Oratore e uomo politico ateniese. Rimasto orfano a
sette anni, fu affidato a tre tutori, suoi parenti, che ne amministrarono anche
il patrimonio. A diciotto anni scoprì che la sua eredità era stata
dilapidata dai suoi tutori e decise di chiamarli in giudizio. Sotto la guida del
retore Iseo (V.), si preparò a sostenere la
causa contro Afobo, che poi vinse, pur riuscendo ad ottenere solo una piccola
parte del suo patrimonio. Tuttavia le cinque orazioni pronunciate in
quest'occasione, di cui restano le tre
Contro Afobo, rivelarono a
D. le sue stesse capacità e gli permisero di intraprendere la
professione di logografo. Tuttavia non mancò di applicarsi allo studio
degli altri retori e oratori, alla lettura di Tucidide e degli storici e ad
esercizi di dizione che ne migliorassero la pronuncia blesa (per la quale aveva
già ricevuto il soprannome di
bátalos: balbuziente). A
questi anni risalgono 33 discorsi su cause civili, scritti per conto di terzi e
attribuiti a
D.: una metà di essi, attualmente, è ritenuta
spuria o almeno di dubbia paternità. Ricordiamo le orazioni
Per
Formione e
Contro Conone. A partire dal 355 a.C., la sua fama
crescente gli procurò la commissione di discorsi riguardanti cause
pubbliche, tra i quali ricordiamo: l'orazione
Contro Androzione, in
opposizione ad onorificenze per i membri della
bulé a scapito
degli investimenti per la flotta, e
Contro Timocrate, per un caso di
appropriazione indebita. La prima orazione politica scritta e pronunciata dallo
stesso
D. è quella
Contro Leptine (354 a.C.), riguardante
ancora problemi di finanza pubblica. Del medesimo anno è il discorso
Sulle Simmorie, un sistema di tassazione organizzato in modo non
proporzionale alla ricchezza, che
D. contestò con successo
proponendone una riforma. Nell'occasione l'oratore espresse anche la sua
opposizione a una guerra contro la Persia, perorata in quel momento da alcuni
politici. Da allora in poi
D. non si sottrasse ai problemi di politica
estera e militare, come dimostrano le orazioni del 352 a.C.:
Per i
Megalopolitani, in cui sostenne un'alleanza in difesa di Megalopoli contro
le mire espansionistiche di Sparta in Arcadia, e
Per la libertà dei
Rodii, in favore di un sostegno all'isola di Rodi contro la Persia. In
quegli anni l'influenza politica di
D. andò accentuandosi, fino a
portarlo alla testa del Partito antimacedone in difesa delle tradizioni e della
libertà di Atene. Filippo il Macedone aveva esteso la sua signoria dalla
Macedonia fino alla Tessaglia e alle coste settentrionali del Mar Egeo,
arrivando a minacciare la "via del grano" che permetteva l'approvvigionamento di
Atene. Per questi motivi
D. pronunciò la prima orazione contro
Filippo detta
Prima Filippica (351 a.C.): in essa perorava l'istituzione
di un esercito permanente non mercenario che fosse sempre in grado di
contrastare i movimenti di Filippo. Ma l'imminenza del pericolo
affievolì, di modo che nulla si fece in proposito. Tuttavia l'oratore
tornò su questi argomenti, in particolare nelle tre orazioni dette
Olintiche e lette fra il 349 e il 348 a.C. In esse premeva per un deciso
soccorso alla città calcidica di Olinto, assediata da Filippo. Caduta
Olinto, cui gli aiuti ateniesi giunsero troppo tardi, Atene trattò la
pace col Macedone: la delegazione comprendeva anche
D. Il suo punto di
vista fu espresso dall'orazione
Per la pace (346 a.C.), con cui
D.
diventò di fatto, politicamente e culturalmente, la figura centrale della
resistenza antimacedone. Quando Filippo ricominciò a interferire in
Grecia alleandosi con alcune città del Peloponneso,
D.
guidò un'ambasceria per mettere in guardia le
polis rispetto alle
intenzioni macedoni. Filippo protestò e
D. rispose con la
Seconda Filippica (344 a.C.), in cui metteva a nudo le mire
espansionistiche del sovrano. Le mosse imperialistiche di Filippo confermarono i
timori dell'oratore: in sua mano erano ormai la Tracia, le Termopili e la Focide
ed egli cercava di impadronirsi anche del Chersoneso e delle locali colonie
ateniesi. Nel discorso
Sul Chersoneso e, poi, nella
Terza
Filippica, entrambe del 341 a.C.,
D. cercò di mostrare come
Filippo agisse contro Atene e come fosse dunque necessario considerarsi in
guerra contro di lui. La
Quarta Filippica, se autentica, fu pronunciata
subito dopo. Quando il Macedone raggiunse Bisanzio, fonte
dell'approvvigionamento ateniese, la guerra fu dichiarata e
D., con altri
due strateghi, fu a capo della città con poteri speciali. Egli strinse
un'alleanza con i Tebani e affrontò Filippo a Cheronea nel 338 a.C.:
Atene fu sconfitta e
D. pronunciò un'orazione (che però non
ci è giunta). Anche dopo questi fatti
D. rimase capo stimato del
Partito antimacedone, tanto che un cittadino, Ctesifonte, propose con successo
di onorarlo con la consegna di una corona aurea alle Grandi Dionisiache. Nel 336
a.C., dopo la morte di Filippo, Eschine, nemico politico di
D. e capo del
Partito filomacedone cittadino, intentò una causa di illegalità
per questa onorificenza contro Ctesifonte, il cui vero destinatario era
però
D. stesso. Nell'orazione
Per la corona, considerata il
capolavoro suo e dell'oratoria attica in generale,
D. svolse una difesa
dettagliata della sua politica, sostenendone la conformità con la
tradizione ideale di Atene. Per contro portò un violento attacco a
Eschine, accusandolo di essere stato o corrotto da Filippo o miope sulle
intenzioni di quest'ultimo: Eschine fu condannato ad una multa e, non potendola
pagare, costretto a lasciare Atene. Tuttavia la figura dell'oratore fu offuscata
da un'accusa di corruzione mossagli nel 324 a.C., in relazione all'ammanco di
una parte del denaro sequestrato ad Arpalo, un satrapo persiano rifugiatosi in
città e poi fuggito.
D. fu condannato ad un'ammenda di 50 talenti
e, non avendo la possibilità di pagarli, riparò a Egina. Alla
morte di Alessandro (323 a.C.) fu richiamato in patria, dove rilanciò la
lotta antimacedone dando vita a una alleanza di città greche, ben presto
sconfitte da Antipatro, successore di Alessandro. Il vincitore pretese la
consegna dei capi del Partito antimacedone:
D. fuggì nell'isola di
Calauria, ma, raggiunto dai sicari fin nel tempio di Poseidone, si
avvelenò. In tutto sono giunti a noi 61 orazioni e 6 lettere attribuite a
D., anche se una parte consistente è ormai considerata spuria.
è indicato come il più grande oratore attico, grazie alla sua
eloquenza solenne e concreta. L'espressione ricercata, la sintassi complessa,
spesso costruita con inversioni e iperbati, non sono mai fini a se stesse ma
ordinate alla persuasione dell'uditorio. Conduce a ciò anche la logica
stringente delle argomentazioni, spesso complicate ma sempre dominate con
sicurezza fino a raggiungere lo scopo. La lingua di
D. è l'attico
puro, colorito da metafore, poco numerose ma di grande suggestione, e da una
sapiente alternanza di registri linguistici e tonali (collera, ironia, sarcasmo,
invettiva, commozione), mentre a frasi lunghe e complesse seguono affermazioni
concise e taglienti. Anche l'oratoria romana considerò esemplare l'opera
di
D.: Cicerone e Quintiliano si ispirarono a lui esplicitamente (Atene
384 a.C. - Calauria 322 a.C.).
LE OPERE DI
DEMOSTENE
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355-354 355 354 353 352 352 352 351 351-350 349-348 348-346 346 344 343 341 341 330
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Contro
Leptine Contro
Androzione Intorno alle
Simmorie Per i
Megalopolitani Per
Formione Contro
Timocrate Contro
Aristocrate Per la libertà dei
Rodii Prima
Filippica Tre
Olintiache Contro Mida per la
percossa Per la
pace Seconda
Filippica Per la falsa
ambasceria Sugli avvenimenti del
Chersoneso Terza
Filippica In favore di Ctesifonte per la
corona
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