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Democrazìa cristiana.

Vasto movimento, religioso e sociale, di matrice cristiana, sviluppatosi nella seconda metà del XIX sec. nelle principali Nazioni europee con l'appoggio della Santa Sede e il supporto teorico delle dottrine democratiche e sociali cattoliche. Di speciale importanza per l'evoluzione della d.c. fu l'enciclica Rerum Novarum, emanata nel 1891 da Leone XIII. Fin dalla sua nascita questo movimento sovranazionale si pose come alternativa rispetto alle teorie del capitalismo dello Stato liberale e del collettivismo marxista, proponendo il modello di una società cristiana, corporativa e interclassista. Nei singoli Paesi, intorno alla metà del XIX sec., gruppi di cattolici, sia laici sia consacrati, si impegnarono in opere di solidarietà, di difesa dei ceti più deboli, acquisendo via via connotazione, fisionomia e natura politica. Non fu dunque un caso che da queste esperienze nascessero, verso la fine del XIX sec., i partiti cristiano-sociali europei: in Germania il Centro cattolico, in Austria il Partito cristiano sociale, in Italia il Partito Popolare, in Francia il Partito popolare democratico. In Italia, nel 1874 si era costituita l'Opera dei Congressi (V. anche AZIONE CATTOLICA) che raccoglieva le varie organizzazioni cattoliche le quali, a partire dall'apostolato vero e proprio, spaziavano poi nel campo della cooperazione, dell'assistenza mutualistica e creditizia. Fra le sezioni di questo ente si contava anche quella riferita all'"azione popolare cristiana o democrazia cristiana". In Italia il primo teorico del movimento sociale cristiano fu Giuseppe Toniolo, cui appunto si deve l'introduzione nel nostro Paese del termine d.c. Dopo l'emanazione della Rerum Novarum di Leone XIII e durante il pontificato di Pio X, nelle file dei cristiano-sociali si delineò e si consumò il conflitto, teorico e pratico, relativo alla necessità di estendere o meno l'azione sociale e caritativa verso implicazioni di tipo politico. Rispetto all'indirizzo "riformista", che vedeva in prospettiva la nascita di un partito politico, ebbero il sopravvento i cristiano-moderati, favorevoli sì alla partecipazione politica dei cattolici, utilizzando però, e in un certo modo uniformandosi, le forze politiche dello Stato liberale. Si giunse a un graduale ritiro del non expedit (l'astensione cattolica dalla vita politica) e nel 1904 anche allo scioglimento dell'Opera dei Congressi, all'interno della quale si era riflessa fin troppo aspramente la realtà del conflitto di classe in atto nel Paese. Negli ultimi anni del XIX sec., infatti, il contrasto tra democratici (progressisti) e antidemocratici (conservatori) aveva assunto toni di particolare violenza. Dal campo politico-organizzativo, il contrasto si era esteso a quello sociale e religioso, deteriorando la formula interclassista e inficiando il concetto stesso di unità dei cattolici. L'attrito fra le due anime dell'organizzazione si manifestò compiutamente per la prima volta al congresso di Milano del 1897, nella netta contrapposizione tra la vecchia dirigenza tradizionalista e la nuova leva degli intransigenti, capeggiati dal sacerdote marchigiano Romolo Murri, che si dichiaravano democratico-cristiani secondo un'accezione di d.c., però, più vasta di quella introdotta da G. Toniolo, in certi casi ai limiti dell'eversivo nei confronti della forma liberale dello Stato. Con l'introduzione del termine d.c. in sostituzione di quello tradizionale di movimento cattolico-sociale, essi non intendevano tuttavia porsi sul terreno della democrazia parlamentare, ma introdurre nel movimento cattolico il principio della responsabilità e dell'autonomia dei militanti sul terreno politico-sociale, al fine di garantire alle dottrine della Chiesa una più attiva presenza nel mondo moderno. Il primo programma della d.c. fu pubblicato il 15 maggio 1899. In esso si chiedeva, tra l'altro: "l'organizzazione graduale della società in associazioni professionali corporative; la rappresentanza proporzionale dei partiti; una legislazione efficacemente protettrice del lavoro". Il programma cercava di cogliere le istanze democratiche del tempo, filtrandole attraverso le enunciazioni economico-sociali della Rerum Novarum. Tuttavia, anche per il fatto che molti militanti erano sacerdoti, fu difficile per la d.c. sviluppare un'azione politica realmente sottratta all'intervento diretto, spesso censorio, della Chiesa. Il susseguirsi di eventi ostili, sia interni sia esterni all'ambito strettamente ecclesiale, fu tale che finì con lo schiacciare i giovani democratici, fautori dell'impegno politico-sociale dei cattolici. Dapprima fu emanata dallo stesso Leone XIII l'enciclica Graves de communi (gennaio 1901), in cui si avvertiva che il termine d.c. non poteva coprire alcun "fine politico per portare al potere il popolo... mirando al bene della plebe e mettendo in disparte gli interessi delle altre classi". Veniva quindi negata ogni autonomia al movimento della d.c. che, nel febbraio 1902, fu sottoposto all'autorità dei vescovi e rigidamente inquadrato nell'organizzazione dell'Opera dei Congressi. Ma gli ostacoli più consistenti furono frapposti sotto il pontificato di Pio X, che non aveva mai nascosto la propria ostilità all'indirizzo dei democratico-cristiani e che nel 1904 decretò lo scioglimento dell'Opera dei Congressi e, di conseguenza, dello stesso movimento. Nel 1906 fu pubblicata l'enciclica Pascendi Domini gregis, a condanna del Modernismo (V.), e nel 1909 fu emessa la scomunica contro il fondatore della d.c. Romolo Murri, nel frattempo eletto deputato con l'appoggio delle sinistre. Questi fatti resero vana la decennale opera di educazione politica del mondo cattolico, crearono fenomeni di sbandamento e sembrarono affermare l'impossibilità di realizzare una "società cristiana" secondo quanto autorevolmente indicato dall'enciclica Rerum Novarum, alla quale tuttavia continuarono a ispirarsi larghi strati del cattolicesimo militante. Negli anni seguenti, quei democratici che erano riusciti a superare, senza irreparabili rotture con la Chiesa, la condanna della d.c., continuarono a lavorare con discrezione. Tra questi don Luigi Sturzo, che gettò le basi per la costruzione di un partito nazionale dei cattolici: democratico e laico, aconfessionale e volto a un proselitismo di massa, concorrenziale con quello socialista. Il suo progetto fu favorito dall'elezione a pontefice di Benedetto XV che, in passato, aveva dimostrato simpatia per il movimento democratico-cristiano. Nacque così nel gennaio 1919, alla vigilia delle prime elezioni politiche a suffragio universale maschile a sistema proporzionale, il Partito Popolare (V. POPOLARE ITALIANO, PARTITO - fondato nel 1919), col quale i cattolici entrarono ufficialmente nella vita politica italiana, dopo mezzo secolo di astensionismo elettorale. Per non compromettersi troppo il nuovo partito aveva evitato un richiamo esplicito alla d.c., su cui pesavano ancora le condanne di Pio X e della quale inoltre il Partito Popolare era solo in parte una continuazione; esso adottò infatti programmi e metodi moderati e riformisti privi del carattere radicale che aveva animato i primi democratico-cristiani.