Trattato di Cesare Beccaria, pubblicato nel 1764, in
cui l'autore attacca e sottopone ad una critica serrata la legislazione penale
contemporanea, proponendone la riforma. Come Rousseau nel
Contratto
Sociale, anche Beccaria partì dalla constatazione che lo Stato poggia
su un patto, liberamente accettato dagli uomini riuniti in comune convivenza,
per cui ciascuno sacrifica una parte della propria libertà per il
raggiungimento del benessere di tutti. Beccaria propose, in questo trattato, un
radicale mutamento di prospettiva del diritto penale per cui la funzione della
pena non fosse più puramente sanzionatoria, ma correttiva. Da questa
affermazione radicale, derivò una serie di importantissimi corollari,
quali la condanna della tortura, strumento oltre che malvagio, inutile e senza
motivazione perché non ordinato all'assunto della pena come correzione,
delle umiliazioni alle quali venivano sottoposti gli indiziati, delle minacce e
dei rigori del carcere preventivo, e soprattutto della pena di morte. Per
Beccaria l'accusa e il processo dovevano essere pubblici e, in caso di
colpevolezza, la pena comminata doveva essere proporzionata al danno sociale che
il reato aveva provocato e non gratuitamente vessatoria. Quest'opera, nata anche
grazie all'incoraggiamento di Verri, ebbe un successo straordinario in Europa,
rappresentando uno dei più alti risultati del pensiero illuminista
italiano.