Partito politico statunitense. Fondato intorno al
1792 da Thomas Jefferson con il nome di
repubblicano e poi
democratico-repubblicano, si costituì come movimento politico che
aggregava e organizzava i gruppi di opinione e di opposizione all'azione
accentratrice del Governo federale, sulla base della convinzione che la politica
del rivale partito federalista mirasse in realtà all'instaurazione di una
Monarchia. I sostenitori di Jefferson si erano già distinti nella
radicale opposizione alla politica finanziaria di Hamilton e dei federalisti,
contrastando in particolar modo la creazione di una Banca centrale e le misure
di consolidamento del debito pubblico. Nel 1796 i democratico-repubblicani
sostennero senza successo la candidatura di J. Adams alla presidenza contro
quella di Hamilton e solo alle elezioni del 1800, favoriti anche
dall'impopolarità di alcune misure illiberali adottate dal precedente
Governo, riuscirono a conquistare la presidenza con Jefferson e la maggioranza
dei seggi alla Camera e al Senato. La base sociale del partito era costituita
dai piccoli e medi coltivatori degli Stati del Sud e dai
farmers
dell'Ovest, stretti in una alleanza contro l'oligarchia finanziaria e
commerciale degli Stati nord-orientali. I primi tre presidenti repubblicani
furono: Jefferson (1801-09), Madison (1809-17) e Monroe (1817-25), che
condussero la loro azione politica nel tentativo di limitare l'ingerenza del
Governo centrale negli affari del Paese, pur garantendo nel medesimo tempo la
stabilità dell'unione fra i vari Stati. Tuttavia, soprattutto con Monroe,
si ridusse la differenza con la precedente gestione del potere federale che,
anzi, accentuò la sua presenza anche nei giovani Stati dell'Ovest. Per
questo motivo, all'interno della formazione democratico-repubblicana, si
formarono due correnti: una più marcatamente democratica, in riferimento
alle persone di Jackson (V. JACKSON, ANDREW) e
Calhoun, e una conservatrice, intorno a Adam e Clay. Dalla prima nacque nel 1828
il vero e proprio
p.d.; dalla seconda, nel 1832, quello Whig
conservatore. Nel 1828 Jackson riuscì a conquistare la presidenza e la
mantenne per due mandati (per la prima volta della durata di quattro anni contro
gli otto dei precedenti), sostituito poi dal compagno di partito Van Buren: in
questo periodo il suo indirizzo politico si caratterizzò nettamente come
democratico e radicale, tuttavia non mancarono decisioni non bene accolte dalla
base elettorale o almeno da una parte di essa. L'opposizione di Jackson alla
politica delle basse tariffe, per esempio, danneggiò molti fra i
piantatori, mentre la soppressione della Banca Federale causò una crisi
che colpì molti
farmers elettori democratici. Battuto da Harrison
nel 1840, il
p.d. si prese la rivincita nel 1844 ottenendo la presidenza
per J.K. Polk. Successivamente i presidenti democratici Pierce e Buchanan
contribuirono a spingere il Paese verso la guerra civile, all'inizio della quale
il partito subì una pesante frattura tra l'area sudista e quella nordista
guidata da A.S. Douglas: queste divisioni interne resero facile ai repubblicani
la vittoria alle presidenziali con A. Lincoln. Alla fine della guerra civile,
l'atteggiamento ambiguo tenuto dal
p.d. rispetto ai pericoli di
secessione e al problema della schiavitù costò vent'anni di
esclusione dalla presidenza. Solo nel 1885 i democratici riuscirono a tornare
alla presidenza con Cleveland, che tentò vanamente di impostare una
politica che limitasse l'eccessivo potere della forte oligarchia industriale. I
suoi tentativi furono però fortemente combattuti dalla plutocrazia
statunitense, che riuscì in seguito a impedire al
p.d. di
esprimere un suo presidente fino al 1912, anno dell'elezione di Woodrow Wilson.
L'ascesa di quest'ultimo comportò un rilancio della presenza governativa
nella vita economica e sociale del Paese, che sotto le presidenze repubblicane
era stata invece improntata a un accentuato liberismo ed isolazionismo. I
democratici approvarono infatti, anche grazie al fatto di costituire la
maggioranza congressuale, importanti riforme quali l'imposta federale sul
reddito, l'elezione del Senato a suffragio universale, il diritto di voto per le
donne. Nel 1917 Wilson portò gli Stati Uniti all'intervento nella prima
guerra mondiale. Alla fine del conflitto gli Americani preferirono ai programmi
di Wilson l'isolazionismo repubblicano e la sua politica di sviluppo economico
senza ingerenze da parte dello Stato. Il
p.d. ritornò alla
presidenza solo nel 1932. Il repubblicano Hoover, infatti, sorpreso dalla grande
crisi economica del 1929, non fu in grado di porvi rimedio; spettò al
democratico F.D. Roosevelt, con il suo
new deal, il compito di riportare
ordine nell'economia americana con una vigorosa politica di investimenti
pubblici, con l'imposizione di una mediazione dello Stato in materia economica e
sociale e di misure che favorissero l'occupazione, oltre che con la cessazione
dell'isolazionismo. Rieletto alla presidenza per quattro volte consecutive,
Roosevelt condusse gli Americani in guerra nel 1941. Nell'aprile del 1945
Roosevelt morì e gli successe alla presidenza Harry Truman poi rieletto,
a dispetto della maggioranza congressuale conservatrice, nel 1948. Nel 1952 e
nel 1956 il candidato democratico Adlai Stevenson fu battuto dal prestigio del
generale Eisenhower. Nel 1960 i democratici tornarono alla vittoria con J.F.
Kennedy che, da una parte, diede impulso a una politica interna di riforme
(legislazione previdenziale, stato sociale, diritti civili della popolazione di
colore), dall'altra condusse una politica estera caratterizzata da un grande
impegno statunitense sulla scena internazionale (negoziati con l'URSS, crisi di
Cuba, intervento americano in Vietnam). A Kennedy, ucciso a Dallas nel 1963,
successe il vicepresidente L.B. Johnson, rieletto anche per il mandato
successivo. Il suo programma per una "grande società" si infranse contro
le opposizioni suscitate nel Paese dalla guerra in Vietnam e, nel 1968, Johnson
decise di non ripresentarsi alle elezioni. Il candidato democratico H.H.
Humphrey, prescelto all'indomani dell'assassinio del senatore R.F. Kennedy, fu
sconfitto alle elezioni del 1968 dal repubblicano R. Nixon. Il primo democratico
destinato al successo politico negli anni Settanta fu Jimmy Carter, nelle prime
elezioni dopo lo scandalo Watergate (V. WATERGATE,
SCANDALO) del luglio 1976: si presentò con una piattaforma
politica che contemplava una serie di misure antinflazionistiche, una riforma
delle tasse, una nuova politica energetica e la piena osservanza delle leggi. Il
successo delle presidenziali si reiterò anche nelle elezioni del
Congresso e dei governatori. Queste condizioni favorevoli non furono però
sufficienti a Carter per condurre una politica veramente innovativa, tanto che
le elezioni presidenziali del 1980 ne decretarono la sconfitta in favore del
candidato repubblicano R. Reagan; anche le suppletive per la Camera e il Senato
comportarono la perdita della maggioranza per i democratici. Nel 1984 il
candidato del
p.d. F. Mondale perse le presidenziali, che confermarono
Reagan, anche se nel 1986 la maggioranza, sia al Senato che alla Camera,
tornò democratica. Nel 1988 il candidato presidenziale Dukakis,
nonostante le sue aperture verso una politica liberista, fu sconfitto dal
repubblicano Bush che, nel corso del suo mandato, guadagnò tali consensi
grazie all'intervento nella guerra del Golfo (1991), da far presagire una nuova
affermazione del Partito repubblicano alle consultazioni elettorali del 1992. Il
sopraggiungere di una pesante recessione negli anni 1990-92, tuttavia,
minò la fiducia dell'opinione pubblica nell'amministrazione Bush e
favorì la vittoria, nel 1992, del candidato democratico Bill Clinton con
il 43% dei suffragi. Questa affermazione fu resa possibile dalla riconquista, da
parte democratica, dei tradizionali "bastioni" dell'elettorato democratico (il
quadrilatero industriale formato da Baltimora, Saint Louis, Milwaukee,
Portland).
James Earl Carter