento; in tale integrazione risiede il significato della razionalità, che si esplica nella scelta di finalità adeguate e corrispondenti ai mezzi a disposizione. La razionalità non è dunque una proprietà a priori e preesistente, ma si determina nel concreto dell'esperienza e della ricerca. Le diverse facoltà dell'uomo risultano funzioni di tale razionalità. Sia la scienza propriamente detta che la quotidianità partecipano a questo carattere sperimentale, anche se nella vita comune l'esperienza procede con metodi meno rigorosi e si esprime in linguaggi più semplificati. Determinate condizioni economiche e sociali, così come l'autoritarismo o il dogmatismo in campo strettamente culturale e filosofico, possono impedire il pieno realizzarsi della ricerca e dell'esperienza. ║ Nella concezione di D. esiste un rapporto di stretto legame tra individuo e società; la filosofia ha quindi anche un compito pratico e pedagogico, poiché non deve rimanere pura conoscenza, ma deve diventare strumento di miglioramento e di progresso. Nessuna azione infatti è, secondo D., socialmente irrilevante; il miglioramento della società può essere conseguenza solo di una riorganizzazione economica e sociale, alla quale si può giungere mediante un'intensa opera di educazione. D. fu infatti uno dei maggiori sostenitori della scuola attiva, finalizzata alla formazione di individui capaci di adattarsi alle mutevoli condizioni di vita e dotati di capacità critica; uno dei primi esperimenti di scuola attiva fu attuato dallo stesso D. che nel 1896 fondò presso l'università di Chicago una scuola-laboratorio. Essa è fondata sulla teoria dell'interesse: l'individuo va infatti educato assecondando gli interessi che egli mostra e favorendone lo sviluppo, senza che l'educatore o l'insegnante esercitino alcuna azione autoritaria. Il concetto di interesse è però intimamente legato a quello di sforzo, poiché lo sviluppo degli interessi di un individuo deve avere una profonda giustificazione psicologica, diventando processo di maturazione e di liberazione da tutto ciò che è solo formale, esteriore, stereotipato. Tale processo educativo, secondo D., non deve essere previsto solo dall'istituzione scolastica, ma deve continuare anche all'interno della famiglia: nella pedagogia deweyana è prevista infatti una coerente continuità tra scuola e famiglia. Le teorie pedagogiche di D. possono essere attuate solo in una democrazia, poiché la divisione classista delle moderne società, che divide classi egemoni e classi lavoratrici, impedisce l'attuarsi di un corretto processo educativo escludendo l'interesse di molti individui ai processi produttivi e al progresso della società. In Italia le teorie di D. furono diffuse soprattutto per opera di L. Borghi e G. Lombardo Radice. Tra le sue opere ricordiamo: My Pedagogical Creed (1887), School and society (1899), Studies in Logical Theory (1901), Essays in Experimental Logic (1916), Reconstruction in Philosophy (1920), Human Nature and Conduct (1922), Experience and Nature (1925), Art as Experience (1934), Logic. The Theory of Inquiry (1938), Democracy and Education (1910), The Sources of a Science of Education (1929) (Burlington, Vermont 1859 - New York 1952).