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Delacroix, Eugène.

Pittore francese. Figlio di un funzionario del Direttorio, ricevette una buona educazione umanistica e in seguito entrò nello studio di P.N. Guérin, frequentando contemporaneamente l'Ecole des Beaux Arts. Ben presto avvertì l'insegnamento accademico come troppo limitato, aspirando a una forma d'arte più libera, ricca di colore e di sentimento. Il suo esordio, con l'esposizione al Salon della Barca di Dante, segnalò l'opposizione del giovane artista al gusto classicheggiante, mostrando, tra polemiche ed entusiasmi, il valore rivoluzionario del soggetto, dell'uso del chiaroscuro in funzione drammatica, dell'incuranza verso le forme tradizionali dell'anatomia o della tecnica compositiva. Uguale segnale di rottura fu dato dall'autore con Massacro di Scío, esposto al Salon del 1824 che, per le tinte chiare, gli procurò la fama di colorista oltre alla condanna dei critici classicisti. E infatti intorno al 1827, su invito del pittore inglese Bonington suo amico, D. si recò in Inghilterra e accostò l'opera di John Constable e dei paesisti inglesi, da cui trasse un gusto coloristico maggiormente espressivo, coltivato anche con un assiduo esercizio all'acquarello. Ben presto, accomunato a Victor Hugo, D. fu considerato figura guida della scuola romantica, anche se da parte sua egli si sentì distante dalla "banda romantica". Tuttavia l'amore da lui confessato per l'euritmia e l'equilibrio dell'antichità, non escluse la presenza nella sua opera di caratteri tipicamente romantici, quali la libertà espressiva in opposizione a dogmatismi tecnici, la resa sulla tela dell'entusiasmo e della passione, la scelta di soggetti che privilegiò il "pittoresco", traendo spunti dal Medioevo o dall'Oriente, dal drammatico, dal leggendario, dal letterario (molti spunti gli vennero, fra gli altri, da Byron, Shakespeare, Goethe). Tali inclinazioni e ricerche portarono talvolta ad esiti farraginosi e troppo preoccupati di esprimere virtuosismo o di corrispondere a determinate aspettative: furono un esempio di questi limiti La morte di Sardanapalo (1827) o anche le scene storiche di L'assassinio del vescovo di Liegi (1831) e La battaglia di Taillebourg (1837). Lontano dalla retorica di questi ultimi, dotato di maggior equilibrio tonale e di un'impostazione che sembra precorrere il realismo di Courbet fu invece il suo 28 luglio 1830. La rivoluzione di quell'anno, d'altra parte, che vide al potere il duca di Orléans e Talleyrand, aprì per lui uno dei periodi migliori in cui svolse anche il ruolo di autore ufficiale, come dimostra la celebre Libertà che guida il popolo, esposta al Salon nel 1831 e acquistata dallo Stato. Come membro di una delegazione ufficiale con incarico diplomatico presso il sultano del Marocco, nel 1832 D. visitò questo Paese, l'Algeria e la Spagna meridionale. Dagli appunti e bozzetti eseguiti nel viaggio, durante il quale l'artista maturò anche una nuova percezione del colore suscitata dalla luce smagliante del sole mediterraneo, nacquero Le donne di Algeri (1834), Il caid marocchino (1837), Nozze ebraiche (1839), e varie altre opere aventi come soggetti guerrieri arabi, belve, scene di caccia, momenti di vita orientale. Questa produzione, che esprimeva tutte le ricerche di D. sul colore e la scomposizione dei toni, mostrò la sua lontananza dalla linea classica di David e della sua scuola, ulteriormente rimarcata dalle opere di soggetto medioevale (Crociati a Costantinopoli, 1841), o classico (Medea, 1838; La giustizia di Traiano, 1840), o biblico (Ratto di Rebecca, 1858). A partire dal 1833, inoltre, D. aveva ricevuto una serie di incarichi ufficiali per la decorazione di grandi palazzi parigini: il Salon du roi e la Biblioteca di palazzo Borbone e del Lussemburgo, il soffitto della Galleria di Apollo al Louvre, il Salon de la paix all'Hotel de la Ville e la Cappella dei santi Angeli di Saint-Sulpice, per la realizzazione dei quali si ispirò a Veronese e a Rubens, considerati da lui maestri insuperati. La tecnica dell'affresco, lasciando sfogo al suo desiderio di "fare grande", consentì anche una maggiore rapidità e libertà di pennello e di visione, in composizioni popolate da divinità pagane ed allegorie. Nel 1857 fu accettato quale membro dell'Accademia francese. Ormai indifferente alle reazioni del grande pubblico, negli ultimi anni si dedicò ad una serie di studi, rifacentesi all'ormai lontana esperienza del Marocco, che sono forse fra le cose migliori che restano della sua arte: Cavalli che escono dal mare (1860), Cavalli arabi in lotta (1860), Giocatori di scacchi (1862), Naufragio presso la costa (1862). Il colore di queste opere, in atmosfere piene di luce o di spessa penombra, non è più risolto in audaci policromie, ma in un'armonia di mezza tinte, bruni e grigi, che esaltano la capacità drammatica del gioco di luce ed ombra. Assai attivo anche come incisore e litografo, D. fu anche critico e scrittore, e come tale può essere letto negli articoli di Oeuvres littéraires, nelle Lettres e nel suo Journal, 1822-1863. L'influenza di D. sugli artisti che lo seguirono è giunta fino agli impressionisti, che trassero insegnamento soprattutto dal suo uso del colore puro, dall'innovazione da lui compiuta negli accostamenti, che non corrispondevano alla tradizionale rappresentazione della realtà, ma anticiparono le moderne teorie sulla complementarietà delle tinte fondamentali (Charenton-Saint-Maurice 1798 - Parigi 1863).