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Deismo.

Concezione religiosa e filosofica relativa alla problematica del divino e delle religioni rivelate. Pur non essendo riconoscibile una data di nascita precisa né un'organica codificazione dottrinale, è senz'altro vero che un pensiero definibile come deista cominciò a delinearsi dalla metà del Seicento, per determinarsi con più efficacia nell'Inghilterra del Settecento e, da lì, nell'Europa continentale. In quanto concezione filosofica il d. si distingueva dal teismo (V.) che affermava l'esistenza di un Dio trascendente, personale e creatore, dotato di intelletto, volontà e libertà, e di una Provvidenza. I vari sistemi che si richiamavano al d. concepirono invece dio come impersonale, immanente all'universo, principio ordinatore ma non provvidenziale, per raggiungere la conoscenza del quale all'uomo è sufficiente la sola ragione. Da tale premessa discendeva l'esclusione di una qualsiasi rivelazione (non necessaria, dal momento che la divinità non è soprannaturale, e non possibile in quanto la divinità non è personale) e la negazione di una religiosità positiva, che determinasse i suoi contenuti oltre un nucleo originario che veniva appunto definito "religione naturale". Per il d. tale forma di religiosità era l'unica ammissibile: in essa il rapporto fra dio e l'uomo consisteva unicamente nella creazione da una parte e dall'altra nel riconoscimento razionale di un ente creatore, indeterminato e indeterminabile. È dunque evidente che il d., in quanto religione "primordiale", naturale, razionale e universale, non trasmetteva alcun concetto positivo, restava privo di dogmi e libero da prescrizioni di culto. Per i suoi epigoni, il Cristianesimo primitivo sembrava coincidere con tale religione naturale, ma la purezza originaria fu vanificata dalle sovrastrutture teologiche e cultuali. Le ricadute filosofiche, sociali e politiche dei principi del d. furono notevoli, coincidendo la loro diffusione con una certa crisi della coscienza religiosa tradizionale dovuta anche alle dispute feroci tra cattolici e riformati. Il rifiuto del dogmatismo e la ricerca di un nucleo originario comune che precedesse le distinzioni delle religione positive, portò necessariamente alla pratica della tolleranza religiosa, alla negazione dell'autoritarismo, del soprannaturale (nei suoi corollari relativi all'immortalità dell'anima, l'incarnazione di Cristo, ecc.), del miracoloso e di quanto si presentasse come legittimato da una trascendenza divina. Per il d., inoltre, l'attività morale rappresentava la condizione prima e sufficiente della vita religiosa mentre l'interiorità diventava il luogo principale della formazione spirituale della persona, sottraendola ad ogni ingerenza esterna. All'interno del generale movimento di pensiero del razionalismo e dell'Illuminismo, alcuni rappresentanti significativi del d. furono H. Cherbury, J. Toland, A. Collins, M. Tindal, J. Locke, D. Hume, G.E. Lessing, Voltaire, Rousseau e gli enciclopedisti in generale.